Modena vista da destra |
Modena vista da destra - Gli anni dal 1945 2008
Indice dei capitoli | Da Modena a Tambow senza ritorno | Rossi o Neri? |
La Palestra "in centro" | Le "tradizionali Vacanze Invernali" | La destra Modenese - Anni 50 |
INDICE DEI CAPITOLIIntroduzione pag. 6 PARTE PRIMA Cap. 1 - Da Modena a Tambow senza ritorno pag. 9 Corso
Vittorio Emanuele – Giochi di strada – La partenza – Lettere ai
genitori – Sul fronte del Don – L’accerchiamento – Campo di
Concentramento n. 188 di Tambow – La cartolina – 50 anni dopo –
I prigionieri italiani schedati – Le bugie del comunismo russo.
Cap. 2 - Io, Modena, la guerra e il dopoguerra pag. 27Scuola
e amici – Il bombardamento del 13 Febbraio 1944 – Lo sfollamento
– Giochi pericolosi – Carri armati tedeschi - Fine della guerra
– Gite in bicicletta –Il G.P. Automobilistico del 27 settembre
1947 – Il Cinema.
Cap. 3 - Rossi o Neri? pag. 4118
Aprile 1948 – I Cordigeri – Gli amici “rossi” – La scelta
– Via Celestino Cavedoni – L’Ing. Mario Camerini – Feste
private e dancing – Sospensione - La legione straniera – Il
fantolino – La legge Merlin – La rotta del Po’ – Pigiami
contro camicie da notte.
Cap. 4 - Tra Roma e Modena pag. 57La
Farnesina – La Fratellanza – I Campionati Studenteschi – Il
Nirvanetta – Il primo esame non si scorda mai – Olimpiadi di
Cortina – A Cavallo! – Judo e Tennis – Vela – Aereo Club –
Scherma all’Acqua Acetosa – Il Canottaggio – I Laghetti di
Campogalliano.
Cap. 5 - Le “mie” Scuole pag. 77 Mirandola – Negozio
Arte Tecnica – Scuola Media U. Foscolo – Il nuoto – Insegnanti
– Gita scolastica – Le settimane bianche – Istituto Magistrale
Sigonio – Scioperi Studenteschi – Liceo Tassoni – Liceo Ho Chi
Min – Liceo Wiligelmo – Scuola Media P. Paoli – Istituto Medico
Psico Pedagogico – I decreti Delegati – Gli scrivani. Cap. 6 - La Palestra “in” centro pag. 103 Athletic Club – Gli
atleti – I praticanti – Lorini ed Ermanno Barbieri – Il Prof.
Soragni – Il Sindaco Camillo Beccarla – Brigate Giallo Blu in San
Biagio – La droga – Le feste – I premiati – Anabolizzanti e
steroidi – Il 1° Trofeo Grandi Buche – Il crollo – La chiusura. Cap. 7 - Le Tradizionali Vacanze Invernali pag. 123 Passo di San Pellegrino e
dintorni – Sul balcone – I partecipanti – Figli o cotechini? –
Nevegal – Solda – Campitello – Il Ghiaione del Pordoi –
Scontri a San Pellegrino – Gli anni di Andalo, Pejo, Folgaria e
Serrada – L’incidente di Andalo – Sci Club Modena. Cap. 8 - Largo Garibaldi, il Bar Pellini. pag. 135 Porta Bologna – Lo stallino - I gruppi del Bar Pellini – Come eravamo
– Tutti i personaggi – Il canto del cigno – Quant’è bella
giovinezza
PARTE
SECONDA La destra Modenese dal ‘50 al duemilaeotto
pag. 147 Anni Fine
’40 e ‘50
pag.
148 Nasce
il MSI – Le prime elezioni politiche e amministrative – 9
Gennaio 1950 – I primi uomini del Msi modenese – Le manifestazioni
studentesche per Trieste Italiana – La rivolta ungherese del 1956. Anni ’60 pag. 166 Al Cinema Arena nel 1961 – Congresso di Pescara – Valle Giulia a
Roma e contestazione studentesca – Ritorno di Almirante alla
Segreteria del Msi – Elezioni a Modena. Anni ’70
pag.
176 La “Destra Nazionale” in Italia e a Modena – Le Direzioni del
Msi modenese – Iniziano gli “anni
di piombo” – Sede del Msi a Finale Emilia – Costituzione
dell’USL modenese – Il Centro Sportivo Fiamma – La
“lenzuolata” di Piazza Grande Congresso di Salerno. Anni ‘80
pag.
190 Strage di Bologna – La “Nouvelle Droite” – Franz Pagliani – Circolo “Cartur” – Crollo del muro di Berlino – Sistemi di repressione “stalinista” a Modena – Avvicendamenti nel Msi modenese. Anni ’90
pag.……202 Candidati modenesi alle elezioni – Chiude il MSI e nasce Alleanza Nazionale – Uomini e donne del Msi Modenese – Nascita della formazione di estrema destra: Fronte Sociale Nazionale, Forza Nuova, Alternativa Sociale. Anni 2000
pag.
217 Le elezioni degli anni duemila– La vittoria di Berlusconi del 2001 e la sconfitta del 2006 – Nascita della “Destra” di Storace – Caduta del Governo Prodi. Indice dei nomi citati Parte
prima
pag. 224 Indice dei nomi citati Parte
seconda
pag.
229
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Inaugurazione della sede del MSI in Via Cesare Battisti Novembre 1951 nell'immagine: Prof. Amerigo Ansaloni, Sig.na Lina Grandi, Avv. Gino Mori
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Da
Modena a Tambow senza ritorno
Il Tram correva veloce sui binari al
centro del lungo Corso Vittorio Emanuele, una delle strade più belle
della mia città, Modena, dove abitavo. L’ingresso della mia
abitazione, posto circa a metà del corso, sul lato destro partendo
dalla parte posteriore del Palazzo Ducale, sede dell’Accademia
Militare, era in un bel palazzo, che nella parte prospiciente il corso
era abitato da famiglie abbienti, della “buona” borghesia modenese.
L’accesso alla soffitta, dove la mia famiglia era venuta ad abitare da
poco tempo, era, dopo aver attraversato il bell’androne ed il cortile
interno, su per una scala ripida, che mi portava al quarto piano in una
specie di granaio, oggi sarebbe chiamata mansarda, e le finestre, anzi
l’unica finestra, si affacciava sul piazzale dove si svolgevano le
esercitazioni all’aperto dei cadetti dell’Accademia. Intanto il tram, raggiunta una discreta
velocità, arrivato oltre la meta del lungo Corso, cominciò a far
sentire un ta,ta,ta,ta lungo come una raffica di mitragliatrice che
sorprese i passanti non residenti (questi vi erano abituati), mentre un
gruppo di ragazzini, compreso l’estensore di queste note, si
rincorreva lungo il largo marciapiede, esultando e lanciando
esclamazioni di gioia per l’ottima riuscita di uno dei tanti giochi
che, in quella primavera del 1942, erano soliti fare. Usavamo, a quei tempi, delle piccole
cartucce rosse in strisce non molto lunghe, che, messe nel tamburo dei
piccoli revolver di latta o dei fucilini con i quali, noi maschietti di
quella contrada, ci divertivamo, sentendo anche il piccolo botto, a
condurre le nostre piccole battaglie ad imitazione dei grandi, che in
realtà si scannavano sui vari fronti della seconda guerra mondiale. Quella poi di mettere una serie di cartucce
sui binari del tram per sentirne l’effetto della raffica, era uno dei
tanti giochi di strada che allora si potevano fare per la scarsità del
traffico, assieme alle interminabili corse “dei coperchini”, i tappi
di latta delle bottiglie, sui lunghi percorsi dei cordoli del
marciapiede o di quelli della banchina dove passavano i tram. Vi erano
particolari accorgimenti per rendere più competitivi i nostri tappi di
latta, come il riempimento con terra creta, e la smerigliatura dei
bordi; molto di moda era anche il gioco delle “bambane” e delle
piastre, dove in palio erano sempre le immancabili figurine, dette anche
“fifi” (non erano ancora Panini e vi era la caccia spietata al
“Feroce Saladino” dei mitici “Tre Moschettieri” del Concorso
Perugina) che riempivano le nostre tasche, assieme a biglie, elastici
per la fionda, oltre ad altri svariati “piccoli attrezzi”. I Giardini Pubblici, che avevano
l’ingresso sul nostro corso, e in particolare la zona dove insiste
ancora oggi il monumento a Nicola Fabrizi, erano il territorio dove si
svolgevano tanti dei nostri giochi, come il salto della cavallina,
strega a nascondere, guardie e ladri, oltre a
battaglie di vario genere che a volte sconfinavano in quasi
risse, perché si usavano sassi e bastoni e spesso si ritornava a casa
con qualche “bernoccolo” e qualche sbucciatura, specialmente quando
ci si scontrava con le “bande” dei ragazzi o di Via Palestro o di
Via della Cerca. Uno dei giochi più
eccitanti, ma tra i più pericolosi, era quello di salire sui
respingenti del tram, e si faceva quando il mezzo era in corsa per
evitare che, o il bigliettaio o il conducente, si accorgessero della
nostra presenza e altrettanto per la discesa. Di norma si faceva tutto
il lungo percorso del grande viale, ma spesso si usciva dal territorio
raggiungendo, da una parte la Stazione Centrale e dall’altra Piazza
Roma o Via Farini. Un esercizio nel quale alcuni di noi erano
diventati “specialisti”, si correva dietro al tram e molte volte in
due, ma più spesso da soli, si saltava sul respingente e lì ci si
accucciava per non essere scoperti. A parte qualche sbucciatura alle
ginocchia e ai gomiti, a mia memoria, non vi furono mai episodi di una
certa gravità che un esercizio di quel tipo avrebbe potuto produrre. Il 27 Maggio di quell’anno, al mio
rientro a casa, trovai la mamma in un particolare stato di agitazione;
sulla tavola un telegramma: Improvvisa partenza. Scriverò.
Baci. Augusto Era di mio fratello, che, dopo aver
concluso il Corso allievi Ufficiali del Terzo Reggimento Bersaglieri a
Pola era stato inviato a Cremona per il suo primo impegno di Ufficiale e
dove si trovava a quella data. Non lo ricordo molto mio fratello, data la notevole differenza d’età,
undici anni, ma le tante fotografie, i tanti ricordi e racconti dei miei
genitori e dei suoi amici, lo hanno fatto rivivere nella mia memoria,
come fossi stato con lui ogni giorno. Andò a studiare a Roma all’età di sedici anni e ritornava a casa per
le vacanze, poi il servizio militare, di conseguenza sarò stato tra le
sue braccia e avrò giocato con lui solamente in rare occasioni. In ogni
lettera che inviava a casa, o nei suoi anni trascorsi a Roma, o durante
il servizio militare e in seguito dalla Russia, vi erano sempre, per il
suo fratellino, parole d’incoraggiamento per lo studio e per il buon
comportamento verso i genitori, gli insegnanti e gli amici. Quella dello scrivere era una delle sue tante passioni, oltre al disegno,
alla musica e lo sport, quasi quotidianamente scriveva lunghe lettere a
casa, agli amici, alle amiche e ai parenti (sono in possesso del suo
archivio che consta di una serie di cartelle strapiene delle sue
lettere). Si pensi che solamente dalla Russia, dove, dal 27 Maggio al 10
Dicembre 1942, data della sua ultima missiva dal fronte, in un periodo
di 198 giorni ha inviato ai suoi genitori 140 lettere oltre a decine di
cartoline: non si contano poi le lettere inviate agli amici, alle
ragazze, ai parenti. Intanto, in Corso Vittorio Emanuele, i bambini giocavano spensierati ed
allegri, senza preoccuparsi, più di tanto, di quello che succedeva ai
loro fratelli e ai loro padri sui lontani fronti della Russia,
dell’Africa o della Grecia. Durante le belle giornate i territori per
le scorribande erano appunto, i giardini pubblici e la contrada nella
quale si svolgevano i giochi di strada di cui ho parlato. Nelle giornate
piovose e di cattivo tempo ci raccoglievamo nelle case dei più
fortunati, che avevano appartamenti spaziosi ed accoglienti, oppure nei
locali di vaste dimensioni tipo il garage dell’amico Corrado Gozzi,
dove ci si poteva sbizzarrire in giochi svariatissimi; lo scambio ed il
collezionismo dei giornalini dell’epoca, oppure i giochi con il
meccano portati dai bambini con maggiori disponibilità economiche, che
erano messi a disposizione dei meno abbienti, così che il gioco era
sempre alla pari. Ci si cimentava anche, in forma molto semplice, nella
costruzione di mezzi come monopattini, carriolini, slittini con i quali,
in rapporto alle stagioni, si andavano a fare scorribande sui larghi
marciapiedi del nostro Viale. Talvolta, quando erano presenti ai nostri
giochi anche le bambine, non era difficile arrivare a giocare al
“dottore” che è stato senz’altro, per tantissimi ragazzini di
quel periodo e non solo per quelli della mia generazione, il modo di
fare le prime conoscenze, anche se molto limitate e sempre circospette
della corporeità dell’altro da sé, interpretando le prime sensazioni
della sessualità incipiente. La guerra mondiale era sì in atto, ma noi bambini non avevamo, sino a
quel momento, il minimo sentore, se non attraverso qualche notizia che
ci dava il maestro, sul progresso delle avanzate delle truppe italiane
sui vari fronti, visionandole sulle grandi carte geografiche, che si
trovavano nelle aule scolastiche a quei tempi. Frequentavo le scuole
elementari “De Amicis”, con la maestra Dora Chiomati in quarta
classe ed il Maestro Pini in quinta. Rare volte capitava di andare nelle case di qualche compagno di scuola o
di giochi e trovare la radio accesa da dove si potevano ascoltare i
bollettini di guerra, che in realtà poco c’interessavano, essendo la
maggior parte di noi attratta dalle trasmissioni che mandavano
nell’etere le canzonette di Alberto Rabagliati, del Trio Lescano, di
Natalino Otto dell’orchestra di Korni Kramer, quali, “Parlami
d’amore Mariù”, “Una casetta nel bosco” e tante altre che
allora erano di moda. In casa nostra la prima radio fu acquistata in quell’anno, ma verso la
fine, con l’arrivo dei primi stipendi di mio fratello, con i quali mia
madre riuscì, dopo alcuni mesi, a comperare una “camera da letto
moderna”, per Lui. Qualche volta con la mamma, o il papà, o tutti assieme, si andava al
cinema per vedere i film di Fosco Giacchetti, Amedeo Nazzari, Alida
Valli, Assia Noris ed allora era grande festa; “Luciano Serra
pilota”, “L’assedio dell’Alcazar”, “Piccolo mondo antico”
sono alcuni titoli che ricordo di quel periodo; e negli anni successivi
il cinema fù per mé un argomento di enorme interesse. In quell’estate di guerra, con mio fratello sul fronte russo, quando
ancora le sorti del conflitto sembravano essere favorevoli alle forze
dell’Asse, feci le mie prime esperienze lontano da casa. La colonia
estiva di Sestola aveva sede nel castello che domina la ridente località
dell’Appennino modenese dove fummo portati, dalle organizzazioni del
partito, con le corriere della ditta “Macchia” che ci fecero vedere,
allora si diceva, “i sorci verdi” lungo i tornanti della
“serpentina”, la strada che collegava Pavullo a Sestola. Con altri ragazzini, accompagnati dai maestri della colonia, ci
avventuravamo attraverso i boschi sino alle falde del Monte Cimone, alla
scoperta di una natura e di un ambiente che ci affascinava e ci
coinvolgeva ma che per noi bambini di città, al contrario degli
indigeni coi quali venivamo in contatto, restava pur sempre una
dimensione di difficile adattamento. La lontananza da casa, i dormitori
in camerate comuni, la mancanza dei giochi lasciati in città, facevano
sì che ci fossero, in particolare nei primi giorni, momenti di
scoramento e di nostalgia che le accompagnatrici e le maestre non
riuscivano, pur con tutte le loro buone intenzioni, a farci dimenticare. Avevo sì vissuto giornate fuori casa, alla colonia elioterapica sul Fiume
Panaro, ma erano esperienze di un solo giorno, perché eravamo
accompagnati, la mattina a prendere il sole e a fare il bagno nelle
acque del fiume, a quei tempi limpidissime, e di pomeriggio si ritornava
in città. Il “viaggio” intrapreso da mio fratello in quella primavera procedeva
rapidamente verso il territorio sovietico: il 29 maggio il terzo
reggimento Bersaglieri è in Ungheria e il 31 in Romania. “Carissima mamma, mi sono appena alzato. Ieri sera a Timisoara gli
italiani residenti in quella città ci hanno offerto uno splendido
ricevimento con visita alla città. Ora stiamo andando verso Bucarest e
si costeggia il Danubio. …………..Il tempo è ottimo con un
discreto caldo, il morale altissimo. Tra sei o sette giorni arriveremo a
destinazione in Ucraina al C.S.I.R. dove pianteremo le tende. Tanti
saluti e baci. Augusto” E dopo 11 giorni di viaggio, a suo dire sempre positivo, interessante ed
anche divertente, arrivano a destinazione, e l’8 Giugno sono a Stalino
da dove scrive una lettera al padre: “Caro papà, finalmente ci siamo. Arrivati domenica sera, alla fine
della ferrovia abbiamo pernottato in un paese e al mattino ci siamo
messi in cammino verso il luogo dove si trova il Reggimento. E’ stata
la prima marcia in terra russa prima di chissà quante altre che
seguiranno e di chissà quale importanza. …… (e qui descrive le
qualità del rancio) ……L’unico disturbo è la visita, ogni tanto,
di qualche apparecchio che lascia cadere alcune bombe o qualche tiro
d’artiglieria da lontano. Non so ancora come, ma non ho ricevuto posta né da tè né da mamma poiché
i primi ad avere notizia della partenza e l’indirizzo mio siete stati
voi. Almeno fino a stamani. Spero arriverà dato che dall’Italia
impiega circa 7 giorni come per arrivare a voi da qui. Capirai sono
ormai più di 15 giorni che non ho avuto vostre notizie e vorrei sapere
almeno come avete preso la mia partenza. State tranquilli che io sto
benone e se andrà tutto bene, come giusto che vada, spero fra non molto
di riabbracciarvi. Qui ci sta gente dal Luglio dello scorso anno che ha combattuto e sofferto
per tutto il lungo inverno con 50° sottozero, eppure è qui sana e
allegra come non mai. Ho incontrato parecchi altri miei camerati e con
loro sto sempre in perfetta allegria attendendo quello che ci sarà da
fare in seguito. Ieri ci hanno cinematografato per un documentario del
glorioso 3° Bersaglieri che, come saprai, qui in Russia si è coperto
di gloria sempre e ovunque. Ricevi tanti abbracci e bacioni. Augusto.”
Sulla base delle lettere che arrivavano dalla Russia e dalle
indicazioni dei bollettini di guerra dei giornali, iniziai, assieme alla
mamma a seguire l’itinerario del reparto di mio fratello su di una
carta geografica preparata in casa e sulla quale, a grandi linee, si
potevano percorre gli spostamenti che nella realtà corrispondevano,
molto genericamente, a quello che effettivamente poteva essere il
movimento al fronte. Imparai così i nomi delle città, dei fiumi, dei monti di quella lontana
terra, era una lezione di geografia che mi servì anche scolasticamente
tanto da avere in quella materia sempre il voto più alto e la maestra,
coniò per mè il titolo di “piccolo geografo”. Le lettere scritte alla mamma avevano sempre un contenuto rassicurante e
sulla situazione e sull’alimentazione, poche volte accennavano a fatti
guerreschi, che si trovano, con più frequenza, nelle lettere inviate al
padre. “7 Luglio 1942 - Carissima mamma, sono riuscito a trovare dei fogli e
delle buste per combinazione e ne approfitto subito per
scriverti………Qui c’è solo abbondanza di frutta e di vecchi con
barbe lunghe fino ai piedi e pieni di pidocchi. Ora comincio a
balbettare qualche frase in russo e credo che, se starò qui parecchio,
lo imparerò discretamente. Siamo un po’ lontani dalla prima linea, si
sto benone e si fa vita di caserma. Sono contento di essere stato anche
“lassù” dove si sparava e aver fatto i miei giorni a contatto col
nemico. Infatti qui
facevamo cura del sole e un po’ d’istruzione indispensabile,
suoniamo dischi in tutte le lingue finché non arriverà l’ordine di
caricare il materiale sui camion e andare avanti. Sono le 6,30 di
pomeriggio, fra una mezz’ora a mensa poi due chiacchiere e dopo poco a
letto. La sveglia è alle 4 perché qui il sole si alza prima essendo
spostati di due fusi orari verso est e a quell’ora già scotta dato
che l’alba è alle due e mezza. Ogni tanto passano apparecchi russi – si sente un fuoco infernale e
qualcuno viene a sbattere il muso giù- una confusione che dà un
bellissimo spettacolo specialmente di notte quando si spara con le
pallottole che lasciano dietro di se una striscia luminosa. Io sto
sempre benone, quando non so che fare o mangio o disegno o
scrivo…….Qui salvo gli aeroplani non sembra nemmeno di essere in
guerra, ma non può durare tanto a lungo ed è naturale. Ti bacio tanto
insieme a Bruno che non scrive mai. Augusto.” Le varie località delle zone interne della Russia, dal Donetz al Don,
cominciarono a diventarci abbastanza familiari, si andavano a cercare
sulla carta geografica i centri come Stalino, Karkov, Kursk, Voronej,
Jagodnij dove ad iniziare dalla metà del mese di Luglio iniziò
l’offensiva delle forze italo-tedesche e nella quale si trovò
coinvolto il 3° Reggimento Bersaglieri della Divisione Celere, alla
quale apparteneva mio fratello. Dal Donetz al Don vi fù una grossa
avanzata. Il giornalino del 3° Bersaglieri, al quale collaborava con scritti e
disegni anche il sottotenente mio fratello, chiamato “In Bocca
all’Orso” raccontava, con enfasi e con lo stile propagandistico
dell’epoca, dei grandi successi riportati, ma anche dei piccoli
episodi che avvenivano tra i soldati, delle esperienze nei combattimenti
e dei rapporti con la popolazione delle contrade nelle quali si venivano
a trovare i bersaglieri, con racconti che denotavano sempre la cordialità
reciproca tra i civili e i militari italiani. Così scriveva al padre: “17 Luglio – Carissimo papà, ti sto scrivendo piuttosto scomodo sopra
una cassetta di munizioni. Sono sei giorni che ci siamo mossi da dove
stavamo e siamo avanzati per una cinquantina di Km. I russi finora non
hanno opposto molta resistenza e salvo qualche piccolo combattimento se
la sono sempre data a gambe, meno ora che si sono posti in difesa. Gli
aeroplani passano continuamente e scaricano su di loro le pillole che
tengono nei loro ventri capaci, vedessi che colpi! Dormiamo sempre
all’”Albergo della Luna” con un po’ di fresco ma in complesso si
stà benone anche come mangiare, che come sai è una cosa abbastanza
importante. Salute sempre ottima, morale ancor di più, meglio non può andare.
Speriamo continui così e andrà tutto bene. Ti saluto e ti mando tanti
baci. Augusto.” A Modena, i ragazzini di Corso Vittorio Emanuele che seguivano gli
avvenimenti della guerra in modo molto relativo, sono sempre alle prese
con i loro giochi e la maggior parte delle ore in quelle calde giornate
estive si trascorrevano nell’oasi di verde dei vicini giardini
pubblici. Mio fratello scriveva tante lettere, ma ai genitori non
raccontava gli aspetti più crudeli della guerra, cosa che invece faceva
con amici o conoscenti, come questa lettera inviata ad un’amica della
mamma che abitava in riviera ligure e della quale sono riuscito ad
entrarne in possesso dopo del tempo. “Graf-Voronez - 18 agosto 1942 – Gent.ma Signora Maria Rosa, non
potete immaginare con quanta sorpresa abbia ricevuto la vostra lettera
dopo tanti anni che non avevo più vostre notizie. E’ stato quindi con
vero piacere che ho appreso
della visita fatta a Modena a mia madre che sarà stata felicissima di
rivedervi. Se non sbaglio l’ultima volta fu nel ’38 quando abitavamo
ancora in Via Cesare Battisti ed io mi trovavo in licenza
dall’Accademia di Roma. Da allora quante cose, quanti cambiamenti sono
avvenuti e come vedete da Modena a Roma, a Milano, Bologna, Pola, via
Cremona sono arrivato in Russia dopo circa 20 mesi di servizio militare.
La strada è stata dura e faticosa. Proprio oggi siamo scesi dalla linea
per un periodo di assestamento del fisico e del morale dopo circa un
mese e mezzo di continui sacrifici, di combattimenti. E’ stato un
periodo addirittura apocalittico quello che ho vissuto: combattimenti,
attacchi, assalti, lotte furiose sotto fuochi infernali, visioni di
carri armati, tempeste di proiettili e purtroppo altri spettacoli di
puro eroismo ma di grande dolore. Ho visto cadere, quando più cruento
era il combattimento, tanti miei colleghi ufficiali , che come me erano
cresciuti nel clima ardente dell’entusiasmo e della fede e con me
erano partiti gloriosi del loro piumetto di una indomita passione
bersaglieresca, e come tanti colleghi nello stesso modo, vicino a me
tanti miei bersaglieri hanno irrorato col loro sangue purissimo questa
maledetta terra che rimarrà nei secoli testimone del loro
sacrificio……………….Tanta gente si lamenta dell’Italia ma
vorrei prelevarli io quei signori e portarli un po’ in Russia a vedere
cosa c’è di nuovo e di bello nel famoso paradiso di Stalin. Faccio
presto a farvi una breve sintesi di questo inferno dei vivi, strade
niente, case fatte di fango e sterco animale, dove dentro sentite e
vedete gli odori e gli animaletti più strani. Gli abitanti luridi e
pezzenti quanto mai, donne comprese. Solamente a Voroscivolgrad, che è
una città grandissima però sempre ugualmente lurida ho visto qualche
ragazzetta con labbra dipinte e capelli corti (moda 1925). Indubbiamente
la civiltà qui in Russia è progredita unicamente nell’industria di
guerra e nelle macchine agricole…………..Ora cado di nuovo nella
politica che in una lettera ad una signora che si vuole informare del
proprio stato di salute, c’entra come i cavoli a merenda.
