Modena vista da destra

Modena vista da destra - Gli anni dal  1945 2008

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Indice dei capitoli Da Modena a Tambow senza ritorno Rossi o Neri?
La Palestra "in centro" Le "tradizionali Vacanze Invernali" La destra Modenese - Anni 50

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INDICE DEI CAPITOLI

 Introduzione                                                          pag.          6

 PARTE PRIMA

 Cap. 1 - Da Modena a Tambow senza ritorno      pag.          9

Corso Vittorio Emanuele – Giochi di strada – La partenza – Lettere ai genitori – Sul fronte del Don – L’accerchiamento – Campo di Concentramento n. 188 di Tambow – La cartolina – 50 anni dopo – I prigionieri italiani schedati – Le bugie del comunismo russo.

Cap. 2 - Io, Modena, la guerra e il dopoguerra     pag.       27

Scuola e amici – Il bombardamento del 13 Febbraio 1944 – Lo sfollamento – Giochi pericolosi – Carri armati tedeschi - Fine della guerra – Gite in bicicletta –Il G.P. Automobilistico del 27 settembre 1947 – Il Cinema.

Cap. 3 - Rossi o Neri?                                             pag.       41

18 Aprile 1948 – I Cordigeri – Gli amici “rossi” – La scelta – Via Celestino Cavedoni – L’Ing. Mario Camerini – Feste private e dancing – Sospensione - La legione straniera – Il fantolino – La legge Merlin – La rotta del Po’ – Pigiami contro camicie da notte.

Cap. 4 - Tra Roma e Modena                                 pag.       57

La Farnesina – La Fratellanza – I Campionati Studenteschi – Il Nirvanetta – Il primo esame non si scorda mai – Olimpiadi di Cortina – A Cavallo! – Judo e Tennis – Vela – Aereo Club – Scherma all’Acqua Acetosa – Il Canottaggio – I Laghetti di Campogalliano.

Cap. 5 - Le “mie” Scuole                                          pag.     77

 Mirandola – Negozio Arte Tecnica – Scuola Media U. Foscolo – Il nuoto – Insegnanti – Gita scolastica – Le settimane bianche – Istituto Magistrale Sigonio – Scioperi Studenteschi – Liceo Tassoni – Liceo Ho Chi Min – Liceo Wiligelmo – Scuola Media P. Paoli – Istituto Medico Psico Pedagogico – I decreti Delegati – Gli scrivani.

    Cap. 6 - La Palestra “in” centro                              pag.    103

 Athletic Club – Gli atleti – I praticanti – Lorini ed Ermanno Barbieri – Il Prof. Soragni – Il Sindaco Camillo Beccarla – Brigate Giallo Blu in San Biagio – La droga – Le feste – I premiati – Anabolizzanti e steroidi – Il 1° Trofeo Grandi Buche – Il crollo – La chiusura.

 Cap. 7 - Le Tradizionali Vacanze Invernali            pag.    123

 Passo di San Pellegrino e dintorni – Sul balcone – I partecipanti – Figli o cotechini? – Nevegal – Solda – Campitello – Il Ghiaione del Pordoi – Scontri a San Pellegrino – Gli anni di Andalo, Pejo, Folgaria e Serrada – L’incidente di Andalo – Sci Club Modena.

 Cap. 8 -  Largo Garibaldi, il Bar Pellini.                 pag.    135

Porta Bologna – Lo stallino - I gruppi del Bar Pellini – Come eravamo – Tutti i personaggi – Il canto del cigno – Quant’è bella giovinezza

        PARTE SECONDA

 La destra Modenese dal ‘50 al duemilaeotto     pag.      147

 Anni    Fine ’40 e ‘50                                            pag.      148

Nasce il MSI – Le prime elezioni politiche e amministrative –

9 Gennaio 1950 – I primi uomini del Msi modenese – Le manifestazioni studentesche per Trieste Italiana – La rivolta ungherese del 1956.

      Anni    ’60                                                             pag.       166

Al Cinema Arena nel 1961 – Congresso di Pescara – Valle Giulia a Roma e contestazione studentesca – Ritorno di Almirante alla Segreteria del Msi – Elezioni a Modena.

 Anni    ’70                                                             pag.       176

La “Destra Nazionale” in Italia e a Modena – Le Direzioni del Msi modenese – Iniziano gli  “anni di piombo” – Sede del Msi a Finale Emilia – Costituzione dell’USL modenese – Il Centro Sportivo Fiamma – La “lenzuolata” di Piazza Grande Congresso di Salerno.

 Anni    ‘80                                                             pag.       190

Strage di Bologna – La “Nouvelle Droite” – Franz Pagliani – Circolo “Cartur” – Crollo del muro di Berlino – Sistemi di repressione “stalinista” a Modena – Avvicendamenti nel Msi modenese.

 Anni    ’90                                                             pag.……202

Candidati modenesi alle elezioni – Chiude il MSI e nasce Alleanza Nazionale – Uomini e donne del Msi Modenese – Nascita della formazione di estrema destra: Fronte Sociale Nazionale, Forza Nuova, Alternativa Sociale.

 Anni 2000                                                             pag.       217

 Le elezioni degli anni duemila– La vittoria di Berlusconi del 2001 e la sconfitta del 2006 – Nascita della “Destra” di Storace – Caduta del Governo Prodi.

Indice dei nomi citati  Parte prima                   pag.            224

Indice dei nomi citati  Parte seconda                pag.            229

 

 

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Inaugurazione della sede del MSI in Via Cesare Battisti Novembre 1951

nell'immagine: Prof. Amerigo Ansaloni, Sig.na Lina Grandi, Avv. Gino Mori


 

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Da Modena a Tambow senza ritorno

 Il Tram correva veloce sui binari al centro del lungo Corso Vittorio Emanuele, una delle strade più belle della mia città, Modena, dove abitavo. L’ingresso della mia abitazione, posto circa a metà del corso, sul lato destro partendo dalla parte posteriore del Palazzo Ducale, sede dell’Accademia Militare, era in un bel palazzo, che nella parte prospiciente il corso era abitato da famiglie abbienti, della “buona” borghesia modenese. L’accesso alla soffitta, dove la mia famiglia era venuta ad abitare da poco tempo, era, dopo aver attraversato il bell’androne ed il cortile interno, su per una scala ripida, che mi portava al quarto piano in una specie di granaio, oggi sarebbe chiamata mansarda, e le finestre, anzi l’unica finestra, si affacciava sul piazzale dove si svolgevano le esercitazioni all’aperto dei cadetti dell’Accademia.

Intanto il tram, raggiunta una discreta velocità, arrivato oltre la meta del lungo Corso, cominciò a far sentire un ta,ta,ta,ta lungo come una raffica di mitragliatrice che sorprese i passanti non residenti (questi vi erano abituati), mentre un gruppo di ragazzini, compreso l’estensore di queste note, si rincorreva lungo il largo marciapiede, esultando e lanciando esclamazioni di gioia per l’ottima riuscita di uno dei tanti giochi che, in quella primavera del 1942, erano soliti fare.

Usavamo, a quei tempi, delle piccole cartucce rosse in strisce non molto lunghe, che, messe nel tamburo dei piccoli revolver di latta o dei fucilini con i quali, noi maschietti di quella contrada, ci divertivamo, sentendo anche il piccolo botto, a condurre le nostre piccole battaglie ad imitazione dei grandi, che in realtà si scannavano sui vari fronti della seconda guerra mondiale.

Quella poi di mettere una serie di cartucce sui binari del tram per sentirne l’effetto della raffica, era uno dei tanti giochi di strada che allora si potevano fare per la scarsità del traffico, assieme alle interminabili corse “dei coperchini”, i tappi di latta delle bottiglie, sui lunghi percorsi dei cordoli del marciapiede o di quelli della banchina dove passavano i tram. Vi erano particolari accorgimenti per rendere più competitivi i nostri tappi di latta, come il riempimento con terra creta, e la smerigliatura dei bordi; molto di moda era anche il gioco delle “bambane” e delle piastre, dove in palio erano sempre le immancabili figurine, dette anche “fifi” (non erano ancora Panini e vi era la caccia spietata al “Feroce Saladino” dei mitici “Tre Moschettieri” del Concorso Perugina) che riempivano le nostre tasche, assieme a biglie, elastici per la fionda, oltre ad altri svariati “piccoli attrezzi”.

I Giardini Pubblici, che avevano l’ingresso sul nostro corso, e in particolare la zona dove insiste ancora oggi il monumento a Nicola Fabrizi, erano il territorio dove si svolgevano tanti dei nostri giochi, come il salto della cavallina, strega a nascondere, guardie e ladri, oltre a  battaglie di vario genere che a volte sconfinavano in quasi risse, perché si usavano sassi e bastoni e spesso si ritornava a casa con qualche “bernoccolo” e qualche sbucciatura, specialmente quando ci si scontrava con le “bande” dei ragazzi o di Via Palestro o di Via della Cerca.

Uno dei giochi più eccitanti, ma tra i più pericolosi, era quello di salire sui respingenti del tram, e si faceva quando il mezzo era in corsa per evitare che, o il bigliettaio o il conducente, si accorgessero della nostra presenza e altrettanto per la discesa. Di norma si faceva tutto il lungo percorso del grande viale, ma spesso si usciva dal territorio raggiungendo, da una parte la Stazione Centrale e dall’altra Piazza Roma o Via Farini.

Un esercizio nel quale alcuni di noi erano diventati “specialisti”, si correva dietro al tram e molte volte in due, ma più spesso da soli, si saltava sul respingente e lì ci si accucciava per non essere scoperti. A parte qualche sbucciatura alle ginocchia e ai gomiti, a mia memoria, non vi furono mai episodi di una certa gravità che un esercizio di quel tipo avrebbe potuto produrre.

Il 27 Maggio di quell’anno, al mio rientro a casa, trovai la mamma in un particolare stato di agitazione; sulla tavola un telegramma:

 Improvvisa partenza. Scriverò. Baci. Augusto

 Era di mio fratello, che, dopo aver concluso il Corso allievi Ufficiali del Terzo Reggimento Bersaglieri a Pola era stato inviato a Cremona per il suo primo impegno di Ufficiale e dove si trovava a quella data.

Non lo ricordo molto mio fratello, data la notevole differenza d’età, undici anni, ma le tante fotografie, i tanti ricordi e racconti dei miei genitori e dei suoi amici, lo hanno fatto rivivere nella mia memoria, come fossi stato con lui ogni giorno.

Andò a studiare a Roma all’età di sedici anni e ritornava a casa per le vacanze, poi il servizio militare, di conseguenza sarò stato tra le sue braccia e avrò giocato con lui solamente in rare occasioni. In ogni lettera che inviava a casa, o nei suoi anni trascorsi a Roma, o durante il servizio militare e in seguito dalla Russia, vi erano sempre, per il suo fratellino, parole d’incoraggiamento per lo studio e per il buon comportamento verso i genitori, gli insegnanti e gli amici.

Quella dello scrivere era una delle sue tante passioni, oltre al disegno, alla musica e lo sport, quasi quotidianamente scriveva lunghe lettere a casa, agli amici, alle amiche e ai parenti (sono in possesso del suo archivio che consta di una serie di cartelle strapiene delle sue lettere). Si pensi che solamente dalla Russia, dove, dal 27 Maggio al 10 Dicembre 1942, data della sua ultima missiva dal fronte, in un periodo di 198 giorni ha inviato ai suoi genitori 140 lettere oltre a decine di cartoline: non si contano poi le lettere inviate agli amici, alle ragazze, ai parenti.

Intanto, in Corso Vittorio Emanuele, i bambini giocavano spensierati ed allegri, senza preoccuparsi, più di tanto, di quello che succedeva ai loro fratelli e ai loro padri sui lontani fronti della Russia, dell’Africa o della Grecia. Durante le belle giornate i territori per le scorribande erano appunto, i giardini pubblici e la contrada nella quale si svolgevano i giochi di strada di cui ho parlato. Nelle giornate piovose e di cattivo tempo ci raccoglievamo nelle case dei più fortunati, che avevano appartamenti spaziosi ed accoglienti, oppure nei locali di vaste dimensioni tipo il garage dell’amico Corrado Gozzi, dove ci si poteva sbizzarrire in giochi svariatissimi; lo scambio ed il collezionismo dei giornalini dell’epoca, oppure i giochi con il meccano portati dai bambini con maggiori disponibilità economiche, che erano messi a disposizione dei meno abbienti, così che il gioco era sempre alla pari. Ci si cimentava anche, in forma molto semplice, nella costruzione di mezzi come monopattini, carriolini, slittini con i quali, in rapporto alle stagioni, si andavano a fare scorribande sui larghi marciapiedi del nostro Viale. Talvolta, quando erano presenti ai nostri giochi anche le bambine, non era difficile arrivare a giocare al “dottore” che è stato senz’altro, per tantissimi ragazzini di quel periodo e non solo per quelli della mia generazione, il modo di fare le prime conoscenze, anche se molto limitate e sempre circospette della corporeità dell’altro da sé, interpretando le prime sensazioni della sessualità incipiente.

La guerra mondiale era sì in atto, ma noi bambini non avevamo, sino a quel momento, il minimo sentore, se non attraverso qualche notizia che ci dava il maestro, sul progresso delle avanzate delle truppe italiane sui vari fronti, visionandole sulle grandi carte geografiche, che si trovavano nelle aule scolastiche a quei tempi. Frequentavo le scuole elementari “De Amicis”, con la maestra Dora Chiomati in quarta classe ed il Maestro Pini in quinta.

Rare volte capitava di andare nelle case di qualche compagno di scuola o di giochi e trovare la radio accesa da dove si potevano ascoltare i bollettini di guerra, che in realtà poco c’interessavano, essendo la maggior parte di noi attratta dalle trasmissioni che mandavano nell’etere le canzonette di Alberto Rabagliati, del Trio Lescano, di Natalino Otto dell’orchestra di Korni Kramer, quali, “Parlami d’amore Mariù”, “Una casetta nel bosco” e tante altre che allora erano di moda.

In casa nostra la prima radio fu acquistata in quell’anno, ma verso la fine, con l’arrivo dei primi stipendi di mio fratello, con i quali mia madre riuscì, dopo alcuni mesi, a comperare una “camera da letto moderna”, per Lui.

Qualche volta con la mamma, o il papà, o tutti assieme, si andava al cinema per vedere i film di Fosco Giacchetti, Amedeo Nazzari, Alida Valli, Assia Noris ed allora era grande festa; “Luciano Serra pilota”, “L’assedio dell’Alcazar”, “Piccolo mondo antico” sono alcuni titoli che ricordo di quel periodo; e negli anni successivi il cinema fù per mé un argomento di enorme interesse.

In quell’estate di guerra, con mio fratello sul fronte russo, quando ancora le sorti del conflitto sembravano essere favorevoli alle forze dell’Asse, feci le mie prime esperienze lontano da casa. La colonia estiva di Sestola aveva sede nel castello che domina la ridente località dell’Appennino modenese dove fummo portati, dalle organizzazioni del partito, con le corriere della ditta “Macchia” che ci fecero vedere, allora si diceva, “i sorci verdi” lungo i tornanti della “serpentina”, la strada che collegava Pavullo a Sestola.

Con altri ragazzini, accompagnati dai maestri della colonia, ci avventuravamo attraverso i boschi sino alle falde del Monte Cimone, alla scoperta di una natura e di un ambiente che ci affascinava e ci coinvolgeva ma che per noi bambini di città, al contrario degli indigeni coi quali venivamo in contatto, restava pur sempre una dimensione di difficile adattamento. La lontananza da casa, i dormitori in camerate comuni, la mancanza dei giochi lasciati in città, facevano sì che ci fossero, in particolare nei primi giorni, momenti di scoramento e di nostalgia che le accompagnatrici e le maestre non riuscivano, pur con tutte le loro buone intenzioni, a farci dimenticare.

Avevo sì vissuto giornate fuori casa, alla colonia elioterapica sul Fiume Panaro, ma erano esperienze di un solo giorno, perché eravamo accompagnati, la mattina a prendere il sole e a fare il bagno nelle acque del fiume, a quei tempi limpidissime, e di pomeriggio si ritornava in città.

Il “viaggio” intrapreso da mio fratello in quella primavera procedeva rapidamente verso il territorio sovietico: il 29 maggio il terzo reggimento Bersaglieri è in Ungheria e il 31 in Romania.

“Carissima mamma, mi sono appena alzato. Ieri sera a Timisoara gli italiani residenti in quella città ci hanno offerto uno splendido ricevimento con visita alla città. Ora stiamo andando verso Bucarest e si costeggia il Danubio. …………..Il tempo è ottimo con un discreto caldo, il morale altissimo. Tra sei o sette giorni arriveremo a destinazione in Ucraina al C.S.I.R. dove pianteremo le tende. Tanti saluti e baci.  Augusto”

 E dopo 11 giorni di viaggio, a suo dire sempre positivo, interessante ed anche divertente, arrivano a destinazione, e l’8 Giugno sono a Stalino da dove scrive una lettera al padre:

 “Caro papà, finalmente ci siamo. Arrivati domenica sera, alla fine della ferrovia abbiamo pernottato in un paese e al mattino ci siamo messi in cammino verso il luogo dove si trova il Reggimento. E’ stata la prima marcia in terra russa prima di chissà quante altre che seguiranno e di chissà quale importanza. …… (e qui descrive le qualità del rancio) ……L’unico disturbo è la visita, ogni tanto, di qualche apparecchio che lascia cadere alcune bombe o qualche tiro d’artiglieria da lontano.

Non so ancora come, ma non ho ricevuto posta né da tè né da mamma poiché i primi ad avere notizia della partenza e l’indirizzo mio siete stati voi. Almeno fino a stamani. Spero arriverà dato che dall’Italia impiega circa 7 giorni come per arrivare a voi da qui. Capirai sono ormai più di 15 giorni che non ho avuto vostre notizie e vorrei sapere almeno come avete preso la mia partenza. State tranquilli che io sto benone e se andrà tutto bene, come giusto che vada, spero fra non molto di riabbracciarvi.