State pur sicura che alla mamma scrivo spesso poiché comprendo
il suo stato d’animo nel non avere mie notizie. Se è stata tanti
giorni senza avere posta il fatto è dovuto che io ero nella assoluta
impossibilità di scrivere trovandomi in linea, possessore dei vestiti
che indossavo più l’elmetto, la rivoltella e le bombe a mano.
……….. Ora lascio di scrivere, poiché credo di avervi fatto
perdere già tanto tempo e poi si avvicina l‘ora della mensa che è
sempre oltremodo gradita, tanto più che qui, fortunatamente, non si
soffre di razionamenti, ma al contrario si mangia ottimamente. Spero vi
ricorderete ogni tanto di me con qualche scritto che mi giungerà sempre
graditissimo, insieme a voi unisco i miei più affettuosi saluti a Carla
e Baby che anch’io ricordo tanto caramente. Augusto:” Malgrado si sia lontani da Modena migliaia di chilometri, è sempre forte,
per tutti i modenesi, il desiderio di rivedere la Ghirlandina, o di
sentire qualcuno che ti parla in dialetto. Il bersagliere Augusto nel
suo peregrinare tra 18°, 20° e 25° battaglione del Terzo Reggimento,
non aveva commilitoni della nostra città. Così raccontava in un suo
scritto l’incontro con un concittadino: “8 Settembre 1942 - Carissima mamma, mi sono appena alzato – fa ancora
fresco, ma un bel sole non tarderà a scaldarci……………….Ieri
sera è venuto all’accampamento l’auto sonoro e ci ha fatto sentire
le ultime novità di canzoni italiane. I bersaglieri erano tutti
contenti a sentire quella musica che li avvicinava un pò alla Patria
lontana, e uno di loro mi ha detto: eh Sig. Tenente, bei tempi quando si
andava a ballare e la Russia non si sapeva nemmeno cosa fosse! E’
proprio cosi. Sai che è da Maggio che non parlo in dialetto modenese
con qualcuno di Modena – ah nò. In Luglio durante la famosa avanzata
incontrai una camicia nera che urlava a un suo amico in perfetto
modenese. L’ho chiamato e mi ha detto che abita in Via Voltone, mi ha
riconosciuto per un frequentatore del G.U.F. quando si ballava e lui
suonava in quell’orchestrina. L’unico contatto in tre mesi. Ci sono
altri emiliani al Reggimento, pochi in verità e tutti romagnoli venuti
dal 6° Bersaglieri…………………..Tanti bacioni. Augusto.” Il terzo Reggimento Bersaglieri, dopo l’avanzata del periodo estivo, era
andato a schierarsi sul fronte del Don nella zona di Migulinskaja,
mentre il sesto Reggimento si trovava più a sud, in un ansa che il
fiume faceva con un suo affluente, il Tichaja. A Nord del Terzo, sempre
sulla linea del Don era schierata la Legione Croata e la Divisione
Torino. Vi era sempre la speranza, da parte dei soldati, di poter avere
una licenza per trascorrere a casa un breve periodo. A fine Settembre,
il bersagliere, cosi scriveva: “26 Settembre – Carissima mamma, da qualche giorno hanno aperto le
licenze per esami per chiunque debba sostenere qualcuno di questi sia
all’Università che in qualsiasi scuola. Dato che l’Accademia non ci
fa più sostenere gli esami se non a fine guerra, io vorrei dare
l’esame di maturità al Liceo Scientifico, naturalmente per venire a
casa un mesetto…………………… Ti voglio dire una cosetta che
ti farà piacere: sono stato proposto per la medaglia di bronzo al valor
militare per una delle azioni scorse. Non so quale risultato avrà e se
riuscirò ad averla. In ogni modo è stata una grande soddisfazione per
me veder premiato questo ciclo operativo dopo tutto quello che si è
fatto. Ho avuto ieri la comunicazione dal Comando con una motivazione
che se te la scrivessi ti metteresti sicuramente a piangere come un
vitellino!………….. Tanti bacioni . Augusto.” La calda estate del 1942 stava esaurendosi sia a Modena sia in Russia.
Nella nostra città si viveva ancora, abbastanza tranquilli, anche se in
molte case si cominciava a piangere per la sorte di un familiare morto,
in Africa Settentrionale, nei Balcani o nelle steppe sovietiche. Mia
madre fu particolarmente colpita, l’anno precedente, dalla notizia
della morte del figlio di una sua cara amica che abitava in Via della
Cerca e che scomparve nel Mar Mediterraneo nell’affondamento
dell’Incrociatore Zara dove era imbarcato. Le sorti della guerra si stavano via via modificando, dopo i grandi
successi delle truppe dell’Asse, in Luglio iniziò la controffensiva
inglese in Libia; in Russia italiani e tedeschi, schierati sul Don, si
apprestavano ad affrontare quello che fu il tremendo inverno sovietico
del 42-43. Ci si avvicinava così al grande inverno russo e alla
tragedia degli italiani sul fronte del Don. A Modena la mia famiglia si
era trasferita, con l’aiuto degli stipendi del bersagliere, in
un’abitazione più dignitosa, ma pur sempre modesta, in un fabbricato
all’angolo tra il nuovo cavalcavia della Sacca e la ferrovia, Via
Mazzoni, che era pur sempre un prolungamento di Corso Vittorio Emanuele,
perciò rimanevo sempre nella zona dove mi ero creato un buon gruppo di
amici con i quali continuavo a trovarmi ed a giocare con loro.
L’appartamento era di mio zio, Ruggero Della Casa, che era riuscito ad
ottenere un portierato in uno dei palazzi di Viale Crispi, poi colpiti
dai bombardamenti. Ci trasferimmo, in seguito alle sollecitazioni del
bersagliere che, in continuazione, nella sua corrispondenza con i
genitori, li stimolava a cambiare casa. “3 Novembre 42 – Carissimo papà, siamo fermi in un paesetto per una
tappa di un giorno: anche queste marce di trasferimento stancano
parecchio dato che bisogna andare piano perché si è in colonne
lunghissime di camion e non è troppo bello star seduti ore ed ore fra
odori di benzina, nafta, polvere e tante altre cosette. Domattina presto
riprendiamo la marcia per un altro lunghissimo percorso. Saliamo sempre
verso il Nord, finirà che ci troveremo a Mosca senza accorgersene.
Comunque tanto lontani non ci siamo. Il tempo si ostina a rimanere
bellissimo, non fa freddo affatto mentre l’anno scorso a questo tempo
erano già con neve, ghiaccio e furibonde tormente
a parecchi gradi sottozero. Sono già le 11 e bisogna andare. Oggi si mangia a secco dato che non è
possibile fare il rancio: gallette e scatoletta di carne, marmellata e
formaggio. Appena arrivato spero di trovare posta tua così potrò
subito risponderti. Non ho altro da raccontarti. Mi raccomando fai
studiare Bruno e in ogni modo avvisami di come si comporta a scuola. Ora
deve frequentare la quinta classe e il prossimo anno dovrà iniziare la
Scuola Media. Tanti cari bacioni. Augusto.” Il 3° Reggimento Bersaglieri, contrariamente a quelli che erano i compiti
per i quali erano stati istruiti, in concreto, per un impiego
eminentemente offensivo in una guerra manovrata, andò a sistemarsi, per
la sosta invernale, lunga la sponda destra del Don. Alle spalle le
località di Mrychin e Meschtcherjakoff e di fronte, sulla sponda
sinistra del Don, la 197° Divisione di Fanteria russa. “28 Novembre 1942 – Carissimo papà, ho appena finito di scrivere i
miei conti e subito passo a te. Parlo di conti poiché ora oltre al
bersagliere, ufficiale, combattente faccio pure il vivandiere del
Battaglione…. Da qualche tempo mi stò digerendo giornalmente qualche
centinaio di Km. – oggi
ho portato con mè il cane – non sai che ho un cane? Si chiama Stalin
e gli piace il cognac - …… A proposito tra un mese è Natale -mi
ricordo quando facevo il presepio per mè poi per Bruno – ora credo
sia capace da solo………Il freddo si sente già parecchio ma
relativamente dato che abbiamo parecchia roba da metterci addosso. Io
finora vado piano a vestirmi poiché quando a Dicembre e Gennaio ci
saranno 45° cosa mi metterò?………Tanti bacioni. Augusto.” La corrispondenza da e per l’Italia è ancora regolare per i primi dieci
giorni di Dicembre,e si stanno preparando i giorni dell’inferno.
L’ultima lettera arrivata a casa, del Bersagliere Augusto, è datata: “12 Dicembre 1942 – Carissima mamma, ho avuto oggi la tua lettera del
28 Novembre e il secondo pacco spedito. Il passamontagna è
meraviglioso. …….
Natale si avvicina – già si vedono arrivare casse di liquori,
spumante, panettone Motta per noi che stiamo e che staremo per quella
solennità in prima linea. Novità: fa freddo come al solito. Oggi forse
finisco di farmi le fotografie e spedisco il pacco. Anzi vorrei uscire
subito poiché è uscito un po’ di sole. Ora abbiamo delle bellissime
tute bianche con cappuccio per nasconderci sulla neve. Gli elmetti sono
bianchi……..Tutti i miei amici, le varie fanciulle, i parenti mi
chiedono se è vero che per Natale verrò in licenza. Illusi!….. Hai
avuto i quattrini? Fai scrivere un po’ anche al signor Brunello.
Bacioni tanti. Augusto.” Da allora il gelo dell’inverno russo calò anche in casa mia. Le notizie
che si ascoltavano alla radio e che si potevano leggere sui giornali,
erano sconfortanti. I Russi avevano sfondato il fronte. La speranza era
che il reparto di mio fratello fosse potuto sfuggire
all’accerchiamento dei sovietici. Si seguiva sulla carta geografica il ripiegamento delle forze italiane, ma
l’accerchiamento delle Divisioni, compresa la Celere, non dava nessuna
speranza di poter avere notizie dirette dal bersagliere. Passarono così
i mesi, tremendi per i genitori che erano abituati, prima della metà di
Dicembre, a ricevere le sue lettere quasi ogni giorno; ad un tratto, la
brusca interruzione della corrispondenza. Ma a fine Settembre dell’anno 1943, arriva a casa nostra una cartolina
della Croce Rossa Internazionale, scritta dal campo di concentramento di
Tambow a metà Gennaio, dove il bersagliere dichiara di star bene: è
stata questa, una delle rarissime cartoline arrivate in Italia dai campi
di concentramento sovietici che sollevò, al momento, le disperate
condizioni dello stato d’animo dei miei genitori. Per anni sono stati
convinti che il figlio fosse ancora in vita e chissà per quali ragioni,
non riusciva anche a guerra finita, a rientrare, assieme a quelle poche
migliaia di reduci che gradualmente fecero ritorno in Patria. Ma il bersagliere era deceduto dopo pochi giorni dalla spedizione di
quella cartolina, conservata gelosamente dalla mamma, e ancora in mio
possesso: l’amico di Gorizia, di cui fa cenno nello scritto, (la sua
famiglia fu informata subitamente) non riuscì a far pervenire in Italia
suoi scritti, ma ebbe la fortuna di sopravvivere, ritornò dalla
prigionia e naturalmente contattato, non seppe dare ragguagli precisi
sulla fine di mio fratello, in quanto, ad un certo momento del mese di
Gennaio, furono divisi. Cartolina della Croce Rossa
Internazionale dal Campo di concentramento n. 188 di Tambow “Carissimi, Vi scrivo da un campo di concentramento. Potrò scrivere
credo una volta al mese. Voi potrete scrivermi quando vorrete però
aspettate il mio indirizzo definitivo che non è questo. La vita è
calma e tranquilla e siamo tutti ufficiali insieme. Avvertite la Sig.ra
Rita Pontieri abitante a Gradisca d’Isonzo (Gorizia) che il figlio
Salvatore è con mè ha scritto e stà bene. Spero vi siate stabiliti
nella nuova abitazione. Io stò bene come spero sempre di voi. State
calmi e tranquilli e speriamo tutto possa andare per il meglio. Tanti
tanti bacioni. Augusto.” Purtroppo questo messaggio, che diede tante speranze e creò tante
illusioni, fa la causa per tener aperta quella ferita ancora per tanti
anni. I vari contatti avuti con i suoi colleghi e camerati che
riuscirono a rientrare in Italia, non diedero mai certezze definitive
della morte del bersagliere; visite nelle varie località italiane fatte
da mio padre, una fittissima corrispondenza attraverso ricerche
lunghissime per avere gli indirizzi dei fortunati, che hanno sempre
risposto alle accorate lettere dei genitori con sensibilità e
correttezza, non hanno mai portato a conclusioni certe. Si seppe, sì
che era rimasto leggermente ferito nei giorni dello sfondamento del
fronte e che venne anche curato da un medico militare italiano nel campo
di concentramento, ma non destava preoccupazione la leggera ferita. In realtà, probabilmente con
l’insorgere di complicazioni, la dissenteria, il tifo, il gran freddo,
la scarsezza del cibo, l’impossibilità di cure adeguate, il fisico,
seppure gagliardo del bersagliere, non resse. Negli anni ’50, in pieno clima di guerra fredda, scoppiò e fu portata
avanti per molti anni, la polemica sull’esistenza di prigionieri
italiani in Russia. I giornali riportavano elenchi di soldati che ancora
nel 1955 avrebbero dovuto trovarsi nei campi di concentramento
sovietici. I giornalisti modenesi, in
svariate occasioni, si precipitarono a casa mia, avendo trovato il
nominativo di mio fratello, in quegli elenchi, intervistando e riaprendo
in continuazione la ferita ai miei genitori, facendo titoli a più
colonne sui giornali locali con fotografie e commenti. Q uesto avvenne, tutti gli anni dal 1950 al 1956. Il
nominativo di mio fratello, praticamente sulla base di quella cartolina
giunta in Italia nel 1943, dava la prova della sua esistenza in vita a
quell’epoca, questi elenchi furono inviati, dalle autorità
competenti, quale la delegazione italiana presso la commissione speciale
dell’Onu per i prigionieri di guerra, per fare le opportune ricerche
all’Ambasciata d’Italia a Mosca, alla Commissione Speciale dell’Onu
e all’Ambasciata Sovietica a Roma. I titoli dei giornali riportavano: “Un ufficiale modenese catturato sul
Don tuttora prigioniero dei Russi” e così nel 1952, nel 1953, nel
1954 sino al 1956, dodici anni dopo la sua cattura. C’era chi ne
faceva speculazione politica, ma la classe politica italiana di quei
tempi, sia di Governo, sia di quella parte, molto ma molto vicina alle
gerarchie sovietiche, mai si è interessata a fondo del drammatico
problema. Le visite in Russia degli esponenti italiani raramente si sono motivate
per conoscere la verità sulla fine dei connazionali rimasti in quelle
terre. Le autorità sovietiche hanno dichiarato per anni ed anni, di non
essere assolutamente a conoscenza di tale problema, e che non esistevano
archivi con elenchi dei prigionieri italiani.
A cinquanta anni di distanza, nel 1993, dopo la caduta del comunismo
sovietico, improvvisamente si aprono quegli archivi, e si scopre che
tutti i prigionieri italiani nei vari campi erano schedati e catalogati.
Nei corridoi e nelle cantine della famigerata Lubianka e del KGB, a
Mosca, è stata trovata la conferma ufficiale dell’esistenza di quegli
archivi che si pensava ci fossero e che al contrario lo stesso governo
comunista negava. I servizi segreti sovietici hanno tenuto una
contabilità e una documentazione precisa di quello che è accaduto dopo
la tragica fine della Campagna di Russia. Dei morti, dei prigionieri,
dei dispersi il Nkvd, il servizio segreto dell’epoca di Stalin, sapeva
tutto e aveva annotato ogni cosa. Perché
mezzo secolo di menzogne? Nessuna pietà per tutti i familiari di quelle
migliaia e migliaia di nostri connazionali che ebbero la sfortuna di
andare a combattere in quel lontano territorio e di essere stati poi
internati nei campi di concentramento sovietici, dove sono morti a
decine di migliaia. Ministero della Difesa Roma 8 Marzo 1993 Alla Famiglia del S.Ten. Zucchini Augusto In seguito ai mutamenti politici avvenuti nell’Europa dell’Est, è
stato concluso, nel 1991 un accordo intergovernativo che ha dato la
possibilità a questo Ministero della Difesa di consultare gli Archivi
Segreti di Stato a Mosca ove è custodita la documentazione dei Militari
italiani, catturati prigionieri, deceduti nei territori dell’ex URSS
nel corso della 2° Guerra Mondiale e considerati sino ad oggi Dispersi. Dagli esiti delle ricerche effettuate in detti Archivi dal Commissariato
Generale Onoranze ai Caduti (ONORCADUTI) e dai controlli e riscontri
effettuati nella documentazione custodita da questo D.G. è emerso che
il Vostro congiunto, S.Ten. ZUCCHINI Augusto, già dichiarato disperso,
è stato catturato dalle FF.AA. Russe, internato nell’Ospedale n. 4041
NOVA LIADA Reg. Tambow, ove risulta deceduto il 03.02.1943. La speranza di poter recuperare e rimpatriare i “Resti Mortali”
presenta difficoltà difficilmente superabili in quanto i Sovietici
hanno sepolto i nostri Caduti in fosse comuni unitamente a quelli di
altre nazionalità rendendo così impossibile l’identificazione. E’ comunque intenzione del suddetto Commissariato Generale, una volta
localizzate con precisione le località di sepoltura, erigervi sopra dei
cippi commemorativi a perenne ricordo del sacrificio dei nostri caduti. Nell’esprimere la più viva espressione di partecipazione al dolore da
parte del Sig. Ministro della Difesa, si informa che sarà interessata
la competente commissione Interministeriale per l’eventuale formazione
dell’atto di morte del S. Ten. Zucchini Augusto. Il Direttore della Divisione f.f. (Ten. Col. Adamo De Santo) All’inizio degli anni 80, il comunismo non era ancora crollato, il
giornale “Il Resto del Carlino” pubblicò, il giorno 23 Settembre
1983, la notizia che il Console Italiano a Mosca si sarebbe recato a
portare una corona di fiori sul luogo del campo di concentramento di
Tambow. Letta la notizia andai a colloquio dal Prefetto di Modena per cercare di
avere la possibilità di recarmi, a mie spese, assieme alla delegazione
italiana, sul luogo della morte di mio fratello, presentando,
all’autorità costituita, le credenziali che attestavano, con
certezza, la presenza in quel campo, del bersagliere. Attraverso mille distinguo e con le formule burocratiche del potere,
insensibile agli aspetti umani più naturali, non mi fu concessa
quell’opportunità: uscii dall’ufficio indignato e sempre più
arrabbiato nei confronti di uno Stato che negava, ad un suo cittadino,
uno dei suoi più elementari diritti. A dimostrazione di come siamo
sempre stati trattati, nonostante le promesse di tutti i politici se
non, semplicemente, dei sudditi.
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ROSSI O NERI? Il 1948 è stato un anno cruciale per
la storia del nostro Paese. Le elezioni del 18 Aprile fissarono un punto
fermo nel delicato clima del dopoguerra. L’Italia rimase nell’area
occidentale che si era venuta a creare dopo la spartizione di Yalta, le
speranze dei comunisti di avere un governo simile a quello di tanti
paesi dell’est europeo, fallirono clamorosamente. Vi erano già state le elezioni del 2 Giugno
1946, per la scelta tra Monarchia e Repubblica e per l’assemblea
Costituente, vinse la Repubblica tra tantissime polemiche, ma il vero
scontro tra le due opposte visioni, tra coloro che avrebbero gradito
l’appoggio del comunismo dell’Unione Sovietica e quelli che invece
davano la loro adesione alla concezione liberal-capitalista, con
l’appoggio americano, in realtà i veri vincitori della guerra e del
dopoguerra, avvenne due anni dopo. Il 18 Aprile 1948, la
Democrazia Cristiana stravinse, ottenendo 12.740.000 voti con il 48,51%
e conquistando 306 seggi, mentre il Fonte Popolare (socialisti e
comunisti) raggiunse 8.136.600 voti e il 30,98%. Si presentò per la
prima volta a quelle elezioni anche un piccolo partito di ex nostalgici
e di coloro che non accettavano quella spartizione: era il Movimento
Sociale Italiano che ottenne sei seggi in Parlamento con 526.000 voti
conquistati solo su parte del territorio italiano dove gli uomini, che
avevano da pochi mesi fondato quel gruppo politico tra mille difficoltà,
erano riusciti a presentare le liste elettorali. A quindici anni, tanti ne
avevo in quel tempo, non mi era ancora ben chiara la situazione della
società italiana. In realtà i miei problemi principali erano: il
divertimento, lo sport, il cinema, gli amici e, per non deludere le
attese dei genitori che tanti sacrifici facevano per mandarmi a scuola,
anche lo studio. Frequentavo, allora, il
gruppo dei “Cordigeri” aggregato al Convento dei Frati Cappuccini di
Via Ganaceto, dove i giovanissimi erano seguiti e nei giochi e
nell’educazione religiosa del catechismo, dai coniugi Secchiari. Facevo parte del coro,
guidato dal Sig. Secchiari Ugo e la nostra “messa cantata”
particolarmente quella scritta dal maestro “Lorenzo Perosi”,
ottenevano in città un grande successo. La Chiesa dei Frati Capuccini
di Via Ganaceto era sempre strapiena di Domenica durante la messa
principale delle undici, per merito anche dell’ottimo collettivo del
nostro coro che si esibiva in quella splendida esecuzione, della messa
del Maestro Perosi. Nelle date più
importanti della Chiesa Modenese, si partecipava alle lunghe ed
interminabili processioni che attraversavano le strade della città, tra
due fitte ali di folla composta e in preghiera. Ma l’impegno e la
fatica più grossa, per noi giovani, era quella relativa al portare, per
tutto il tragitto della processione, pur alternandoci nel trasporto, uno
dei grandi stendardi, pesantissimi, della nostra confraternita. Era uno sforzo notevole
che era fatto con entusiasmo e dedizione, che ci gratificava per la
nostra appartenenza a quella importante famiglia, della quale ricordo
con particolare simpatia gli uomini più attivi e rappresentativi quali,
i fratelli Benzi, Franco e Giordano, titolari di uno dei più importanti
negozi di falegnameria artigiana della città, in Via Fonteraso nel
palazzo Margherita, vicino all’ingresso della Società Panaro. Oltre
al Dott. Carlo Luppi, ai fratelli Saguatti, Nello, Nino e Giordano, il
Geom. Selmi, Angelo Marchetti, Paolo Koenig, Gianni Sartoris, Mariotti,
Biondini e tanti altri, di cui mi sfuggono le loro generalità. Ci si dedicava inoltre
all’attività sportiva: avevamo costituto una squadra di calcio ed una
di pallavolo dopo aver costruito il campo regolamentare all’aperto,
nel giardino posteriore del palazzo di Via Ganaceto, ove si trovava la
nostra sede e che era situato tra il palazzo, allora sede del PCI, ed il
Palazzo Campori. Le partite di calcio le
andavamo a disputare particolarmente contro le squadre d’altre
parrocchie che avevano a disposizione campetti, come quelli della Chiesa
di San Cataldo, di San Domenico e del Tempio. Erano sempre partite
accanitissime. Gli incontri di pallavolo
erano più spesso disputati sul “nostro” campo di Via Ganaceto. Nello stesso tempo,
avendo frequentato la terza media in quel di Sassuolo, dopo le traversie
della guerra, diventai molto amico (amicizia rimasta nel tempo) con un
ragazzo dell’“altra parrocchia”. Otello Incerti, comunista doc,
anche negli anni a seguire. Lui proveniva dalla
“Sacca”, rione rosso per eccellenza, io ero spesso a casa sua per
due ragioni. Aveva una splendida sorella che dormiva nella sua stessa
camera, irraggiungibile (anche perché era più grande), inoltre gli
piaceva giocare a calcio; alcune volte aveva indossato la maglia della
mia squadra, quella del TOF (Terz’Ordine Francescano). Si andava a
giocare anche nel “suo” campo alla Sacca, poiché con noi veniva,
qualche volta a giocare, un ragazzo veramente molto bravo, che sapeva
darci utili suggerimenti del come migliorare nel trattamento della
palla, un certo Gianni Seghedoni, diventato poi noto giocatore e
allenatore di squadre di serie A. Il nostro rapporto di
amicizia, scolastica e sportiva, anche se ci divideva sul piano
ideologico e politico, ci univa sul piano sociale e comportamentale.
Entrambi d’origine proletaria, avevamo la stessa passione per
lo sport, per la ricerca del nuovo e per il miglioramento delle nostre
posizioni economiche. Frequentammo la stessa
scuola superiore, andammo assieme a giocare per un brevissimo periodo
nei “ragazzi” del Modena F.C., del mitico allenatore Mabelli, dove
ritrovai tra i coetanei, il mio ex vicino di casa (eravamo entrambi nati
nello stesso anno 1932 e nella stessa via Cesare Battisti, dove le
nostre madri erano ottime amiche) Sergio Brighenti, anche lui destinato
a grandi traguardi calcistici. Io però, oltre a non
essere all’altezza, dal punto di vista calcistico, dei nomi che ho
citato, mi interessavo a tante altre esperienze, il cinema, le
ragazzine, la politica, lo studio, di conseguenza mi allontanai da quel
mondo per passare ad uno sport “individuale”, che sentivo più
consono alle mie caratteristiche che già a quei tempi si esprimevano in
chiave personalistica; mi iscrissi pertanto, con l’amico, alla Società
Sportiva “La Fratellanza” per praticare l’atletica leggera sotto
la sapiente guida dell’allenatore Piero ”Pirein” Baraldi. Entravo nel periodo molto
difficile per la crescita di un adolescente, si iniziava a partecipare
alla vita e si trattava di fare delle scelte, di collocarsi
ideologicamente o da una parte o dall’altra. Era come trovarsi,
seppure in una dimensione meno pericolosa, nel periodo tragico e
drammatico della guerra civile di pochi anni prima, dove un giovane era
costretto a schierarsi, o con i fascisti che nel bene o nel male avevano
partecipato all’indottrinamento avuto da quel regime, oppure con
coloro che si rifugiavano in montagna per spirito di contestazione alla
formazione ideologica ricevuta, o che si nascondevano nell’attesa
della vittoria di una delle due parti in lotta. Il dopoguerra ci aveva
portato tanti esempi di giovani, di poco più grandi di noi, che avevano
fatto delle scelte che, in concreto, per molti risultarono vincenti, ma
per tanti altri portarono a delle vere e proprie allucinanti situazioni
di vita. Erano
gli stessi giovani, gli stessi fratelli, gli stessi amici o vicini di
casa che, per ragioni a volte imponderabili o semplicemente lasciate al
caso, si arruolavano, o con quelli che indossavano la divisa militare, o
con gli altri che ritenevano giunto il momento di ribellarsi a quel
regime che aveva avuto per venti anni il predominio in Italia e che li
aveva portati ad una guerra che andava via via facendosi sempre più
difficile, intravedendosi, già in quei tempi, la probabilità della
sconfitta. Chi aveva indossato la
divisa militare, alla quale era stato educato e/o condizionato, si trovò
al termine del conflitto, se era riuscito a salvarsi la vita dopo i
massacri indiscriminati del dopo “liberazione”, ad essere
emarginato, allontanato, dalla società con condanne di morte civile
propinate attraverso, epurazioni, allontanamenti dai posti di lavoro e
dai pubblici uffici che rendevano loro impossibile un regolare
reinserimento nella vita lavorativa del dopo guerra. Mentre gli uni (la
maggioranza a guerra ultimata) che, a parte pochi per vera e propria
convinta ideologia, si trovarono, fortunosamente schierati con lo
schieramento che aveva seguito gli anglo-americani, in realtà i veri
vincitori di quel tremendo conflitto mondiale, ebbero poi facile accesso
alle arrampicate sociali di qualsiasi tipo. Anche noi, della
generazione successiva a quella che aveva vinto o perso la guerra, che
fossero della “generazione che non si è arresa “ o di quella che ha
conquistato il potere per meriti altrui, ci siamo trovati nella
difficile situazione, seppure a guerra conclusa, di fare delle scelte
che ugualmente risultarono, vincenti o penalizzanti, dal punto di vista
economico e sociale. La
mia estrazione avrebbe dovuto condurmi sulla barricata proletaria e
socialista, dove in realtà mi sono sempre trovato e mi ci trovo
tuttora, come mio padre mi aveva indicato (non ebbe mai in tasca,
durante il ventennio, la tessera del partito) e dove si è sempre
collocato mio fratello, che andò a combattere, e a lasciarci la vita,
per quell’ideologia che prometteva la giustizia sociale senza le
storture del comunismo e del massimalismo socialista. E’ difficile oggi, a
distanza di oltre mezzo secolo, valutare nel modo giusto, le scelte
fatte in giovane età nell’immediato dopoguerra. Col passare degli
anni, avrei potuto, come hanno fatto tanti amici e camerati degli anni
giovanili, “voltare gabbana” e avere tutti i privilegi, partecipando
alle celebrazioni resistenziali, che lo stare con il potere comporta. N’avrei tratto
vantaggio io, la mia famiglia, i miei figli: al contrario, ho continuato
sulla strada più difficile e scomoda. Il sacrificio del
fratello maggiore? Lo dovevo completamente annullare e dimenticare dai
miei ricordi? Ci fosse stato da parte dei “nuovi” al potere il
riconoscimento, almeno formale, di “coloro che si sono trovati dalla
parte sbagliata” in buona fede, oppure per circostanze fortuite, e poi
avviati a quella scelta dall’educazione ricevuta da parte di tanti
adulti che, intravista “l’aria” che tirava, passarono
immediatamente con i nuovi padroni. Quei giovani sono stati
completamenti demonizzati e si è voluta cancellare completamente la
memoria storica delle loro esistenze. Forse in quel modo si poteva
evitare di procrastinare negli anni e sino ad oggi, il concetto di
guerra “di liberazione” per i vincitori e di guerra civile per tutti
gli italiani. Non era possibile per un
ragazzo di quindici–sedici anni valutare, come grave ed imperdonabile
errore, quello che aveva fatto il fratello maggiore, oltretutto convinto
delle sue scelte. Mi trovavo in
quest’enorme dilemma quando, terminate le scuole medie, mi iscrissi,
con grande sacrifÿÿnt dei mienormal;mÿÿÿÿidÿÿ sÿÿola suÿÿriore e
precisamente all’Istituto Tecnicoÿÿÿÿ Geometri e Ragionieri che aveva
sede in Corso Cavour. La mia scelta cadde sulla
sezione per Geometri. Voluta con tutte le mie forze, poiché, con la
casa distrutta dal secondo e pesante bombardamento di Modena e dopo lo
sfollamento nelle campagne di Ravarino, ritornammo in città al termine
della guerra, ospiti di una famiglia in una bella villetta in Via
Celestino Cavedoni, (la strada di fronte alle ex Aziende
Municipalizzate). Erano state emanate
disposizioni per aiutare le famiglie in difficoltà, coloro che avevano
abitazioni con molti locali dovevano cederne alcuni alle famiglie,
private di un tetto, a causa dei bombardamenti. La proprietà nella quale
arrivai da sfollato era quella del Direttore della Cassa di Risparmio di
Modena, Rag. Giovanni Pederzini, che fu, assieme a tutta la sua
famiglia, veramente disponibile nei nostri confronti. Al momento
dell’iscrizione alle scuole Superiori mi venne proposto di iscrivermi
a Ragioneria; la possibilità di una carriera di impiegato di banca era
quasi assicurata (a quei tempi l’impiego bancario era, come si diceva,
“un terno al lotto”). Rifiutai categoricamente, perché allora,
ritenevo il rinchiudermi in un ufficio, una specie di “morte
civile”. Optai per la strada del
Geometra che, in teoria, mi avrebbe dato la possibilità di svolgere un
lavoro “all’aria aperta”. Va rilevato che per la mia famiglia, in
quei bui anni, quella era una scelta difficile e dispendiosa e inoltre
non avrei potuto mai scegliere una scuola tipo liceo che avrebbe
obbligato ad una continuazione universitaria. Troppo lunga e costosa. Qui, all’Istituto
Barozzi, ebbi la possibilità di formarmi tante amicizie e conoscenze
che mi avrebbero poi dato la possibilità di inserirmi in un mondo che a
quei tempi nemmeno sognavo. Le mie origini, come già detto, erano
sicuramente “proletarie” e povere. Sin d’allora la mia ideologia
era decisamente, come poi è rimasta, socialisteggiante, anche quando mi
trovai a frequentare il mondo borghese e del capitale, della cosiddetta
“buona” società modenese, anche per la mia professione definitiva,
quella di insegnante e di libero professionista. Ma perché, mi chiedevano
i conoscenti e i parenti, non ti sei collocato in quell’area emergente
social-comunista che, con il potere politico prima ed economico poi,
come si intuiva, ti avrebbe dato la possibilità di costruirti con
sicurezza il futuro? I
contatti e le proposte c’erano stati, molti miei amici borghesi
passavano, gradualmente, dalla parte dei nuovi padroni, le carriere
politiche, sociali ed economiche erano alla portata di mano. Lo stato di
conflitto interno era di conseguenza enorme: le frequenze nel mondo
cattolico, con tutte le contraddizioni che vi avevo trovato, avevano
creato in me una crisi religiosa di notevoli dimensioni. Le amicizie con
ragazzi d’altro pensiero politico, la presenza in famiglia di
concezioni etico-politiche di sinistra, mio padre socialista, uno zio
materno comunista, mi mettevano in continuazione di fronte a queste
crisi esistenziali e di pensiero. Ero pertanto nel
pieno della crescita e della difficoltà nelle scelte quando entrai
all’Istituto Tecnico J. Barozzi.
In quelle aule feci un incontro e trovai una sincera e duratura
amicizia con un ragazzo d’estrazione tipicamente borghese, figlio di
un noto medico, situazione socio economica decisamente alta per quei
tempi; aveva avuto un fratello ucciso dai partigiani nel maggio del 1945
(la sua salma non è mai stata ritrovata), molte cose ci univano,
seppure con una certa visione divergente su alcune problematiche. Amico
allora ed ancor più oggi. Maurizio Rebucci. Si frequentava insieme la
compagnia del centro, le aule scolastiche, il cinema e i tanti altri
aspetti di una giovinezza, che in realtà per la maggioranza della
nostra generazione è stata allegra e divertente, contrariamente a
quella che ci aveva appena preceduto. Assieme all’amico si
andò una sera ad una riunione che si svolgeva alla trattoria del
“Bersagliere” in Via Gallucci, dove si incontravano i primi uomini,
ex fascisti, postfascisti, e uomini liberi che da poco tempo avevano
costituito a Modena la sezione del Movimento Sociale Italiano. Forse attratto dal nome
della trattoria che ricordava il trascorso di mio fratello, convinto
dall’amico e desideroso di approfondire i temi che questo partito
enunciava, oltre che per cercare di conoscere alcuni dei personaggi
della “generazione che non si era arresa”, mi recai a
quell’incontro, dal quale ne uscii alquanto perplesso. Né critico, né
entusiasta per quello che avevo sentito. Si parlava di Patria, di
conquiste sociali di equidistanza da capitalismo e comunismo, insomma
tutti temi che, a grandi linee, si potevano condividere. Nello stesso
tempo consideravo velleitario e anacronistico il ricordo esasperato del
periodo del ventennio, anche perché la mia famiglia aveva subito le
conseguenze devastanti del conflitto appena terminato. La casa
distrutta, lo sfollamento, il fratello morto in Russia, la miseria degli
anni del dopoguerra, non potevano certo portarmi ad entusiasmarmi per un
regime sconfitto. L’arrivo poi degli
americani, con la loro ricchezza e spavalderia, con i loro film e la
loro musica, portavano noi, della generazione successiva a quella del
periodo fascista, ad entusiasmarci facilmente per tutte queste nuove
conoscenze e per questo nuovo mondo che sembrava promettere, a breve,
una società ricca e aperta ad ogni possibile iniziativa. Tutte queste
nuove conoscenze, che ti arrivavano addosso nell’età in cui ti
appresti a conoscere e ad affrontare il mondo e tutto quello che
incontri ti sembra bello e ineguagliabile, possono veramente
condizionare le scelte di un giovane. Allora gli entusiasmi di
mio fratello e di tutti gli altri giovani, per non dire della stragrande
maggioranza del popolo italiano, per quel mondo che io avevo appena
intravisto e del quale parlava con entusiasmo nei suoi scritti: e le
scelte che aveva fatto, erano stati solamente degli abbagli, delle
chimere o dei falsi miti? Rimasi perplesso per un
certo periodo, poi, a distanza di alcuni mesi, presi la decisione di
iscrivermi a quel partito senza darne comunicazione, se non dopo
parecchio tempo, ai miei familiari. In quel periodo
frequentavo costantemente, la casa dell’Ing. Mario Camerini che,
assieme alla sorella Lia, mi seguirono nella preparazione dei miei studi
e dei miei esami per alcuni anni. Era
stato ottimo amico di mio fratello e prese a volermi bene come si fa con
un fratello minore. Assieme a lui ebbi la fortuna di essere seguito e
“controllato” da altri carissimi amici di mio fratello che, quali
“tutori”, cercarono, laddove era loro possibile, di seguire i miei
primi passi da adolescente e da studente delle scuole superiori e nello
sport, erano i miei futuri colleghi Franco Anderlini, Ferdinando Ponzoni,
Luciano Gambetti e Nino Bertacchini. Il Sig. Mario, come lo
chiamavamo, io e gli altri due cari amici, Otello Incerti e Alberto
Paltrinieri con i quali si frequentava quella casa per prendere lezioni
in alcune materie è stato, certamente, un personaggio eccezionale. Di vastissima cultura,
come la sorella Lia che c’insegnava la lingua francese, dotato di
grande umanità e di una personalità spiccatissima, personaggio
eclettico ed estroverso, ci istruiva nelle scienze fisiche e matematiche
e nel disegno tecnico; è stato, tra l’altro, un grande progettista,
mi ha dato sicuramente, delle grandi lezioni di vita. Debbo tantissimo
alla sua umanità, alla sua disponibilità, alla sua pazienza nel
cercare di indirizzarmi nel modo migliore, nel controllare le mie
ribellioni e il mio carattere a volte esuberante, ma incostante e
volubile, per far sì di incanalarlo sulla strada dello studio e nella
perseveranza della ricerca di brillanti risultati anche nella vita
sociale. Di frequente, si alternava, nell’insegnamento ai tre
giovincelli, il cugino dell’ingegnere, studente universitario, anche
lui dotato di grande intelligenza e personalità: il Dott. Mario
“Cicci” Roganti, diventato poi uno dei più noti cardiologi
modenesi. Una famiglia dunque, di grandi ingegni, che lasciò in me un
bagaglio di cultura e di vita che mi è servito tantissimo. Abitavano in
piena Via Emilia Centro, con entrata da Via Torre, in un
bell’appartamento esattamente di fronte alla Ghirlandina. Durante le
ore di lezione o in quelle di relax, che si passavano in quella casa,
dalle ampie finestre potevi quasi toccare con mano lo splendido
spettacolo dell’abside romanico del nostro Duomo e la snella figura
della torre. Ebbi anche il piacere
negli anni successivi, mentre frequentavo la quarta e la quinta classe,
di svolgere un praticantato della professione di Geometra, con l’ing.
Camerini, disegnando alcuni dei progetti più importanti della sua
vastissima attività di progettista, quali la Casa di Cura “Villa
Laura” del prof. Sergio Ferrari in Via Prampolini, la villa
“Hansberg” in Via Archirola, e di alcuni palazzi di Viale Verdi e
Via Bellinzona. Mi permise, tra
l’altro, in alcune occasioni, di usufruire della sua abitazione per
l’organizzazione di alcune “festine private” al pomeriggio del
sabato o della domenica, assieme ai miei amici e amiche, dato che non
avrei potuto farlo a casa mia. Quella delle festine
private fu, per un certo periodo, una delle tante esperienze fatte in
quegli anni con la “compagnia del Centro” nelle case di molti amici
tra i quali vorrei citare l’indimenticabile Ivan Manicardi (scomparso
per un incidente stradale a poco più di venti anni), Giacomo Manni,
Maurizio Rebucci e tanti altri. Ma poi prese il
soppravento la passione per le sale da ballo o “balere”: per lunghi
periodi, praticamente tutte le sere e i sabati pomeriggio (the
studenteschi) si andavano a passare con varie compagnie, (non solo per
conoscere le ragazze con le quali iniziavano le prime avventure, ma
fondamentalmente per stare sempre in allegria), ore su ore nei vari
locali quali, il Ragno Azzurro (nell’ex casa del Mutilato in Viale
Muratori), il Rifugio Verde (a San Faustino), l’Astoria (il salone
delle Feste dell’Hotel Fini), il Circolo Centrale (o dei
Postelegrafonici), il Tombolo (alla Crocetta), il mitico Settimo Cielo
(sia estivo sia invernale, sopra al Cinema Principe in Piazzale Natale
Bruni), il Sirenella (nella ex casa del fascio di Via Montegrappa), il
Garden (prima estivo poi anche nella versione invernale, di proprietà
del mio Prof. di Matematica e Fisica, “Poldo” Piccagliani, del quale
avrò modo di parlarne più diffusamente) e poi negli anni a seguire il
Mocambo, l’Eden in Piazza Matteotti e ancora a Cognento da
“Aicardi” oltre ai locali della Provincia, in particolare quelli di
Sassuolo, Formigine e Vignola, facilmente raggiungibili con il trenino
della Sefta, solamente alla domenica pomeriggio, poiché a quei tempi,
alla sera, i trenini delle Ferrovie Provinciali non viaggiavano. Tutto questo, però,
andava a scapito dello studio e dello sport. La mia situazione
scolastica, in certi periodi, è stata abbastanza precaria, anche se poi
nei vari “rush” finali o a giugno e qualche volta ad ottobre,
riuscivo sempre a venirne fuori dignitosamente. Una delle situazioni più
delicate nelle quali mi trovai, fu quella del terzo anno all’Istituto.
Era abitudine per il nostro gruppo di amici, a scuola e fuori, farci in
continuazione scherzi e prese in giro. Era nella norma, in quel
periodo, riempire le pagine dei quaderni di alcuni “malcapitati” con
figurazioni “oscene”. Disegnavamo, sui fogli intonsi, enormi figure
dell’organo genitale maschile che, in ultima analisi, altro non
facevano, che rendere inservibili i quaderni o i fogli da disegno dove
venivano raffigurate queste “opere d’arte”. Accadde, un bel giorno a
metà anno scolastico, che durante l’ora di disegno nell’aula
apposita, andai a siglare con una di quelle opere, il foglio di un
compagno di classe. L’insegnante, una professoressa già anziana, se
ne accorse, scoperto il colpevole del misfatto e “scandalizzata” lo
spedì dritto, dritto in Presidenza.
Il Preside, sconvolto da
un simile comportamento, convocò urgentemente il Consiglio d’Istituto
e il povero ragazzo, autore di quell’”atroce misfatto”, venne
condannato a 15 giorni (quindici) di sospensione. Da notare che oggi un
simile episodio costerebbe più all’insegnante che all’allievo.
Oltre ai quindici giorni di allontanamento dalla scuola (per poco non
fui radiato da ogni ordine e grado della scuola italiana) ci fu anche il
cinque in condotta nel secondo trimestre. Mi trovai in un vicolo
cieco, non dissi nulla ai miei genitori fingendo, ogni mattina, di
recarmi a scuola, ma in realtà andavo ai giardini pubblici, luogo
d’incontro di tutti i “cabottisti” (coloro che marinavano la
scuola). Ma un giorno arrivò a casa la comunicazione della scuola che
annunciava ai miei genitori il comportamento disdicevole del loro
maldestro figliolo. Convinto ormai della mia
sicura bocciatura mi lasciai completamente “andare” e sino alla fine
dell’anno scolastico non toccai più un libro. Fortunatamente alcuni
insegnanti, che mi volevano bene, non accettarono quel verdetto e
capirono il mio piccolo o grande dramma, mi aiutarono dandomi la
sufficienza anche se non la meritavo, mentre quattro tra i più
intransigenti mi rimandarono ad ottobre nelle loro materie. Riuscii
ugualmente a salvarmi, dopo una “sgobbata” estiva non indifferente. Quell’episodio, oggi da
considerarsi veramente banale, avrebbe potuto portarmi ben più gravi
conseguenze se avessi messo in atto un progetto che si stava preparando
in quei giorni. Due amici di partito, Enzo Beltrami e Brenno Moretti
avevano preso la decisione di partire per la Legione Straniera (mito di
tanti giovani di destra a quel tempo) e io avrei dovuto aggregarmi a
loro. Anche perché subivo, in parte, (erano più vecchi di me di due o
tre anni), la loro audacia e la loro forte personalità. Nel frattempo,
nel mio intimo, sentivo fortemente la responsabilità per il gran
dispiacere che avrei portato ai miei genitori, unico figlio rimasto, in
quanto erano ancora sotto pressione per il fratello maggiore scomparso
in Russia che i giornali, a otto anni di distanza davano ancora come
prigioniero, di conseguenza feci marcia indietro all’ultimo istante. Dei due
“avventurieri”, uno, Brenno, si rifugiò in Svizzera prima
dell’arruolamento; l’altro Enzo Beltrami si arruolò, si fece tutto
il servizio di addestramento, prima di esser “spedito” in Indocina a
rimpolpare le truppe francesi a Dien Bien Phu. Il legionario però, in
vista delle coste indocinesi, assieme ad un commilitone si gettò dalla
nave (se fosse stato ripreso dai francesi sarebbe stato fucilato come
disertore), rimase quattro giorni in mare, per essere “ripescato”,
fortunatamente, seppure in condizioni disperate, da pescatori
indocinesi. Dopo qualche tempo riuscì a rientrare in Italia. Un episodio analogo per
le conseguenze, un giorno di sospensione, mi capitò in quinta classe,
ultimo anno di scuola ed anche questo durante il secondo trimestre. Di
fronte al portone d’ingresso dell’Istituto Jacopo Barozzi, in Corso
Cavour, vi era un deposito di biciclette che ovviamente serviva, in gran
parte, alla popolazione studentesca di quella scuola. Eravamo diventati
amici del proprietario o gestore il quale aveva un bimbo piccolo, di
tre-quattro anni, spesso con sé. Una mattina chiedemmo al padre la
possibilità di condurre con noi in classe il figlioletto, il quale era
ben contento di una simile avventura. Il genitore diede il suo consenso
di buon grado e noi portammo il bimbetto nell’aula di Topografia, al
secondo piano dell’Istituto, dove quella mattina avevamo lezione. Insegnante della materia
era l’Ing. Cattaneo, un bravissimo insegnante e una buonissima persona
che, molto spesso, aveva difficoltà a tenere sotto controllo la nostra
classe, 5°A, la quale, usando un eufemismo, era alquanto esuberante. Il
bambino fu tenuto buono e tranquillo, nascosto dietro gli ultimi grandi
banchi per il disegno, con caramelle e lecca lecca, ma dopo mezz’ora
iniziò a fare i capricci. L’Ingegnere sentendo
quella voce querula di bambino, “in primis” cercò di far smettere
quello di noi che si stava divertendo nel fare quelle “vocine”, poi,
incuriosito si avvicinò agli ultimi banchi e con enorme sorpresa si
trovò di fronte il “fantolino”. “Cosa ci fa in quest’aula quel
bambino?” chiese, e noi a supplicarlo che non si poteva lasciare sulla
strada un trovatello, forse orfano, dovevamo per forza tenerlo con noi,
ecc.ecc. Per un po’ rimase
perplesso, ripeto era un uomo buonissimo, ma subito ci invitò a
riportarlo dove l’avevamo trovato o almeno a consegnarlo ai bidelli.
Presi il bambino in braccio e al momento di uscire dall’aula gli dissi
di salutare con la manina; lui lanciò un fortissimo “ciao nonno”
che fece sbellicare dalle risate, tutta la numerosa classe. Io con il
bambino in braccio mi trovai nel corridoio di fronte al Vice Preside
Prof. Vandini, insegnante di tedesco che stava facendo lezione nella
classe vicino alla nostra, alla sezione ragionieri. Era
considerato un insegnante intransigente un “duro” e difatti era
solito entrare, a volte, improvvisamente nei gabinetti dove, durante
l’intervallo, (avvolti in una nuvola di fumo, si andava a fumare,
passandocela l’uno con l’altro una sigaretta), alla ricerca, con
relativa punizione, del malcapitato che veniva trovato con la sigaretta
in bocca. Era uscito dalla sua
aula, sentendo tutto quel baccano, e mi trovò come si suol dire, “in
castagna”; andammo immediatamente in Presidenza e il bambino venne
consegnato ai bidelli per esser riportato al genitore. Io rimasi in
quell’ufficio, seduto di fronte alla scrivania del Preside, il Prof.
Mario Negri, per l’interrogatorio, quando, dopo circa un quarto
d’ora si sentì bussare alla porta, vidi entrare, a capo chino, il mio
compagno di tante avventure e carissimo amico e poi collega, Argeo
Tedeschi, il quale, in classe durante la mia assenza, si era preso il
compito di fare una petizione con le firme di tutti gli alunni per
dichiarare che tutta la classe era responsabile dell’accaduto. Ci fu
un intoppo, uno della classe, che in realtà era sempre stato ai margini
delle varie iniziative che intraprendevamo, si rifiutò, prendendosi due
sonori ceffoni dall’amico, alquanto “focoso”. Il buon ingegnere non potè
far altro che mandare l’amico in Presidenza. Fummo sospesi per un
giorno, in considerazione del fatto che si era in ultima classe e che a
distanza di pochi mesi avremmo dovuto sostenere l’Esame di Stato. La conclusione fu che a
Luglio, (allora l’esame durava quasi tutto il mese) io e l’amico
fummo promossi (con grande sorpresa di tutti gli altri, mentre la quasi
totalità della classe dovette riparare ad ottobre ed alcuni furono
anche bocciati (cinque promossi su trentacinque era veramente una
percentuale assai ridotta). Gli anni ’50 furono,
per i giovani modenesi, tempi di “vacche magre”; già erano
pochissime le lire che giravano nelle tasche dei diciotto-ventenni
quando, all’inizio di quell’anno di mezzo secolo, una “illusa”
senatrice socialista propose una legge che avrebbe dovuto redimere le
donne che si dedicavano al mercimonio del loro corpo, attraverso la
chiusura delle case di tolleranza. Qualche volta, noi
sedici-diciasettenni, facevamo il tentativo di entrare in uno dei
“casini” di Via Catecumeno, ma la maitresse alla porta ci pizzicava
sempre nei nostri ridicoli tentativi di “camuffare” la data di
nascita sulla carta d’identità di conseguenza venivamo metodicamente
rinviati a casa. Attendevamo l’alba dei
nostri diciotto anni per avere la possibilità di fare de nostre prime
esperienze “legali” quando la senatrice socialista, quasi come “la
signora” che ci chiudeva in faccia il portone della casa del
“piacere”, mise un freno alle nostre aspettative.