Qui ci sta gente dal Luglio dello scorso anno che ha combattuto e sofferto per tutto il lungo inverno con 50° sottozero, eppure è qui sana e allegra come non mai. Ho incontrato parecchi altri miei camerati e con loro sto sempre in perfetta allegria attendendo quello che ci sarà da fare in seguito. Ieri ci hanno cinematografato per un documentario del glorioso 3° Bersaglieri che, come saprai, qui in Russia si è coperto di gloria sempre e ovunque. Ricevi tanti abbracci e bacioni. Augusto.”

                 Sulla base delle lettere che arrivavano dalla Russia e dalle indicazioni dei bollettini di guerra dei giornali, iniziai, assieme alla mamma a seguire l’itinerario del reparto di mio fratello su di una carta geografica preparata in casa e sulla quale, a grandi linee, si potevano percorre gli spostamenti che nella realtà corrispondevano, molto genericamente, a quello che effettivamente poteva essere il movimento al fronte.

Imparai così i nomi delle città, dei fiumi, dei monti di quella lontana terra, era una lezione di geografia che mi servì anche scolasticamente tanto da avere in quella materia sempre il voto più alto e la maestra, coniò per mè il titolo di “piccolo geografo”.

Le lettere scritte alla mamma avevano sempre un contenuto rassicurante e sulla situazione e sull’alimentazione, poche volte accennavano a fatti guerreschi, che si trovano, con più frequenza, nelle lettere inviate al padre.

 “7 Luglio 1942 - Carissima mamma, sono riuscito a trovare dei fogli e delle buste per combinazione e ne approfitto subito per scriverti………Qui c’è solo abbondanza di frutta e di vecchi con barbe lunghe fino ai piedi e pieni di pidocchi. Ora comincio a balbettare qualche frase in russo e credo che, se starò qui parecchio, lo imparerò discretamente. Siamo un po’ lontani dalla prima linea, si sto benone e si fa vita di caserma. Sono contento di essere stato anche “lassù” dove si sparava e aver fatto i miei giorni a contatto col nemico.  Infatti qui facevamo cura del sole e un po’ d’istruzione indispensabile, suoniamo dischi in tutte le lingue finché non arriverà l’ordine di caricare il materiale sui camion e andare avanti. Sono le 6,30 di pomeriggio, fra una mezz’ora a mensa poi due chiacchiere e dopo poco a letto. La sveglia è alle 4 perché qui il sole si alza prima essendo spostati di due fusi orari verso est e a quell’ora già scotta dato  che l’alba è alle due e mezza.

Ogni tanto passano apparecchi russi – si sente un fuoco infernale e qualcuno viene a sbattere il muso giù- una confusione che dà un bellissimo spettacolo specialmente di notte quando si spara con le pallottole che lasciano dietro di se una striscia luminosa. Io sto sempre benone, quando non so che fare o mangio o disegno o scrivo…….Qui salvo gli aeroplani non sembra nemmeno di essere in guerra, ma non può durare tanto a lungo ed è naturale. Ti bacio tanto insieme a Bruno che non scrive mai. Augusto.”

 Le varie località delle zone interne della Russia, dal Donetz al Don, cominciarono a diventarci abbastanza familiari, si andavano a cercare sulla carta geografica i centri come Stalino, Karkov, Kursk, Voronej, Jagodnij dove ad iniziare dalla metà del mese di Luglio iniziò l’offensiva delle forze italo-tedesche e nella quale si trovò coinvolto il 3° Reggimento Bersaglieri della Divisione Celere, alla quale apparteneva mio fratello. Dal Donetz al Don vi fù una grossa avanzata.

Il giornalino del 3° Bersaglieri, al quale collaborava con scritti e disegni anche il sottotenente mio fratello, chiamato “In Bocca all’Orso” raccontava, con enfasi e con lo stile propagandistico dell’epoca, dei grandi successi riportati, ma anche dei piccoli episodi che avvenivano tra i soldati, delle esperienze nei combattimenti e dei rapporti con la popolazione delle contrade nelle quali si venivano a trovare i bersaglieri, con racconti che denotavano sempre la cordialità reciproca tra i civili e i militari italiani. Così scriveva al padre:

 “17 Luglio – Carissimo papà, ti sto scrivendo piuttosto scomodo sopra una cassetta di munizioni. Sono sei giorni che ci siamo mossi da dove stavamo e siamo avanzati per una cinquantina di Km. I russi finora non hanno opposto molta resistenza e salvo qualche piccolo combattimento se la sono sempre data a gambe, meno ora che si sono posti in difesa. Gli aeroplani passano continuamente e scaricano su di loro le pillole che tengono nei loro ventri capaci, vedessi che colpi! Dormiamo sempre all’”Albergo della Luna” con un po’ di fresco ma in complesso si stà benone anche come mangiare, che come sai è una cosa abbastanza importante.

Salute sempre ottima, morale ancor di più, meglio non può andare. Speriamo continui così e andrà tutto bene. Ti saluto e ti mando tanti baci. Augusto.”

 A Modena, i ragazzini di Corso Vittorio Emanuele che seguivano gli avvenimenti della guerra in modo molto relativo, sono sempre alle prese con i loro giochi e la maggior parte delle ore in quelle calde giornate estive si trascorrevano nell’oasi di verde dei vicini giardini pubblici. Mio fratello scriveva tante lettere, ma ai genitori non raccontava gli aspetti più crudeli della guerra, cosa che invece faceva con amici o conoscenti, come questa lettera inviata ad un’amica della mamma che abitava in riviera ligure e della quale sono riuscito ad entrarne in possesso dopo del tempo.

 “Graf-Voronez - 18 agosto 1942 – Gent.ma Signora Maria Rosa, non potete immaginare con quanta sorpresa abbia ricevuto la vostra lettera dopo tanti anni che non avevo più vostre notizie. E’ stato quindi con vero piacere  che ho appreso della visita fatta a Modena a mia madre che sarà stata felicissima di rivedervi. Se non sbaglio l’ultima volta fu nel ’38 quando abitavamo ancora in Via Cesare Battisti ed io mi trovavo in licenza dall’Accademia di Roma. Da allora quante cose, quanti cambiamenti sono avvenuti e come vedete da Modena a Roma, a Milano, Bologna, Pola, via Cremona sono arrivato in Russia dopo circa 20 mesi di servizio militare. La strada è stata dura e faticosa. Proprio oggi siamo scesi dalla linea per un periodo di assestamento del fisico e del morale dopo circa un mese e mezzo di continui sacrifici, di combattimenti. E’ stato un periodo addirittura apocalittico quello che ho vissuto: combattimenti, attacchi, assalti, lotte furiose sotto fuochi infernali, visioni di carri armati, tempeste di proiettili e purtroppo altri spettacoli di puro eroismo ma di grande dolore. Ho visto cadere, quando più cruento era il combattimento, tanti miei colleghi ufficiali , che come me erano cresciuti nel clima ardente dell’entusiasmo e della fede e con me erano partiti gloriosi del loro piumetto di una indomita passione bersaglieresca, e come tanti colleghi nello stesso modo, vicino a me tanti miei bersaglieri hanno irrorato col loro sangue purissimo questa maledetta terra che rimarrà nei secoli testimone del loro sacrificio……………….Tanta gente si lamenta dell’Italia ma vorrei prelevarli io quei signori e portarli un po’ in Russia a vedere cosa c’è di nuovo e di bello nel famoso paradiso di Stalin. Faccio presto a farvi una breve sintesi di questo inferno dei vivi, strade niente, case fatte di fango e sterco animale, dove dentro sentite e vedete gli odori e gli animaletti più strani. Gli abitanti luridi e pezzenti quanto mai, donne comprese. Solamente a Voroscivolgrad, che è una città grandissima però sempre ugualmente lurida ho visto qualche ragazzetta con labbra dipinte e capelli corti (moda 1925). Indubbiamente la civiltà qui in Russia è progredita unicamente nell’industria di guerra e nelle macchine agricole…………..Ora cado di nuovo nella politica che in una lettera ad una signora che si vuole informare del proprio stato di salute, c’entra come i cavoli a merenda.  State pur sicura che alla mamma scrivo spesso poiché comprendo il suo stato d’animo nel non avere mie notizie. Se è stata tanti giorni senza avere posta il fatto è dovuto che io ero nella assoluta impossibilità di scrivere trovandomi in linea, possessore dei vestiti che indossavo più l’elmetto, la rivoltella e le bombe a mano. ……….. Ora lascio di scrivere, poiché credo di avervi fatto perdere già tanto tempo e poi si avvicina l‘ora della mensa che è sempre oltremodo gradita, tanto più che qui, fortunatamente, non si soffre di razionamenti, ma al contrario si mangia ottimamente. Spero vi ricorderete ogni tanto di me con qualche scritto che mi giungerà sempre graditissimo, insieme a voi unisco i miei più affettuosi saluti a Carla e Baby che anch’io ricordo tanto caramente. Augusto:”

 Malgrado si sia lontani da Modena migliaia di chilometri, è sempre forte, per tutti i modenesi, il desiderio di rivedere la Ghirlandina, o di sentire qualcuno che ti parla in dialetto. Il bersagliere Augusto nel suo peregrinare tra 18°, 20° e 25° battaglione del Terzo Reggimento, non aveva commilitoni della nostra città. Così raccontava in un suo scritto l’incontro con un concittadino:

 “8 Settembre 1942 - Carissima mamma, mi sono appena alzato – fa ancora fresco, ma un bel sole non tarderà a scaldarci……………….Ieri sera è venuto all’accampamento l’auto sonoro e ci ha fatto sentire le ultime novità di canzoni italiane. I bersaglieri erano tutti contenti a sentire quella musica che li avvicinava un pò alla Patria lontana, e uno di loro mi ha detto: eh Sig. Tenente, bei tempi quando si andava a ballare e la Russia non si sapeva nemmeno cosa fosse! E’ proprio cosi. Sai che è da Maggio che non parlo in dialetto modenese con qualcuno di Modena – ah nò. In Luglio durante la famosa avanzata incontrai una camicia nera che urlava a un suo amico in perfetto modenese. L’ho chiamato e mi ha detto che abita in Via Voltone, mi ha riconosciuto per un frequentatore del G.U.F. quando si ballava e lui suonava in quell’orchestrina. L’unico contatto in tre mesi. Ci sono altri emiliani al Reggimento, pochi in verità e tutti romagnoli venuti dal 6° Bersaglieri…………………..Tanti bacioni. Augusto.”

 

Il terzo Reggimento Bersaglieri, dopo l’avanzata del periodo estivo, era andato a schierarsi sul fronte del Don nella zona di Migulinskaja, mentre il sesto Reggimento si trovava più a sud, in un ansa che il fiume faceva con un suo affluente, il Tichaja. A Nord del Terzo, sempre sulla linea del Don era schierata la Legione Croata e la Divisione Torino. Vi era sempre la speranza, da parte dei soldati, di poter avere una licenza per trascorrere a casa un breve periodo. A fine Settembre, il bersagliere, cosi scriveva:

 

“26 Settembre – Carissima mamma, da qualche giorno hanno aperto le licenze per esami per chiunque debba sostenere qualcuno di questi sia all’Università che in qualsiasi scuola. Dato che l’Accademia non ci fa più sostenere gli esami se non a fine guerra, io vorrei dare l’esame di maturità al Liceo Scientifico, naturalmente per venire a casa un mesetto…………………… Ti voglio dire una cosetta che ti farà piacere: sono stato proposto per la medaglia di bronzo al valor militare per una delle azioni scorse. Non so quale risultato avrà e se riuscirò ad averla. In ogni modo è stata una grande soddisfazione per me veder premiato questo ciclo operativo dopo tutto quello che si è fatto. Ho avuto ieri la comunicazione dal Comando con una motivazione che se te la scrivessi ti metteresti sicuramente a piangere come un vitellino!………….. Tanti bacioni . Augusto.”

 

La calda estate del 1942 stava esaurendosi sia a Modena sia in Russia. Nella nostra città si viveva ancora, abbastanza tranquilli, anche se in molte case si cominciava a piangere per la sorte di un familiare morto, in Africa Settentrionale, nei Balcani o nelle steppe sovietiche. Mia madre fu particolarmente colpita, l’anno precedente, dalla notizia della morte del figlio di una sua cara amica che abitava in Via della Cerca e che scomparve nel Mar Mediterraneo nell’affondamento dell’Incrociatore Zara dove era imbarcato.

Le sorti della guerra si stavano via via modificando, dopo i grandi successi delle truppe dell’Asse, in Luglio iniziò la controffensiva inglese in Libia; in Russia italiani e tedeschi, schierati sul Don, si apprestavano ad affrontare quello che fu il tremendo inverno sovietico del 42-43. Ci si avvicinava così al grande inverno russo e alla tragedia degli italiani sul fronte del Don. A Modena la mia famiglia si era trasferita, con l’aiuto degli stipendi del bersagliere, in un’abitazione più dignitosa, ma pur sempre modesta, in un fabbricato all’angolo tra il nuovo cavalcavia della Sacca e la ferrovia, Via Mazzoni, che era pur sempre un prolungamento di Corso Vittorio Emanuele, perciò rimanevo sempre nella zona dove mi ero creato un buon gruppo di amici con i quali continuavo a trovarmi ed a giocare con loro. L’appartamento era di mio zio, Ruggero Della Casa, che era riuscito ad ottenere un portierato in uno dei palazzi di Viale Crispi, poi colpiti dai bombardamenti. Ci trasferimmo, in seguito alle sollecitazioni del bersagliere che, in continuazione, nella sua corrispondenza con i genitori, li stimolava a cambiare casa.

 

“3 Novembre 42 – Carissimo papà, siamo fermi in un paesetto per una tappa di un giorno: anche queste marce di trasferimento stancano parecchio dato che bisogna andare piano perché si è in colonne lunghissime di camion e non è troppo bello star seduti ore ed ore fra odori di benzina, nafta, polvere e tante altre cosette. Domattina presto riprendiamo la marcia per un altro lunghissimo percorso. Saliamo sempre verso il Nord, finirà che ci troveremo a Mosca senza accorgersene. Comunque tanto lontani non ci siamo. Il tempo si ostina a rimanere bellissimo, non fa freddo affatto mentre l’anno scorso a questo tempo erano già con neve, ghiaccio e furibonde tormente  a parecchi gradi sottozero.

Sono già le 11 e bisogna andare. Oggi si mangia a secco dato che non è possibile fare il rancio: gallette e scatoletta di carne, marmellata e formaggio. Appena arrivato spero di trovare posta tua così potrò subito risponderti. Non ho altro da raccontarti. Mi raccomando fai studiare Bruno e in ogni modo avvisami di come si comporta a scuola. Ora deve frequentare la quinta classe e il prossimo anno dovrà iniziare la Scuola Media. Tanti cari bacioni. Augusto.”

 

Il 3° Reggimento Bersaglieri, contrariamente a quelli che erano i compiti per i quali erano stati istruiti, in concreto, per un impiego eminentemente offensivo in una guerra manovrata, andò a sistemarsi, per la sosta invernale, lunga la sponda destra del Don. Alle spalle le località di Mrychin e Meschtcherjakoff e di fronte, sulla sponda sinistra del Don, la 197° Divisione di Fanteria russa.

 

“28 Novembre 1942 – Carissimo papà, ho appena finito di scrivere i miei conti e subito passo a te. Parlo di conti poiché ora oltre al bersagliere, ufficiale, combattente faccio pure il vivandiere del Battaglione…. Da qualche tempo mi stò digerendo giornalmente qualche centinaio di Km.  – oggi ho portato con mè il cane – non sai che ho un cane? Si chiama Stalin e gli piace il cognac - …… A proposito tra un mese è Natale -mi ricordo quando facevo il presepio per mè poi per Bruno – ora credo sia capace da solo………Il freddo si sente già parecchio ma relativamente dato che abbiamo parecchia roba da metterci addosso. Io finora vado piano a vestirmi poiché quando a Dicembre e Gennaio ci saranno 45° cosa mi metterò?………Tanti bacioni. Augusto.”

 

La corrispondenza da e per l’Italia è ancora regolare per i primi dieci giorni di Dicembre,e si stanno preparando i giorni dell’inferno. L’ultima lettera arrivata a casa, del Bersagliere Augusto, è datata:

 

“12 Dicembre 1942 – Carissima mamma, ho avuto oggi la tua lettera del 28 Novembre e il secondo pacco spedito. Il passamontagna è meraviglioso.  ……. Natale si avvicina – già si vedono arrivare casse di liquori, spumante, panettone Motta per noi che stiamo e che staremo per quella solennità in prima linea. Novità: fa freddo come al solito. Oggi forse finisco di farmi le fotografie e spedisco il pacco. Anzi vorrei uscire subito poiché è uscito un po’ di sole. Ora abbiamo delle bellissime tute bianche con cappuccio per nasconderci sulla neve. Gli elmetti sono bianchi……..Tutti i miei amici, le varie fanciulle, i parenti mi chiedono se è vero che per Natale verrò in licenza. Illusi!….. Hai avuto i quattrini? Fai scrivere un po’ anche al signor Brunello.  Bacioni tanti. Augusto.”

 

Da allora il gelo dell’inverno russo calò anche in casa mia. Le notizie che si ascoltavano alla radio e che si potevano leggere sui giornali, erano sconfortanti. I Russi avevano sfondato il fronte. La speranza era che il reparto di mio fratello fosse potuto sfuggire all’accerchiamento dei sovietici.

Si seguiva sulla carta geografica il ripiegamento delle forze italiane, ma l’accerchiamento delle Divisioni, compresa la Celere, non dava nessuna speranza di poter avere notizie dirette dal bersagliere. Passarono così i mesi, tremendi per i genitori che erano abituati, prima della metà di Dicembre, a ricevere le sue lettere quasi ogni giorno; ad un tratto, la brusca interruzione della corrispondenza.

Ma a fine Settembre dell’anno 1943, arriva a casa nostra una cartolina della Croce Rossa Internazionale, scritta dal campo di concentramento di Tambow a metà Gennaio, dove il bersagliere dichiara di star bene: è stata questa, una delle rarissime cartoline arrivate in Italia dai campi di concentramento sovietici che sollevò, al momento, le disperate condizioni dello stato d’animo dei miei genitori. Per anni sono stati convinti che il figlio fosse ancora in vita e chissà per quali ragioni, non riusciva anche a guerra finita, a rientrare, assieme a quelle poche migliaia di reduci che gradualmente fecero ritorno in Patria.