Modena e Palermo furono, in quell’anno, le due città
“cavie” in tutta Italia, per la sperimentazione di quella che poi è
rimasta bollata come la “famigerata “Legge Merlin”, dal nome
appunto della senatrice socialista. La nostra città e quella
del profondo Sud, dovevano dare la risposta esaustiva che, la chiusura
delle “case chiuse”, era un atto dovuto all’emancipazione
femminile e non avrebbe creato problemi di sorta per l’ordine
pubblico. Per otto anni, modenesi e palermitani furono, contrariamente a
tutti gli altri italiani, salassati nelle loro tasche per la strana
applicazione di quell’ “esperimento”. Sì, perché la chiusura
definitiva delle case, celebrate in un film di Tinto Brass,
“Paprika”, avvenne il 19 Settembre del 1958.
Noi ci siamo sempre chiesti, senza averne mai avuto una risposta
esauriente, perché furono “penalizzati” i modenesi, in particolare,
studenti, disoccupati, insomma le classi meno abbienti, che dovettero
aggiungere una “tangente” in più, alle famose “marchette” che
si andavano a consumare nelle vicine città di Bologna e Reggio Emilia.
Di “Quegli antichi luoghi perduti…” ne ha fatto uno
splendido “spaccato” il noto “oste” modenese, Claudio Camola, in
una delle pubblicazioni del “raccoglitore di cose modenesi”, Beppe
Zagaglia. I
concittadini che non ebbero la possibilità di frequentare le case di
Via Catecumeno, oggi Via dei Tintori, impararono perfettamente la
toponomastica delle zone “off limits” delle città vicine e si
“passavano parola” delle “variazioni” che avvenivano ogni
quindici giorni in Via dell’Orso, in Via Clavature ecc. Le processioni
dei geminiani verso i territori limitrofi sarebbero da raccontare per
esteso; chi in treno, chi in motoretta, qualche “appassionato” anche
in bicicletta, nelle poche auto stracariche, per spendere meno, in un
quotidiano, pomeridiano e serale, pellegrinaggio, furono il tributo
aggiuntivo che i modenesi diedero a quella legge. Le “case di piacere”
chiuse diedero, in pratica, un eccezionale contributo alla
proliferazione della “libera prostituzione” con relativi
“magnaccia” e malattie veneree che da allora sono aumentate in una
progressione geometrica per arrivare alle forme di allucinante
mercimonio sulle strade che quotidianamente abbiamo sotto i nostri
occhi. “Alla faccia” dell’emancipazione femminile ricercata,
utopisticamente, da quell’innovatrice senatrice socialista.
Nel Novembre 1951 vi fu
la drammatica rotta del Po’ nel Polesine. Di questo avvenimento ne
sono stato testimone diretto. Quando arrivò la notizia a Modena, noi
studenti dell’Istituto “Barozzi” ci mobilitammo immediatamente per
cercare di portare il nostro aiuto a quelle popolazioni. Ero tra gli
organizzatori di questa mobilitazione e, nel giro di poche ore riuscimmo
a richiamare alla nostra iniziativa una trentina di studenti; si partì
immediatamente nel tardo pomeriggio, per raggiungere la zona in quel
momento più minacciata nelle vicinanze di Rovigo e fummo subito inviati
ad aiutare militari e volontari che lavoravano per la costruzione di
alcune “coronelle” sull’Adigetto, fiume vicino a Rovigo affluente
del Po’, che minacciava la città. Lavorammo in modo
febbrile per alcune ore quando ci fu un richiamo di “all’erta”
immediato con l’invito a lasciare immediatamente il lavoro intrapreso
perché, a monte della nostra zona, il fiume aveva rotto gli argini;
dovemmo così ritornare immediatamente in città dove, in un’atmosfera
allucinante, strade deserte, solamente fasci di luce delle cellule
fotoelettriche che s’incrociavano nel cielo nero, le auto della
polizia che invitavano la popolazione ad evacuare le case, ci trovammo
sperduti e spaesati. Riuscimmo a raggiungere
un punto di concentramento per i soccorritori, volontari, esercito e
quant’altro, quando c’imbattemmo in un gruppo gestito dalla CGIL
(Camera Confederale del Lavoro) ovviamente di marca comunista, e vennero
a sapere che noi eravamo un gruppo di studenti, di conseguenza “nemici
del popolo”, iniziarono un feroce boicottaggio, con atteggiamenti
provocatori e violenti. Dovemmo ripiegare su altre postazioni dove,
durante quella notte di tregenda, riuscimmo a portare il nostro piccolo
contributo a quel martoriato territorio devastato dalle acque, ma
nell’animo c’era rimasta la rabbia per lo scontro avvenuto con le
formazioni comuniste che, in quei drammatici momenti, quando
differenziazioni ideologiche e
politiche dovevano essere messe in disparte, cercavano di dimostrare
alle povere popolazioni del Polesine, che erano solamente “loro” e
le loro “organizzazioni” a portare gli aiuti. Dopo due giorni,
attraverso un viaggio rocambolesco, ritornammo a Modena. Nelle settimane
successive per cercare di dare un ulteriore contributo a quelle
popolazioni così duramente colpite , organizzammo, noi studenti, allo
Stadio Braglia un incontro di calcio “estemporaneo”. La partita
“Pigiami” contro Camicie da notte” servì appunto a raccogliere
qualche fondo. Le due formazioni si
presentarono in campo con le seguenti formazioni: Pigiami: Franco Belletti,
Ninì Spigolon, Bruno Zucchini, Vittorio Giannotti, Giorgio Libra, Carlo
Poggio, Vittorio Lippolis, Luciano Poggioli, Giancarlo Bergomi. Camicie da Notte:
Vittorio Bargellini, Giorgio Alessandrini, Ermanno Bertolini, Zanasi,
Alfonsino Bolognesi, Umberto Giannotti, Piero Lippolis, Giorgio Sandoni. Arbitri: Renzo Rossini e
Giulio Piccinini.
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La
Palestra “in centro”
Dopo una serie di corsi
di avviamento allo sport organizzati nella palestra della Scuola di Via
Grasolfi ed in seguito alle numerose richieste di tanti genitori, che mi
chiedevano di tenere corsi
di ginnastica per i loro bambini, non esistevano né da parte
della Scuola elementare, né da parte dell’Ente locale, tanto meno da
parte di privati, attività del genere, se non in alcune società
sportive dove si privilegiava l’impostazione fisica esclusivamente in
funzione di quella determinata disciplina. Ritenni che era il
momento di intraprendere iniziative atte a dare ai bambini modenesi, del
primo e secondo ciclo della scuola elementare, un aiuto nella loro
crescita, creando dei corsi di ginnastica e d’avviamento generico agli
sport. Avendo avuto un incontro
occasionale con un amante del sollevamento pesi e della “cultura
fisica”, Mauro Borsari, ci trovammo entrambi entusiasti all’idea di
aprire una palestra. Decidemmo pertanto di prendere in affitto dei
locali in Via del Carmine, per avviare un’attività che comprendesse
la possibilità di svolgere attività fisica per tutti, dai bambini agli
adulti. Nasce così nel Marzo del
1965 l’Athletic club, la prima palestra di nuova concezione, non solo
del modenese, ma sicuramente di vastissime zone del territorio
nazionale. Avviammo l’attività
con i pochi uomini che desideravano curare il loro corpo con le prime ed
artigianali macchine per il fitness e il culturismo, con i manubri e i
bilancieri, avviando così una prima concezione dell’allenamento
muscolare anche per gli agonisti, attraverso le prime e poi sempre più
elaborate concezioni dello studio dell’ipertrofia muscolare, non
solamente a fini estetici ma fondamentalmente
per scopi funzionali. Molto spazio ho dedicato,
e non solo inizialmente, alla “ginnastica correttiva”, per la
ricerca del recupero, attraverso una sana e corretta attività motoria,
di quelle forme di paramorfismo vertebrale, quali ad esempio, la cifosi,
la lordosi e la scoliosi. Ero consigliato e sostenuto in questa mia
attività da alcuni pediatri ed ortopedici, che ritenevano che
l’attività motoria fosse importantissima per la crescita del ragazzo,
e che, in seguito ad una serie di buoni risultati ottenuti con giovani e
giovanette, continuarono ad inviarmi piccoli e anche più grandicelli,
“pazienti”. Sul territorio vi erano alcuni colleghi che svolgevano
questo tipo d’attività, tra i più noti cito, il Prof. Carlo Bassini
e il Prof. Federico Traetta, che avevano praticamente i loro
“studi”, in casa. Mi sono impegnatoi a
fondo, lanciando anche molti corsi di ginnastica educativa e formativa
per i bambini del primo e secondo ciclo della scuola elementare che
ottennero un grosso successo e diedero la possibilità di resistere
economicamente, permettendomi di avviare contemporaneamente, corsi di
ginnastica a corpo libero per adulti, i quali, all’inizio, erano
frequentati da soli uomini, mentre si andava via via sviluppando, da
parte della componente femminile, l’interesse per la ginnastica, tanto
che a distanza di pochi anni ebbero, le donne, la prevalenza nelle
iscrizioni. La società in quegli
anni si andava trasformando rapidamente e con una certa gradualità si
prese coscienza della necessità di una sana, equilibrata e corretta
attività fisica. Contemporaneamente
dedicavo le mie energie e le mie competenze professionali alla
preparazione atletica di soggetti agonisti, in varie discipline
sportive, delle quali avrò modo di parlarne più diffusamente. Sono sempre stato
convinto dell’utilità dell’iniziativa, avendo ritenuto, sin
dall’inizio della mia carriera d’insegnante, quale fosse l’alto
valore morale e sociale che deve avere l’attività motoria nella
formazione del giovane. I primi anni sono stati
particolarmente difficili in quanto i tempi non erano ancora maturi ad
una visione più aperta verso il benessere del corpo ottenuto attraverso
una sana attività ginnastica. In seguito, anche per una graduale
apertura della mentalità dei fruitori di questi servizi (per i
comportamenti della scuola, dei mass media, e della televisione) la
situazione si è evoluta e molti altri si sono portati sul percorso
tracciato. Ho altresì la
presunzione di considerarmi un precursore nel campo della preparazione
fisica attraverso il potenziamento muscolare con i pesi, oggi accettato
da tutte le discipline sportive, negli anni 50, ad esempio, in atletica
leggera, tale concetto era considerato un’eresia, ma in particolare
sono soddisfatto per aver dato, a tante persone comuni, (i non campioni)
la possibilità di svolgere un’attività fisica, non per
l’ottenimento di un record o della vittoria in una partita, ma
funzionale alle caratteristiche fisiche di ciascuno, in base all’età,
al peso corporeo, all’altezza e non alla disponibilità o meno di
raggiungere risultati a tutti costi, che, molte volte andavano a scapito
della stessa salute psicofisica dell’individuo. Avrò il piacere di
citare in queste note tanti personaggi della comunità modenese che
dallo sport, dagli allenamenti, dalla semplice preparazione fisica di
base, hanno tratto delle vere e proprie ragioni di vita ottenendo, anche
se fini a se stessi, risultati di grande orgoglio e soddisfazione
personale. Sono stati anni di
continuo e costante lavoro, a contatto con le nuove generazioni con la
ricerca di nuovi aggiornamenti, sull’evoluzione delle tecnologie e
delle metodiche d’allenamento, il mio scopo è sempre stato quello di
far nascere in loro una vera e propria consuetudine all’attività
motoria, quale concreta espressione di una costante di vita. In quest’ottica penso
di aver svolto, con impegno e determinazione, quello che mi ero
prefisso; moltissimi giovani e non più giovani, me ne hanno dato
esplicita conferma in tante occasioni, e questo è già motivo
d’enorme soddisfazione; nella loro educazione e formazione globale,
spero abbiano avuto un ruolo di una certa importanza quelle qualità di
vita, di tecnica sportiva di educazione, acquisite, anche assieme a chi
scrive, nelle piscine, negli stadi, nelle palestre, sui campi di sci. Ancora agli inizi degli
anni ’60 la pratica sportiva a Modena era svolta prevalentemente, come
già accennato, dalle vecchie e gloriose Società Sportive modenesi di
calcio, atletica leggera, ginnastica artistica, pallavolo ecc. che
giustamente, erano e sono alla ricerca dei talenti per ottenere
risultati agonistici di prestigio. La scuola, nel settore
dell’educazione fisica e sportiva, a causa della carenza degli
impianti e dalla scarsa considerazione nella quale era tenuta da coloro
che si ritenevano i depositari del sapere (vedi tanti Presidi,
insegnanti di lettere o di matematica di quei tempi), non dava la
possibilità allo studente di svolgere una durevole, costante, precisa e
moderna attività fisica e sportiva. Vi era una carenza
incredibile, in quel settore intermedio, tra specializzazione agonistica
e attività scolastica ed anche extrascolastica di base, in modo tale
che potesse dare sia al giovane sia all’adulto, la possibilità di
svolgere una buona preparazione fisico-sportiva di buon livello, che
tanti cittadini ricercavano, ma non riuscivano a trovare, così come
tanti ex sportivi, che una volta terminata la loro attività
specialistica, non si muovevano più.
Ecco, queste erano le
categorie che più avevano bisogno di essere prese in considerazione e
indirizzate su percorsi motori adeguati.
Nello stesso tempo, non
trascuravo la preparazione fisica per agonisti; all’Athletic Club sono
passati atleti di varie discipline sportive che hanno potuto usufruire
delle nostre attrezzature, che si andavano via via modernizzando, oltre
alle competenze, mie e dei validi insegnanti che hanno collaborato alle
varie attività. Tra le società Sportive
con le quali ho avuto rapporti, per la preparazione fisica, sempre in
collaborazione con i loro allenatori, ricordo nel settore del nuoto, le
società “Mutina Nuoto” e la “Rari Nantes”. Varie società
ciclistiche negli anni ”70 mi hanno fatto seguire la preparazione
atletica invernale dei loro atleti, in particolare la S.C. Pedale
Solarese, la Ciclistica Mirandolese, il G.S. Giacobazzi, il G.S.
Libertas e il G.S. Rebur. Nello sport della Pallamano, la Soc. Nuova Dom,
allora seguita dal “Deus ex machina” di questo sport, Federico
Malavasi. La squadra di football
americano, con la figura dell’italo-americano, l’”armadio” Tino
Graziano, che per un anno, (studiava medicina all’Università di
Modena), ebbe l’incarico d’istruttore all’Athletic Club. Molti sono stati gli
atleti di sport individuali che ho avuto il piacere di seguire nella
loro preparazione atletica, cito: i motocrossisti Tommaso Lolli,
Gianfranco Sgarbi e Paolo Alessandrini. Il pugile Lello Fanti, molti
tennisti tra i quali spiccava il mai dimenticato Paolo Bussinello.
Alcuni tiratori (tiro a segno) quali: Guido Morselli e Giuseppe Molinari. In particolare ebbi il
piacere di programmare la preparazione atletica dell’indimenticabile
Campione del Mondo di motociclismo Walter Villa, portato in palestra
dall’amico e uomo di sport, Spagni. Assieme a questi atleti,
che hanno raggiunto traguardi prestigiosi nelle loro discipline, molti
altri giovani hanno svolto con passione e con impegno la loro
preparazione fisica, anche se i risultati sono rimasti modesti o
limitati a manifestazioni di carattere locale e di club. Vi sono poi nel mio
“carniere” tanti ragazzi nei quali, in età giovanile, s’
intravedevano notevoli possibilità per lo sviluppo delle loro doti, e
che indirizzavo alle Società Sportive in particolare nell’Atletica
Leggera, nella Pallavolo o nella Pallacanestro. Dovrei citarne tanti, ma
mi limito a un unico aneddoto: all’Istituto Magistrale avevo come
allievo un ragazzo della Soc. Sportiva “Panaro” molte promettente
nella “ginnastica artistica”; Roberto Lorini, allenato
dall’indimenticabile amico Ermanno Barbieri. Come detto sopra, anche
nel settore della ginnastica artistica l’allenamento con
sovraccarichi, con pesi e macchine per la muscolazione, non era visto di
“buon occhio”. Roberto aveva innate doti di ginnasta, agilità,
prontezza di riflessi, ma era lievemente carente nella forza. Dopo varie conversazioni
con Ermanno, si trattava della carriera di un atleta già a livello
nazionale, l’allenatore si decise a concordare con il sottoscritto, un
programma di potenziamento da “somministrare” al Lorini. In quei primi anni all’Athletic
Club ho avuto come collaboratori parecchi colleghi, dato che ho sempre
cercato, se non in rari casi, di contornarmi da professionisti
qualificati tra i quali vorrei citare: Umberto Coppelli, Paolo Bassoli,
Gibertini Gaetano, Giuseppe Boni, Astolfi, Maria Pia Bertani, Angela
Pezzuoli, Anna Severi, Luisa Mari, Anna Pia Carretti e vari altri negli
anni a seguire, senza dimenticare due validi appassionati istruttori,
Ivan Macchi e Franco Manicardi. In 35 anni di attività,
tanti sono stati quelli di apertura della prima palestra di Modena,
migliaia di persone, giovani e meno giovani, hanno frequentato quei
locali dove hanno lavorato, sudando con incredibile tenacia in
moltissimi, ma anche quelli che frequentavano per brevi periodi,
“tanto per provare”. Sarebbe impossibile
tracciare un percorso cronologico e ricordare i/le, tantissimi/e che mi
hanno seguito anche per decenni, pertanto, facendo ricorso alla mia
memoria cercherò di spulciare qualche aneddoto tra i tanti avuti, in
trentacinque anni trascorsi nella “Palestra in Centro”. Il primo che ricordo è
quello relativo al Prof. Erio Soragni, noto pediatra cittadino, genitore
di due miei carissimi ex allievi: il Prof. Oliviero Soragni, primario
ortopedico a San Marino, e l’”eclettico” fratello Daniele,
giornalista di “Sorrisi e Canzoni” a Milano. Entrambi si sentono
ancora “modenesi doc”, spesso ritornano sotto la Ghirlandina. Bene,
il “vecchio” Prof. Soragni, sì, non era più tanto giovane quando
iniziò a frequentare la palestra (e ci venne per molto tempo), mi disse
una volta: “Sa, caro Prof., che da quando mi dedico a quest’attività,
io, un po’ prima delle sette (le diciannove, l’ora che normalmente
frequentava), che in ambulatorio ci siano, una, o dieci persone, chiudo
e me ne vengo via, perché ritengo che anche la mia salute e il rispetto
per il mio corpo debba essere tenuto nella sua giusta considerazione.
Ovviamente c’era un certo paradosso, ma effettivamente nel periodo che
ha frequentato era sempre puntualissimo, seguendo con impegno non
indifferente e posso dire che, “nonostante l’età”, ebbe dei
notevoli risultati. Un
personaggio di rilievo in città, che ha frequentato per un certo
periodo l’Athletic Club e che mi ha lasciato un ottimo ricordo, è
stato il Sindaco Camillo Beccarla. Non ho mai saputo se conoscesse la
mia posizione politica, dato che, sia con lui, sia con tutti quelli sia
frequentavano la palestra, non sono mai stati fatti discorsi politici (è
sempre stata lasciata fuori della porta di quei locali), ma ho
incontrato un uomo dalle caratteristiche umane di tutto riguardo. Si è
sempre comportato, con me e con i suoi “compagni” d’allenamento,
con una signorilità ed una correttezza esemplare. Probabilmente era già
in preda al male che lo avrebbe portato a morte e, quando concordammo il
programma di attività da seguire, trovammo un accordo sulla gradualità,
con la quale sarebbe stato necessario procedere. L’Athletic
Club era frequentato da tutte le categorie sociali, molti medici o
futuri medici, tanti avvocati e magistrati anche per la vicinanza con la
sede del Tribunale di Modena di Corso Canalgrande. Molte
impiegate, commesse dei negozi del centro, imprenditori, operai,
artigiani, bancari, per tanti anni l’Athletic Club è stata una
“grande famiglia”. Molti musicisti e giovani cantanti del vicino
Liceo Musicale e attori e attrici di tante compagnie teatrali che
venivano a recitare al Teatro Storchi, alloggiando anche negli alberghi
del centro, cercavano la possibilità di continuare il lavoro
programmato nelle palestre delle città di loro provenienza. Tra i tanti
non posso dimenticare la presenza, per la sua simpatia e per la sua
dimestichezza con il discorso sportivo e della cura del corpo, il
“grande” Walter Chiari, che, malgrado non fosse più un
“giovanotto”, aveva ancora tanta energia e sicurezza
nell’affrontare gli attrezzi del fitness, che a quel tempo avevo
appena sistemato in palestra. Molti, tra attori e attrici in
particolare, quando
ritornavano a Modena, anche per pochi giorni, qualche ora all’Athletic
la venivano a passare. Nella
piazzetta di San Biagio, per alcuni anni, si venne a collocare una
compagnia di giovani che, per usare un eufemismo, era “alquanto
rumorosa”; qualche conflitto con loro lo ebbi. Essendo stati alcuni di
loro, miei alunni nelle scuole modenesi e pertanto conoscendomi e
rispettandomi, non si arrivò mai a situazioni pesanti. Il
dramma, ma era un dramma loro, arrivò con la droga che in quegli anni
stava dilagando in tantissimi ambienti della città e che purtroppo ha
falciato tanti giovani di quelle generazioni. Quel dramma l’ho
vissuto, sotto i miei occhi, per parecchio tempo, il problema più
grosso era quando qualcuno/a di loro, li trovavo nell’androne o per le
scale pronti a “bucarsi”, e dovevo di conseguenza usare tutti gli
accorgimenti possibili per smarrirli e allontanarli senza correre
rischi. Era veramente molto difficile tenere i rapporti con molti
giovani di quella generazione, dato che, spesso, erano ragazzi che avevi
conosciuto molto bene, nelle scuole, nelle piscine nelle palestre o
addirittura figli d’amici e conoscenti, te li trovavi, da un giorno
all’altro di fronte, “devastati” da quella tragedia che colpiva
tutti, “ricchi e poveri”. Molti
ne ho conosciuti di questi casi, desidero citarne alcuni perché sono
stati, per il sottoscritto, sicuramente “choccanti”. Un
pomeriggio mi vidi arrivare in ufficio un ragazzo che alcuni anni prima
frequentava la palestra con buoni risultati. Si era costruito come si
dice “un bel fisico”. Con circospezione cercò di affrontare il
problema, era già ridotto male, mi fece vedere le sue braccia, quelli
che “erano stati” i suoi bicipiti e nello scoprirsi vennero in
evidenza i tanti “buchi”. Mi chiedeva cosa potesse fare e se era
possibile ritornare allo “status quo ante”. “Mio
caro…..gli dissi, sì che è possibile, ma prima cosa da fare, bisogna
cercare di evitare quelle sostanze che ti hanno portato in questa
condizione, secondo ci vorrà un po’ di tempo per ritornare com’eri
prima”. Fece il tentativo, si iscrisse, frequento per due, tre
settimane e non lo vidi più. Dopo qualche mese, o meno, una mattina fu
trovato “stecchito” davanti ad una delle serrande del negozio “Benini”,
sulla stessa piazzetta di San Biagio. Di
altri due giovani non posso dimenticarmi, dato che negli anni giovanili
erano stati entrambi tra i miei più bravi allievi nello sport del
nuoto. L’uno, un bellissimo ragazzo, ebbe la disavventura di perdere
la mamma negli anni dell’adolescenza. Aveva avuto promesse a Roma di
entrare nel mondo del cinema, quando tornava a Modena mi veniva a
trovare raccontandomi episodi della sua vita nella capitale. Chi aveva
conosciuto, chi frequentava in quel mondo ecc. E lo sport, chiedo io? Al
momento sono fermo (era veramente molto promettente). Dopo non molto
tempo seppi che era entrato nel “tunnel” della droga. Mi venne un
giorno a trovare assieme ad una ragazza dolcissima, “acqua e
sapone”. “ Mi creda Prof., ne sto venendo fuori e “lei” mi sta
aiutando moltissimo.” Passarono pochi mesi e all’ultimo incontro che
ebbi con loro, li trovai “devastati” entrambi. Da allora non l’ho
mai più incontrato e tanto meno mi è venuto a trovare. L’altro,
al contrario, si avvicina a quel mondo, incomprensibilmente, già uomo
fatto, con una professione di prestigio, laureato, proveniente da ottima
famiglia e lui stesso si era già costruita la sua, ancora prestante,
attivo fisicamente, alla soglia dei trenta anni lo vedo un giorno in
Piazza Grande, in occasione del mercatino dell’antiquariato, fermo con
un gruppetto di “drogati” di fronte al bar d’angolo con la
piazzetta del Tassoni. Mi sono chiesto: “Ma cosa ci fa …… con
quelli? Non ci faccio più caso, ma, a distanza di uno, due mesi, stesso
luogo stessa scena, sempre con “quelli”. Chiedo ad alcuni suoi
amici, cos’era successo, non lo sanno spiegare nemmeno loro. Nel giro
di poco tempo lo trovo sulla cronaca dei giornali locali, poi
velocemente, arriva la sua tragica fine. Non era più venuto a
trovarmi, dopo che entrò in quei territori. Prima lo faceva. Non seppi
mai le ragioni precise o le cause, che portarono quel mio brillante ex
allievo a cadere in quella micidiale macchina tritatutto. Negli
anni ’80 iniziarono le tradizionali “cene sociali” con feste
danzanti e premiazioni dei
soci e frequentatori più attivi e meritevoli che, in quella determinata
stagione, si erano particolarmente distinti ed impegnati nelle varie
attività che si svolgevano in palestra. Venne anche istituito un
“albo d’oro” nel quale erano elencati i premiati, le cinque
signore o signorine e i cinque maschi che ogni anno ebbero il premio. Da
quegli elenchi trarrò le citazioni di alcuni/e che ottennero quel
“prestigioso”, quanto meno all’interno dell’Athletic Club,
riconoscimento. Le
feste si tenevano normalmente nei locali del ristorante “Le Cardinal”
di Bastiglia, gestito dall’amico Paride Rinaldi, dove, oltre alle cene
particolarmente prelibate, vi era la possibilità di usufruire della
sottostante discoteca che dava la possibilità, ai soci presenti, di
scatenarsi nelle danze, oltre che ad avere a disposizione lo spazio per
l’esibizione dei gruppi più “coreografici” come avvenne per
alcuni anni con le dimostrazioni del “corpo di ballo” del Maestro
Antonio Tinti, che tenne per parecchio tempo, corsi di danza all’Athletic;
furono tenute anche esibizioni della scuola di Karate, per alcuni anni
diretta dal maestro Leo Bazzani. Molti
dei premiati sono stati decisamente degli ottimi atleti, che, nella
maggioranza dei casi, causa le loro attività professionali o non più
giovani, non avrebbero potuto svolgere un’attività agonistica più
impegnativa. Vorrei citare, alla rinfusa, un gruppo di maschi e femmine
che in quei primi anni ricevettero quel riconoscimento: Maurizio
Pancaldi, Raffaele Ravazzini, Andrea Romagnoli, Raffaele Chiesi,
Ludovico Casati, Eugenio Lippolis, Paolo Verri, Luca Zanasi, Andrea
Barbanti, Giordano Garuti, Marcello Monti, Christian Verona, Pietro
Monaco. Massimo Morandi, Andrea Crespi, G. Luca Verasani, Fabio
Pollastri, Maurizio Davoli, Walter Parenti, Enrico Zanfi, Antonio
Piccinini, Paolo Bergonzini, Roberto Plessi, Paolo Pedrini, Claudio
Paletti, Tiziano Mazzoli, Oscar Gualdi, Giovanni Mariani, Giuliano
Cremaschi, Guido Galoppini, Alessandro Lantieri, Ottavio Pignatti,
Mormile Carmine e Giovanni Gherardini, Garuti Giorgio. Per il
reparto femminile vorrei citare: Tiziana Benatti, Carla Carafoli,
Giliana Barone, Silvana Casarini, Renata Vignoli, Donatella Incerti,
Silvia Tonini, Cristina Malinverni, Augusta Spagnoli, Laila Tavani,
Roberta Marzullo, Mariella Ulivieri, Paola Nocetti, Franca Severi,
Cristina Nocetti Doretta Bonacini, Silvia Pucci, Cinzia Ligabue, Pilar
“Pucci” Astrologo, Paola Quadri, Paola Mucchi, Nadia Loss, Silvia
Nizzi, Anna Maria Gambuzzi, Siretta Ruggi, Angela Remaggi, Mirella
Roncaglia, Giovanna Vedovelli, Francesca Falco, Irene Mazzoli, Cantaroni
Luisa. Per
moltissimi anni l’Athetic Club è stata l’unica palestra in città,
poi, alla fine degli anni settanta e nei primi anni ottanta, è iniziata
la concorrenza con strutture quali “Waddan”, “Jolly”, e qualche
altra che, gradualmente, anche in funzione di superfici più vaste e di
investimenti economici di una certa consistenza, riuscirono, in parte, a
strappare qualche iscritto, ma nello stesso tempo era già aumentata la
domanda di “ginnastica” da parte dell’opinione pubblica. Nello
stesso tempo iniziava anche la piaga del “doping”, steroidi e
anabolizzanti diventarono il “supporto” per tanti culturisti e molti
giovani modenesi sono rimasti irretiti da queste sostanze.
Personalmente, e tutti coloro che hanno collaborato con me all’Athletic,
siamo sempre stati fautori e strenui difensori del potenziamento
muscolare basato esclusivamente sul lavoro “naturale”. A quei tempi,
alcuni dei frequentatori che avrebbero voluto, come poi hanno fatto,
fuori dal mio ambiente, muscolarsi o con un’iperalimentazione o con
l’assunzione di qualche sostanza, come certi particolari integratori
(allora non esistevano né divieti né controlli) mi chiesero “cosa
fare”. Il mio fu un totale diniego ad usare qualsiasi tipo di sostanza
che non fosse più che naturale, mi rifiutai categoricamente per evitare
di assumere responsabilità così delicate, e tanto meno instradare i
miei allievi su un percorso che era sicuramente pericoloso, come si è
rivelato, negli anni immediatamente successivi. Alcuni
dei frequentatori dell’Atheltic, che si dedicavano al culturismo, si
allontanarono. Non essendoci a quei tempi e tanto meno oggi, una
legislazione ben definita sull’apertura di palestre, (chiunque, anche
senza alcun titolo poteva aprirne una) moltissimi giovani sono caduti
nelle “grinfie” di praticoni senza scrupoli che, pur di far
aumentare le masse muscolari agli “illusi”, non disdegnavano, anzi
sollecitavano ad assumere quelle sostanze che in breve tempo, solo
apparentemente, davano certi risultati che venivano poi pesantemente
pagati, in seguito, dagli assuntori, con vari tipi di difficoltà
organiche, come malattie al fegato sino alla perdita dello stimolo della
sessualità. La
ricerca del miglioramento corporeo con l’assunzione di sostanze
chimiche doppanti, non è assolutamente accettabile nello sport
agonistico (laddove gli atleti sono seguiti da equipe mediche), ancor
meno deve esserlo dai non agonisti e, se si và alla ricerca di un
“edonismo” fine a se stesso con le formule del “fai da tè”, è
sempre controproducente. La
dismissione poi, di questi prodotti, o per presa di coscienza o per
“stanchezza” lascia sempre cattivi ricordi: ne ho visti tanti che,
in breve tempo, si sono trasformati da “adoni” in “grassoni” e
quando le cose andavano bene. Sono
ugualmente da stigmatizzare certe forme d’esasperazione psicologica, o
maniacal-sportive che portano conseguenze non meno devastanti rispetto
all’assunzione di sostanze dopanti. Vi è un doping psicologico non
meno pericoloso. Un
giorno mi arrivò in palestra una signora, ancora giovane, inviatami da
un ortopedico, con la sua radiografia e il referto del medico. Una
colonna vertebrale devastata; l’ortopedico cercava di recuperare quel
rachide anche attraverso una buona ginnastica, che potesse aiutare quei
poveri corpi vertebrali così mal ridotti. Attraverso il racconto della
signora, appresi che era una “fanatica” della corsa e non so quanti
chilometri macinasse ogni giorno. La mia
valutazione, immediata, dopo aver visionato la radiografia è stata
quella di dire chiaramente alla donna: “Guardi, se vuole che si possa
attuare un programma di ginnastica utile al recupero della sua colonna,
sarebbe necessario sospendere almeno per qualche tempo la sua passione
per la corsa. In seguito, dopo il parere del suo medico, si valuterà la
possibilità di riprendere a correre”. La risposta fu: “Senta se Lei
mi dice che non posso più correre si sbaglia, io non smetterò mai.”
“ Faccia lei, Signora”. Non l’ho più rivista. In
seguito alla ristrutturazione dei locali, allargati, migliorati e resi
notevolmente più funzionali, poiché non si poteva certo star fermi,
con la concorrenza sempre più agguerrita, seppure attraverso notevoli
sacrifici economici, aumentai in modo consistente le attività e di
conseguenza il numero dei collaboratori. Nuove
attrezzature per il fitness, nuove discipline come l’aerobica, lo step,
i corsi di danza, di karate, il lancio della “mia” “ginnastica
bioenergetica, che ebbe molto successo e che mi diede tante
soddisfazioni nel recupero psico-fisico di parecchie persone, la
programmazione di una serie di video-cassette per fare ginnastica
davanti al televisore, serie denominata, “La Palestra in Casa”, e
poi il training-autogeno e il relax psicosomatico applicato
individualmente ad alcuni singoli, accrebbero notevolmente le frequenze
e la partecipazione dei modenesi. Vi
furono anche, e come possono mancare nella vita di una persona che ha
svolto e continua svolgere, in un ruolo non marginale, ma direttivo e
gestionale, incontri negativi con collaboratori che, o per gelosie o per
interessi economici e malgrado tu abbia fatto tanto per loro,
all’improvviso appaiono e si rivelano, come dei “traditori”: mi
sono dovuto dire: “Ti sei allevato delle serpi in seno”. Alcuni casi
mi accaddero negli anni difficili del rinnovo della palestra e della mia
situazione personale (separazione). Malgrado
ciò l’attività proseguiva a ritmo notevole, continuavano le feste e
le cene sociali e le relative premiazioni: per “par condicio” devo
citare anche quelli degli ultimi anni: tra i maschi: Paolo Dall’Olio,
Federico Ronga, Andrea Cupido, Filippo Cappi, Paolo Ronchi, Domenico
Coghi, Alessandro Cattafesta, Giorgio Biagini, Enrico Vigarani,
Antonello Bergamini, Andrea Calandra, Marco Rubbiani, e le signore:
Daniela Ferrari, Enrica Costa, Magda Failathova, Francesca Pavarotti,
Benedetta Panagis, Cristina Ferri, Rosanna Tassi, Romana Rosi, Loredana
Guaiumi, Agnese Ronchetti, Carla Tondelli, Paola Galantini, Deborah
Santulini e Lisa Silvestrini, Anna Nizzi, Franca Severi. In Via
del Carmine ci fu, alla fine degli anni ‘80 un intervento comunale per
la sistemazione della strada, il tratto breve, nemmeno cento metri da
Piazzetta San Biagio a Piazzale Boschetti, fu totalmente devastato per
la sistemazione di alcuni tubi, gli scavi, coperti e ricoperti durarono,
tra un lavoro di una settimana e la sosta di mesi, per circa tre anni.
Fu un periodo “allucinante” che diede la misura di come si stesse
comportando l’amministrazione Comunale che, malgrado continue
richieste di intervento sollecito e proteste numerose, sembrava, ma non
era solo una sensazione, perseguisse un disegno volutamente persecutorio
nei riguardi di quella contrada dove, insistevano pochi abitanti e vi si
trovava, l’ingresso della Palestra Athletic Club e l’ingresso della
scuola elementare delle “figlie del Gesù”, scuola tipicamente
“borghese”. Il danno è stato considerevole, le persone dovevano
camminare su passerelle per attraversare i profondi fossati lasciati
incustoditi e a cielo aperto per mesi. Nello stesso periodo fu
sistemata, con la nuova pavimentazione, tutta la Via Emilia da Largo
Garibaldi a Porta S. Agostino, quel tratto, superiore di venti trenta
volte la strada di Via del Carmine, fu sistemato nel giro di brevissimo
tempo. Scrissi in quel periodo un pezzo “tragicomico” che desidero
riportare. Note
di cronaca modenese - di Zuc Aggiudicato al Centro Storico della città
di Modena il gran premio di mountain bike: “
1° Trofeo Grandi Buche” -
Cronaca fanta-sportiva del centro storico. Il Comune di Modena, in collaborazione
con la Federazione Internazionale Mountain-buche e con
l’associazionismo sportivo locale, ha organizzato, nel centro storico
cittadino il 1° Campionato mondiale di mountain-bike in territorio
padano. Per far sì che un territorio pianeggiante
come quello della nostra città potesse entrare nel circuito
internazionale con un percorso degno dei più prestigiosi percorsi
collinari e montani, i nostri amministratori hanno ben pensato di
lasciare, per un lungo periodo, le strade cittadine nel più classico
stato di abbandono, onde far sì che buche, avallamenti, dossi, ecc.
possano alternarsi nel modo più adatto e naturale a tali competizioni.
Già da molti mesi e in molte zone da anni, sono stati aperti cantieri
di lavori stradali, abbandonati poi a loro stessi e alla cura dei
cittadini residenti e di passaggio tanto da poter oggi presentarci alle
giurie internazionali con uno dei migliori percorsi. In attesa di ricevere gli atleti di tutto il
mondo, con alla testa la nostra bella medaglia d’oro di Atlanta della
mountain-bike femminile, l’amministrazione comunale ha deciso di
organizzare, nel frattempo, una competitiva spettacolo, come usano fare
i grossi politici romani con le partite di pallone con i cantanti, i
magistrati e gli attori. Tutto il Consiglio comunale, giunta in
testa, si è presentato al via della gara avvenuto nei primi giorni di
Settembre, in Piazza Grande: mossiere il consigliere comunale
“pipino”, Ettore Maioli, che con tanto di berretto a visiera,
bandiera a scacchi e bielle incrociate come distintivo, ha fatto partire
i concorrenti con salita e discesa dalla “pietra ringadora”. E’ stato ingaggiato anche il noto cronista
sportivo Delle Zanne che dal balcone municipale, al posto di Sandrone,
(che di solito lancia da quel pulpito gli sproloqui normalmente
ascoltati da migliaia di cittadini , ma mai presi in considerazione
dagli amministratori) ha
commentato da par suo le epiche gesta dei concorrenti a
quest’importante manifestazione sportiva. Il plotone, con in testa il Sindaco,
controllato e ben difeso dalla sua squadra di gregari, era suddiviso in
due gruppi ben distinti e facilmenti riconoscibili. Il primo, quello favorito per la vittoria
finale e composto da atleti molto esperti e preparati, indossava una
divisa dove era ben evidenziato il marchio di uno degli sponsor, una
pianta che, non era ben chiaro se fosse quercia o ulivo, e con la
scritta a caratteri cubitali “Avanti miei Prodi”; montava biciclette
ultimo tipo con accorgimenti avveniristici e con le scritte promozionali
degli sponsor, quali: “equipe i Portali”, Squadra “Nuova
Bruciata”, “Ale’ con la rotonda” , “squadra terzo iper” e
così via. Nelle retrovie arrancava, su biciclette
arrugginite e di varia foggia, con un abbigliamento degno delle vecchie
corse ciclistiche degli anni venti, e con scritte sbiadite sulle maglie
e quasi illeggibili dove si intravedeva appena un “sforzo italico” o
qualche cosa del genere, una fiammella sottile e quasi spenta e un
vecchio scudo che sembrava crociato. Al centro del plotone si notava un piccolo
gruppetto, elegantissimo nelle sue fiammeggianti maglie di un verde
paglierino, nuovissime, con scritte tipo : ” Dura lega sed
lega” che, trovandosi in pieno territorio padano, cercava di
mantenere le distanze dagli altri, anzi avrebbero voluto organizzare la
manifestazione solamente per loro e nella zona di Modena Nord, ritenuto
il territorio più adatto per i loro mezzi tecnici e anche perchè non
volevano confondersi con i “terroni” di Modena Sud, ma perché non
vi erano buche e dossi sufficienti hanno pensato bene di partecipare
insieme con gli altri alla gara in Centro Storico. Sono così partiti da Piazza Grande
imboccando, dopo tre giri attorno al Duomo e alla statua del Tassoni, la
Via Emilia, per affrontare la prima durissima parte del percorso, sullo
sterrato, buche, ostacoli d’ogni tipo
e dovendo superare enormi cumuli di sanpietrini; attorno a loro
sui marciapiedi e sotto i portici, i negozianti e gli abitanti del
centro storico sventolavano bandierine tricolori e giallo-blù
inneggiando festosamente agli atleti, molti avevano anche esposto la
bandiera nazionale, solamente uno, subito ripreso e redarguito si era
azzardato ad esporre la bandiera
rossa con falce e martello che teneva vicino alla finestra. Il poveretto
però urlava e sbraitava che no, non era possibile, che lui l’aveva
esibita per cinquanta anni e nessuno gli aveva detto che adesso non era
più ammessa, e non capiva perchè doveva nasconderla.
Superata a fatica la prima barriera della
Via Emilia, i concorrenti si immettevano in Piazza Matteotti per
infilarsi nelle strette stradine che sono attorno e
per arrivare, dopo poco, su uno dei tratti più belli del
percorso e in altre parole la zona di Via Taglio e di Piazza della
Pomposa, dove proprio davanti alla vecchia Chiesa era posto il traguardo
volante titolato a Ludovico Antonio Muratori e vinto, con uno scatto
bruciante, dall’assessore ai lavori pubblici. Il manipolo di atleti proseguiva poi, su di
un percorso sempre ben accidentato, per Corso Cavour, Via tre Febbraio,
Via Sgarzeria e raggiungere Corso Vittorio Emanuele, dove era stato
impostato uno splendido slalom tra gli alberi che fiancheggiano il
Viale; però, al termine della serpentina, tutti gli atleti si sono
trovati coperti da un forte strato di guano che li ha resi quasi
irriconoscibili; questo fatto ha creato sbandamento nel gruppo, tanto
che alcuni si trovarono improvvisamente su strade perfettamente
asfaltate e liscie come biliardi: non si erano accorti di essere usciti
dal percorso e avevano imboccato quello dei supermercati e delle
“grandi feste nazionali” e dove di solito si svolgono le gare dei
carrelli pieni e di quelli vuoti. Cercarono pertanto di ritornare sul
percorso, ma si trovarono in notevole ritardo rispetto agli altri, tanto
che alcuni atleti di quelli sponsorizzati dalla ditta “caramella col
buco” si fermarono per fare quadrato, e vista la posizione pensarono
bene di rispolverare il vecchio gioco dei quattro cantoni che a volte
cercano di fare in consiglio comunale, dato che non sono riusciti a
trovare altri sistemi per disturbare la giunta. Intanto, la testa del gruppo ancora ben
compatta, superate le modeste difficoltà delle montagnole dei Giardini
pubblici e dopo essersi dato una bella ripulita nelle limpide acque del
laghetto, si immetteva in Corso Canalgrande per affrontare le difficoltà
di Via Carlo Goldoni (dietro al teatro Comunale) e le stradine attorno
al Tribunale per raggiungere il punto cruciale del percorso e vale a
dire la zona di Piazzale Boschetti, Via del Carmine e Vicolo Fosse
(laterali della Via Emilia) dove qui, i miglior mountain-buchisti
potevano rivelare tutte le loro qualità di acrobati per superare
fossati, enormi buche che diventano laghi con la pioggia, steccati e
altre difficoltà (il cantiere aperto lo scorso anno a Settembre e’
destinato a rimanere, per la grande volontà dell’amministrazione
comunale, sede fissa del percorso di campagna, il famoso cross-country
dove si svolgeranno anche gare di motocross, di gare ad ostacoli a
cavallo ed altro): Difatti i tecnici internazionali hanno rilevato che
percorsi cittadini così perfetti non si trovano nemmeno nelle
“favelas” di Rio de
Janeiro e tanto meno nei quartieri periferici di Katmandu e Calcutta. Un
plauso è stato indirizzato agli esperti, ai tecnici e agli addetti alla
viabilità modenese, in particolare da parte degli specialisti cubani,
cinesi e ceceni. Ma torniamo al nostro gruppo che si
frazionava sempre più di fronte alle impervie difficoltà ritornando
sulla Via Emilia nei pressi di Largo Garibaldi per cercare di
raggiungere, finalmente, l’agognato traguardo posto dietro alla
Prefettura, dato che davanti alla stessa ci si ferma normalmente la
famiglia Pavironica e di conseguenza non si voleva cadere nel ridicolo. Il tratto finale, era indirizzato lungo
Corso Adriano, dove cadeva malamente a terra la “forzista” Isabella
Bertolini, che lanciava alto il grido di “Forza Italia” (raro
esempio di virtù atletiche) ma che per quella ragione non pote’raggiungere
Rua Pioppa dove la giunta al completo tagliava il traguardo compatta
come un sol uomo, tanto che la giuria non potè stilare la classifica
regolare e li mise tutti a pari merito. Si concludeva così il 1° Gran Premio
Grandi Buche modenesi”; il trofeo era consegnato agli amministratori
comunali da parte dello sponsor ufficiale la : “Ditta grandi scavi
centri storici”; intanto i cittadini “sguazzavano” felici e
contenti, agitando le loro bandierine, nei fossati, nelle pozzanghere
che diventano sempre più profonde, per tenere alto nel mondo il
prestigio del percorso cittadino di mountain-bike il più adatto alle
grandi manifestazioni internazionali. Il vostro cronista vuole anche citare
l’anonimo che ha stilato il famoso epitaffio
latino: “Quid non fecit Barbari fecit Barbolini
“, che resta sempre di grande attualità. In
ogni modo, vi stà bene cosi, cittadini del centro storico, che non
avete dato compatti la vostra adesione alle piante secolari;
contrariamente a quanto succede agli altri quartieri, dove appena si decompone un pò l’asfalto corrono velocemente gli
addetti alle riparazioni, voi avete il previlegio di supportare il
miglior percorso mondiale di mountain-buche. Nel
frattempo mi ero attorniato da un nuovo gruppo d’insegnanti, giovani e
preparati, tra i quali desidero citare, le insegnanti, Enza Savino,
Giuliana Pincelli, Elena Panzanato, Giulia Rossi, Elena Tommaselli,
Angela Sandonà, Elisabetta Schwarz; e tra i maschi, Carlo Bartolamasi e
Alessandro Zucchini, oltre a Luigi Bertaglia (istruttore di boxe),
Roberto Candeletta (istruttore di full-contact); tutti/e diedero un
notevole contributo alla ripresa delle attività, dopo il “disastro”
del Novembre 1993. Vi fu,
una notte, nel salone principale dell’Athletic Club, il cedimento di
alcuni pannelli del controsoffitto; immediatamente chiusa la palestra,
mentre si procedeva ai lavori di ripristino, si spezzò una trave per
l’eccessivo carico del solaio che crollò, riempiendolo di detriti e
del materiale accatastato sopra, dalla ditta “Benini”. Era il
primo pomeriggio del 10 Novembre 1993, una bella (brutta) giornata, il
crollo fece un “botto” notevole; intervennero subito i pompieri con
scale e quant’altro; fortunatamente nessun danno alle persone, ma,
enormi danni alle mie “cose”. Mentre
i pompieri erano all’opera, a vedere tutta quella confusione
tantissime persone si erano radunate sulla Via Emilia, tra il Bar
Roberta e la Piazzetta di San Biagio, in pieno centro e in un ora di
traffico; contemporaneamente si trovarono a passare per il centro un
giornalista e un fotografo del “Resto del Carlino” che, vista la
scena, si precipitarono su, nei miei locali, scattando fotografie e
facendo domande. Il
giorno dopo apparve, sulla prima pagina della cronaca locale del
quotidiano, con titolo a caratteri cubitali su quattro colonne, la
notizia: “Crolla il soffitto in palestra” con relativa immagine
della sala “devastata”. Quattro mesi di chiusura dei locali, nel
periodo più frequentato per una Palestra, da Novembre a Febbraio.