Ma il bersagliere era deceduto dopo pochi giorni dalla spedizione di quella cartolina, conservata gelosamente dalla mamma, e ancora in mio possesso: l’amico di Gorizia, di cui fa cenno nello scritto, (la sua famiglia fu informata subitamente) non riuscì a far pervenire in Italia suoi scritti, ma ebbe la fortuna di sopravvivere, ritornò dalla prigionia e naturalmente contattato, non seppe dare ragguagli precisi sulla fine di mio fratello, in quanto, ad un certo momento del mese di Gennaio, furono divisi.  

 Cartolina della Croce Rossa Internazionale dal Campo di concentramento n. 188 di Tambow

 

“Carissimi, Vi scrivo da un campo di concentramento. Potrò scrivere credo una volta al mese. Voi potrete scrivermi quando vorrete però aspettate il mio indirizzo definitivo che non è questo. La vita è calma e tranquilla e siamo tutti ufficiali insieme. Avvertite la Sig.ra Rita Pontieri abitante a Gradisca d’Isonzo (Gorizia) che il figlio Salvatore è con mè ha scritto e stà bene. Spero vi siate stabiliti nella nuova abitazione. Io stò bene come spero sempre di voi. State calmi e tranquilli e speriamo tutto possa andare per il meglio. Tanti tanti bacioni. Augusto.”

 

Purtroppo questo messaggio, che diede tante speranze e creò tante illusioni, fa la causa per tener aperta quella ferita ancora per tanti anni. I vari contatti avuti con i suoi colleghi e camerati che riuscirono a rientrare in Italia, non diedero mai certezze definitive della morte del bersagliere; visite nelle varie località italiane fatte da mio padre, una fittissima corrispondenza attraverso ricerche lunghissime per avere gli indirizzi dei fortunati, che hanno sempre risposto alle accorate lettere dei genitori con sensibilità e correttezza, non hanno mai portato a conclusioni certe. Si seppe, sì che era rimasto leggermente ferito nei giorni dello sfondamento del fronte e che venne anche curato da un medico militare italiano nel campo di concentramento, ma non destava preoccupazione la leggera ferita.

 In realtà, probabilmente con l’insorgere di complicazioni, la dissenteria, il tifo, il gran freddo, la scarsezza del cibo, l’impossibilità di cure adeguate, il fisico, seppure gagliardo del bersagliere, non resse.

Negli anni ’50, in pieno clima di guerra fredda, scoppiò e fu portata avanti per molti anni, la polemica sull’esistenza di prigionieri italiani in Russia. I giornali riportavano elenchi di soldati che ancora nel 1955 avrebbero dovuto trovarsi nei campi di concentramento sovietici.

 I giornalisti modenesi, in svariate occasioni, si precipitarono a casa mia, avendo trovato il nominativo di mio fratello, in quegli elenchi, intervistando e riaprendo in continuazione la ferita ai miei genitori, facendo titoli a più colonne sui giornali locali con fotografie e commenti.

 QE questo avvenne, tutti gli anni dal 1950 al 1956. Il nominativo di mio fratello, praticamente sulla base di quella cartolina giunta in Italia nel 1943, dava la prova della sua esistenza in vita a quell’epoca, questi elenchi furono inviati, dalle autorità competenti, quale la delegazione italiana presso la commissione speciale dell’Onu per i prigionieri di guerra, per fare le opportune ricerche all’Ambasciata d’Italia a Mosca, alla Commissione Speciale dell’Onu e all’Ambasciata Sovietica a Roma.

I titoli dei giornali riportavano: “Un ufficiale modenese catturato sul Don tuttora prigioniero dei Russi” e così nel 1952, nel 1953, nel 1954 sino al 1956, dodici anni dopo la sua cattura. C’era chi ne faceva speculazione politica, ma la classe politica italiana di quei tempi, sia di Governo, sia di quella parte, molto ma molto vicina alle gerarchie sovietiche, mai si è interessata a fondo del drammatico problema.

Le visite in Russia degli esponenti italiani raramente si sono motivate per conoscere la verità sulla fine dei connazionali rimasti in quelle terre. Le autorità sovietiche hanno dichiarato per anni ed anni, di non essere assolutamente a conoscenza di tale problema, e che non esistevano archivi con elenchi dei prigionieri italiani.      

A cinquanta anni di distanza, nel 1993, dopo la caduta del comunismo sovietico, improvvisamente si aprono quegli archivi, e si scopre che tutti i prigionieri italiani nei vari campi erano schedati e catalogati. Nei corridoi e nelle cantine della famigerata Lubianka e del KGB, a Mosca, è stata trovata la conferma ufficiale dell’esistenza di quegli archivi che si pensava ci fossero e che al contrario lo stesso governo comunista negava. I servizi segreti sovietici hanno tenuto una contabilità e una documentazione precisa di quello che è accaduto dopo la tragica fine della Campagna di Russia. Dei morti, dei prigionieri, dei dispersi il Nkvd, il servizio segreto dell’epoca di Stalin, sapeva tutto e aveva annotato ogni cosa.  Perché mezzo secolo di menzogne? Nessuna pietà per tutti i familiari di quelle migliaia e migliaia di nostri connazionali che ebbero la sfortuna di andare a combattere in quel lontano territorio e di essere stati poi internati nei campi di concentramento sovietici, dove sono morti a decine di migliaia.  

 

Ministero della Difesa

Roma 8 Marzo 1993

Alla Famiglia del S.Ten. Zucchini Augusto

In seguito ai mutamenti politici avvenuti nell’Europa dell’Est, è stato concluso, nel 1991 un accordo intergovernativo che ha dato la possibilità a questo Ministero della Difesa di consultare gli Archivi Segreti di Stato a Mosca ove è custodita la documentazione dei Militari italiani, catturati prigionieri, deceduti nei territori dell’ex URSS nel corso della 2° Guerra Mondiale e considerati sino ad oggi Dispersi.

Dagli esiti delle ricerche effettuate in detti Archivi dal Commissariato Generale Onoranze ai Caduti (ONORCADUTI) e dai controlli e riscontri effettuati nella documentazione custodita da questo D.G. è emerso che il Vostro congiunto, S.Ten. ZUCCHINI Augusto, già dichiarato disperso, è stato catturato dalle FF.AA. Russe, internato nell’Ospedale n. 4041 NOVA LIADA Reg. Tambow, ove risulta deceduto il 03.02.1943.

La speranza di poter recuperare e rimpatriare i “Resti Mortali” presenta difficoltà difficilmente superabili in quanto i Sovietici hanno sepolto i nostri Caduti in fosse comuni unitamente a quelli di altre nazionalità rendendo così impossibile l’identificazione.

E’ comunque intenzione del suddetto Commissariato Generale, una volta localizzate con precisione le località di sepoltura, erigervi sopra dei cippi commemorativi a perenne ricordo del sacrificio dei nostri caduti.

Nell’esprimere la più viva espressione di partecipazione al dolore da parte del Sig. Ministro della Difesa, si informa che sarà interessata la competente commissione Interministeriale per l’eventuale formazione dell’atto di morte del S. Ten. Zucchini Augusto.

Il Direttore della Divisione f.f. (Ten. Col. Adamo De Santo)

 All’inizio degli anni 80, il comunismo non era ancora crollato, il giornale “Il Resto del Carlino” pubblicò, il giorno 23 Settembre 1983, la notizia che il Console Italiano a Mosca si sarebbe recato a portare una corona di fiori sul luogo del campo di concentramento di Tambow.

Letta la notizia andai a colloquio dal Prefetto di Modena per cercare di avere la possibilità di recarmi, a mie spese, assieme alla delegazione italiana, sul luogo della morte di mio fratello, presentando, all’autorità costituita, le credenziali che attestavano, con certezza, la presenza in quel campo, del bersagliere.

Attraverso mille distinguo e con le formule burocratiche del potere, insensibile agli aspetti umani più naturali, non mi fu concessa quell’opportunità: uscii dall’ufficio indignato e sempre più arrabbiato nei confronti di uno Stato che negava, ad un suo cittadino, uno dei suoi più elementari diritti. A dimostrazione di come siamo sempre stati trattati, nonostante le promesse di tutti i politici se non, semplicemente, dei sudditi.

 

 

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ROSSI O NERI?

 Il 1948 è stato un anno cruciale per la storia del nostro Paese. Le elezioni del 18 Aprile fissarono un punto fermo nel delicato clima del dopoguerra. L’Italia rimase nell’area occidentale che si era venuta a creare dopo la spartizione di Yalta, le speranze dei comunisti di avere un governo simile a quello di tanti paesi dell’est europeo, fallirono clamorosamente.

Vi erano già state le elezioni del 2 Giugno 1946, per la scelta tra Monarchia e Repubblica e per l’assemblea Costituente, vinse la Repubblica tra tantissime polemiche, ma il vero scontro tra le due opposte visioni, tra coloro che avrebbero gradito l’appoggio del comunismo dell’Unione Sovietica e quelli che invece davano la loro adesione alla concezione liberal-capitalista, con l’appoggio americano, in realtà i veri vincitori della guerra e del dopoguerra, avvenne due anni dopo.

Il 18 Aprile 1948, la Democrazia Cristiana stravinse, ottenendo 12.740.000 voti con il 48,51% e conquistando 306 seggi, mentre il Fonte Popolare (socialisti e comunisti) raggiunse 8.136.600 voti e il 30,98%. Si presentò per la prima volta a quelle elezioni anche un piccolo partito di ex nostalgici e di coloro che non accettavano quella spartizione: era il Movimento Sociale Italiano che ottenne sei seggi in Parlamento con 526.000 voti conquistati solo su parte del territorio italiano dove gli uomini, che avevano da pochi mesi fondato quel gruppo politico tra mille difficoltà, erano riusciti a presentare le liste elettorali.

A quindici anni, tanti ne avevo in quel tempo, non mi era ancora ben chiara la situazione della società italiana. In realtà i miei problemi principali erano: il divertimento, lo sport, il cinema, gli amici e, per non deludere le attese dei genitori che tanti sacrifici facevano per mandarmi a scuola, anche lo studio.

Frequentavo, allora, il gruppo dei “Cordigeri” aggregato al Convento dei Frati Cappuccini di Via Ganaceto, dove i giovanissimi erano seguiti e nei giochi e nell’educazione religiosa del catechismo, dai coniugi Secchiari. 

Facevo parte del coro, guidato dal Sig. Secchiari Ugo e la nostra “messa cantata” particolarmente quella scritta dal maestro “Lorenzo Perosi”, ottenevano in città un grande successo. La Chiesa dei Frati Capuccini di Via Ganaceto era sempre strapiena di Domenica durante la messa principale delle undici, per merito anche dell’ottimo collettivo del nostro coro che si esibiva in quella splendida esecuzione, della messa del Maestro Perosi.

Nelle date più importanti della Chiesa Modenese, si partecipava alle lunghe ed interminabili processioni che attraversavano le strade della città, tra due fitte ali di folla composta e in preghiera.

Ma l’impegno e la fatica più grossa, per noi giovani, era quella relativa al portare, per tutto il tragitto della processione, pur alternandoci nel trasporto, uno dei grandi stendardi, pesantissimi, della nostra confraternita.

Era uno sforzo notevole che era fatto con entusiasmo e dedizione, che ci gratificava per la nostra appartenenza a quella importante famiglia, della quale ricordo con particolare simpatia gli uomini più attivi e rappresentativi quali, i fratelli Benzi, Franco e Giordano, titolari di uno dei più importanti negozi di falegnameria artigiana della città, in Via Fonteraso nel palazzo Margherita, vicino all’ingresso della Società Panaro. Oltre al Dott. Carlo Luppi, ai fratelli Saguatti, Nello, Nino e Giordano, il Geom. Selmi, Angelo Marchetti, Paolo Koenig, Gianni Sartoris, Mariotti, Biondini e tanti altri, di cui mi sfuggono le loro generalità.

Ci si dedicava inoltre all’attività sportiva: avevamo costituto una squadra di calcio ed una di pallavolo dopo aver costruito il campo regolamentare all’aperto, nel giardino posteriore del palazzo di Via Ganaceto, ove si trovava la nostra sede e che era situato tra il palazzo, allora sede del PCI, ed il Palazzo Campori.

Le partite di calcio le andavamo a disputare particolarmente contro le squadre d’altre parrocchie che avevano a disposizione campetti, come quelli della Chiesa di San Cataldo, di San Domenico e del Tempio. Erano sempre partite accanitissime.

Gli incontri di pallavolo erano più spesso disputati sul “nostro” campo di Via Ganaceto.

Nello stesso tempo, avendo frequentato la terza media in quel di Sassuolo, dopo le traversie della guerra, diventai molto amico (amicizia rimasta nel tempo) con un ragazzo dell’“altra parrocchia”. Otello Incerti, comunista doc, anche negli anni a seguire.

Lui proveniva dalla “Sacca”, rione rosso per eccellenza, io ero spesso a casa sua per due ragioni. Aveva una splendida sorella che dormiva nella sua stessa camera, irraggiungibile (anche perché era più grande), inoltre gli piaceva giocare a calcio; alcune volte aveva indossato la maglia della mia squadra, quella del TOF (Terz’Ordine Francescano). Si andava a giocare anche nel “suo” campo alla Sacca, poiché con noi veniva, qualche volta a giocare, un ragazzo veramente molto bravo, che sapeva darci utili suggerimenti del come migliorare nel trattamento della palla, un certo Gianni Seghedoni, diventato poi noto giocatore e allenatore di squadre di serie A.

Il nostro rapporto di amicizia, scolastica e sportiva, anche se ci divideva sul piano ideologico e politico, ci univa sul piano sociale e comportamentale.  Entrambi d’origine proletaria, avevamo la stessa passione per lo sport, per la ricerca del nuovo e per il miglioramento delle nostre posizioni economiche.

Frequentammo la stessa scuola superiore, andammo assieme a giocare per un brevissimo periodo nei “ragazzi” del Modena F.C., del mitico allenatore Mabelli, dove ritrovai tra i coetanei, il mio ex vicino di casa (eravamo entrambi nati nello stesso anno 1932 e nella stessa via Cesare Battisti, dove le nostre madri erano ottime amiche) Sergio Brighenti, anche lui destinato a grandi traguardi calcistici.

Io però, oltre a non essere all’altezza, dal punto di vista calcistico, dei nomi che ho citato, mi interessavo a tante altre esperienze, il cinema, le ragazzine, la politica, lo studio, di conseguenza mi allontanai da quel mondo per passare ad uno sport “individuale”, che sentivo più consono alle mie caratteristiche che già a quei tempi si esprimevano in chiave personalistica; mi iscrissi pertanto, con l’amico, alla Società Sportiva “La Fratellanza” per praticare l’atletica leggera sotto la sapiente guida dell’allenatore Piero ”Pirein” Baraldi.

Entravo nel periodo molto difficile per la crescita di un adolescente, si iniziava a partecipare alla vita e si trattava di fare delle scelte, di collocarsi ideologicamente o da una parte o dall’altra.

Era come trovarsi, seppure in una dimensione meno pericolosa, nel periodo tragico e drammatico della guerra civile di pochi anni prima, dove un giovane era costretto a schierarsi, o con i fascisti che nel bene o nel male avevano partecipato all’indottrinamento avuto da quel regime, oppure con coloro che si rifugiavano in montagna per spirito di contestazione alla formazione ideologica ricevuta, o che si nascondevano nell’attesa della vittoria di una delle due parti in lotta.

Il dopoguerra ci aveva portato tanti esempi di giovani, di poco più grandi di noi, che avevano fatto delle scelte che, in concreto, per molti risultarono vincenti, ma per tanti altri portarono a delle vere e proprie allucinanti situazioni di vita.

 Erano gli stessi giovani, gli stessi fratelli, gli stessi amici o vicini di casa che, per ragioni a volte imponderabili o semplicemente lasciate al caso, si arruolavano, o con quelli che indossavano la divisa militare, o con gli altri che ritenevano giunto il momento di ribellarsi a quel regime che aveva avuto per venti anni il predominio in Italia e che li aveva portati ad una guerra che andava via via facendosi sempre più difficile, intravedendosi, già in quei tempi, la probabilità della sconfitta.

Chi aveva indossato la divisa militare, alla quale era stato educato e/o condizionato, si trovò al termine del conflitto, se era riuscito a salvarsi la vita dopo i massacri indiscriminati del dopo “liberazione”, ad essere emarginato, allontanato, dalla società con condanne di morte civile propinate attraverso, epurazioni, allontanamenti dai posti di lavoro e dai pubblici uffici che rendevano loro impossibile un regolare reinserimento nella vita lavorativa del dopo guerra.

Mentre gli uni (la maggioranza a guerra ultimata) che, a parte pochi per vera e propria convinta ideologia, si trovarono, fortunosamente schierati con lo schieramento che aveva seguito gli anglo-americani, in realtà i veri vincitori di quel tremendo conflitto mondiale, ebbero poi facile accesso alle arrampicate sociali di qualsiasi tipo.

Anche noi, della generazione successiva a quella che aveva vinto o perso la guerra, che fossero della “generazione che non si è arresa “ o di quella che ha conquistato il potere per meriti altrui, ci siamo trovati nella difficile situazione, seppure a guerra conclusa, di fare delle scelte che ugualmente risultarono, vincenti o penalizzanti, dal punto di vista economico e sociale. 

 La mia estrazione avrebbe dovuto condurmi sulla barricata proletaria e socialista, dove in realtà mi sono sempre trovato e mi ci trovo tuttora, come mio padre mi aveva indicato (non ebbe mai in tasca, durante il ventennio, la tessera del partito) e dove si è sempre collocato mio fratello, che andò a combattere, e a lasciarci la vita, per quell’ideologia che prometteva la giustizia sociale senza le storture del comunismo e del massimalismo socialista.

E’ difficile oggi, a distanza di oltre mezzo secolo, valutare nel modo giusto, le scelte fatte in giovane età nell’immediato dopoguerra. Col passare degli anni, avrei potuto, come hanno fatto tanti amici e camerati degli anni giovanili, “voltare gabbana” e avere tutti i privilegi, partecipando alle celebrazioni resistenziali, che lo stare con il potere comporta.

N’avrei tratto vantaggio io, la mia famiglia, i miei figli: al contrario, ho continuato sulla strada più difficile e scomoda.