Riduzione del 50% della superficie e pubblicità totalmente negativa;
fui messo, come si suol dire, “in ginocchio”. La ripresa ci fu, seppure
con notevoli difficoltà, ma il colpo fu di quelli che “non
perdonano”. Nel 1998, non avendomi il proprietario dei locali
rinnovato, con una cifra dignitosa, dopo il grave colpo che avevo
subito, il contratto d’affitto, fui costretto, dopo trentacinque anni,
a chiudere quell’attività alla quale avevo dedicato tutte le mie
energie, economiche e morali. La chiusura definitiva
dell’Atheltic Club mi ha letteralmente annientato. Subire un colpo così
pesante quando si è già avanti con gli anni, in una professione
tipicamente giovanile come la mia, lascia qualsiasi individuo in una
condizione psicologica difficile. Non bisognava demordere, con un gruppo
di signore che erano ancora intenzionate, nonostante tutto, a continuare
le ore di ginnastica con la mia guida, passammo dal centro della città,
nella palestra di una mia collega, Claudia Mazzoni, in zona periferica
in Via Arma di Taggia, denominata “Ginnastica Più”. L’anno
successivo, sempre con quel gruppo di “irriducibili”, presi contatto
con la Palestra “New Aktivarium”, dove, nella sala del corpo libero
abbiamo portato avanti sino ad oggi (anno 2007), un’attività fatta
per gruppi di “non più giovani” che hanno ancora la costanza e la
determinazione di svolgere, due tre volte la
settimana, le esercitazioni più adatte ad un mantenimento
organico di tutto rispetto. Mi tocca rilevare un
seguito, politico-ginnastico, avvenuto, durante le mie lezioni, di
mantenimento organico; in occasione della vittoria del raggruppamento
della “casa della Libertà”, il 13 Maggio 2001. Il gruppo di allieve
che frequentavano quelle lezioni presso la Palestra “New Aktivarium”,
era solito, all’inizio e tante volte durante l’esercitazione,
commentare, fatti, episodi e quant’altro potesse ridurre la tensione e
la fatica dell’attività, a volte intensa e rilevante, per un gruppo
della cosiddetta “terza età”. Orbene, la mattina dopo il risultato
elettorale che diede la vittoria a Silvio Berlusconi e alla sua
coalizione, una signora del gruppo mi pose la domanda: “Allora Prof.
cosa ne pensa dei risultati?”; mi permisi fare una constatazione che
ritenevo assolutamente corretta e risposi: “Contentissimo, poiché è
la prima volta, da quando partecipo alle consultazioni elettorali, e ne
ho fatte parecchie, che posso dire: ho vinto anch’io, finalmente”. A quel punto una signora,
ovviamente non soddisfatta di quei risultati e dimostratasi chiaramente
dell’altra “parrocchia”, cosa che nessuno aveva sino a quel giorno
notato per la sua classica collocazione “borghese” nella società
modenese, sbottò, arrabbiatissima in un: ”Basta! Qui non siamo venute
per parlare di politica, dobbiamo solamente fare ginnastica”; gelo
totale nella sala, quella mattina il gruppo delle signore era
particolarmente numeroso. Continua la lezione in modo quasi surreale,
nessuna più parlava, cosa inusuale, quando, una delle signore, per
rompere l’atmosfera così tesa, si rivolge alla Signora che aveva
reagito alla mia esternazione, che così rispose: ”ma io stamattina
sono stata messa in castigo e di conseguenza non sono presa in
considerazione” (riferendosi alle solite correzioni che normalmente
faccio alle signore durante l’esercitazione). Non sono, in genere,
molto irascibile, ma, cercando sempre di usare sarcasmo e correttezza
formale, quando provocato, non riesco a starmene zitto. Mi limitai a
rispondere: “ Sa, signora, di fronte ad una persona in lutto, (le
elezione perse) cerco di mantenere il giusto controllo, rispettandola
nel suo dolore.” Terminò la lezione, ma
terminò anche la frequenza al corso di ginnastica della signora in
oggetto. Seppi anche che l’episodio fece il giro di molti salotti
modenesi. Con molto piacere, ho
annoverato, in questi ultimi anni, tra le più “affezionate”
allieve, l’impareggiabile cantante lirica, Raina Kabainwaska, che
segue con una costanza ed un impegno encomiabili, quando non è in
“giro” per concerti o con le sue allieve della scuola di canto, le
mie lezioni.
Un
altro impegno, che mi ha permesso di restare legato al mio mondo è di
essere entrato, come componente dello staff tecnico e come “web
master” al Coni di Modena, dove, con la Presidenza di Franco Bertoli
(il gran pallavolista di qualche anno addietro), la segreteria della
Prof.sa Orestina Zazzarini, e il responsabile dello staff tecnico Prof.
Gigi Trotta, si è costituita una squadra veramente attiva e motivata,
dove il sottoscritto, pur trovandosi nella posizione di “più
anziano”, ha trovato quelle motivazioni esistenziali, che sono il
“sale” della vita.
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Le
“tradizionali Vacanze Invernali” Dopo la serie delle Vacanze estive, con i corsi di
vela, nuoto, tennis, sci nautico effettuate a Riccione, Cesenatico e
Lussino, ritenni che fosse giunto il momento di dedicarsi al mondo dello
sci che tanto mi aveva entusiasmato dai tempi delle Olimpiadi Invernali
di Cortina d’Ampezzo. Nell’autunno del 1962 presi il primo contatto con
degli albergatori di Moena che gestivano il “Rifugio Monzoni” al
Passo di San Pellegrino, a 1920 metri d’altitudine. Prenotai trenta
posti letto per dare così avvio alle prime Vacanze Invernali, che in
seguito ottennero un clamoroso successo. I posti prenotati si riempirono
con una certa facilità e d’allora iniziò la serie, durata oltre
venti anni; per dieci giorni dal 26 Dicembre, Santo Stefano, al sei
Gennaio, giorno dell’Epifania, ho avuto la ventura di trascorrere quel
periodo dell’anno, assieme a centinaia di giovani modenesi e di tante
altre località. Avevo già avuto per alcuni anni l’esperienza di
partecipare alla settimana bianca natalizia organizzata dal Ente
provinciale del Turismo in
collaborazione con l’ufficio Ed. Fisica del Provveditorato agli Studi,
a Sestola, dove tra l’Hotel Panoramic e l’Hotel Roma, molti ragazzi
modenesi, tra la fine degli anni’50 e i primi anni ’60, ebbero la
possibilità di fare le prime esperienze sugli sci, tra la Galvanella e
la pista Rossa. Sestola allora non era come oggi; piste tenute in un
qualche modo, limitata volontà di sviluppo turistico, come invece
avvenne in seguito. Mi resi conto che da parte dei giovani modenesi vi
era il desiderio di andare oltre “i nostri confini”. Ritenni che era
giunto il momento di fare conoscere ai “padani” la bellezza e
l’incanto delle Dolomiti, montagne magiche e affascinanti. Non
che il Passo di San Pellegrino allora, fosse dotato di chissà quali
attrezzature, vi era un solo skilift che, dal Rifugio Monzoni, arrivava
al Rifugio Margherita, con il mitico “Bepi” che gestiva entrambi.
Eravamo praticamente noi e pochi altri e il paesaggio nel quale eravamo
inseriti era ed è di una bellezza incomparabile; il gruppo dei
“Monzoni” che al tramonto si tingevano di rosa, le bianche distese
immacolate che andavamo a “contaminare” con i nostri sci di legno,
le gite, diurne e notturne (a bere il vino brulé e a cantare le
struggenti canzoni alpine) ai “masi”, le capanne dei pastori per gli
alpeggi estivi, il nostro rifugio Monzoni accogliente e immerso nella
neve, sono un ricordo che tutti coloro che hanno preso parte
a quei primi anni di Vacanze Invernali del Prof. Zucchini, non
potranno mai dimenticare. Dal 1962-63, abbiamo goduto di una montagna
“incontaminata”. Al nostro Rifugio albergo, ad esempio, non esisteva
il telefono, l’unico posto telefonico pubblico era a circa tre
chilometri dal passo, in località gli ”Zingari” e, al tardo
pomeriggio, dopo l’attività sciistica, molti ragazzi si dirigevano a
quel posto, per fare la fila e “comunicare” con le loro famiglie. Con me
a collaborare, sia per la parte sciistica sia per la “gestione” dei
ragazzi in albergo, vi era l’amico Prof. Bartolomeo Candeli di
Pavullo, “Bart”, era come tutti gli uomini di montagna, un buon
bevitore. Un anno arrivammo al Rifugio Monzoni (che avevamo quasi
totalmente occupato) quando alla sistemazione delle camere, ci si
accorse che ne mancava una, ovviamente la nostra, dopo aver sistemato
tutti i ragazzi. La proprietaria dell’albergo ci propose la
sistemazione provvisoria, per due-tre notti, in una stanza del
sottotetto, ma senza riscaldamento. Eravamo a duemila metri e le notti,
lassù, non sono come in Riviera; ci disse la Signora: “Posso metterci
una stufetta a gas, o darvi una bottiglia di grappa”. Quale fu la
scelta? Per tre notti, io e Bart, ben coperti, dopo le fatiche della
giornata, quella bottiglia di grappa ci aiutò egregiamente a difenderci
dai rigori delle “notti dolomitiche”. Per anni ci furono tanti ragazzi e famiglie
modenesi che scelsero di passare i dieci giorni delle vacanze natalizie
con i miei corsi di sci. La famiglia Aggazzotti con la Sig.ra
Laura e il Dott. Pietro (produttore del noto, Nocino e Laurino), e i
figli Emanuela e Ettore, la famiglia dell’Ing. Domenico Rabino, con i
figli Alessandro, Luisa e Franco, la famiglia Baroni con la figlia
Antonella, e tutto un gruppo di giovani, nella maggioranza diventati
noti professionisti della società modenese quali, Fabrizio “Bricia”
Ferrari, Davolio Marani Severino, Oliviero e Daniele Soragni, Sandrino
Sereni, Gino Padoa e la sorella Laura, Vittorio Brino, Alessandro
Gheduzzi, Carlo Cacciari, Giuliano Andreoli, Marco Rigatelli, i fratelli
Santangelo e tanti altri. Allora era facile il controllo dei ragazzi
che, seppure nell’esuberanza giovanile, avevano un gran rispetto per i
loro insegnanti e per gli adulti in genere. Usavo, se mi si lascia
passare una terminologia ormai desueta, il sistema del “bastone e
della carota”; sì divertirsi, ma pur sempre entro certi limiti.
Ritenevo, a quel tempo, che si dovesse superare, andando in giro con
gruppi di giovani, la concezione della “colonia” e che i nostri
ragazzi si dovessero inserire, pariteticamente, nelle strutture
alberghiere assieme alla clientela tutta. Certamente non è stato facile far recepire e agli
uni e agli altri, condividendo lo stesso tetto, che avevano gli stessi
diritti e doveri. L’intensa attività sportiva, permetteva in parte
questa possibilità; per quanto la sera i giovani volessero esprimere la
loro vitalità nel fare le ore piccole, nel giocarsi scherzi a non
finire, nel cercare i contatti con le ragazze, uscivano pur sempre da
giornate particolarmente faticose. Ore sugli sci, in quelle condizioni
climatiche, facevano sì che la sera, una buona percentuale fosse
particolarmente “cotta”, anche se, ancor più cotti, erano gli
insegnanti che, dopo la giornata sulla neve, dovevano controllare le
“scorribande notturne”. Tantissimi aneddoti sarebbero da raccontare ma non
è possibile ricordarseli tutti. Qualcuno viene alla mente: una sera,
avendo scoperto che alcuni ragazzi erano entrati in una camera di
ragazze, mi permisi un piccolo ”divertissment”. Bussai alla camera
dopo l’orario, generalmente elastico, del riposo. “Chi è”. Il
Prof. Zucchini, risposi. Gran tramestio all’interno. “Attenda un
attimo che le apriamo subito”. Difatti, dopo poco, mi fecero entrare,
sul tavolino della stanza, panettone, e spumante. “ Come va
ragazze?” “Tutto bene Prof.” La tenda della finestra-balcone si
muoveva leggermente e mi resi conto che i ragazzi erano andati a
rifugiarsi là fuori. La situazione era scontata e, con un “briciolo di
cattiveria” ne approfittai. “Posso restare a fare due chiacchiere
con voi ragazze, mi offrite una fetta di panettone? Ma certo, mi dissero
a denti stretti; per farla breve, dopo aver sorseggiato un goccio di
spumante e addentato una fetta di panettone, andai sul balcone, erano
tutti in pigiama o camicia da notte, e a duemila metri non è facile
resistere, feci rientrare immediatamente i quattro cinque ragazzi, quasi
“assiderati” dicendo loro. “Ma ragazzi, secondo voi io dovrei
essere così severo da lasciarvi congelare sul balcone o punirvi
solamente perché siete entrati in questa stanza a far compagnia alle
vostre amiche? Venite subito dentro e beviamoci assieme un po’ di
spumante!” In quegli anni i giovani allievi, pur
nell’esuberanza della loro età, avevano molto rispetto per gli
insegnanti e accettavano di buon grado i richiami di chi aveva la grossa
responsabilità della loro sicurezza, in particolare quando, per dieci
giorni, si conviveva in una dimensione di alta montagna praticando una
disciplina sportiva che poteva creare situazioni delicate per
l’integrità fisica dei ragazzi. In quei primi anni non ci furono
incidenti particolari, qualche botta, qualche lieve distorsione che,
praticando lo sci, sono quasi all’ordine del giorno. Le lezioni erano tenute dai maestri di sci della
Scuola di Moena guidata dal Maestro Chiocchetti, con l’aiuto mio e del
Prof. Bartolomeo Candeli che collaborava nel controllo in albergo dove
vi era la partecipazione dei colleghi, Prof. Dino Cerrato e Maria Pia
Bertani e, del gruppo a Selva di Val Gardena, Romano Tagliazucchi. Tra i tanti allievi di quel periodo ricordo ancora
con tanto piacere: Giacomo Ghillani, Pierino Lottici, Alessandro Monti,
Giorgio e Michele Lofoco, Stefano Monti (poi noto regista teatrale),
Antonio Minezzi e le ragazze, Laura Zanichelli, Rossella Boni, Gabriella
Bettelli, Paola Beggi, Mariella Della Rovere, Nicoletta Pacchiarotti,
Doretta Della Rovere. Dopo l’esperienza al Passo di San Pellegrino
scelsi per le Vacanze Natalizie un'altra località particolarmente
isolata, la località del Nevegal, appena sopra Belluno. Era un rifugio
situato “sul cucuzzolo della montagna”, posto splendido,
isolatissimo, dato che ci si arrivava solamente in seggiovia e, dalle
cinque del pomeriggio al mattino, “lassù” restavamo solo noi;
avevamo occupato tutto l’albergo-rifugio e la vita di gruppo ebbe la
sua massima espressione. Si aggregarono al “gruppo storico” tanti
altri ragazzi e tra questi ricordo, Mario Marchiò (poi noto avvocato
del foro modenese), Sandro Miglioli, Alessandro Righi, Riccardo
“Richy” Levi (giornalista e uomo politico, Ministro nel secondo
Governo Prodi). Il papà dei fratelli Aggazzotti, il Dott. Pietro,
tutti gli anni, veniva a trovare la famiglia verso il giorno di S.
Stefano, in quell’occasione, poco dopo il pranzo di mezzogiorno, si
era davanti all’albergo e i ragazzi cominciavano a “sciamare” per
riprendere l’attività pomeridiana, mi si avvicina dicendomi in
dialetto modenese: “Professor, a vag a vader i me du ragazo cum i stan”.
(Professore vado a vedere i miei due ragazzi come stanno). Ma dottore,
dico io, li ha appena salutati con gli sci ai piedi mentre stavano
iniziando la discesa; “ Ma no, a vag in cuseina a controler i du
cutchein c’a io purte sò e che a magnam stasira!” (Ma no, vado in
cucina a controllare i due cotechini che ho portato con me e che
mangeremo questa sera!) Dal Nevegal si passò a Misurina, altra splendida
località Ampezzana, in un bel albergo vicino al Lago, dove alla sera si
disputavano, tra i ragazzi del gruppo, spettacolari partite di “calcio
su ghiaccio” con scarponi da sci ai piedi, con grande apprensione da
parte del sottoscritto, prevedendo che qualche ammaccatura “poteva
starci”, fortunatamente andò sempre bene, anche perché dopo le
partite, si ritornava nella tavernetta dell’albergo a ballare e
bisognava restare in forma anche per quell’attività. Quando arrivava
l’orario della “ritirata” erano battaglie accesissime per far si
che tutti rientrassero, nelle loro stanze, in orario “decente”. Qui a Misurina, presenti i “soliti noti”, si
aggregarono tanti altri: Paolo Ferrari, Elisabetta Barbolini, Gianni
Valducci, Oscar Scaglietti (dell’omonima carrozzeria), Paolo Verri e
Donatella Incerti, Alessandro Borelli, Guido Ferrari, Giorgio Barbolini.
Tutti i citati parteciparono anche negli anni successivi, assieme ad
Alberto Montorsi, Cesare Gusberti, Maurizio Coppini, tutti validi
medici, oltre a Giovanni Soldati (figlio del noto scrittore e regista
cinematografico e lui stesso in seguito regista), alle mitiche vacanze
di Solda e di Campitello. (il gruppo si era notevolmente allargato). In entrambe le località furono occupati parecchi
Alberghi e, se tutte le vacanze sono state considerate da molti
partecipanti, “mitiche”, queste furono super. Con una ragguardevole
partecipazione di giovani, in questi e negli anni successivi, qualche
piccolo incidente, tipo fratture alla tibia, lussazioni e contusioni,
avvenne. Un
episodio, ricordo, in quel di Solda. Oscar Scaglietti si infortunò
l’ultimo giorno dell’anno, una botta alla spalla con probabile
lussazione per una caduta sul ghiaccio di quelle piste. Lo porto
immediatamente all’Ospedale di Bolzano, dove pensano di trattenerlo in
osservazione per due giorni per ulteriori accertamenti. La sera di San Silvestro lo vidi arrivare,
all’improvviso, con il braccio fasciato: ovviamente lo rimproverai per
quella sua “fuga” dall’Ospedale. “Prof., ma come faccio a
perdere l’ultima sera dell’anno in un letto d’ospedale quando
tutti gli amici sono quassù a divertirsi”. E difatti, anche quello,
fu un ultimo dell’anno da ricordarsi, per tanti modenesi. Solda è una splendida località ai piedi del
gruppo dell’Ortles e del Cevedale, freddissima in quei giorni e con
tanti alberghi occupati dai modenesi: Il “Bambi”, il “Dangl” il
“Grand Hotel Solda” e una villa splendida occupata da un gruppo dei
“vecchi” (di vacanze del Prof., non di età). Con noi assieme ad
alcune famiglie vi era quella dei Po’, delle cucine carpigiane;
l’ultimo giorno dell’anno raggiunse la famiglia anche il
“patron”, che riuscì ad unire, l’utile al dilettevole, difatti
nei giorni successivi, “piazzò” una delle sue famose cucine, in uno
degli alberghi dove alloggiava il suo gruppo. Era con noi anche la famiglia Bussinello con Paolo,
grande tennista modenese prematuramente scomparso e al quale la Scuola
di Pallavolo Anderlini ha titolato una grande manifestazione
pallavolistica denominata “Memorial Bussinello” e il fratello Marco,
fisico possente, “testa matta” che si dedicò, in seguito, alla
specialità sciistica più impegnativa: la discesa libera, tanto da
arrivare a conquistare il titolo di Campione Italiano Universitario.
Marco Bussinello ebbe la compiacenza, in un’intervista pubblicata
sulla “Gazzetta dello Sport”, dopo i suoi successi, di gratificarmi,
affermando che ad avviarlo allo sci era stato il Prof. Zucchini. Ebbi il piacere di essere citato da molti miei
allievi e non solo nel settore dello sci, ma anche da coloro che si
dedicarono con risultati d’altissimo livello, all’atletica o alla
Pallavolo, per l’aiuto che avevo dato, alla loro iniziazione
agonistica. Anche
a Campitello occupammo una serie di alberghi, il “Rododendro”, i
“Monti Pallidi” a fianco della seggiovia che ci portava al “col
Rodella” dove svolgemmo le gare di fine corso, oltre ad altri due o
tre alberghi più piccoli. Si era aggregato in quell’anno alla mia
organizzazione un altro insegnante di Ed. Fisica, il Prof. Gaetano
Gibertini, grande sportivo e ancor più sciatore eccezionale. Con un gruppetto tra i ragazzi più grandi facemmo,
un giorno, il famoso giro dei quattro passi “la Sella Ronda”, erano
con me, Cesare Gusberti, Guido Ferrari, Alberto Montorsi, Alessandro
Rabino con il padre Ing. Domenico, appassionato sciatore, e alcuni
altri; quando arrivammo a dover affrontare il famoso “Ghiaione del
Pordoi”, dove i primi 50 metri si facevano scendendo aggrappati ad una
fune in mezzo alle rocce e con un pendio mozzafiato, mi vennero le
“paturnie” dato che avrei dovuto guidare il mio gruppo in quel
budello di neve e di rocce. E se succede qualcosa? È stata, in tanti
anni assieme agli allievi, l’unica volta che ebbi quella grossa
preoccupazione. Erano tutti “in gamba” e terminammo la rocambolesca
discesa, intatti. Ormai la mia organizzazione si era sviluppata in
modo incredibile. L’anno seguente ad Andalo raggiunsi il massimo della
partecipazione. Circa duecentocinquanta giovani e famiglie parteciparono
a quella vacanza; tra le famiglie, ricordo quella numerosa del Cav. Walter Bellei, dell’Ing. Suzzi, dei Tarabini Castellani, la famiglia Stanguellini con
Francesco e Rossella ecc., sembrava che tutta Modena volesse partecipare
alle,“Tradizionali Vacanze del Prof. Zucchini” come comunemente
erano chiamate. Andalo, gli alberghi, le piste della Paganella,
sembravano occupate solamente da modenesi. Naturalmente mi diedero
collaborazione, in quella circostanza, tanti colleghi, dato che in ogni
albergo erano presenti almeno due insegnanti; con me c’erano i soliti,
Bartolomeo Candeli, Maria Pia Bertani, ai quali si aggiunsero Paolo
Bassoli, Marco Santunione, Paola Bernardi, le sorelle Melchiorri e
Gaetano Gibertini. Citare i nomi dei tanti partecipanti occorrerebbero
almeno due capitoli e per me, riuscire a ripescarli nella memoria resta
veramente difficile. E’ stato senz’altro l’anno più impegnativo
dal punto di vista organizzativo e di gestione; pur attorniato da validi
colleghi, quando sorgevano problemi, o con gli albergatori o con i
ragazzi, ero direttamente chiamato in causa, poiché ero il “diretto
responsabile” di tutto il gruppo. Per me non erano più vacanze, non
vi era un attimo di tregua, era un vero e proprio “tour de force”,
di giorno sugli sci, poi la sera e la notte in giro per gli alberghi per
tenere sotto controllo la situazione, ogni notte dormivo poche ore e
ritornavo in città, al termine dei dieci giorni, totalmente
“distrutto”. Gli
anni a seguire sono stati quelli di Pejo, quattro volte, di Folgaria, di
Pinzolo, di Serrada (due volte). Vi fu anche un ritorno al Passo di San
Pellegrino nel 1971-72, moltissime iscrizioni; occupato completamente
l’albergo “Cristallo”, nuovissimo, creai un altro concentramento a
Bellamonte, località di là dal Col Margherita, in linea d’aria poco
distante, ma percorso molto lungo in automobile. I “grandi” al
Passo, i “piccoli” e le famiglie a Bellamonte. Eravamo già entrati negli anni della
politicizzazione studentesca e non poté mancare la contrapposizione tra
gli opposti schieramenti, anche nell’ambiente alpino. Non vi erano mai
stati problemi di questo tipo in tutti gli anni precedenti, a San
Pellegrino successe la notte dell’ultimo dell’anno; un gruppo di
ragazze alloggiate a Bellamonte vollero partecipare “a tutti i
costi” alla festa con cenone al Passo; le andai a prender con il
pulmino Ford con il quale mi ero attrezzato e dopo il “caotico
cenone”, a notte fonda le dovetti riaccompagnare a Bellamonte. Notte
di “tregenda”, al Passo si stavano accumulando metri di neve con una
bufera vista poche volte. Con il mezzo attrezzato bene per la montagna ed
essendo praticamente tutta la strada in discesa, riuscii a raggiungere,
sebbene con molta fatica, Bellamonte. Al mio ritorno al passo imparai
che durante la notte ne erano successe “di tutti i colori”. Dopo i
brindisi e le bevute del capodanno, attraverso il classico abbassamento
dei freni inibitori, i due schieramenti che si erano creati, di destra e
di sinistra, si scontrarono, prima a suon d’invettive, poi si passò a
qualche episodio, limitato, di scontro fisico. I miei colleghi, con in
testa Gaetano Gibertini e gli albergatori, ebbero il loro gran da fare
per tranquillizzare gli animi alquanto surriscaldati. Verso mattina
tutto tornò alla normalità, le intemperie favorirono il ritorno alla
tranquillità dato che l’albergo era quasi sepolto dalla neve e uscire
all’esterno era molto difficile, Molto meglio godersi lo spettacolo,
di quell’eccezionale nevicata, dalle ampie finestrature dell’Hotel. Mi resi conto, da quel momento, quanto
l’esasperazione politica avesse acceso gli animi dei giovani, in netta
contraddizione tra loro e anche il periodo delle vacanze invernali, che
avrebbe dovuto essere un solo momento di sport e di svago, diventò
motivo di divisione tra chi era di destra e chi di sinistra.