Il sacrificio del fratello maggiore? Lo dovevo completamente annullare e dimenticare dai miei ricordi? Ci fosse stato da parte dei “nuovi” al potere il riconoscimento, almeno formale, di “coloro che si sono trovati dalla parte sbagliata” in buona fede, oppure per circostanze fortuite, e poi avviati a quella scelta dall’educazione ricevuta da parte di tanti adulti che, intravista “l’aria” che tirava, passarono immediatamente con i nuovi padroni.

Quei giovani sono stati completamenti demonizzati e si è voluta cancellare completamente la memoria storica delle loro esistenze. Forse in quel modo si poteva evitare di procrastinare negli anni e sino ad oggi, il concetto di guerra “di liberazione” per i vincitori e di guerra civile per tutti gli italiani.

Non era possibile per un ragazzo di quindici–sedici anni valutare, come grave ed imperdonabile errore, quello che aveva fatto il fratello maggiore, oltretutto convinto delle sue scelte.

Mi trovavo in quest’enorme dilemma quando, terminate le scuole medie, mi iscrissi, con grande sacrifÿÿnt dei mienormal;mÿÿÿÿidÿÿ sÿÿola suÿÿriore e precisamente all’Istituto Tecnicoÿÿÿÿ Geometri e Ragionieri che aveva sede in Corso Cavour.

La mia scelta cadde sulla sezione per Geometri. Voluta con tutte le mie forze, poiché, con la casa distrutta dal secondo e pesante bombardamento di Modena e dopo lo sfollamento nelle campagne di Ravarino, ritornammo in città al termine della guerra, ospiti di una famiglia in una bella villetta in Via Celestino Cavedoni, (la strada di fronte alle ex Aziende Municipalizzate).

Erano state emanate disposizioni per aiutare le famiglie in difficoltà, coloro che avevano abitazioni con molti locali dovevano cederne alcuni alle famiglie, private di un tetto, a causa dei bombardamenti.

La proprietà nella quale arrivai da sfollato era quella del Direttore della Cassa di Risparmio di Modena, Rag. Giovanni Pederzini, che fu, assieme a tutta la sua famiglia, veramente disponibile nei nostri confronti. Al momento dell’iscrizione alle scuole Superiori mi venne proposto di iscrivermi a Ragioneria; la possibilità di una carriera di impiegato di banca era quasi assicurata (a quei tempi l’impiego bancario era, come si diceva, “un terno al lotto”). Rifiutai categoricamente, perché allora, ritenevo il rinchiudermi in un ufficio, una specie di “morte civile”.

Optai per la strada del Geometra che, in teoria, mi avrebbe dato la possibilità di svolgere un lavoro “all’aria aperta”. Va rilevato che per la mia famiglia, in quei bui anni, quella era una scelta difficile e dispendiosa e inoltre non avrei potuto mai scegliere una scuola tipo liceo che avrebbe obbligato ad una continuazione universitaria. Troppo lunga e costosa.

Qui, all’Istituto Barozzi, ebbi la possibilità di formarmi tante amicizie e conoscenze che mi avrebbero poi dato la possibilità di inserirmi in un mondo che a quei tempi nemmeno sognavo. Le mie origini, come già detto, erano sicuramente “proletarie” e povere. Sin d’allora la mia ideologia era decisamente, come poi è rimasta, socialisteggiante, anche quando mi trovai a frequentare il mondo borghese e del capitale, della cosiddetta “buona” società modenese, anche per la mia professione definitiva, quella di insegnante e di libero professionista.

Ma perché, mi chiedevano i conoscenti e i parenti, non ti sei collocato in quell’area emergente social-comunista che, con il potere politico prima ed economico poi, come si intuiva, ti avrebbe dato la possibilità di costruirti con sicurezza il futuro?

 I contatti e le proposte c’erano stati, molti miei amici borghesi passavano, gradualmente, dalla parte dei nuovi padroni, le carriere politiche, sociali ed economiche erano alla portata di mano. Lo stato di conflitto interno era di conseguenza enorme: le frequenze nel mondo cattolico, con tutte le contraddizioni che vi avevo trovato, avevano creato in me una crisi religiosa di notevoli dimensioni. Le amicizie con ragazzi d’altro pensiero politico, la presenza in famiglia di concezioni etico-politiche di sinistra, mio padre socialista, uno zio materno comunista, mi mettevano in continuazione di fronte a queste crisi esistenziali e di pensiero.

 Ero pertanto nel pieno della crescita e della difficoltà nelle scelte quando entrai all’Istituto Tecnico J. Barozzi.  In quelle aule feci un incontro e trovai una sincera e duratura amicizia con un ragazzo d’estrazione tipicamente borghese, figlio di un noto medico, situazione socio economica decisamente alta per quei tempi; aveva avuto un fratello ucciso dai partigiani nel maggio del 1945 (la sua salma non è mai stata ritrovata), molte cose ci univano, seppure con una certa visione divergente su alcune problematiche. Amico allora ed ancor più oggi. Maurizio Rebucci.

Si frequentava insieme la compagnia del centro, le aule scolastiche, il cinema e i tanti altri aspetti di una giovinezza, che in realtà per la maggioranza della nostra generazione è stata allegra e divertente, contrariamente a quella che ci aveva appena preceduto.

Assieme all’amico si andò una sera ad una riunione che si svolgeva alla trattoria del “Bersagliere” in Via Gallucci, dove si incontravano i primi uomini, ex fascisti, postfascisti, e uomini liberi che da poco tempo avevano costituito a Modena la sezione del Movimento Sociale Italiano.

Forse attratto dal nome della trattoria che ricordava il trascorso di mio fratello, convinto dall’amico e desideroso di approfondire i temi che questo partito enunciava, oltre che per cercare di conoscere alcuni dei personaggi della “generazione che non si era arresa”, mi recai a quell’incontro, dal quale ne uscii alquanto perplesso.

Né critico, né entusiasta per quello che avevo sentito. Si parlava di Patria, di conquiste sociali di equidistanza da capitalismo e comunismo, insomma tutti temi che, a grandi linee, si potevano condividere. Nello stesso tempo consideravo velleitario e anacronistico il ricordo esasperato del periodo del ventennio, anche perché la mia famiglia aveva subito le conseguenze devastanti del conflitto appena terminato. La casa distrutta, lo sfollamento, il fratello morto in Russia, la miseria degli anni del dopoguerra, non potevano certo portarmi ad entusiasmarmi per un regime sconfitto. 

L’arrivo poi degli americani, con la loro ricchezza e spavalderia, con i loro film e la loro musica, portavano noi, della generazione successiva a quella del periodo fascista, ad entusiasmarci facilmente per tutte queste nuove conoscenze e per questo nuovo mondo che sembrava promettere, a breve, una società ricca e aperta ad ogni possibile iniziativa. Tutte queste nuove conoscenze, che ti arrivavano addosso nell’età in cui ti appresti a conoscere e ad affrontare il mondo e tutto quello che incontri ti sembra bello e ineguagliabile, possono veramente condizionare le scelte di un giovane.

Allora gli entusiasmi di mio fratello e di tutti gli altri giovani, per non dire della stragrande maggioranza del popolo italiano, per quel mondo che io avevo appena intravisto e del quale parlava con entusiasmo nei suoi scritti: e le scelte che aveva fatto, erano stati solamente degli abbagli, delle chimere o dei falsi miti?

Rimasi perplesso per un certo periodo, poi, a distanza di alcuni mesi, presi la decisione di iscrivermi a quel partito senza darne comunicazione, se non dopo parecchio tempo, ai miei familiari.

In quel periodo frequentavo costantemente, la casa dell’Ing. Mario Camerini che, assieme alla sorella Lia, mi seguirono nella preparazione dei miei studi e dei miei esami per alcuni anni.  Era stato ottimo amico di mio fratello e prese a volermi bene come si fa con un fratello minore. Assieme a lui ebbi la fortuna di essere seguito e “controllato” da altri carissimi amici di mio fratello che, quali “tutori”, cercarono, laddove era loro possibile, di seguire i miei primi passi da adolescente e da studente delle scuole superiori e nello sport, erano i miei futuri colleghi Franco Anderlini, Ferdinando Ponzoni, Luciano Gambetti e Nino Bertacchini.

Il Sig. Mario, come lo chiamavamo, io e gli altri due cari amici, Otello Incerti e Alberto Paltrinieri con i quali si frequentava quella casa per prendere lezioni in alcune materie è stato, certamente, un personaggio eccezionale.

Di vastissima cultura, come la sorella Lia che c’insegnava la lingua francese, dotato di grande umanità e di una personalità spiccatissima, personaggio eclettico ed estroverso, ci istruiva nelle scienze fisiche e matematiche e nel disegno tecnico; è stato, tra l’altro, un grande progettista, mi ha dato sicuramente, delle grandi lezioni di vita. Debbo tantissimo alla sua umanità, alla sua disponibilità, alla sua pazienza nel cercare di indirizzarmi nel modo migliore, nel controllare le mie ribellioni e il mio carattere a volte esuberante, ma incostante e volubile, per far sì di incanalarlo sulla strada dello studio e nella perseveranza della ricerca di brillanti risultati anche nella vita sociale. Di frequente, si alternava, nell’insegnamento ai tre giovincelli, il cugino dell’ingegnere, studente universitario, anche lui dotato di grande intelligenza e personalità: il Dott. Mario “Cicci” Roganti, diventato poi uno dei più noti cardiologi modenesi. Una famiglia dunque, di grandi ingegni, che lasciò in me un bagaglio di cultura e di vita che mi è servito tantissimo. Abitavano in piena Via Emilia Centro, con entrata da Via Torre, in un bell’appartamento esattamente di fronte alla Ghirlandina. Durante le ore di lezione o in quelle di relax, che si passavano in quella casa, dalle ampie finestre potevi quasi toccare con mano lo splendido spettacolo dell’abside romanico del nostro Duomo e la snella figura della torre.

Ebbi anche il piacere negli anni successivi, mentre frequentavo la quarta e la quinta classe, di svolgere un praticantato della professione di Geometra, con l’ing. Camerini, disegnando alcuni dei progetti più importanti della sua vastissima attività di progettista, quali la Casa di Cura “Villa Laura” del prof. Sergio Ferrari in Via Prampolini, la villa “Hansberg” in Via Archirola, e di alcuni palazzi di Viale Verdi e Via Bellinzona.

Mi permise, tra l’altro, in alcune occasioni, di usufruire della sua abitazione per l’organizzazione di alcune “festine private” al pomeriggio del sabato o della domenica, assieme ai miei amici e amiche, dato che non avrei potuto farlo a casa mia.

Quella delle festine private fu, per un certo periodo, una delle tante esperienze fatte in quegli anni con la “compagnia del Centro” nelle case di molti amici tra i quali vorrei citare l’indimenticabile Ivan Manicardi (scomparso per un incidente stradale a poco più di venti anni), Giacomo Manni, Maurizio Rebucci e tanti altri.

Ma poi prese il soppravento la passione per le sale da ballo o “balere”: per lunghi periodi, praticamente tutte le sere e i sabati pomeriggio (the studenteschi) si andavano a passare con varie compagnie, (non solo per conoscere le ragazze con le quali iniziavano le prime avventure, ma fondamentalmente per stare sempre in allegria), ore su ore nei vari locali quali, il Ragno Azzurro (nell’ex casa del Mutilato in Viale Muratori), il Rifugio Verde (a San Faustino), l’Astoria (il salone delle Feste dell’Hotel Fini), il Circolo Centrale (o dei Postelegrafonici), il Tombolo (alla Crocetta), il mitico Settimo Cielo (sia estivo sia invernale, sopra al Cinema Principe in Piazzale Natale Bruni), il Sirenella (nella ex casa del fascio di Via Montegrappa), il Garden (prima estivo poi anche nella versione invernale, di proprietà del mio Prof. di Matematica e Fisica, “Poldo” Piccagliani, del quale avrò modo di parlarne più diffusamente) e poi negli anni a seguire il Mocambo, l’Eden in Piazza Matteotti e ancora a Cognento da “Aicardi” oltre ai locali della Provincia, in particolare quelli di Sassuolo, Formigine e Vignola, facilmente raggiungibili con il trenino della Sefta, solamente alla domenica pomeriggio, poiché a quei tempi, alla sera, i trenini delle Ferrovie Provinciali non viaggiavano.

Tutto questo, però, andava a scapito dello studio e dello sport. La mia situazione scolastica, in certi periodi, è stata abbastanza precaria, anche se poi nei vari “rush” finali o a giugno e qualche volta ad ottobre, riuscivo sempre a venirne fuori dignitosamente.

Una delle situazioni più delicate nelle quali mi trovai, fu quella del terzo anno all’Istituto. Era abitudine per il nostro gruppo di amici, a scuola e fuori, farci in continuazione scherzi e prese in giro.

Era nella norma, in quel periodo, riempire le pagine dei quaderni di alcuni “malcapitati” con figurazioni “oscene”. Disegnavamo, sui fogli intonsi, enormi figure dell’organo genitale maschile che, in ultima analisi, altro non facevano, che rendere inservibili i quaderni o i fogli da disegno dove venivano raffigurate queste “opere d’arte”.

Accadde, un bel giorno a metà anno scolastico, che durante l’ora di disegno nell’aula apposita, andai a siglare con una di quelle opere, il foglio di un compagno di classe. L’insegnante, una professoressa già anziana, se ne accorse, scoperto il colpevole del misfatto e “scandalizzata” lo spedì dritto, dritto in Presidenza.  

Il Preside, sconvolto da un simile comportamento, convocò urgentemente il Consiglio d’Istituto e il povero ragazzo, autore di quell’”atroce misfatto”, venne condannato a 15 giorni (quindici) di sospensione. Da notare che oggi un simile episodio costerebbe più all’insegnante che all’allievo. Oltre ai quindici giorni di allontanamento dalla scuola (per poco non fui radiato da ogni ordine e grado della scuola italiana) ci fu anche il cinque in condotta nel secondo trimestre.

Mi trovai in un vicolo cieco, non dissi nulla ai miei genitori fingendo, ogni mattina, di recarmi a scuola, ma in realtà andavo ai giardini pubblici, luogo d’incontro di tutti i “cabottisti” (coloro che marinavano la scuola). Ma un giorno arrivò a casa la comunicazione della scuola che annunciava ai miei genitori il comportamento disdicevole del loro maldestro figliolo.

Convinto ormai della mia sicura bocciatura mi lasciai completamente “andare” e sino alla fine dell’anno scolastico non toccai più un libro. Fortunatamente alcuni insegnanti, che mi volevano bene, non accettarono quel verdetto e capirono il mio piccolo o grande dramma, mi aiutarono dandomi la sufficienza anche se non la meritavo, mentre quattro tra i più intransigenti mi rimandarono ad ottobre nelle loro materie. Riuscii ugualmente a salvarmi, dopo una “sgobbata” estiva non indifferente.

Quell’episodio, oggi da considerarsi veramente banale, avrebbe potuto portarmi ben più gravi conseguenze se avessi messo in atto un progetto che si stava preparando in quei giorni. Due amici di partito, Enzo Beltrami e Brenno Moretti avevano preso la decisione di partire per la Legione Straniera (mito di tanti giovani di destra a quel tempo) e io avrei dovuto aggregarmi a loro. Anche perché subivo, in parte, (erano più vecchi di me di due o tre anni), la loro audacia e la loro forte personalità. Nel frattempo, nel mio intimo, sentivo fortemente la responsabilità per il gran dispiacere che avrei portato ai miei genitori, unico figlio rimasto, in quanto erano ancora sotto pressione per il fratello maggiore scomparso in Russia che i giornali, a otto anni di distanza davano ancora come prigioniero, di conseguenza feci marcia indietro all’ultimo istante.

Dei due “avventurieri”, uno, Brenno, si rifugiò in Svizzera prima dell’arruolamento; l’altro Enzo Beltrami si arruolò, si fece tutto il servizio di addestramento, prima di esser “spedito” in Indocina a rimpolpare le truppe francesi a Dien Bien Phu.

Il legionario però, in vista delle coste indocinesi, assieme ad un commilitone si gettò dalla nave (se fosse stato ripreso dai francesi sarebbe stato fucilato come disertore), rimase quattro giorni in mare, per essere “ripescato”, fortunatamente, seppure in condizioni disperate, da pescatori indocinesi. Dopo qualche tempo riuscì a rientrare in Italia.

Un episodio analogo per le conseguenze, un giorno di sospensione, mi capitò in quinta classe, ultimo anno di scuola ed anche questo durante il secondo trimestre. Di fronte al portone d’ingresso dell’Istituto Jacopo Barozzi, in Corso Cavour, vi era un deposito di biciclette che ovviamente serviva, in gran parte, alla popolazione studentesca di quella scuola. Eravamo diventati amici del proprietario o gestore il quale aveva un bimbo piccolo, di tre-quattro anni, spesso con sé. Una mattina chiedemmo al padre la possibilità di condurre con noi in classe il figlioletto, il quale era ben contento di una simile avventura. Il genitore diede il suo consenso di buon grado e noi portammo il bimbetto nell’aula di Topografia, al secondo piano dell’Istituto, dove quella mattina avevamo lezione.

Insegnante della materia era l’Ing. Cattaneo, un bravissimo insegnante e una buonissima persona che, molto spesso, aveva difficoltà a tenere sotto controllo la nostra classe, 5°A, la quale, usando un eufemismo, era alquanto esuberante. Il bambino fu tenuto buono e tranquillo, nascosto dietro gli ultimi grandi banchi per il disegno, con caramelle e lecca lecca, ma dopo mezz’ora iniziò a fare i capricci.

L’Ingegnere sentendo quella voce querula di bambino, “in primis” cercò di far smettere quello di noi che si stava divertendo nel fare quelle “vocine”, poi, incuriosito si avvicinò agli ultimi banchi e con enorme sorpresa si trovò di fronte il “fantolino”. “Cosa ci fa in quest’aula quel bambino?” chiese, e noi a supplicarlo che non si poteva lasciare sulla strada un trovatello, forse orfano, dovevamo per forza tenerlo con noi, ecc.ecc.

Per un po’ rimase perplesso, ripeto era un uomo buonissimo, ma subito ci invitò a riportarlo dove l’avevamo trovato o almeno a consegnarlo ai bidelli. Presi il bambino in braccio e al momento di uscire dall’aula gli dissi di salutare con la manina; lui lanciò un fortissimo “ciao nonno” che fece sbellicare dalle risate, tutta la numerosa classe. Io con il bambino in braccio mi trovai nel corridoio di fronte al Vice Preside Prof. Vandini, insegnante di tedesco che stava facendo lezione nella classe vicino alla nostra, alla sezione ragionieri.

 Era considerato un insegnante intransigente un “duro” e difatti era solito entrare, a volte, improvvisamente nei gabinetti dove, durante l’intervallo, (avvolti in una nuvola di fumo, si andava a fumare, passandocela l’uno con l’altro una sigaretta), alla ricerca, con relativa punizione, del malcapitato che veniva trovato con la sigaretta in bocca.

Era uscito dalla sua aula, sentendo tutto quel baccano, e mi trovò come si suol dire, “in castagna”; andammo immediatamente in Presidenza e il bambino venne consegnato ai bidelli per esser riportato al genitore. Io rimasi in quell’ufficio, seduto di fronte alla scrivania del Preside, il Prof. Mario Negri, per l’interrogatorio, quando, dopo circa un quarto d’ora si sentì bussare alla porta, vidi entrare, a capo chino, il mio compagno di tante avventure e carissimo amico e poi collega, Argeo Tedeschi, il quale, in classe durante la mia assenza, si era preso il compito di fare una petizione con le firme di tutti gli alunni per dichiarare che tutta la classe era responsabile dell’accaduto. Ci fu un intoppo, uno della classe, che in realtà era sempre stato ai margini delle varie iniziative che intraprendevamo, si rifiutò, prendendosi due sonori ceffoni dall’amico, alquanto “focoso”.

Il buon ingegnere non potè far altro che mandare l’amico in Presidenza. Fummo sospesi per un giorno, in considerazione del fatto che si era in ultima classe e che a distanza di pochi mesi avremmo dovuto sostenere l’Esame di Stato.

La conclusione fu che a Luglio, (allora l’esame durava quasi tutto il mese) io e l’amico fummo promossi (con grande sorpresa di tutti gli altri, mentre la quasi totalità della classe dovette riparare ad ottobre ed alcuni furono anche bocciati (cinque promossi su trentacinque era veramente una percentuale assai ridotta).

Gli anni ’50 furono, per i giovani modenesi, tempi di “vacche magre”; già erano pochissime le lire che giravano nelle tasche dei diciotto-ventenni quando, all’inizio di quell’anno di mezzo secolo, una “illusa” senatrice socialista propose una legge che avrebbe dovuto redimere le donne che si dedicavano al mercimonio del loro corpo, attraverso la chiusura delle case di tolleranza.

Qualche volta, noi sedici-diciasettenni, facevamo il tentativo di entrare in uno dei “casini” di Via Catecumeno, ma la maitresse alla porta ci pizzicava sempre nei nostri ridicoli tentativi di “camuffare” la data di nascita sulla carta d’identità di conseguenza venivamo metodicamente rinviati a casa.

Attendevamo l’alba dei nostri diciotto anni per avere la possibilità di fare de nostre prime esperienze “legali” quando la senatrice socialista, quasi come “la signora” che ci chiudeva in faccia il portone della casa del “piacere”, mise un freno alle nostre aspettative.  Modena e Palermo furono, in quell’anno, le due città “cavie” in tutta Italia, per la sperimentazione di quella che poi è rimasta bollata come la “famigerata “Legge Merlin”, dal nome appunto della senatrice socialista.

La nostra città e quella del profondo Sud, dovevano dare la risposta esaustiva che, la chiusura delle “case chiuse”, era un atto dovuto all’emancipazione femminile e non avrebbe creato problemi di sorta per l’ordine pubblico. Per otto anni, modenesi e palermitani furono, contrariamente a tutti gli altri italiani, salassati nelle loro tasche per la strana applicazione di quell’ “esperimento”. Sì, perché la chiusura definitiva delle case, celebrate in un film di Tinto Brass, “Paprika”, avvenne il 19 Settembre del 1958.  Noi ci siamo sempre chiesti, senza averne mai avuto una risposta esauriente, perché furono “penalizzati” i modenesi, in particolare, studenti, disoccupati, insomma le classi meno abbienti, che dovettero aggiungere una “tangente” in più, alle famose “marchette” che si andavano a consumare nelle vicine città di Bologna e Reggio Emilia.  Di “Quegli antichi luoghi perduti…” ne ha fatto uno splendido “spaccato” il noto “oste” modenese, Claudio Camola, in una delle pubblicazioni del “raccoglitore di cose modenesi”, Beppe Zagaglia.

 I concittadini che non ebbero la possibilità di frequentare le case di Via Catecumeno, oggi Via dei Tintori, impararono perfettamente la toponomastica delle zone “off limits” delle città vicine e si “passavano parola” delle “variazioni” che avvenivano ogni quindici giorni in Via dell’Orso, in Via Clavature ecc. Le processioni dei geminiani verso i territori limitrofi sarebbero da raccontare per esteso; chi in treno, chi in motoretta, qualche “appassionato” anche in bicicletta, nelle poche auto stracariche, per spendere meno, in un quotidiano, pomeridiano e serale, pellegrinaggio, furono il tributo aggiuntivo che i modenesi diedero a quella legge.

Le “case di piacere” chiuse diedero, in pratica, un eccezionale contributo alla proliferazione della “libera prostituzione” con relativi “magnaccia” e malattie veneree che da allora sono aumentate in una progressione geometrica per arrivare alle forme di allucinante mercimonio sulle strade che quotidianamente abbiamo sotto i nostri occhi. “Alla faccia” dell’emancipazione femminile ricercata, utopisticamente, da quell’innovatrice senatrice socialista. 

Nel Novembre 1951 vi fu la drammatica rotta del Po’ nel Polesine. Di questo avvenimento ne sono stato testimone diretto. Quando arrivò la notizia a Modena, noi studenti dell’Istituto “Barozzi” ci mobilitammo immediatamente per cercare di portare il nostro aiuto a quelle popolazioni. Ero tra gli organizzatori di questa mobilitazione e, nel giro di poche ore riuscimmo a richiamare alla nostra iniziativa una trentina di studenti; si partì immediatamente nel tardo pomeriggio, per raggiungere la zona in quel momento più minacciata nelle vicinanze di Rovigo e fummo subito inviati ad aiutare militari e volontari che lavoravano per la costruzione di alcune “coronelle” sull’Adigetto, fiume vicino a Rovigo affluente del Po’, che minacciava la città.

Lavorammo in modo febbrile per alcune ore quando ci fu un richiamo di “all’erta” immediato con l’invito a lasciare immediatamente il lavoro intrapreso perché, a monte della nostra zona, il fiume aveva rotto gli argini; dovemmo così ritornare immediatamente in città dove, in un’atmosfera allucinante, strade deserte, solamente fasci di luce delle cellule fotoelettriche che s’incrociavano nel cielo nero, le auto della polizia che invitavano la popolazione ad evacuare le case, ci trovammo sperduti e spaesati.

Riuscimmo a raggiungere un punto di concentramento per i soccorritori, volontari, esercito e quant’altro, quando c’imbattemmo in un gruppo gestito dalla CGIL (Camera Confederale del Lavoro) ovviamente di marca comunista, e vennero a sapere che noi eravamo un gruppo di studenti, di conseguenza “nemici del popolo”, iniziarono un feroce boicottaggio, con atteggiamenti provocatori e violenti. Dovemmo ripiegare su altre postazioni dove, durante quella notte di tregenda, riuscimmo a portare il nostro piccolo contributo a quel martoriato territorio devastato dalle acque, ma nell’animo c’era rimasta la rabbia per lo scontro avvenuto con le formazioni comuniste che, in quei drammatici momenti, quando differenziazioni ideologiche  e politiche dovevano essere messe in disparte, cercavano di dimostrare alle povere popolazioni del Polesine, che erano solamente “loro” e le loro “organizzazioni” a portare gli aiuti. Dopo due giorni, attraverso un viaggio rocambolesco, ritornammo a Modena.

Nelle settimane successive per cercare di dare un ulteriore contributo a quelle popolazioni così duramente colpite , organizzammo, noi studenti, allo Stadio Braglia un incontro di calcio “estemporaneo”. La partita “Pigiami” contro Camicie da notte” servì appunto a raccogliere qualche fondo.

Le due formazioni si presentarono in campo con le seguenti formazioni:

Pigiami: Franco Belletti, Ninì Spigolon, Bruno Zucchini, Vittorio Giannotti, Giorgio Libra, Carlo Poggio, Vittorio Lippolis, Luciano Poggioli, Giancarlo Bergomi.

Camicie da Notte: Vittorio Bargellini, Giorgio Alessandrini, Ermanno Bertolini, Zanasi, Alfonsino Bolognesi, Umberto Giannotti, Piero Lippolis, Giorgio Sandoni.

Arbitri: Renzo Rossini e Giulio Piccinini.   

 

 

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La Palestra “in centro”

 Dopo una serie di corsi di avviamento allo sport organizzati nella palestra della Scuola di Via Grasolfi ed in seguito alle numerose richieste di tanti genitori, che mi chiedevano di tenere  corsi  di ginnastica per i loro bambini, non esistevano né da parte della Scuola elementare, né da parte dell’Ente locale, tanto meno da parte di privati, attività del genere, se non in alcune società sportive dove si privilegiava l’impostazione fisica esclusivamente in funzione di quella determinata disciplina.

Ritenni che era il momento di intraprendere iniziative atte a dare ai bambini modenesi, del primo e secondo ciclo della scuola elementare, un aiuto nella loro crescita, creando dei corsi di ginnastica e d’avviamento generico agli sport.

Avendo avuto un incontro occasionale con un amante del sollevamento pesi e della “cultura fisica”, Mauro Borsari, ci trovammo entrambi entusiasti all’idea di aprire una palestra. Decidemmo pertanto di prendere in affitto dei locali in Via del Carmine, per avviare un’attività che comprendesse la possibilità di svolgere attività fisica per tutti, dai bambini agli adulti. 

Nasce così nel Marzo del 1965 l’Athletic club, la prima palestra di nuova concezione, non solo del modenese, ma sicuramente di vastissime zone del territorio nazionale.

Avviammo l’attività con i pochi uomini che desideravano curare il loro corpo con le prime ed artigianali macchine per il fitness e il culturismo, con i manubri e i bilancieri, avviando così una prima concezione dell’allenamento muscolare anche per gli agonisti, attraverso le prime e poi sempre più elaborate concezioni dello studio dell’ipertrofia muscolare, non solamente a fini estetici ma fondamentalmente  per scopi funzionali.

Molto spazio ho dedicato, e non solo inizialmente, alla “ginnastica correttiva”, per la ricerca del recupero, attraverso una sana e corretta attività motoria, di quelle forme di paramorfismo vertebrale, quali ad esempio, la cifosi, la lordosi e la scoliosi. Ero consigliato e sostenuto in questa mia attività da alcuni pediatri ed ortopedici, che ritenevano che l’attività motoria fosse importantissima per la crescita del ragazzo, e che, in seguito ad una serie di buoni risultati ottenuti con giovani e giovanette, continuarono ad inviarmi piccoli e anche più grandicelli, “pazienti”. Sul territorio vi erano alcuni colleghi che svolgevano questo tipo d’attività, tra i più noti cito, il Prof. Carlo Bassini e il Prof. Federico Traetta, che avevano praticamente i loro “studi”, in casa.

Mi sono impegnatoi a fondo, lanciando anche molti corsi di ginnastica educativa e formativa per i bambini del primo e secondo ciclo della scuola elementare che ottennero un grosso successo e diedero la possibilità di resistere economicamente, permettendomi di avviare contemporaneamente, corsi di ginnastica a corpo libero per adulti, i quali, all’inizio, erano frequentati da soli uomini, mentre si andava via via sviluppando, da parte della componente femminile, l’interesse per la ginnastica, tanto che a distanza di pochi anni ebbero, le donne, la prevalenza nelle iscrizioni.

La società in quegli anni si andava trasformando rapidamente e con una certa gradualità si prese coscienza della necessità di una sana, equilibrata e corretta attività fisica.

Contemporaneamente dedicavo le mie energie e le mie competenze professionali alla preparazione atletica di soggetti agonisti, in varie discipline sportive, delle quali avrò modo di parlarne più diffusamente.

Sono sempre stato convinto dell’utilità dell’iniziativa, avendo ritenuto, sin dall’inizio della mia carriera d’insegnante, quale fosse l’alto valore morale e sociale che deve avere l’attività motoria nella formazione del giovane.

I primi anni sono stati particolarmente difficili in quanto i tempi non erano ancora maturi ad una visione più aperta verso il benessere del corpo ottenuto attraverso una sana attività ginnastica. In seguito, anche per una graduale apertura della mentalità dei fruitori di questi servizi (per i comportamenti della scuola, dei mass media, e della televisione) la situazione si è evoluta e molti altri si sono portati sul percorso tracciato.

Ho altresì la presunzione di considerarmi un precursore nel campo della preparazione fisica attraverso il potenziamento muscolare con i pesi, oggi accettato da tutte le discipline sportive, negli anni 50, ad esempio, in atletica leggera, tale concetto era considerato un’eresia, ma in particolare sono soddisfatto per aver dato, a tante persone comuni, (i non campioni) la possibilità di svolgere un’attività fisica, non per l’ottenimento di un record o della vittoria in una partita, ma funzionale alle caratteristiche fisiche di ciascuno, in base all’età, al peso corporeo, all’altezza e non alla disponibilità o meno di raggiungere risultati a tutti costi, che, molte volte andavano a scapito della stessa salute psicofisica dell’individuo.

Avrò il piacere di citare in queste note tanti personaggi della comunità modenese che dallo sport, dagli allenamenti, dalla semplice preparazione fisica di base, hanno tratto delle vere e proprie ragioni di vita ottenendo, anche se fini a se stessi, risultati di grande orgoglio e soddisfazione personale.

Sono stati anni di continuo e costante lavoro, a contatto con le nuove generazioni con la ricerca di nuovi aggiornamenti, sull’evoluzione delle tecnologie e delle metodiche d’allenamento, il mio scopo è sempre stato quello di far nascere in loro una vera e propria consuetudine all’attività motoria, quale concreta espressione di una costante di vita.

In quest’ottica penso di aver svolto, con impegno e determinazione, quello che mi ero prefisso; moltissimi giovani e non più giovani, me ne hanno dato esplicita conferma in tante occasioni, e questo è già motivo d’enorme soddisfazione; nella loro educazione e formazione globale, spero abbiano avuto un ruolo di una certa importanza quelle qualità di vita, di tecnica sportiva di educazione, acquisite, anche assieme a chi scrive, nelle piscine, negli stadi, nelle palestre, sui campi di sci.

Ancora agli inizi degli anni ’60 la pratica sportiva a Modena era svolta prevalentemente, come già accennato, dalle vecchie e gloriose Società Sportive modenesi di calcio, atletica leggera, ginnastica artistica, pallavolo ecc. che giustamente, erano e sono alla ricerca dei talenti per ottenere risultati agonistici di prestigio.

La scuola, nel settore dell’educazione fisica e sportiva, a causa della carenza degli impianti e dalla scarsa considerazione nella quale era tenuta da coloro che si ritenevano i depositari del sapere (vedi tanti Presidi, insegnanti di lettere o di matematica di quei tempi), non dava la possibilità allo studente di svolgere una durevole, costante, precisa e moderna attività fisica e sportiva.

Vi era una carenza incredibile, in quel settore intermedio, tra specializzazione agonistica e attività scolastica ed anche extrascolastica di base, in modo tale che potesse dare sia al giovane sia all’adulto, la possibilità di svolgere una buona preparazione fisico-sportiva di buon livello, che tanti cittadini ricercavano, ma non riuscivano a trovare, così come tanti ex sportivi, che una volta terminata la loro attività specialistica, non si muovevano più. 

Ecco, queste erano le categorie che più avevano bisogno di essere prese in considerazione e indirizzate su percorsi motori adeguati. 

Nello stesso tempo, non trascuravo la preparazione fisica per agonisti; all’Athletic Club sono passati atleti di varie discipline sportive che hanno potuto usufruire delle nostre attrezzature, che si andavano via via modernizzando, oltre alle competenze, mie e dei validi insegnanti che hanno collaborato alle varie attività.

Tra le società Sportive con le quali ho avuto rapporti, per la preparazione fisica, sempre in collaborazione con i loro allenatori, ricordo nel settore del nuoto, le società “Mutina Nuoto” e la “Rari Nantes”. Varie società ciclistiche negli anni ”70 mi hanno fatto seguire la preparazione atletica invernale dei loro atleti, in particolare la S.C. Pedale Solarese, la Ciclistica Mirandolese, il G.S. Giacobazzi, il G.S. Libertas e il G.S. Rebur. Nello sport della Pallamano, la Soc. Nuova Dom, allora seguita dal “Deus ex machina” di questo sport, Federico Malavasi.

La squadra di football americano, con la figura dell’italo-americano, l’”armadio” Tino Graziano, che per un anno, (studiava medicina all’Università di Modena), ebbe l’incarico d’istruttore all’Athletic Club.

Molti sono stati gli atleti di sport individuali che ho avuto il piacere di seguire nella loro preparazione atletica, cito: i motocrossisti Tommaso Lolli, Gianfranco Sgarbi e Paolo Alessandrini. Il pugile Lello Fanti, molti tennisti tra i quali spiccava il mai dimenticato Paolo Bussinello. Alcuni tiratori (tiro a segno) quali: Guido Morselli e Giuseppe Molinari.

In particolare ebbi il piacere di programmare la preparazione atletica dell’indimenticabile Campione del Mondo di motociclismo Walter Villa, portato in palestra dall’amico e uomo di sport, Spagni.

Assieme a questi atleti, che hanno raggiunto traguardi prestigiosi nelle loro discipline, molti altri giovani hanno svolto con passione e con impegno la loro preparazione fisica, anche se i risultati sono rimasti modesti o limitati a manifestazioni di carattere locale e di club.

Vi sono poi nel mio “carniere” tanti ragazzi nei quali, in età giovanile, s’ intravedevano notevoli possibilità per lo sviluppo delle loro doti, e che indirizzavo alle Società Sportive in particolare nell’Atletica Leggera, nella Pallavolo o nella Pallacanestro.