Personalmente non feci mai delle distinzioni, tanto meno dei
favoritismi, ebbi sempre l’accortezza di mantenermi in un certo
equilibrio anche perché non diedi mai sottolineature politiche alle mie
organizzazioni giovanili. Il “virus” della politica e dell’ideologia
estrema era entrato nelle masse giovanili che si schierarono con tutta
la passione dell’età. Negli anni successivi in varie località fui
costretto in alcune circostanze a frenare gruppi di giovani che
“scadevano” in esuberanze politiche. Non è stato facile usare “il
bastone e la carota”; i genitori mi affidavano i loro ragazzi e per me
era un imperativo categorico farli ritornare alle loro
famiglie,“integri”, sotto tutti i punti di vista. Erano
gli anni dei gruppi giovanili di nuova composizione, “quelli dei primi
anni” erano ormai adulti e le loro scelte diventavano individuali; si
affacciavano le nuove generazioni con la presenza di altri giovani
modenesi e, tra i tanti, ricordo: Ludovico Casati Rollieri, Federico
Vigarani, Donato Saltini, Franco Ferrari, Carlo Pandolfini, Federico
Bernardoni, Alessandro Guerra, Francesco Verganti, Cecilia Verganti,
Paolo Rebucci, Anselmo Vandini, Luca Rebucci, Massimo Fratelli, i
fratelli Giorgio e Stefano Goldoni, Aldo
Ferretti, Angelo Po’, Patrizia Covili, Carlo Messerotti, Beatrice
Lotti, Marcello Lotti. In quelle località ebbi sempre la presenza di
gruppi familiari al completo come la famiglia di Giuseppe Panini, quella
di Bruno Barbieri, del Dott. “Gigi” Galantini e ricordo le
fiaccolate notturne a Pejo, alle quali partecipavamo, assieme ai Maestri
di sci, con i nostri sciatori padani. A Pinzolo vi fu un’eccezionale festa di
capodanno, con il trasporto “anticipato” alle loro stanze, di alcuni
che avevano anticipato le libagioni della mezzanotte. Tutti gli anni,
quella della “sbronza di San Silvestro” era una situazione che
dovevo tenere particolarmente “sotto controllo”. Quel rito in età giovanile era qualcosa di
“dovuto”, gli eccessi ci sono stati, e molti, ubriachi, io e i miei
collaboratori li abbiamo dovuti sistemare innanzitempo, in quella notte
di “semel in anno”, ma, in rapporto al considerevole numero di
ragazzi che “alzavano il gomito”, non vi furono mai situazioni
particolarmente delicate, eccetto quella che si verificò l’ultimo
anno delle mie “Vacanze”, 1981-82, in quel di Andalo, dove chiusi
un’attività diventata troppo impegnativa e nella quale avrei potuto
correre rischi maggiori, da quel momento in avanti. L’ultima notte dell’anno rientrai in camera
verso le cinque del mattino, dopo nemmeno dieci minuti, fui richiamato
da urla disumane provenienti dalla “hall” dell’albergo. Mi
affacciai al vano scale e vidi venirmi incontro tre-quattro
“energumeni” indigeni, armati di badili che cercavano, gridando il
nome ad alta voce, uno dei miei ragazzi. In un qualche modo li
affrontai, rischiando: “No, vi sbagliate non è qui quello che
cercate!” Cos’era successo? Al rientro in albergo un gruppetto di
giovani facenti parte della mia organizzazione, si era “scontrato”
con alcuni locali, che ebbero la “peggio”. Infatti, uno di “quelli
con la vanga” aveva la faccia devastata e sanguinolenta. Ci fu un
lungo “conversare”; ci lasciammo, alle prime ore del mattino, con la
promessa di incontrarci nel pomeriggio, per definire la “faccenda”. Al pomeriggio di quel primo dell’anno ebbi un
lungo colloquio con il/i responsabili dell’episodio, sia con i
“miei”, sia con gli “altri”. Invitai il giovane del mio gruppo a
non uscire dall’albergo per tutto il giorno. Alla sera, malgrado tutti
i miei inviti, il giovane, già maggiorenne, di conseguenza responsabile
delle sue azioni, uscì dall’albergo per recarsi in discoteca: Nemmeno
mezz’ora dopo ricevo una telefonata: “Prof. Siamo qui in discoteca,
circondati da una marea di valligiani che ci vogliono mettere le mani
addosso appena usciamo”. Telefonate concitate al Comando dei Carabinieri
che, data la particolarità della giornata, avevano le poche pattuglie a
disposizione tutte in giro e lontano dalla nostra zona; al momento e
urgentemente sarebbe stata improbabile la possibilità di una loro
presenza. Mi reco in discoteca e riesco a parlamentare con i valligiani
con i quali ero rimasto in contatto durante il giorno. Avevano
riconosciuto il responsabile della rissa, gli volevano rendere “pan
per focaccia”. Alcune ore di discussione finalmente riesco a far
rientrare “indenne” in albergo, il mio gruppetto, “scortato” a
breve distanza dagli indigeni. Nei lunghi colloqui trovai uno spiraglio:
feci un accordo con i locali: la cosa si sarebbe risolta con il
versamento di “tot” lire e il caso si sarebbe chiuso. Tirai un grosso sospiro di sollievo, il giorno dopo
“radunato” tutto il mio gruppo ed esposta la situazione, essendo la
cifra richiesta, alta per il solo responsabile, che in verità si era
solamente “difeso”, optai, e feci in modo che tutti accettassero,
per una “colletta”. La cifra fu raccolta e versata, tutto si
concluse “a tarallucci e vino”. Imparai in seguito da dei personaggi
locali e responsabili della comunità di Andalo, che quel gruppo di
“giovinastri” era solito andare alla ricerca di episodi analoghi,
per cercare di “ragrannellare” un po’ di soldi. Non fu solamente
quest’episodio a farmi concludere più di venti anni di “Vacanze
Invernali”. Eccessiva era diventata la responsabilità, non ero più
il giovane trenta-quarantenne nel pieno delle sue energie psico-fisiche.
Continuai per un certo tempo con l’attività
dello “Sci Club Modena” e con le settimane bianche scolastiche.
Seguivo, agonisticamente, un piccolo gruppo di ragazzi che si dedicarono
alle gare di sci nell’ambito del Comitato Appennino Emiliano, tra i
quali vorrei citare, Andrea Crespi, Carlo Bartolamasi, Giovanni
Carpaneto, Alessandro Zucchini, Davide Gasparini e Andrea Zucchini. Non
vi erano molti mezzi a disposizione, era difficile far quadrare i
bilanci di una piccola Società Sportiva, con un’attività abbastanza
costosa. Trasferte, attrezzature e quant’altro lievitavano
i costi in modo incredibile, non era possibile affrontare, “alla
pari”, quei club che già, attraverso gli sponsor o attraverso
particolari sovvenzioni, potevano “meglio arrangiarsi”. Indicativo, in proposito, quest’episodio. Un anno
mi arrivò una cartolina del Comune di Modena, indirizzata allo “Sci
Club Modena” dove c’era concesso un accredito di 300.000 lire;
allora erano “soldini”. Sorpreso, ma nello stesso tempo convinto di
un errore, mi recai all’Esattoria Comunale dove doveva essere erogata
la somma. Difatti, costatammo immediatamente, che era stato commesso un
errore. La somma era destinata allo “Sci Club Mutina”, costituito da
pochi mesi, senza alcuna attività alle spalle, ma che rientrava
nell’”area” gestita dall’amministrazione comunale. Era stato
commesso un errore nell’indirizzare quella disponibilità economica.
Gli amici degli amici, avevano sovvenzionato immediatamente
quell’entità sportiva, appena costituita, poiché entrava nella loro
sfera politica. Tutto questo a prescindere dall’attività agonistica
effettuata. Lo Sci Club Modena era da anni che operava nel settore
partecipando a gare e quant’altro, gli altri dovevano ancora partire.
Tutto finì. Finalmente continuai a sciare e divertirmi per i “fatti
miei”
|
Nel capitolo “Rossi e
Neri”, nella prima parte dedicata alla “Mia” Modena, ho raccontato
del primo incontro avvenuto nei primi mesi dell’anno 1949, alla
Trattoria del Bersagliere, con gli ex fascisti e i neo fascisti modenesi
di quegli anni. Avendo trascorso, tutto il periodo del Movimento Sociale Italiano,
sino alla sua trasformazione in Alleanza Nazionale e pur non essendo, da
quel momento, rimasto legato né alla “Cosa di Fiuggi” né ai
piccoli Partiti dell’area dell’estrema destra, sono pur sempre
rimasto vicino, idealmente, al mio trascorso in quel variegato e,
contraddittorio mondo, della “impropriamente chiamata” destra, del
nostro territorio. Non è mai stato trattato un bilancio storico di un periodo che va dal
dopoguerra ad oggi, di quella, se si vuole, piccola fetta della società
modenese legata idealmente al discusso, vituperato, incensato, periodo
storico che prende la storia d’Italia dal 1921 al 1945, pur sempre
attraverso tutte le contraddizioni, le polemiche, le conflittualità
portate sino all’eccesso, nelle diverse componenti ideologiche da
sempre trovatesi all’’interno di quel minuscolo partito, almeno per
quanto riguarda l’area territoriale modenese. Già al tempo del Fascismo, sia dentro al Partito sia nel Regime,
convivevano a fianco a fianco, italiani che si dicevano ugualmente
fascisti, avevano la stessa tessera e lo stesso distintivo, ma
ragionavano, nel loro intimo, in modo completamente diverso in funzione
di una differente origine e preparazione politica. Quello che vi era nel
suo fondo sostanziale nel fenomeno fascista, e certo non mi permetto
osservazioni nuove, aveva la sua origine nelle due componenti
nazionalista e socialista, tendendo a risolvere in una sintesi, il
problema della società italiana uscita da una guerra, la prima guerra
mondiale, vittoriosa sul piano militare ma sconfitta sul piano economico
e politico. Non vi fu improvvisazione ma una precipitazione, sottoposta
dalla confluenza di quelle correnti, sino a quel momento separate, del
nazionalismo esasperato e dal sindacalismo socialista. Furono poi
esercitate, in modo confuso, varie influenze da parte di tanti movimenti
culturali quali, l’estetica dannunziana, l’esasperazione nietzchiana,
la componente tradizionalista, quella futurista, le tendenze oligarchice,
la gerarchia, le interferenze ecclesiastiche, quelle massoniche, quelle
monarchiche e conservatrici. Nonostante tutto questo, la linea più
forte, quella nazionale e sociale, servì come fattore di coesione
attraverso la presenza dell’uomo Mussolini che coagulò attorno a sé
le varie istanze dell’animo comune. Ma sotto sotto e nonostante l’apparente conformismo, vi era dentro
al fascismo uno stato di conflitto tra le stesse categorie culturali e
sociali, gentiliani e antigentiliani, artisti che s’ispiravano al
novecento avevano contro gli antinovicentisti, vi erano sindacalisti che
volevano a tutti i costi, la socializzazione e vi erano i conservatori
reazionari e autoritari, anche la mistica fascista, rivoluzionaria e
intransigente, si scontrava con le gerarchie imborghesite, vi erano
repubblicani e monarchici, militaristi e pacifisti, i filo inglesi e
quelli che sostenevano un fronte mondiale delle nazioni proletarie,
quali l’Italia, la Russia, la Germania e il Giappone. Al termine del
conflitto gli uomini sconfitti dispersero le varie correnti, che un uomo
solo era riuscito ad unire, nelle diverse e disparate direzioni, a volte
opposte. In questo racconto, che cerca di ricordare brani di storia locale,
sino ad oggi mai presi in considerazione, mi piacerebbe che un briciolo
di memoria storica fosse dedicato a tutti quegli uomini, che, pur
provenendo da diverse culture e da diverse impostazioni spirituali,
sociali e comportamentali, ben sapendo in quale posizione sociale si
andavano a collocare cioè di emarginazione e di allontanamento dai
vertici societari, si sono pur sempre battuti ed esposti per dare un
significato a quella che è stata la nostra tradizione, a quello che era
stato il nostro recente passato, che non può essere cancellato dalla
protervia dei padroni del potere locale provenienti tutti da una cultura
che ha sconvolto il mondo e che è rimasta totalmente sconfitta nella
terra dove era cresciuta. Lo scrivente, pur non essendo uno scrittore, né uno storico, né un
politico di professione, ha pur sempre militato, seppure con fasi
esistenziali alterne, in quel partito dal 1949, ritengo pertanto di
poter tracciare una sintesi di questi sessanta anni, che si cerca di far
dimenticare, come il periodo precedente. Non sono in possesso di
documenti storiografici tali da poter dare un taglio scientifico a
questo mio racconto; cercherò ugualmente, facendo riferimento alla
“mia memoria” che ancor oggi mi supporta, di mettere in luce
personaggi, fatti e avvenimenti con riferimenti cronologici
sufficientemente esaurienti. Il Movimento Sociale Italiano nasce a Roma il 29 Dicembre 1946 nello
studio di Arturo Michelini, (futuro Segretario), alla presenza di: Pino
Romualdi, Giorgio Almirante, Giorgio Bacchi, Giovanni Tondelli, Cesco
Giulio Baghino, Mario Cassiano e Biagio Pace. Al momento della fondazione di quel raggruppamento politico esistevano
una molteplicità di gruppi e gruppuscoli di orientamento neofascista,
oltre a partiti costituiti, come il Fronte dell’Uomo Qualunque (UQ),
monarchici e liberali che pescavano nel mondo “nostalgico” che si
presentarono alle prime consultazioni elettorali del 1946 per la
Costituente e alle amministrative dell’anno dopo, e che ottennero un
certo successo. La comparsa sulla scena politica nazionale del MSI fece sì che
formazioni come l’UQ e tanti gruppuscoli si sciogliessero per
confluire, in buona parte, in quella struttura che già al suo primo
apparire sembrava molto più omogenea e convincente per un suo reale
inserimento politico nel paese, a quei tempi. A Modena le prime elezioni amministrative si svolsero il 31 Marzo
1946; si presentarono i partiti del CLN. Su di un totale di 62.676 voti
validi, il PCI ne ottenne 30.162 pari al 48,1%, il PSIUP, 11.991 voti
pari al 19,1% e il PdA (Partito d’Azione) lo 0,9%. Questo era lo
schieramento di sinistra che conquistò il potere locale sommando un
totale pari al 68,1%. I comunisti erano già potentemente organizzati e
sulla base di forti pressioni, violenze postbelliche che non si erano
ancora concluse, riuscirono a far presa sull’opinione pubblica
conquistando quel potere che ancor oggi mantengono, ininterrottamente,
da quegli anni. Dalla parte opposta si presentarono: la DC, che ottenne
17.417 voti pari al 27,8%, il PRI 592 voti con lo 0,9% e il PLI 1.991
voti con il 3,2%. Fu eletto Sindaco, il partigiano comunista, Alfeo
Corassori. Subito dopo, il 2 Giugno, con il Referendum su
Repubblica o Monarchia, si votò anche per la Costituente, dove l’area
di destra era rappresentata dall’UQ che ottenne 2497 voti pari al
3,8%e l’UDN 1396 voti con il 2,1%. A sinistra il PCI ebbe un netto
calo, il 6% in meno a vantaggio dl PSIUP e sia l’area di sinistra che
quella di centro non subirono sostanziali modifiche rispetto alle
amministrative. In città, le prime riunioni degli sconfitti avvennero principalmente
in due case: in quella del Rag. Giorgo Fabbri, assicuratore, e in quella
del “proletario” Otello Rovatti in Rua Muro. Erano riunioni
“carbonare”, girava ancora per la città la cosiddetta “Volante
Rossa”, la polizia partigiana che, per un certo periodo, con una
parvenza d’autorità concessale dal CLN, fermava, arrestava, fucilava,
commetteva soprusi di ogni sorta ma che, dopo il ripristino di una certa
legalità e con la ricostituzione quasi immediata dell’arma dei
Carabinieri, fu esautorata, operando però in una specie di
semi-clandestinità, continuava ad esercitare una certa pressione sulla
cittadinanza, di conseguenza per i fascisti, per quelli rimasti tali o
per quelli presunti, era estremamente pericoloso circolare per la città,
specialmente di sera. In quella casa venne anche ospitato, per un certo periodo, colui che
diventò il capo indiscusso del Movimento Sociale Italiano, Giorgio
Almirante, il quale, dopo il crollo della RSI trovò rifugio nella
nostra città svolgendo un’attività di copertura, il rappresentante
di commercio, ed iniziò così a reinserirsi nella vita sociale del
paese. Nel 1947 fu scelto il simbolo del partito, la “Fiamma Tricolore”
che era stato l’emblema degli arditi della prima guerra mondiale. In quei primi anni, i gruppuscoli di area neofascista come i FAR
(Fasci di Azione Rivoluzionaria) e altri si andarono via via dissolvendo
per entrare nella legalità del nuovo Movimento Sociale Italiano;
presero forma una serie di periodici di area che ebbero una certa
rilevanza e diedero la possibilità, anche in provincia, di conoscere ciò
che avveniva e “bolliva in pentola” nella Capitale. A Modena
arrivavano queste pubblicazioni e, alcune edicole, quali la “Rosina”
in pieno centro, l’edicola Panini in Corso Duomo o quella di
“Palmino” in Via Saragozza, erano il punto di riferimento per tanti
giovani che desideravano essere “informati”. Molti erano i
settimanali e i quindicinali che fornirono una tribuna molto importante,
alle diverse anime del neofascismo che si stava impegnando per una
ripresa politica “democratica”. Ricordo il “Meridiano d’Italia” diretto da Franco De Agazio,
“Il Pensiero Nazionale” di Stanis Ruinas, “Rivolta Ideale”
diretto da Giovanni Tonelli, e che nei primi anni fu uno dei più
seguiti; “Il Merlo Giallo” diretto da Alberto Giannini, il “Rosso
e Nero”, “Senso Nuovo” diretto da Achille Cruciani, “Noi” del
Direttore Bruno Spampanato, “ Asso di Bastoni”, chiamato anche:
“Settimanale satirico anticanagliesco” uno dei più seguiti, e che
raggiunse anche le centomila copie vendute settimanalmente, diretto
inizialmente da Ferdinando Marchiotto, poi da Pietro Caporilli; il
settimanale di Leo Longanesi “Il Borghese” e il notissimo
“Candido” di Giovanni Guareschi. La lettura di questa stampa dava ai
giovani la possibilità di “iniziare” una “cultura di destra”,
ma non la forgiava completamente, e non la rendeva “pregnante”. Alle elezioni politiche del 18 Aprile 1948, si presenta anche la lista
del Movimento Sociale Italiano, che su una parte limitata del territorio
nazionale riesce a portare in Parlamento sei deputati e un senatore con
583.000 voti pari allo 0,8%. Vi fu, in quella tornata elettorale, una
dura sconfitta del “Fronte Popolare” delle sinistre a favore della
vittoria della Democrazia Cristiana, a Modena vinsero le sinistre con
38.160 voti pari al 52,2% contro i 25.646 voti della DC pari al 35,1%. Subito dopo il Movimento Sociale celebra a Napoli, dal 27 al 29 Giugno
1948, il suo Primo Congresso. Le varie anime del Partito si
confrontarono su posizioni non esasperate, con la visione di un certo
compromesso: risultò vincente la componente di sinistra che mantenne il
controllo del Partito con Giorgio Almirante alla Segreteria e con Vice
Segretari Gianni Roberti, Arturo Michelini e Massi. La sintesi tra i fautori ad oltranza della “Socializzazione” e
quella dei sostenitori del “Corporativismo” fu costruita da Augusto
De Marsanich che, in riferimento al Fascismo, trova, nella formula
“Non rinnegare, non restaurare”, l’accettazione dei congressisti,
attraverso l’invito alla pacificazione tra le generazioni che il
dramma della guerra civile ha diviso. La posizione dei sei deputati missini in Parlamento
suscitò perplessità e polemiche che furono messe a tacere dalla
Dirigenza del Partito che, sulla “Rivolta Ideale”, precisò che
“essendo l’estrema sinistra occupata dagli uomini di Togliatti, per
logica coerenza, gli uomini del Movimento Sociale non potevano, se non
collocarsi all’opposto di questi”.
Nella mattinata del 14 luglio Palmiro Togliatti è colpito da tre
colpi di pistola, sparati a distanza ravvicinata mentre esce da Montecitorio
in compagnia di Nilde Iotti. L'autore dell'attentato a Togliatti
è un giovane simpatizzante di estrema destra, iscritto al Partito Liberale, Antonio Pallante. I
proiettili, sparati da una pistola calibro 38, colpiscono il leader del
PCI alla nuca e alla schiena, mentre una terza pallottola sfiora la
testa di Togliatti. Nelle ore in cui si attende l'esito dell'intervento
si diffondono le più diverse voci sullo stato di salute del Segretario
del PCI: circola addirittura la notizia della sua morte. Il clima
politico del paese è caldissimo. Poche ore dopo l'attentato si
verificano incidenti a Roma e morti a Napoli, Genova, Livorno
e Taranto
nel corso di violentissime manifestazioni di protesta. Il Paese sembra
sull'orlo della guerra civile. Anche a Modena vi furono momenti di tensione notevole. Le strade della
città erano percorse, in un clima surreale, da pattuglie della polizia
e dai gruppi dell’estrema sinistra. La maggioranza delle persone
restava chiusa nelle proprie case. L'operazione a Togliatti andò a buon
fine e, si dice che, il dirigente del Partito Comunista Italiano, impose
ai suoi luogotenenti, Secchia
e Longo,
che diressero il Partito in quei drammatici momenti, di fermare la
rivolta. L'insurrezione di massa delle organizzazioni militanti e
militari comuniste si arresta, ma tutti sono convinti che abbiano
contribuito a moderare gli animi e superare quella crisi, le imprese di Gino
Bartali, al Tour
de France. L’anno 1949 mi vedeva, all’inizio, ancora impegnato con la
congregazione dei Frati Cappuccini di Via Ganaceto e con la
partecipazione alle varie manifestazioni condotte dai “Terziari
Francescani”. Partecipai difatti, come delegato modenese, assieme al
Dott. Carlo Luppi, al Congresso Nazionale che si tenne a Maggio al
convento dei Francescani di Frascati. Gradualmente mi avvicinai, come raccontato nel capitolo “Rossi o
Neri”, al raggruppamento Giovanile chiamato “Giovane Italia” del
Movimento Sociale Italiano, dove mi iscrissi nel Novembre di
quell’anno. Nel frattempo, dal 28 Giugno al 1° Luglio, si era tenuto a Roma il 2°
Congresso del MSI, che vide rinnovarsi il confronto tra le posizioni di
sinistra che tendevano ad orientare il Partito in senso più sociale e
le posizioni moderate. Le due fratture sostanziali, all’interno del
MSI si evidenziarono nella posizione dei “moderati”, Arturo
Michelini, Augusto De Marsanich, Nino Tripodi che desideravano
l’unione delle forze nazionali in funzione anticomunista; anche i
“traditori monarchici e badogliani” potevano tornare utili nella
lotta al comunismo, così come sul tema dell’Alleanza Atlantica (NATO)
questo schieramento era decisamente favorevole; a sinistra, Giorgio
Almirante, Giorgio Pini, Concetto Pettinato, Domenico Leccisi e altri
dichiararono che coloro che rimasero fedeli a loro stessi durante la RSI,
non erano, e non sono, gente di destra e quelli che concepiscono il
partito in esclusiva funzione anticomunista, conservatrice e reazionaria
non fanno parte della famiglia del MSI, così come schierarsi a favore
del Patto Atlantico non può essere accettato dato che, non è possibile
essere “alleati e vinti” nello stesso tempo. Queste due anime del partito saranno sempre presenti nella storia del
Msi seppure con alcune varianti e in molte zone, Modena compresa, con
grosse conflittualità. Ma il successo del Movimento Sociale Italiano arrivò, sia a Modena
sia in tutta Italia, con la grandissima partecipazione giovanile. I
giovani che non avevano fatto la guerra diedero un’entusiastica
adesione alle organizzazioni del RGSL (Raggruppamento Giovanile Studenti
e Lavoratori) fondato a Roma il 12 Marzo 1949 dall’esuberante
deputato, ex combattente di “Bir El Gobi”, Roberto Mieville. L’anno successivo, il 21 Maggio 1950, si diede corpo
all’organizzazione degli studenti Universitari con la costituzione del
FUAN (Fronte Universitario di Azione Nazionale), mentre, due mesi prima
il 24 Marzo, si era costituita la CISNAL (Confederazione Italiana
Sindacato Nazionale Lavoratori) guidata dall’On. Gianni Roberti. Si andavano così delineando, sul territorio nazionale, tutte le
strutture che costituivano l’ossatura portante del Partito. La Cisnal
a Modena ebbe sede, inizialmente in Via Cesare Battisti, in seguito in
Via Canalino con alla guida, il sindacalista Cesare Piccinini poi,
Giuseppe Grasso. Dei personaggi modenesi incontrati in quei lontani anni ne ricordo
alcuni e mi spiace se non riesco a ricordarli tutti. Uno dei fondatori e dirigente del Msi è stato il Rag. Giorgio Fabbri,
Segretario del Partito per un certo tempo e collaboratore del quotidiano
“Il Secolo d’Italia”, noto assicuratore, ha sempre dato, anche
negli anni a seguire, la partecipazione attiva al Partito assieme alla
grande esperienza sempre unita alla sua proverbiale bontà d’animo. Il Prof. Amerigo Ansaloni è stato Segretario del Partito nei primi
anni cinquanta lasciando un ricordo indimenticabile della sua personalità;
il Professor Ansaloni divideva la sua passione per la politica con
l’attività professionale: aveva in centro storico, precisamente in
Via Università un negozio di arte dove si confezionavano cornici di
pregio e commerciava oggetti d’arte di valore. Uomo dotato di un carattere aperto e bonario, lo trovavi sempre
disponibile, in modo
particolare quando i giovani avevano bisogno di consigli e aiuti che
erano dettati da una “umanità” e conoscenza dei problemi della
vita, non indifferenti. Il Prof. Francesco Zambrano, insegnante di lettere all’Istituto
Magistrale Sigonio, grande dantista e latinista, uomo di fede dotato di
notevole senso di responsabilità anche nei momenti difficili della vita
del Partito, sapeva sempre creare attorno a sé unanimità d’intenti
che portavano a stemperare anche scontri accesi e apparentemente
insanabili. Nino Saverio Basaglia si può dire sia stato un “faro” per molti
giovani modenesi. Uomo di fede adamantina, con il suo “pizzetto” e
la sua figura “carismatica”, sapeva cogliere le istanze giovanili in
modo lucido e razionale. Sindacalista pieno di “verve”, dotato di
vasta cultura, scrittore, giornalista, combattente in Albania sul Monte
Kosica con le Camicie Nere modenesi, aveva attraversato tutti i momenti
più difficili del periodo della Rsi, riusciva sempre ad instaurare un
rapporto di vero “cameratismo” specialmente con i giovani, dando
loro quella “sicurezza” necessaria anche nei momenti più difficili. L’Avv. Gino Mori, primo Consigliere Comunale del MSI della nostra
città, per la signorilità, compostezza, rettitudine che lo
distinguevano, seppe conquistare le simpatie e il rispetto anche degli
avversari, in quella difficile arena nella quale venne a trovarsi. I
suoi interventi in consiglio comunale furono sempre apprezzati per il
suo senso di moderazione e di civiltà. L’Ing. Bruno Rivaroli, uomo partito: vivacissimo, piccolo e minuto
ma carico di energia, i suoi interventi nelle riunioni in sede, nei
tantissimi anni di sua
militanza (si è spento alcuni anni or
sono quando ne aveva compiuti novanta), avevano sempre un aspetto
e un contenuto significativo per tutti i presenti. Aveva avuto un ruolo
importante in quel di Pavullo durante il periodo dei “Seicento
Giorni”, contraddistinto anche da polemiche, durante e dopo, sia con
gli avversari politici sia all’interno dello stesso MSI. Fu per lunghi
anni Consigliere Provinciale, dove si confrontò sempre ad armi pari con
la “marea” di comunisti, socialisti e democristiani, che doveva
affrontare in memorabili battaglie. La Sig.na Lina Grandi, responsabile del settore femminile del MSI ebbe
un ruolo rilevante nei direttivi dei primi anni del partito a Modena. Ha
curato con competenza e sacrificio la ricostruzione degli schedari dei
Caduti della RSI in territorio modenese, dirigendo la sezione
dell’Associazione Nazionale Caduti e Dispersi della RSI, curando
inoltre la sistemazione, al cimitero di San Cataldo, del piccolo
sacrario dei Caduti. Assieme a Lei ha seguito, con particolare competenza e partecipazione
quel settore, il Rag. Fabio Rebucci, fratello di un caduto Repubblicano,
ucciso dai partigiani di Moranino, nell’efferato eccidio delle carceri
di Novara nell’immediato dopoguerra. Dei primi anni di vita del Movimento Sociale Italiano a Modena ricordo
ancora il Dott. Vincenzo Marino e l’Ing. Gianfranco Bacchi, fratello
di Annamaria, uccisa dai partigiani pochi giorni prima della fine della
guerra, il Prof. Mario Ciulla, il Prof. Primo Guerzoni di Mirandola,
Manfredo Garuti, Fausto Greco, Brenno Moretti, Enzo Beltrami, Nino
Gualtieri, Libero Todaro; di molti altri si avrà modo di ricordarli man
mano che procede il racconto. Erano
anni di difficoltà e contrasti interni al partito, di non poco conto.