Dovrei citarne tanti, ma mi limito a un unico aneddoto: all’Istituto Magistrale avevo come allievo un ragazzo della Soc. Sportiva “Panaro” molte promettente nella “ginnastica artistica”; Roberto Lorini, allenato dall’indimenticabile amico Ermanno Barbieri. Come detto sopra, anche nel settore della ginnastica artistica l’allenamento con sovraccarichi, con pesi e macchine per la muscolazione, non era visto di “buon occhio”. Roberto aveva innate doti di ginnasta, agilità, prontezza di riflessi, ma era lievemente carente nella forza.

Dopo varie conversazioni con Ermanno, si trattava della carriera di un atleta già a livello nazionale, l’allenatore si decise a concordare con il sottoscritto, un programma di potenziamento da “somministrare” al Lorini.

In quei primi anni all’Athletic Club ho avuto come collaboratori parecchi colleghi, dato che ho sempre cercato, se non in rari casi, di contornarmi da professionisti qualificati tra i quali vorrei citare: Umberto Coppelli, Paolo Bassoli, Gibertini Gaetano, Giuseppe Boni, Astolfi, Maria Pia Bertani, Angela Pezzuoli, Anna Severi, Luisa Mari, Anna Pia Carretti e vari altri negli anni a seguire, senza dimenticare due validi appassionati istruttori, Ivan Macchi e Franco Manicardi.

In 35 anni di attività, tanti sono stati quelli di apertura della prima palestra di Modena, migliaia di persone, giovani e meno giovani, hanno frequentato quei locali dove hanno lavorato, sudando con incredibile tenacia in moltissimi, ma anche quelli che frequentavano per brevi periodi, “tanto per provare”.

Sarebbe impossibile tracciare un percorso cronologico e ricordare i/le, tantissimi/e che mi hanno seguito anche per decenni, pertanto, facendo ricorso alla mia memoria cercherò di spulciare qualche aneddoto tra i tanti avuti, in trentacinque anni trascorsi nella “Palestra in Centro”.

Il primo che ricordo è quello relativo al Prof. Erio Soragni, noto pediatra cittadino, genitore di due miei carissimi ex allievi: il Prof. Oliviero Soragni, primario ortopedico a San Marino, e l’”eclettico” fratello Daniele, giornalista di “Sorrisi e Canzoni” a Milano. Entrambi si sentono ancora “modenesi doc”, spesso ritornano sotto la Ghirlandina.

Bene, il “vecchio” Prof. Soragni, sì, non era più tanto giovane quando iniziò a frequentare la palestra (e ci venne per molto tempo), mi disse una volta: “Sa, caro Prof., che da quando mi dedico a quest’attività, io, un po’ prima delle sette (le diciannove, l’ora che normalmente frequentava), che in ambulatorio ci siano, una, o dieci persone, chiudo e me ne vengo via, perché ritengo che anche la mia salute e il rispetto per il mio corpo debba essere tenuto nella sua giusta considerazione. Ovviamente c’era un certo paradosso, ma effettivamente nel periodo che ha frequentato era sempre puntualissimo, seguendo con impegno non indifferente e posso dire che, “nonostante l’età”, ebbe dei notevoli risultati.

Un personaggio di rilievo in città, che ha frequentato per un certo periodo l’Athletic Club e che mi ha lasciato un ottimo ricordo, è stato il Sindaco Camillo Beccarla. Non ho mai saputo se conoscesse la mia posizione politica, dato che, sia con lui, sia con tutti quelli sia frequentavano la palestra, non sono mai stati fatti discorsi politici (è sempre stata lasciata fuori della porta di quei locali), ma ho incontrato un uomo dalle caratteristiche umane di tutto riguardo. Si è sempre comportato, con me e con i suoi “compagni” d’allenamento, con una signorilità ed una correttezza esemplare. Probabilmente era già in preda al male che lo avrebbe portato a morte e, quando concordammo il programma di attività da seguire, trovammo un accordo sulla gradualità, con la quale sarebbe stato necessario procedere.

L’Athletic Club era frequentato da tutte le categorie sociali, molti medici o futuri medici, tanti avvocati e magistrati anche per la vicinanza con la sede del Tribunale di Modena di Corso Canalgrande.

Molte impiegate, commesse dei negozi del centro, imprenditori, operai, artigiani, bancari, per tanti anni l’Athletic Club è stata una “grande famiglia”. Molti musicisti e giovani cantanti del vicino Liceo Musicale e attori e attrici di tante compagnie teatrali che venivano a recitare al Teatro Storchi, alloggiando anche negli alberghi del centro, cercavano la possibilità di continuare il lavoro programmato nelle palestre delle città di loro provenienza. Tra i tanti non posso dimenticare la presenza, per la sua simpatia e per la sua dimestichezza con il discorso sportivo e della cura del corpo, il “grande” Walter Chiari, che, malgrado non fosse più un “giovanotto”, aveva ancora tanta energia e sicurezza nell’affrontare gli attrezzi del fitness, che a quel tempo avevo appena sistemato in palestra. Molti, tra attori e attrici in particolare,  quando ritornavano a Modena, anche per pochi giorni, qualche ora all’Athletic la venivano a passare.

Nella piazzetta di San Biagio, per alcuni anni, si venne a collocare una compagnia di giovani che, per usare un eufemismo, era “alquanto rumorosa”; qualche conflitto con loro lo ebbi. Essendo stati alcuni di loro, miei alunni nelle scuole modenesi e pertanto conoscendomi e rispettandomi, non si arrivò mai a situazioni pesanti.

Il dramma, ma era un dramma loro, arrivò con la droga che in quegli anni stava dilagando in tantissimi ambienti della città e che purtroppo ha falciato tanti giovani di quelle generazioni. Quel dramma l’ho vissuto, sotto i miei occhi, per parecchio tempo, il problema più grosso era quando qualcuno/a di loro, li trovavo nell’androne o per le scale pronti a “bucarsi”, e dovevo di conseguenza usare tutti gli accorgimenti possibili per smarrirli e allontanarli senza correre rischi. Era veramente molto difficile tenere i rapporti con molti giovani di quella generazione, dato che, spesso, erano ragazzi che avevi conosciuto molto bene, nelle scuole, nelle piscine nelle palestre o addirittura figli d’amici e conoscenti, te li trovavi, da un giorno all’altro di fronte, “devastati” da quella tragedia che colpiva tutti, “ricchi e poveri”.

Molti ne ho conosciuti di questi casi, desidero citarne alcuni perché sono stati, per il sottoscritto, sicuramente “choccanti”.

Un pomeriggio mi vidi arrivare in ufficio un ragazzo che alcuni anni prima frequentava la palestra con buoni risultati. Si era costruito come si dice “un bel fisico”. Con circospezione cercò di affrontare il problema, era già ridotto male, mi fece vedere le sue braccia, quelli che “erano stati” i suoi bicipiti e nello scoprirsi vennero in evidenza i tanti “buchi”. Mi chiedeva cosa potesse fare e se era possibile ritornare allo “status quo ante”.

“Mio caro…..gli dissi, sì che è possibile, ma prima cosa da fare, bisogna cercare di evitare quelle sostanze che ti hanno portato in questa condizione, secondo ci vorrà un po’ di tempo per ritornare com’eri prima”. Fece il tentativo, si iscrisse, frequento per due, tre settimane e non lo vidi più. Dopo qualche mese, o meno, una mattina fu trovato “stecchito” davanti ad una delle serrande del negozio “Benini”, sulla stessa piazzetta di San Biagio.

Di altri due giovani non posso dimenticarmi, dato che negli anni giovanili erano stati entrambi tra i miei più bravi allievi nello sport del nuoto. L’uno, un bellissimo ragazzo, ebbe la disavventura di perdere la mamma negli anni dell’adolescenza. Aveva avuto promesse a Roma di entrare nel mondo del cinema, quando tornava a Modena mi veniva a trovare raccontandomi episodi della sua vita nella capitale. Chi aveva conosciuto, chi frequentava in quel mondo ecc. E lo sport, chiedo io? Al momento sono fermo (era veramente molto promettente). Dopo non molto tempo seppi che era entrato nel “tunnel” della droga. Mi venne un giorno a trovare assieme ad una ragazza dolcissima, “acqua e sapone”. “ Mi creda Prof., ne sto venendo fuori e “lei” mi sta aiutando moltissimo.” Passarono pochi mesi e all’ultimo incontro che ebbi con loro, li trovai “devastati” entrambi. Da allora non l’ho mai più incontrato e tanto meno mi è venuto a trovare.

L’altro, al contrario, si avvicina a quel mondo, incomprensibilmente, già uomo fatto, con una professione di prestigio, laureato, proveniente da ottima famiglia e lui stesso si era già costruita la sua, ancora prestante, attivo fisicamente, alla soglia dei trenta anni lo vedo un giorno in Piazza Grande, in occasione del mercatino dell’antiquariato, fermo con un gruppetto di “drogati” di fronte al bar d’angolo con la piazzetta del Tassoni. Mi sono chiesto: “Ma cosa ci fa …… con quelli? Non ci faccio più caso, ma, a distanza di uno, due mesi, stesso luogo stessa scena, sempre con “quelli”. Chiedo ad alcuni suoi amici, cos’era successo, non lo sanno spiegare nemmeno loro. Nel giro di poco tempo lo trovo sulla cronaca dei giornali locali, poi velocemente, arriva la sua tragica fine.

Non era più venuto a trovarmi, dopo che entrò in quei territori. Prima lo faceva. Non seppi mai le ragioni precise o le cause, che portarono quel mio brillante ex allievo a cadere in quella micidiale macchina tritatutto.

Negli anni ’80 iniziarono le tradizionali “cene sociali” con feste danzanti e  premiazioni dei soci e frequentatori più attivi e meritevoli che, in quella determinata stagione, si erano particolarmente distinti ed impegnati nelle varie attività che si svolgevano in palestra. Venne anche istituito un “albo d’oro” nel quale erano elencati i premiati, le cinque signore o signorine e i cinque maschi che ogni anno ebbero il premio. Da quegli elenchi trarrò le citazioni di alcuni/e che ottennero quel “prestigioso”, quanto meno all’interno dell’Athletic Club, riconoscimento.

Le feste si tenevano normalmente nei locali del ristorante “Le Cardinal” di Bastiglia, gestito dall’amico Paride Rinaldi, dove, oltre alle cene particolarmente prelibate, vi era la possibilità di usufruire della sottostante discoteca che dava la possibilità, ai soci presenti, di scatenarsi nelle danze, oltre che ad avere a disposizione lo spazio per l’esibizione dei gruppi più “coreografici” come avvenne per alcuni anni con le dimostrazioni del “corpo di ballo” del Maestro Antonio Tinti, che tenne per parecchio tempo, corsi di danza all’Athletic; furono tenute anche esibizioni della scuola di Karate, per alcuni anni diretta dal maestro Leo Bazzani.

Molti dei premiati sono stati decisamente degli ottimi atleti, che, nella maggioranza dei casi, causa le loro attività professionali o non più giovani, non avrebbero potuto svolgere un’attività agonistica più impegnativa. Vorrei citare, alla rinfusa, un gruppo di maschi e femmine che in quei primi anni ricevettero quel riconoscimento: Maurizio Pancaldi, Raffaele Ravazzini, Andrea Romagnoli, Raffaele Chiesi, Ludovico Casati, Eugenio Lippolis, Paolo Verri, Luca Zanasi, Andrea Barbanti, Giordano Garuti, Marcello Monti, Christian Verona, Pietro Monaco. Massimo Morandi, Andrea Crespi, G. Luca Verasani, Fabio Pollastri, Maurizio Davoli, Walter Parenti, Enrico Zanfi, Antonio Piccinini, Paolo Bergonzini, Roberto Plessi, Paolo Pedrini, Claudio Paletti, Tiziano Mazzoli, Oscar Gualdi, Giovanni Mariani, Giuliano Cremaschi, Guido Galoppini, Alessandro Lantieri, Ottavio Pignatti, Mormile Carmine e Giovanni Gherardini, Garuti Giorgio.

Per il reparto femminile vorrei citare: Tiziana Benatti, Carla Carafoli, Giliana Barone, Silvana Casarini, Renata Vignoli, Donatella Incerti, Silvia Tonini, Cristina Malinverni, Augusta Spagnoli, Laila Tavani, Roberta Marzullo, Mariella Ulivieri, Paola Nocetti, Franca Severi, Cristina Nocetti Doretta Bonacini, Silvia Pucci, Cinzia Ligabue, Pilar “Pucci” Astrologo, Paola Quadri, Paola Mucchi, Nadia Loss, Silvia Nizzi, Anna Maria Gambuzzi, Siretta Ruggi, Angela Remaggi, Mirella Roncaglia, Giovanna Vedovelli, Francesca Falco, Irene Mazzoli, Cantaroni Luisa.

Per moltissimi anni l’Athetic Club è stata l’unica palestra in città, poi, alla fine degli anni settanta e nei primi anni ottanta, è iniziata la concorrenza con strutture quali “Waddan”, “Jolly”, e qualche altra che, gradualmente, anche in funzione di superfici più vaste e di investimenti economici di una certa consistenza, riuscirono, in parte, a strappare qualche iscritto, ma nello stesso tempo era già aumentata la domanda di “ginnastica” da parte dell’opinione pubblica.

Nello stesso tempo iniziava anche la piaga del “doping”, steroidi e anabolizzanti diventarono il “supporto” per tanti culturisti e molti giovani modenesi sono rimasti irretiti da queste sostanze. Personalmente, e tutti coloro che hanno collaborato con me all’Athletic, siamo sempre stati fautori e strenui difensori del potenziamento muscolare basato esclusivamente sul lavoro “naturale”. A quei tempi, alcuni dei frequentatori che avrebbero voluto, come poi hanno fatto, fuori dal mio ambiente, muscolarsi o con un’iperalimentazione o con l’assunzione di qualche sostanza, come certi particolari integratori (allora non esistevano né divieti né controlli) mi chiesero “cosa fare”. Il mio fu un totale diniego ad usare qualsiasi tipo di sostanza che non fosse più che naturale, mi rifiutai categoricamente per evitare di assumere responsabilità così delicate, e tanto meno instradare i miei allievi su un percorso che era sicuramente pericoloso, come si è rivelato, negli anni immediatamente successivi.

 Alcuni dei frequentatori dell’Atheltic, che si dedicavano al culturismo, si allontanarono. Non essendoci a quei tempi e tanto meno oggi, una legislazione ben definita sull’apertura di palestre, (chiunque, anche senza alcun titolo poteva aprirne una) moltissimi giovani sono caduti nelle “grinfie” di praticoni senza scrupoli che, pur di far aumentare le masse muscolari agli “illusi”, non disdegnavano, anzi sollecitavano ad assumere quelle sostanze che in breve tempo, solo apparentemente, davano certi risultati che venivano poi pesantemente pagati, in seguito, dagli assuntori, con vari tipi di difficoltà organiche, come malattie al fegato sino alla perdita dello stimolo della sessualità.

La ricerca del miglioramento corporeo con l’assunzione di sostanze chimiche doppanti, non è assolutamente accettabile nello sport agonistico (laddove gli atleti sono seguiti da equipe mediche), ancor meno deve esserlo dai non agonisti e, se si và alla ricerca di un “edonismo” fine a se stesso con le formule del “fai da tè”, è sempre controproducente.

La dismissione poi, di questi prodotti, o per presa di coscienza o per “stanchezza” lascia sempre cattivi ricordi: ne ho visti tanti che, in breve tempo, si sono trasformati da “adoni” in “grassoni” e quando le cose andavano bene.

Sono ugualmente da stigmatizzare certe forme d’esasperazione psicologica, o maniacal-sportive che portano conseguenze non meno devastanti rispetto all’assunzione di sostanze dopanti. Vi è un doping psicologico non meno pericoloso.

Un giorno mi arrivò in palestra una signora, ancora giovane, inviatami da un ortopedico, con la sua radiografia e il referto del medico. Una colonna vertebrale devastata; l’ortopedico cercava di recuperare quel rachide anche attraverso una buona ginnastica, che potesse aiutare quei poveri corpi vertebrali così mal ridotti. Attraverso il racconto della signora, appresi che era una “fanatica” della corsa e non so quanti chilometri macinasse ogni giorno.

La mia valutazione, immediata, dopo aver visionato la radiografia è stata quella di dire chiaramente alla donna: “Guardi, se vuole che si possa attuare un programma di ginnastica utile al recupero della sua colonna, sarebbe necessario sospendere almeno per qualche tempo la sua passione per la corsa. In seguito, dopo il parere del suo medico, si valuterà la possibilità di riprendere a correre”. La risposta fu: “Senta se Lei mi dice che non posso più correre si sbaglia, io non smetterò mai.” “ Faccia lei, Signora”. Non l’ho più rivista.

In seguito alla ristrutturazione dei locali, allargati, migliorati e resi notevolmente più funzionali, poiché non si poteva certo star fermi, con la concorrenza sempre più agguerrita, seppure attraverso notevoli sacrifici economici, aumentai in modo consistente le attività e di conseguenza il numero dei collaboratori.

Nuove attrezzature per il fitness, nuove discipline come l’aerobica, lo step, i corsi di danza, di karate, il lancio della “mia” “ginnastica bioenergetica, che ebbe molto successo e che mi diede tante soddisfazioni nel recupero psico-fisico di parecchie persone, la programmazione di una serie di video-cassette per fare ginnastica davanti al televisore, serie denominata, “La Palestra in Casa”, e poi il training-autogeno e il relax psicosomatico applicato individualmente ad alcuni singoli, accrebbero notevolmente le frequenze e la partecipazione dei modenesi.

Vi furono anche, e come possono mancare nella vita di una persona che ha svolto e continua svolgere, in un ruolo non marginale, ma direttivo e gestionale, incontri negativi con collaboratori che, o per gelosie o per interessi economici e malgrado tu abbia fatto tanto per loro, all’improvviso appaiono e si rivelano, come dei “traditori”: mi sono dovuto dire: “Ti sei allevato delle serpi in seno”. Alcuni casi mi accaddero negli anni difficili del rinnovo della palestra e della mia situazione personale (separazione).

Malgrado ciò l’attività proseguiva a ritmo notevole, continuavano le feste e le cene sociali e le relative premiazioni: per “par condicio” devo citare anche quelli degli ultimi anni: tra i maschi: Paolo Dall’Olio, Federico Ronga, Andrea Cupido, Filippo Cappi, Paolo Ronchi, Domenico Coghi, Alessandro Cattafesta, Giorgio Biagini, Enrico Vigarani, Antonello Bergamini, Andrea Calandra, Marco Rubbiani, e le signore: Daniela Ferrari, Enrica Costa, Magda Failathova, Francesca Pavarotti, Benedetta Panagis, Cristina Ferri, Rosanna Tassi, Romana Rosi, Loredana Guaiumi, Agnese Ronchetti, Carla Tondelli, Paola Galantini, Deborah Santulini e Lisa Silvestrini, Anna Nizzi, Franca Severi.

In Via del Carmine ci fu, alla fine degli anni ‘80 un intervento comunale per la sistemazione della strada, il tratto breve, nemmeno cento metri da Piazzetta San Biagio a Piazzale Boschetti, fu totalmente devastato per la sistemazione di alcuni tubi, gli scavi, coperti e ricoperti durarono, tra un lavoro di una settimana e la sosta di mesi, per circa tre anni. Fu un periodo “allucinante” che diede la misura di come si stesse comportando l’amministrazione Comunale che, malgrado continue richieste di intervento sollecito e proteste numerose, sembrava, ma non era solo una sensazione, perseguisse un disegno volutamente persecutorio nei riguardi di quella contrada dove, insistevano pochi abitanti e vi si trovava, l’ingresso della Palestra Athletic Club e l’ingresso della scuola elementare delle “figlie del Gesù”, scuola tipicamente “borghese”. Il danno è stato considerevole, le persone dovevano camminare su passerelle per attraversare i profondi fossati lasciati incustoditi e a cielo aperto per mesi. Nello stesso periodo fu sistemata, con la nuova pavimentazione, tutta la Via Emilia da Largo Garibaldi a Porta S. Agostino, quel tratto, superiore di venti trenta volte la strada di Via del Carmine, fu sistemato nel giro di brevissimo tempo. Scrissi in quel periodo un pezzo “tragicomico” che desidero riportare.

 Note di cronaca modenese - di Zuc

 Aggiudicato al Centro Storico della città di Modena il gran premio di mountain bike:

 “ 1° Trofeo Grandi Buche”   - Cronaca fanta-sportiva del centro storico.

 Il Comune di Modena, in collaborazione con la Federazione Internazionale Mountain-buche e con l’associazionismo sportivo locale, ha organizzato, nel centro storico cittadino il 1° Campionato mondiale di mountain-bike in territorio padano.

Per far sì che un territorio pianeggiante come quello della nostra città potesse entrare nel circuito internazionale con un percorso degno dei più prestigiosi percorsi collinari e montani, i nostri amministratori hanno ben pensato di lasciare, per un lungo periodo, le strade cittadine nel più classico stato di abbandono, onde far sì che buche, avallamenti, dossi, ecc. possano alternarsi nel modo più adatto e naturale a tali competizioni. Già da molti mesi e in molte zone da anni, sono stati aperti cantieri di lavori stradali, abbandonati poi a loro stessi e alla cura dei cittadini residenti e di passaggio tanto da poter oggi presentarci alle giurie internazionali con uno dei migliori percorsi.

In attesa di ricevere gli atleti di tutto il mondo, con alla testa la nostra bella medaglia d’oro di Atlanta della mountain-bike femminile, l’amministrazione comunale ha deciso di organizzare, nel frattempo, una competitiva spettacolo, come usano fare i grossi politici romani con le partite di pallone con i cantanti, i magistrati e gli attori.

Tutto il Consiglio comunale, giunta in testa, si è presentato al via della gara avvenuto nei primi giorni di Settembre, in Piazza Grande: mossiere il consigliere comunale “pipino”, Ettore Maioli, che con tanto di berretto a visiera, bandiera a scacchi e bielle incrociate come distintivo, ha fatto partire i concorrenti con salita e discesa dalla “pietra ringadora”.

E’ stato ingaggiato anche il noto cronista sportivo Delle Zanne che dal balcone municipale, al posto di Sandrone, (che di solito lancia da quel pulpito gli sproloqui normalmente ascoltati da migliaia di cittadini , ma mai presi in considerazione dagli amministratori)  ha commentato da par suo le epiche gesta dei concorrenti a quest’importante manifestazione sportiva.

Il plotone, con in testa il Sindaco, controllato e ben difeso dalla sua squadra di gregari, era suddiviso in due gruppi ben distinti e facilmenti riconoscibili.

Il primo, quello favorito per la vittoria finale e composto da atleti molto esperti e preparati, indossava una divisa dove era ben evidenziato il marchio di uno degli sponsor, una pianta che, non era ben chiaro se fosse quercia o ulivo, e con la scritta a caratteri cubitali “Avanti miei Prodi”; montava biciclette ultimo tipo con accorgimenti avveniristici e con le scritte promozionali degli sponsor, quali: “equipe i Portali”, Squadra “Nuova Bruciata”, “Ale’ con la rotonda” , “squadra terzo iper” e così via. 

Nelle retrovie arrancava, su biciclette arrugginite e di varia foggia, con un abbigliamento degno delle vecchie corse ciclistiche degli anni venti, e con scritte sbiadite sulle maglie e quasi illeggibili dove si intravedeva appena un “sforzo italico” o qualche cosa del genere, una fiammella sottile e quasi spenta e un vecchio scudo che sembrava crociato.

Al centro del plotone si notava un piccolo gruppetto, elegantissimo nelle sue fiammeggianti maglie di un verde paglierino, nuovissime, con scritte tipo : ” Dura lega sed  lega” che, trovandosi in pieno territorio padano, cercava di mantenere le distanze dagli altri, anzi avrebbero voluto organizzare la manifestazione solamente per loro e nella zona di Modena Nord, ritenuto il territorio più adatto per i loro mezzi tecnici e anche perchè non volevano confondersi con i “terroni” di Modena Sud, ma perché non vi erano buche e dossi sufficienti hanno pensato bene di partecipare insieme con gli altri alla gara in Centro Storico.

Sono così partiti da Piazza Grande imboccando, dopo tre giri attorno al Duomo e alla statua del Tassoni, la Via Emilia, per affrontare la prima durissima parte del percorso, sullo sterrato, buche, ostacoli d’ogni tipo  e dovendo superare enormi cumuli di sanpietrini; attorno a loro sui marciapiedi e sotto i portici, i negozianti e gli abitanti del centro storico sventolavano bandierine tricolori e giallo-blù inneggiando festosamente agli atleti, molti avevano anche esposto la bandiera nazionale, solamente uno, subito ripreso e redarguito si era azzardato ad esporre la  bandiera rossa con falce e martello che teneva vicino alla finestra. Il poveretto però urlava e sbraitava che no, non era possibile, che lui l’aveva esibita per cinquanta anni e nessuno gli aveva detto che adesso non era  più ammessa, e non capiva perchè doveva nasconderla.  

Superata a fatica la prima barriera della Via Emilia, i concorrenti si immettevano in Piazza Matteotti per infilarsi nelle strette stradine che sono attorno e  per arrivare, dopo poco, su uno dei tratti più belli del percorso e in altre parole la zona di Via Taglio e di Piazza della Pomposa, dove proprio davanti alla vecchia Chiesa era posto il traguardo volante titolato a Ludovico Antonio Muratori e vinto, con uno scatto bruciante, dall’assessore ai lavori pubblici.

Il manipolo di atleti proseguiva poi, su di un percorso sempre ben accidentato, per Corso Cavour, Via tre Febbraio, Via Sgarzeria e raggiungere Corso Vittorio Emanuele, dove era stato impostato uno splendido slalom tra gli alberi che fiancheggiano il Viale; però, al termine della serpentina, tutti gli atleti si sono trovati coperti da un forte strato di guano che li ha resi quasi irriconoscibili; questo fatto ha creato sbandamento nel gruppo, tanto che alcuni si trovarono improvvisamente su strade perfettamente asfaltate e liscie come biliardi: non si erano accorti di essere usciti dal percorso e avevano imboccato quello dei supermercati e delle “grandi feste nazionali” e dove di solito si svolgono le gare dei carrelli pieni e di quelli vuoti.

Cercarono pertanto di ritornare sul percorso, ma si trovarono in notevole ritardo rispetto agli altri, tanto che alcuni atleti di quelli sponsorizzati dalla ditta “caramella col buco” si fermarono per fare quadrato, e vista la posizione pensarono bene di rispolverare il vecchio gioco dei quattro cantoni che a volte cercano di fare in consiglio comunale, dato che non sono riusciti a trovare altri sistemi per disturbare la giunta.

Intanto, la testa del gruppo ancora ben compatta, superate le modeste difficoltà delle montagnole dei Giardini pubblici e dopo essersi dato una bella ripulita nelle limpide acque del laghetto, si immetteva in Corso Canalgrande per affrontare le difficoltà di Via Carlo Goldoni (dietro al teatro Comunale) e le stradine attorno al Tribunale per raggiungere il punto cruciale del percorso e vale a dire la zona di Piazzale Boschetti, Via del Carmine e Vicolo Fosse (laterali della Via Emilia) dove qui, i miglior mountain-buchisti potevano rivelare tutte le loro qualità di acrobati per superare fossati, enormi buche che diventano laghi con la pioggia, steccati e altre difficoltà (il cantiere aperto lo scorso anno a Settembre e’ destinato a rimanere, per la grande volontà dell’amministrazione comunale, sede fissa del percorso di campagna, il famoso cross-country dove si svolgeranno anche gare di motocross, di gare ad ostacoli a cavallo ed altro): Difatti i tecnici internazionali hanno rilevato che percorsi cittadini così perfetti non si trovano nemmeno nelle “favelas”  di Rio de Janeiro e tanto meno nei quartieri periferici di Katmandu e Calcutta. Un plauso è stato indirizzato agli esperti, ai tecnici e agli addetti alla viabilità modenese, in particolare da parte degli specialisti cubani, cinesi e ceceni.

Ma torniamo al nostro gruppo che si frazionava sempre più di fronte alle impervie difficoltà ritornando sulla Via Emilia nei pressi di Largo Garibaldi per cercare di raggiungere, finalmente, l’agognato traguardo posto dietro alla Prefettura, dato che davanti alla stessa ci si ferma normalmente la famiglia Pavironica e di conseguenza non si voleva cadere nel ridicolo.

Il tratto finale, era indirizzato lungo Corso Adriano, dove cadeva malamente a terra la “forzista” Isabella Bertolini, che lanciava alto il grido di “Forza Italia” (raro esempio di virtù atletiche) ma che per quella ragione non pote’raggiungere Rua Pioppa dove la giunta al completo tagliava il traguardo compatta come un sol uomo, tanto che la giuria non potè stilare la classifica  regolare e li mise tutti a pari merito.

Si concludeva così il 1° Gran Premio Grandi Buche modenesi”; il trofeo era consegnato agli amministratori comunali da parte dello sponsor ufficiale la : “Ditta grandi scavi centri storici”; intanto i cittadini “sguazzavano” felici e contenti, agitando le loro bandierine, nei fossati, nelle pozzanghere che diventano sempre più profonde, per tenere alto nel mondo il prestigio del percorso cittadino di mountain-bike il più adatto alle grandi manifestazioni internazionali.

Il vostro cronista vuole anche citare l’anonimo che ha stilato il famoso epitaffio  latino:

“Quid non fecit Barbari fecit Barbolini “, che resta sempre di grande attualità.

In ogni modo, vi stà bene cosi, cittadini del centro storico, che non avete dato compatti la vostra adesione alle piante secolari; contrariamente a quanto succede agli altri quartieri, dove appena si decompone un pò l’asfalto corrono velocemente gli addetti alle riparazioni, voi avete il previlegio di supportare il miglior percorso mondiale di mountain-buche.

 Nel frattempo mi ero attorniato da un nuovo gruppo d’insegnanti, giovani e preparati, tra i quali desidero citare, le insegnanti, Enza Savino, Giuliana Pincelli, Elena Panzanato, Giulia Rossi, Elena Tommaselli, Angela Sandonà, Elisabetta Schwarz; e tra i maschi, Carlo Bartolamasi e Alessandro Zucchini, oltre a Luigi Bertaglia (istruttore di boxe), Roberto Candeletta (istruttore di full-contact); tutti/e diedero un notevole contributo alla ripresa delle attività, dopo il “disastro” del Novembre 1993.

Vi fu, una notte, nel salone principale dell’Athletic Club, il cedimento di alcuni pannelli del controsoffitto; immediatamente chiusa la palestra, mentre si procedeva ai lavori di ripristino, si spezzò una trave per l’eccessivo carico del solaio che crollò, riempiendolo di detriti e del materiale accatastato sopra, dalla ditta “Benini”.

Era il primo pomeriggio del 10 Novembre 1993, una bella (brutta) giornata, il crollo fece un “botto” notevole; intervennero subito i pompieri con scale e quant’altro; fortunatamente nessun danno alle persone, ma, enormi danni alle mie “cose”.

Mentre i pompieri erano all’opera, a vedere tutta quella confusione tantissime persone si erano radunate sulla Via Emilia, tra il Bar Roberta e la Piazzetta di San Biagio, in pieno centro e in un ora di traffico; contemporaneamente si trovarono a passare per il centro un giornalista e un fotografo del “Resto del Carlino” che, vista la scena, si precipitarono su, nei miei locali, scattando fotografie e facendo domande.

Il giorno dopo apparve, sulla prima pagina della cronaca locale del quotidiano, con titolo a caratteri cubitali su quattro colonne, la notizia: “Crolla il soffitto in palestra” con relativa immagine della sala “devastata”. Quattro mesi di chiusura dei locali, nel periodo più frequentato per una Palestra, da Novembre a Febbraio. Riduzione del 50% della superficie e pubblicità totalmente negativa; fui messo, come si suol dire, “in ginocchio”.

La ripresa ci fu, seppure con notevoli difficoltà, ma il colpo fu di quelli che “non perdonano”. Nel 1998, non avendomi il proprietario dei locali rinnovato, con una cifra dignitosa, dopo il grave colpo che avevo subito, il contratto d’affitto, fui costretto, dopo trentacinque anni, a chiudere quell’attività alla quale avevo dedicato tutte le mie energie, economiche e morali.

La chiusura definitiva dell’Atheltic Club mi ha letteralmente annientato. Subire un colpo così pesante quando si è già avanti con gli anni, in una professione tipicamente giovanile come la mia, lascia qualsiasi individuo in una condizione psicologica difficile. Non bisognava demordere, con un gruppo di signore che erano ancora intenzionate, nonostante tutto, a continuare le ore di ginnastica con la mia guida, passammo dal centro della città, nella palestra di una mia collega, Claudia Mazzoni, in zona periferica in Via Arma di Taggia, denominata “Ginnastica Più”. L’anno successivo, sempre con quel gruppo di “irriducibili”, presi contatto con la Palestra “New Aktivarium”, dove, nella sala del corpo libero abbiamo portato avanti sino ad oggi (anno 2007), un’attività fatta per gruppi di “non più giovani” che hanno ancora la costanza e la determinazione di svolgere, due tre volte la  settimana, le esercitazioni più adatte ad un mantenimento organico di tutto rispetto.

Mi tocca rilevare un seguito, politico-ginnastico, avvenuto, durante le mie lezioni, di mantenimento organico; in occasione della vittoria del raggruppamento della “casa della Libertà”, il 13 Maggio 2001. Il gruppo di allieve che frequentavano quelle lezioni presso la Palestra “New Aktivarium”, era solito, all’inizio e tante volte durante l’esercitazione, commentare, fatti, episodi e quant’altro potesse ridurre la tensione e la fatica dell’attività, a volte intensa e rilevante, per un gruppo della cosiddetta “terza età”. Orbene, la mattina dopo il risultato elettorale che diede la vittoria a Silvio Berlusconi e alla sua coalizione, una signora del gruppo mi pose la domanda: “Allora Prof. cosa ne pensa dei risultati?”; mi permisi fare una constatazione che ritenevo assolutamente corretta e risposi: “Contentissimo, poiché è la prima volta, da quando partecipo alle consultazioni elettorali, e ne ho fatte parecchie, che posso dire: ho vinto anch’io, finalmente”.

A quel punto una signora, ovviamente non soddisfatta di quei risultati e dimostratasi chiaramente dell’altra “parrocchia”, cosa che nessuno aveva sino a quel giorno notato per la sua classica collocazione “borghese” nella società modenese, sbottò, arrabbiatissima in un: ”Basta! Qui non siamo venute per parlare di politica, dobbiamo solamente fare ginnastica”; gelo totale nella sala, quella mattina il gruppo delle signore era particolarmente numeroso. Continua la lezione in modo quasi surreale, nessuna più parlava, cosa inusuale, quando, una delle signore, per rompere l’atmosfera così tesa, si rivolge alla Signora che aveva reagito alla mia esternazione, che così rispose: ”ma io stamattina sono stata messa in castigo e di conseguenza non sono presa in considerazione” (riferendosi alle solite correzioni che normalmente faccio alle signore durante l’esercitazione).

Non sono, in genere, molto irascibile, ma, cercando sempre di usare sarcasmo e correttezza formale, quando provocato, non riesco a starmene zitto. Mi limitai a rispondere: “ Sa, signora, di fronte ad una persona in lutto, (le elezione perse) cerco di mantenere il giusto controllo, rispettandola nel suo dolore.”

Terminò la lezione, ma terminò anche la frequenza al corso di ginnastica della signora in oggetto. Seppi anche che l’episodio fece il giro di molti salotti modenesi.

Con molto piacere, ho annoverato, in questi ultimi anni, tra le più “affezionate” allieve, l’impareggiabile cantante lirica, Raina Kabainwaska, che segue con una costanza ed un impegno encomiabili, quando non è in “giro” per concerti o con le sue allieve della scuola di canto, le mie lezioni.

             Un altro impegno, che mi ha permesso di restare legato al mio mondo è di essere entrato, come componente dello staff tecnico e come “web master” al Coni di Modena, dove, con la Presidenza di Franco Bertoli (il gran pallavolista di qualche anno addietro), la segreteria della Prof.sa Orestina Zazzarini, e il responsabile dello staff tecnico Prof. Gigi Trotta, si è costituita una squadra veramente attiva e motivata, dove il sottoscritto, pur trovandosi nella posizione di “più anziano”, ha trovato quelle motivazioni esistenziali, che sono il “sale” della vita.  