Ci fu un momento in cui non si riusciva ad eleggere il Segretario
Provinciale e da Roma fu inviato un Commissario Straordinario, che resse
la Federazione per circa un anno, Franco Dragoni. Era, come si suol
dire, un “fegataccio”, non aveva difficoltà ad esporsi in prima
persona, anche perché proveniva da esperienze romane di quelle
“toste”. Gli
inizi degli anni ’50 furono, per il Raggruppamento Giovanile del MSI
pieni di attività. Le manifestazioni studentesche per Trieste Italiana,
erano sempre seguitissime. I numerosi e “vivaci” cortei; per il
centro di Modena, guidati dagli Universitari del Fuan e dagli studenti
medi della “Giovane Italia”, riuscivano a portare migliaia di
studenti dell’Università e delle scuole medie superiori, al canto di
inni nazionali e con lo sventolio di innumerevoli bandiere tricolori, a
percorrere quelle strade del centro storico che, negli anni settanta
videro invece sfilare gli studenti modenesi al seguito delle “bandiere
rosse” e vietnamite. Ricordo che ad una di quelle manifestazioni del 1951, il corteo degli
studenti fu bloccato dalla polizia e dirottato per strade diverse da
quelle programmate; di solito si percorreva la Via Emilia per concludere
la sfilata al Monumento dei Caduti sui viali del parco cittadino. Quel
giorno i gruppi si dispersero per Via Università e nelle strade
adiacenti, per ricompattarsi di nuovo sotto i portici del Collegio.
Proprio in pieno centro, tra il bar Molinari e l’edicola della
“Rosina”, si venne a trovare il questore (uomo di piccola statura e
grassottello) contornato da numerosi agenti di polizia.
All’improvviso, dal gruppo degli studenti, si alzò un coro: “Lo sai
che i papaveri sono alti alti alti e tu sei piccolino e tu sei
piccolino….” (era l’anno della canzone di Nilla Pizzi al Festival
di San Remo). La “presa in giro” degli studenti non piacque al
questore che ordino una carica violentissima sotto al Portico del
Collegio, con le camionette della “Celere” che facevano evoluzioni
“pazzesche” tra le colonne dei portici e la Via Emilia, con i
tavolini e le sedie del bar Nazionale che volavano da tutte le parti e
con gli studenti che, o si rifugiavano nelle stradine laterali dentro ai
portoni, o si “aggrappavano” alle colonne e ai “fittoni” del
Portico ove solitamente si era soliti passeggiare per lo “struscio”.
I manganelli e gli “sfollagente” dei poliziotti, roteavano
sulle schiene e sulle teste dei giovani che avevano “osato”
schernire l’autorità costituita. Lo scrivente di queste note organizzava le manifestazioni
all’interno dell’Istituto Barozzi, nella maggior parte quegli
scioperi partivano proprio da quella scuola, poi ci si recava davanti al
Liceo Scientifico “Tassoni”, al Liceo Classico “Muratori”,
all’Istituto Magistrale, all’Istituto Corni e al Liceo d’Arte
“Venturi” a cercare di far uscire dalle aule quelle scolaresche. In
alcune circostanze mi capitò di “prelevare”, dall’ufficio di
Presidenza, la bandiera tricolore, con il Preside, Prof. Mario Negri,
che mi rincorreva per i corridoi del vecchio convento di Corso Cavour
dove si trovava allora il “Barozzi”, poiché non gradiva quel primo
tipo di “esproprio”. Era ovvio che al termine della manifestazione
il tricolore ritornava al suo posto, magari attraverso la consegna ai
bidelli e non al Capo d’Istituto, per ragioni comprensibili. Noi avevamo la soddisfazione, mentre sfilavamo per le strade della
città di ricevere il plauso e il saluto di tanti cittadini che, al
passaggio del tricolore, si sentivano in dovere di segnalare il loro
gradimento partecipando in quel modo al nostro entusiasmo. Il 10 e 11 Giugno di quell’anno, partecipai al raduno dei
Bersaglieri a Gorizia; andai con un gruppo di reduci, cercando di
rappresentare e onorare il “piumetto” di mio fratello che, Ufficiale
del 3° Reggimento Bersaglieri, non era tornato dai campi di
concentramento sovietici. Fu una giornata di vibrante italianità e mi
resi conto del dramma che stavano vivendo quelle popolazioni. Gorizia
era divisa a metà, una parte italiana, l’altra jugoslava. Entrai in
una casa dove sui pavimenti, segnato da una grossa striscia rossa, vi
era il confine, se valicavi quella linea ti trovavi in territorio
Yugoslavo con tutte le conseguenze che potevi correre. Era un clima
allucinante e assurdo. Si andava, in quei primi mesi del 1951, in giro frequentemente per
comizi e ad ”attaccare” manifesti elettorali sui muri della città;
frequentemente ci si “scontrava”, più spesso a parole, ma qualche
volta anche con brevi tafferugli, in modo particolare con i “rossi”.
Era normale che si facessero le “ore piccole”, logicamente la mia
attività sportiva e le mie lezioni scolastiche subivano pesanti
“contraccolpi”. Il 10 Giugno ci furono, sul nostro territorio, le elezioni
amministrative alle quali partecipò, per la prima volta, anche il
Movimento Sociale che ottenne un buon successo conquistando, con 2.153
voti, il 3% ed eleggendo il primo Consigliere Comunale nella figura
dell’Avv. Gino Mori. Gli altri partiti si
attestarono sui seguenti valori: Area di sinistra: PCI 32.427 voti con
il 44,6%, il PSI il 7,8% l’IS il 2,1%. L’area di centro vide la DC
al 30,8%, il PSULI lo 7,8%, il PLI il 2,7% e il PRI lo 0,7%. Si presentò
anche il PNM (Partito Nazionale Monarchico) che ottenne lo 0,5%. Partecipai, sempre in quell’anno, al campeggio organizzato dalla Giovane Italia al Parco Nazionale d’Abruzzo, nelle vicinanze di Villetta Barrea, splendida località inserita in una natura bellissima, tra il Monte Meta e la “Camosciara”, con l’orso marsicano sempre nelle nostre vicinanze, ci fece visita notturna alcune volte, ripulendo i pentoloni con i resti della nostra cena. Erano con mè altri modenesi, Carlo Luppi, Libero Todaro, Franco Casolari, Carlo Poppi e Libero Lolli. Furono quindici giorni splendidi, anche perché quelle furono le prime “vere vacanze” che riuscivo a fare. Quando lessi, a distanza di tempo, che il Msi organizzava, in terra d’Abruzzo, campeggi paramilitari, restai esterrefatto. Ma dove? Ma quando? La mia esperienza con i “camerati” romani fu di tutt’altro tipo. Si cantavano sì, canzoni nostalgiche assieme agli struggenti cori alpini, la sera attorno ai fuochi, si discuteva anche di politica, ma la nostra vita quotidiana trascorreva, tra escursioni agli splendidi monti che ci circondavano con camminate che duravano ore e ore, e la preparazione del cibo: occorrevano circa due ore di cammino per raggiungere il paesino di Villetta Barrea e fare i nostri rifornimenti. Mai, dico mai, ho avuto il sentore della presenza di armi e nemmeno di proposte a compiere esercitazioni paramilitari. La nostra era, una dimensione puramente cameratesca e sportiva. Il 6 Novembre vi fu l’inaugurazione della sede del Msi in Via Cesare
Battisti, finalmente locali abbastanza ampi. A quei tempi, la sede era
frequentata da tantissimi giovani, studenti e lavoratori e, in
quell’ambiente, ebbi la possibilità di crearmi delle buone amicizie,
non solo sul piano politico, ma fondamentalmente su quello umano. Cito
coloro che mi vengono alla memoria: di tanti avrò modo di parlarne in
questo mio ricordo della vita del movimento sociale dei primi tempi: il
Prof. Franco Bartolamasi, il Dott. Gianpaolo Manzini, il Prof. Pietro
Cerullo, il Dott. Gianni Calabrese, l’Avv. Adriano Sciascia, Sergio
Bacchi, Nino Gualtieri, l’Avv. Leopoldo Parigini, Erio Pellicciari,
Giancarlo Monducci, Arturo Messerotti, Sergio Franchini, Enzo Cavazza di
Carpi, Trentini Rodolfo di Pievepelago, Dino e Rosanna Orsi di Carpi,
Manfredo Garuti, Vittorio Ledi di Carpi, Otello Rovatti, Dino Corradi,
l’Ing. Turno Sbrozzi e Alfredo “Dino” Ferrari, nato il mio stesso
anno, il 1932, e che, di tanto in tanto, nonostante la sua già evidente
“distrofia muscolare”, frequentava la nostra sede ma che, per
evidenti ragioni, non era molto presente alle nostre azioni più
“dinamiche”. Una sola volta gli chiesi: “Ma cosa ne pensa tuo
padre di questa tua frequenza nel nostro ambiente?” mi rispose “che
gli andava bene”. Quando ne parlai con mia madre, che era stata amica
della moglie di Enzo Ferrari, ne uscì anche un piccolo “gossip” che
allora non mi interessava più di tanto. Il 17 novembre 1951 il principe Junio Valerio Borghese aderisce al Msi,
che dirama in proposito un comunicato con il quale saluta "con
senso commosso di orgoglio" l’ingresso di Borghese nel partito,
affermando: "L’atto del Comandante probabilmente altro non fa che
dare crisma di ufficialità a quella comunione di fede e di intenti che
ha sempre legato il Partito all’Eroe; ma non è per questo meno
importante ed indicativo agli effetti politici e morali… ". La vita al partito andava avanti, per il sottoscritto, con alterne
vicende poiché avevo frequenze attive in altre compagnie, di
conseguenza la mia presenza non era costante. Sempre nel 1951, agli
inizi di Settembre vi fu uno scontro con i comunisti. Uscivamo da una
serata a casa dell’Avv. Araldi, non ricordo se in Via G. Guarini o in
Via Saragozza e, dopo cena, ci incamminammo per i viali cittadini in un
bel gruppetto, per una salutare passeggiata “digestiva” dopo la
“mangiata” di gnocco e salumi annaffiata da buon lambrusco:
certamente vi furono anche una serie di canti “nostalgici”, quando
arrivammo in Viale Berengario all’altezza circa di Via Voltone e di
Via della Cerca, sbucò all’improvviso un gruppo di comunisti armati
di catene e spranghe. Ci fronteggiammo in “cagnesco”, qualche
spintone un po’ violento e qualche cazzotto ci furono prima che
arrivassero le camionette della polizia, probabilmente avvertita da
qualche cittadino, che misero termine alla “vivace discussione” con
alcuni fermi da entrambe le parti. Il giorno seguente, sul quotidiano
comunista, fu pubblicato un lungo articolo che deprecava “la bravata
notturna” dei soliti fascisti, con argomentazioni che niente avevano a
che vedere con la realtà di quell’episodio. Nel 1952, a L’Aquila, dal 26 al 28 Luglio si svolse il terzo
Congresso del MSI con la guida del Segretario Nazionale Augusto De
Marsanich, che aveva sostituito Giorgio Almirante. Già prima, all’interno del vertice del partito, si era creata
notevole tensione per il rifiuto della corrente di sinistra ad accettare
l’intensificarsi dei contatti con la destra monarchica e
democristiana; vi fu anche una piccola scissione dei quadri piemontesi
con la costituzione di un Gruppo Autonomo Repubblicano. Il grosso
successo del Partito alle elezioni amministrative diede la possibilità
di contenere gli scontri tra “falchi e colombe” e la sinistra, pur
avendo avuto al Congresso, una vittoria sostanziale, si vide costretta
ad accettare e ad abbozzare le posizioni “filo-atlantiche” dei
moderati. Il 1953 fu l’anno del consolidamento su tutto il territorio
nazionale del Movimento Sociale Italiano che ottenne, alle elezioni del
7 Giugno un notevole successo elettorale; alla Camera 1.582.567 voti
pari al 5,8% portando in parlamento 29 Deputati , e a1.473596 voti pari
al 6,0% al Senato dove entrarono 9 Senatori. A Modena la battaglia
elettorale fu accesissima, striscioni per le strade, manifesti su tutti
i muri, volantini che ricoprivano letteralmente le strade, comizi ad
ogni angolo di strada, tutto il partito, in modo particolare il
Raggruppamento Giovanile, fu tenuto, per alcuni mesi, notevolmente
“sotto pressione”. La posizione del Msi in questa tornata confermò, in parte, le
elezioni amministrative del ’51; con 2.215 voti pari al 2,8%. Sempre a
destra si presentarono anche i monarchici che, con 994 voti ottennero lo
1,3%. Discreto il successo dei partiti di centro con la DC che raggiunse
il suo massimo storico con il 32,0% e 24954 voti, lo PSDI 5.314 voti con
il 6,8%, il PRI 441 voti e lo 0,6% e il PLI al 2,4%. L’area di
sinistra subì un netto ridimensionamento, con il PCI “ridotto” al
41,5% con 32.445 voti, il PSI con voti 7.160 e il 9,6% e l’UP 1303
voti pari al 1,7%. Il 5 marzo 1953 muore Giuseppe Stalin. A Modena i
“rossi” inscenarono una veglia funebre. Ricordo che alla Camera del
Lavoro, in Via San Vincenzo angolo Via Modonella, era stata allestita
una camera ardente con la fotografia del defunto e con la folla
comunista in “adorante” processione a portare l’estremo saluto al
“sanguinario” dittatore russo. Ovviamente a destra vi era un clima completamente
opposto, però non andarono “in scena” quelle manifestazioni che
molti giovani della “Giovane Italia” avrebbero voluto allestire.
Certo, pensare a come gli italiani avevano trattato il “loro”
dittatore a Piazzale Loreto e vedere come invece osannavano il defunto
“baffone”, senza conoscere le devastanti conseguenze che il
comunismo aveva portato nella stessa Russia, non poteva essere accettato
dagli uomini che si erano battuti contro il “moloch” moscovita. La “rossa” Modena sembrava dovesse
ridimensionarsi su posizioni più vicine alla media nazionale, ma fu una
“pia illusione”. Obiettivamente la situazione della destra modenese
era, in quegli anni, abbastanza positiva; la massiccia presenza di
giovani faceva ben sperare nel futuro ma, come sempre accade per i
giovani, l’inserimento nella vita lavorativa con i problemi familiari
che man mano emergono, con le situazioni economiche personali, nella
maggior parte dei casi difficili, tanti di questi, con il passare degli
anni affievolirono la loro tensione ideologica e si emarginarono
gradualmente; molti passeranno anche sull’”opposta sponda”. I Segretari del partito e le Direzioni che man mano si avvicendavano
alla guida del MSI, in Provincia di Modena, si trovarono sempre ad
affrontare difficoltà quasi insormontabili. Benefici economici non
c’erano, anzi spesso si dovevano fronteggiare certe situazioni, di
“tasca propria”, le “sovvenzioni” di qualche privato non erano
sufficienti, le conflittualità interne sempre attuali, la
“pressione” pesante dei “sinistri” che dominavano e dominano
ancora il territorio, oltre a tante frange di area democristiana e
clericale, non davano quel margine di “sicurezza” per gestire un
partito politico in quelle particolari condizioni. Bisogna dare atto a
tutti coloro che si sono impegnati nell’”area di destra”, di aver
avuto il coraggio morale e civile di affrontare una difficile battaglia
in anni irti di ostacoli, che vanno dal 1950 al 1990. Il 4° congresso del Msi, si tenne nei primi giorni del
1954, da 9 all’11 Gennaio, a Viareggio. Le varie anime che costituivano, sia a Modena, che in tutta Italia
l’ossatura del MSI, si scontrarono nuovamente al Congresso, nella
splendida località della Versilia, dove, ai lavori congressuali furono
presentate tre mozioni; quella di maggioranza: “Per l’Unità del
Movimento” alla quale aderisce anche Giorgio Almirante, su posizioni
atlantiste e favorevoli alla collaborazione con il PNM, disponibili
inoltre alla contrattazione parlamentare; la mozione di “ sinistra” con la presenza di uomini quali
Bruno Spampanato, Giorgio Bacchi, Palamenghi-Crispi e chiamata “Per
una Repubblica Sociale” ed una terza mozione che rappresentava le
istanze del “Raggruppamento Giovanile Studenti e Lavoratori” con
alla testa, Pino Rauti, Enzo Erra e Pino Romualdi, che sostenevano la
tesi che “sia il marxismo sia il capitalismo sono i nostri mortali
nemici in quanto rappresentano in pratica la stessa concezione di vita
che è inconciliabile con quella che anima le nostre idee”. Nella
mozione finale si troverà un “aggiustamento” in modo da poter far
entrare in Comitato Centrale tutte le componenti, saranno in 66 quelli
del gruppo “centrista”, in 31 quelli di “sinistra” mentre i
restanti 22 andranno al gruppo di Rauti e Romualdi. Alla fine vi fu soddisfazione da parte di tutti poiché si videro, in
parte, superate le incertezze e le preoccupazioni sorte nei precedenti
Congressi, sentendo di aver conquistato, anche sulla base dei positivi
risultati elettorali, legittimità e cittadinanza politica. In
conseguenza a questa situazione, durante il mese di ottobre del’54, il
Segretario del Partito Augusto De Marsanich passerà le consegne a
quell’abile mediatore e tessitore di alleanze che è stato Arturo
Michelini che reggerà le sorti del MSI per un lungo periodo, sino al
1969. Personalmente, negli anni dal 1953 al 1956, frequentando l’Isef
romano, durante i mesi invernali, e lavorando in quelli estivi, presso
l’Istituto Autonomo delle Case Popolari per potermi sostenere le spese
degli studi, non ebbi molto tempo da dedicare al partito; molti episodi,
specialmente della vita modenese, li imparavo a distanza di tempo, o
dalla lettura dei giornali, o da qualche rara comunicazione da parte
degli amici rimasti a Modena. Una delle ultime mie partecipazioni, di
quel periodo, avvenne il 4 Novembre 1954 quando, con un gruppetto di
modenesi si partecipò, a Trieste, all’immensa manifestazione di
patriottismo che vedeva ritornare quella città sotto la giurisdizione
italiana. Dopo tutti gli scioperi e le manifestazioni studentesche alle
quali avevo partecipato negli anni precedenti per cercare di ottenere
questo risultato, mi pareva opportuno essere presente, quel giorno,
assieme a centinaia di migliaia di italiani, a quella grande festa
Tricolore. Un’altra imponente manifestazione, alla quale partecipai, trovandomi
in quel periodo a Roma, fu quella dei grandiosi funerali del Maresciallo
d’Italia Rodolfo Graziani che era deceduto l’11 Gennaio 1955. Le elezioni amministrative del 1956 diedero un ottimo risultato al MSI
che al Comune di Modena conquistò , con 3.455 voti il 4,3% e due seggi;
per gli altri partiti furono questi i risultati: PLI 3.354 4,1%; PSDI
6.752 voti e il 7,8%; la DC con 22.965 voti e
il 28,4%; il PS 9.178 voti, l’11,4%; il PCI con 35.158 voti
ottenne, il 43,45%. A Modena, in quegli anni, si verificarono due episodi dei quali venni
a conoscenza a distanza di tempo e cioè di un tentativo fatto, si
diceva, da due militanti di destra, di incendio alla sede dell’Anpi e
dell’esplosione di un ordigno alla redazione modenese dell’”Unità”;
per quest’episodio venne “fermato” un giovane missino. A fine Ottobre 1956 inizia la rivolta Ungherese, che sarà repressa
nel sangue dai carri armati russi. Vi furono decine di migliaia di morti
e tutto il mondo rimase sbigottito dalla ferocia dei sovietici, i quali,
chiamati dai comunisti ungheresi che si vedevano sfuggire di mano il
loro potere, appoggiati dall’Internazionale comunista e dal Partito
Comunista Italiano soffocarono brutalmente quell’audace tentativo di
ribellione. Grosse responsabilità vi furono da parte di certo mondo
occidentale che, in precedenza, attraverso le radio in lingua ungherese,
dichiaravano che il: “così detto mondo libero” era pronto a dare
tutto l’aiuto possibile a sostegno dei “rivoltosi” La
contemporanea azione anglo-francese contro gli egiziani, la chiusura del
Canale di Suez e la conseguente grave crisi internazionale, fu la causa,
almeno apparente, dell’abbandono, al loro tragico destino, del popolo
ungherese. A distanza di cinquanta anni, i “capoccioni” rossi nostrani, che
allora non presero le distanze, anzi applaudirono l’intervento
sovietico, si sono dimostrati “pentiti” di quanto successo allora e
sono andati in “pellegrinaggio” a portare corone di fiori e
“lacrime di coccodrillo” sui luoghi dello sterminio del popolo
ungherese A Modena, come in tutte le città italiane, i giovani di destra non
persero l’occasione per dimostrare la loro rabbia e il loro disgusto
verso l’intervento russo, ma in particolare contro l’appoggio
incondizionato dei comunisti nostrani a tanta barbarie. Sfilate per la
città, bandiere rosse trascinate nella polvere e bruciate davanti alla
sede del Partito Comunista in Via Ganaceto. I “rossi” non muovevano
un dito, nascosti nelle loro “tane”, non si vedevano in giro,
nemmeno i rari personaggi che, in quei giorni, presero le distanze
dall’interventismo “togliattiano” e da tutto il suo
“entourage”. Raggiunsero la nostra città alcuni ragazzi ungheresi
che riuscirono a fuggire dalla loro Patria, accolti da alcune
organizzazioni modenesi; ebbi modo di conoscerne alcuni; ci raccontarono
episodi di un’incredibile efferatezza commessi, non solo dai
“padroni” sovietici, ma dai comunisti ungheresi, che protetti dai
carri armati, stavano riprendendo il potere. Pochi giorni dopo quei fatti, dal 24 al 26 Novembre, si svolse a
Milano il 5° Congresso del MSI, che vide l’ultimo forte attacco della
“sinistra” alla dirigenza”moderata”. Vi furono forti tensioni e
“scontri” tra le varie fazioni. Vi sarà un “compromesso
dell’ultimo minuto, merito e del cedimento di Arturo Michelini sulla
maggioranza dei punti in discussione e dal ritiro di un emendamento di
Giorgio Almirante sull’alleanza con i monarchici, che porterà ad una
votazione unitaria sulla mozione finale. Vi fu anche l’uscita dal
Partito da parte di alcuni componenti il gruppo rautiano di “Ordine
Nuovo”. Un grosso successo politico, per la Segreteria Michelini, fu quello,
durante il Governo di Adone Zoli, per il trasferimento a Predappio, il
30 Agosto 1957, della salma di Benito Mussolini. L’inserimento, nella vita politica nazionale, del MSI raggiunse il
suo obiettivo contribuendo con i suoi voti all’elezione per la
Presidenza della Repubblica, di Giovanni Gronchi e sostenendo, in alcuni
casi, i Governi Pella e Segni. Questa posizione, che allontanò dal
Partito la parte “antisistema” e l’allontanamento di alcune figure
carismatiche, comporterà un costo elettorale al MSI. Difatti, alle
elezioni politiche del 1958 vi sarà un lieve calo, avendo ottenuto alla
Camera, 1.407.919 voti pari al 4,7% con l’elezione di 24 Deputati e
1.149.000 voti , pari al 4,4% al Senato con l’elezione di 8 Senatori. Al Comune di Modena il MSI ebbe il 3,18% pari a 2.791 voti. Gli altri
partiti: PCI, 40,33% con 35.355 voti, la DC il 30,58% con voti 26.810; i
socialisti PSI ottennero 12.188 voti e il 13,90%; il PLI 3.269 voti e il
3,18%.
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