 

 

 

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Le “tradizionali Vacanze Invernali”

 

Dopo la serie delle Vacanze estive, con i corsi di vela, nuoto, tennis, sci nautico effettuate a Riccione, Cesenatico e Lussino, ritenni che fosse giunto il momento di dedicarsi al mondo dello sci che tanto mi aveva entusiasmato dai tempi delle Olimpiadi Invernali di Cortina d’Ampezzo.

Nell’autunno del 1962 presi il primo contatto con degli albergatori di Moena che gestivano il “Rifugio Monzoni” al Passo di San Pellegrino, a 1920 metri d’altitudine. Prenotai trenta posti letto per dare così avvio alle prime Vacanze Invernali, che in seguito ottennero un clamoroso successo. I posti prenotati si riempirono con una certa facilità e d’allora iniziò la serie, durata oltre venti anni; per dieci giorni dal 26 Dicembre, Santo Stefano, al sei Gennaio, giorno dell’Epifania, ho avuto la ventura di trascorrere quel periodo dell’anno, assieme a centinaia di giovani modenesi e di tante altre località.

Avevo già avuto per alcuni anni l’esperienza di partecipare alla settimana bianca natalizia organizzata dal Ente provinciale del Turismo in collaborazione con l’ufficio Ed. Fisica del Provveditorato agli Studi, a Sestola, dove tra l’Hotel Panoramic e l’Hotel Roma, molti ragazzi modenesi, tra la fine degli anni’50 e i primi anni ’60, ebbero la possibilità di fare le prime esperienze sugli sci, tra la Galvanella e la pista Rossa. Sestola allora non era come oggi; piste tenute in un qualche modo, limitata volontà di sviluppo turistico, come invece avvenne in seguito.

Mi resi conto che da parte dei giovani modenesi vi era il desiderio di andare oltre “i nostri confini”. Ritenni che era giunto il momento di fare conoscere ai “padani” la bellezza e l’incanto delle Dolomiti, montagne magiche e affascinanti.

 Non che il Passo di San Pellegrino allora, fosse dotato di chissà quali attrezzature, vi era un solo skilift che, dal Rifugio Monzoni, arrivava al Rifugio Margherita, con il mitico “Bepi” che gestiva entrambi. Eravamo praticamente noi e pochi altri e il paesaggio nel quale eravamo inseriti era ed è di una bellezza incomparabile; il gruppo dei “Monzoni” che al tramonto si tingevano di rosa, le bianche distese immacolate che andavamo a “contaminare” con i nostri sci di legno, le gite, diurne e notturne (a bere il vino brulé e a cantare le struggenti canzoni alpine) ai “masi”, le capanne dei pastori per gli alpeggi estivi, il nostro rifugio Monzoni accogliente e immerso nella neve, sono un ricordo che tutti coloro che hanno preso parte  a quei primi anni di Vacanze Invernali del Prof. Zucchini, non potranno mai dimenticare.

Dal 1962-63, abbiamo goduto di una montagna “incontaminata”. Al nostro Rifugio albergo, ad esempio, non esisteva il telefono, l’unico posto telefonico pubblico era a circa tre chilometri dal passo, in località gli ”Zingari” e, al tardo pomeriggio, dopo l’attività sciistica, molti ragazzi si dirigevano a quel posto, per fare la fila e “comunicare” con le loro famiglie.

 Con me a collaborare, sia per la parte sciistica sia per la “gestione” dei ragazzi in albergo, vi era l’amico Prof. Bartolomeo Candeli di Pavullo, “Bart”, era come tutti gli uomini di montagna, un buon bevitore. Un anno arrivammo al Rifugio Monzoni (che avevamo quasi totalmente occupato) quando alla sistemazione delle camere, ci si accorse che ne mancava una, ovviamente la nostra, dopo aver sistemato tutti i ragazzi.

La proprietaria dell’albergo ci propose la sistemazione provvisoria, per due-tre notti, in una stanza del sottotetto, ma senza riscaldamento. Eravamo a duemila metri e le notti, lassù, non sono come in Riviera; ci disse la Signora: “Posso metterci una stufetta a gas, o darvi una bottiglia di grappa”. Quale fu la scelta? Per tre notti, io e Bart, ben coperti, dopo le fatiche della giornata, quella bottiglia di grappa ci aiutò egregiamente a difenderci dai rigori delle “notti dolomitiche”.

Per anni ci furono tanti ragazzi e famiglie modenesi che scelsero di passare i dieci giorni delle vacanze natalizie  con i miei corsi di sci. La famiglia Aggazzotti con la Sig.ra Laura e il Dott. Pietro (produttore del noto, Nocino e Laurino), e i figli Emanuela e Ettore, la famiglia dell’Ing. Domenico Rabino, con i figli Alessandro, Luisa e Franco, la famiglia Baroni con la figlia Antonella, e tutto un gruppo di giovani, nella maggioranza diventati noti professionisti della società modenese quali, Fabrizio “Bricia” Ferrari, Davolio Marani Severino, Oliviero e Daniele Soragni, Sandrino Sereni, Gino Padoa e la sorella Laura, Vittorio Brino, Alessandro Gheduzzi, Carlo Cacciari, Giuliano Andreoli, Marco Rigatelli, i fratelli Santangelo e tanti altri.

 Allora era facile il controllo dei ragazzi che, seppure nell’esuberanza giovanile, avevano un gran rispetto per i loro insegnanti e per gli adulti in genere. Usavo, se mi si lascia passare una terminologia ormai desueta, il sistema del “bastone e della carota”; sì divertirsi, ma pur sempre entro certi limiti. Ritenevo, a quel tempo, che si dovesse superare, andando in giro con gruppi di giovani, la concezione della “colonia” e che i nostri ragazzi si dovessero inserire, pariteticamente, nelle strutture alberghiere assieme alla clientela tutta.

Certamente non è stato facile far recepire e agli uni e agli altri, condividendo lo stesso tetto, che avevano gli stessi diritti e doveri. L’intensa attività sportiva, permetteva in parte questa possibilità; per quanto la sera i giovani volessero esprimere la loro vitalità nel fare le ore piccole, nel giocarsi scherzi a non finire, nel cercare i contatti con le ragazze, uscivano pur sempre da giornate particolarmente faticose. Ore sugli sci, in quelle condizioni climatiche, facevano sì che la sera, una buona percentuale fosse particolarmente “cotta”, anche se, ancor più cotti, erano gli insegnanti che, dopo la giornata sulla neve, dovevano controllare le “scorribande notturne”.

Tantissimi aneddoti sarebbero da raccontare ma non è possibile ricordarseli tutti. Qualcuno viene alla mente: una sera, avendo scoperto che alcuni ragazzi erano entrati in una camera di ragazze, mi permisi un piccolo ”divertissment”. Bussai alla camera dopo l’orario, generalmente elastico, del riposo. “Chi è”. Il Prof. Zucchini, risposi. Gran tramestio all’interno. “Attenda un attimo che le apriamo subito”. Difatti, dopo poco, mi fecero entrare, sul tavolino della stanza, panettone, e spumante. “ Come va ragazze?” “Tutto bene Prof.” La tenda della finestra-balcone si muoveva leggermente e mi resi conto che i ragazzi erano andati a rifugiarsi là fuori.

La situazione era scontata e, con un “briciolo di cattiveria” ne approfittai. “Posso restare a fare due chiacchiere con voi ragazze, mi offrite una fetta di panettone? Ma certo, mi dissero a denti stretti; per farla breve, dopo aver sorseggiato un goccio di spumante e addentato una fetta di panettone, andai sul balcone, erano tutti in pigiama o camicia da notte, e a duemila metri non è facile resistere, feci rientrare immediatamente i quattro cinque ragazzi, quasi “assiderati” dicendo loro. “Ma ragazzi, secondo voi io dovrei essere così severo da lasciarvi congelare sul balcone o punirvi solamente perché siete entrati in questa stanza a far compagnia alle vostre amiche? Venite subito dentro e beviamoci assieme un po’ di spumante!”

In quegli anni i giovani allievi, pur nell’esuberanza della loro età, avevano molto rispetto per gli insegnanti e accettavano di buon grado i richiami di chi aveva la grossa responsabilità della loro sicurezza, in particolare quando, per dieci giorni, si conviveva in una dimensione di alta montagna praticando una disciplina sportiva che poteva creare situazioni delicate per l’integrità fisica dei ragazzi. In quei primi anni non ci furono incidenti particolari, qualche botta, qualche lieve distorsione che, praticando lo sci, sono quasi all’ordine del giorno.

Le lezioni erano tenute dai maestri di sci della Scuola di Moena guidata dal Maestro Chiocchetti, con l’aiuto mio e del Prof. Bartolomeo Candeli che collaborava nel controllo in albergo dove vi era la partecipazione dei colleghi, Prof. Dino Cerrato e Maria Pia Bertani e, del gruppo a Selva di Val Gardena, Romano Tagliazucchi.

Tra i tanti allievi di quel periodo ricordo ancora con tanto piacere: Giacomo Ghillani, Pierino Lottici, Alessandro Monti, Giorgio e Michele Lofoco, Stefano Monti (poi noto regista teatrale), Antonio Minezzi e le ragazze, Laura Zanichelli, Rossella Boni, Gabriella Bettelli, Paola Beggi, Mariella Della Rovere, Nicoletta Pacchiarotti, Doretta Della Rovere.

Dopo l’esperienza al Passo di San Pellegrino scelsi per le Vacanze Natalizie un'altra località particolarmente isolata, la località del Nevegal, appena sopra Belluno. Era un rifugio situato “sul cucuzzolo della montagna”, posto splendido, isolatissimo, dato che ci si arrivava solamente in seggiovia e, dalle cinque del pomeriggio al mattino, “lassù” restavamo solo noi; avevamo occupato tutto l’albergo-rifugio e la vita di gruppo ebbe la sua massima espressione. Si aggregarono al “gruppo storico” tanti altri ragazzi e tra questi ricordo, Mario Marchiò (poi noto avvocato del foro modenese), Sandro Miglioli, Alessandro Righi, Riccardo “Richy” Levi (giornalista e uomo politico, Ministro nel secondo Governo Prodi).

Il papà dei fratelli Aggazzotti, il Dott. Pietro, tutti gli anni, veniva a trovare la famiglia verso il giorno di S. Stefano, in quell’occasione, poco dopo il pranzo di mezzogiorno, si era davanti all’albergo e i ragazzi cominciavano a “sciamare” per riprendere l’attività pomeridiana, mi si avvicina dicendomi in dialetto modenese: “Professor, a vag a vader i me du ragazo cum i stan”. (Professore vado a vedere i miei due ragazzi come stanno). Ma dottore, dico io, li ha appena salutati con gli sci ai piedi mentre stavano iniziando la discesa; “ Ma no, a vag in cuseina a controler i du cutchein c’a io purte sò e che a magnam stasira!” (Ma no, vado in cucina a controllare i due cotechini che ho portato con me e che mangeremo questa sera!)

Dal Nevegal si passò a Misurina, altra splendida località Ampezzana, in un bel albergo vicino al Lago, dove alla sera si disputavano, tra i ragazzi del gruppo, spettacolari partite di “calcio su ghiaccio” con scarponi da sci ai piedi, con grande apprensione da parte del sottoscritto, prevedendo che qualche ammaccatura “poteva starci”, fortunatamente andò sempre bene, anche perché dopo le partite, si ritornava nella tavernetta dell’albergo a ballare e bisognava restare in forma anche per quell’attività. Quando arrivava l’orario della “ritirata” erano battaglie accesissime per far si che tutti rientrassero, nelle loro stanze, in orario “decente”.

Qui a Misurina, presenti i “soliti noti”, si aggregarono tanti altri: Paolo Ferrari, Elisabetta Barbolini, Gianni Valducci, Oscar Scaglietti (dell’omonima carrozzeria), Paolo Verri e Donatella Incerti, Alessandro Borelli, Guido Ferrari, Giorgio Barbolini. Tutti i citati parteciparono anche negli anni successivi, assieme ad Alberto Montorsi, Cesare Gusberti, Maurizio Coppini, tutti validi medici, oltre a Giovanni Soldati (figlio del noto scrittore e regista cinematografico e lui stesso in seguito regista), alle mitiche vacanze di Solda e di Campitello. (il gruppo si era notevolmente allargato).

In entrambe le località furono occupati parecchi Alberghi e, se tutte le vacanze sono state considerate da molti partecipanti, “mitiche”, queste furono super. Con una ragguardevole partecipazione di giovani, in questi e negli anni successivi, qualche piccolo incidente, tipo fratture alla tibia, lussazioni e contusioni, avvenne.

 Un episodio, ricordo, in quel di Solda. Oscar Scaglietti si infortunò l’ultimo giorno dell’anno, una botta alla spalla con probabile lussazione per una caduta sul ghiaccio di quelle piste. Lo porto immediatamente all’Ospedale di Bolzano, dove pensano di trattenerlo in osservazione per due giorni per ulteriori accertamenti.

La sera di San Silvestro lo vidi arrivare, all’improvviso, con il braccio fasciato: ovviamente lo rimproverai per quella sua “fuga” dall’Ospedale. “Prof., ma come faccio a perdere l’ultima sera dell’anno in un letto d’ospedale quando tutti gli amici sono quassù a divertirsi”. E difatti, anche quello, fu un ultimo dell’anno da ricordarsi, per tanti modenesi.

Solda è una splendida località ai piedi del gruppo dell’Ortles e del Cevedale, freddissima in quei giorni e con tanti alberghi occupati dai modenesi: Il “Bambi”, il “Dangl” il “Grand Hotel Solda” e una villa splendida occupata da un gruppo dei “vecchi” (di vacanze del Prof., non di età). Con noi assieme ad alcune famiglie vi era quella dei Po’, delle cucine carpigiane; l’ultimo giorno dell’anno raggiunse la famiglia anche il “patron”, che riuscì ad unire, l’utile al dilettevole, difatti nei giorni successivi, “piazzò” una delle sue famose cucine, in uno degli alberghi dove alloggiava il suo gruppo.

Era con noi anche la famiglia Bussinello con Paolo, grande tennista modenese prematuramente scomparso e al quale la Scuola di Pallavolo Anderlini ha titolato una grande manifestazione pallavolistica denominata “Memorial Bussinello” e il fratello Marco, fisico possente, “testa matta” che si dedicò, in seguito, alla specialità sciistica più impegnativa: la discesa libera, tanto da arrivare a conquistare il titolo di Campione Italiano Universitario. Marco Bussinello ebbe la compiacenza, in un’intervista pubblicata sulla “Gazzetta dello Sport”, dopo i suoi successi, di gratificarmi, affermando che ad avviarlo allo sci era stato il Prof. Zucchini.

Ebbi il piacere di essere citato da molti miei allievi e non solo nel settore dello sci, ma anche da coloro che si dedicarono con risultati d’altissimo livello, all’atletica o alla Pallavolo, per l’aiuto che avevo dato, alla loro iniziazione agonistica.

 Anche a Campitello occupammo una serie di alberghi, il “Rododendro”, i “Monti Pallidi” a fianco della seggiovia che ci portava al “col Rodella” dove svolgemmo le gare di fine corso, oltre ad altri due o tre alberghi più piccoli. Si era aggregato in quell’anno alla mia organizzazione un altro insegnante di Ed. Fisica, il Prof. Gaetano Gibertini, grande sportivo e ancor più sciatore eccezionale.

Con un gruppetto tra i ragazzi più grandi facemmo, un giorno, il famoso giro dei quattro passi “la Sella Ronda”, erano con me, Cesare Gusberti, Guido Ferrari, Alberto Montorsi, Alessandro Rabino con il padre Ing. Domenico, appassionato sciatore, e alcuni altri; quando arrivammo a dover affrontare il famoso “Ghiaione del Pordoi”, dove i primi 50 metri si facevano scendendo aggrappati ad una fune in mezzo alle rocce e con un pendio mozzafiato, mi vennero le “paturnie” dato che avrei dovuto guidare il mio gruppo in quel budello di neve e di rocce. E se succede qualcosa? È stata, in tanti anni assieme agli allievi, l’unica volta che ebbi quella grossa preoccupazione. Erano tutti “in gamba” e terminammo la rocambolesca discesa, intatti.

Ormai la mia organizzazione si era sviluppata in modo incredibile. L’anno seguente ad Andalo raggiunsi il massimo della partecipazione. Circa duecentocinquanta giovani e famiglie parteciparono a quella vacanza; tra le famiglie, ricordo quella numerosa del Cav. Walter Bellei, dell’Ing. Suzzi, dei Tarabini Castellani, la famiglia Stanguellini con Francesco e Rossella ecc., sembrava che tutta Modena volesse partecipare alle,“Tradizionali Vacanze del Prof. Zucchini” come comunemente erano chiamate.

Andalo, gli alberghi, le piste della Paganella, sembravano occupate solamente da modenesi. Naturalmente mi diedero collaborazione, in quella circostanza, tanti colleghi, dato che in ogni albergo erano presenti almeno due insegnanti; con me c’erano i soliti, Bartolomeo Candeli, Maria Pia Bertani, ai quali si aggiunsero Paolo Bassoli, Marco Santunione, Paola Bernardi, le sorelle Melchiorri e Gaetano Gibertini.

Citare i nomi dei tanti partecipanti occorrerebbero almeno due capitoli e per me, riuscire a ripescarli nella memoria resta veramente difficile. E’ stato senz’altro l’anno più impegnativo dal punto di vista organizzativo e di gestione; pur attorniato da validi colleghi, quando sorgevano problemi, o con gli albergatori o con i ragazzi, ero direttamente chiamato in causa, poiché ero il “diretto responsabile” di tutto il gruppo. Per me non erano più vacanze, non vi era un attimo di tregua, era un vero e proprio “tour de force”, di giorno sugli sci, poi la sera e la notte in giro per gli alberghi per tenere sotto controllo la situazione, ogni notte dormivo poche ore e ritornavo in città, al termine dei dieci giorni, totalmente “distrutto”. 

   Gli anni a seguire sono stati quelli di Pejo, quattro volte, di Folgaria, di Pinzolo, di Serrada (due volte). Vi fu anche un ritorno al Passo di San Pellegrino nel 1971-72, moltissime iscrizioni; occupato completamente l’albergo “Cristallo”, nuovissimo, creai un altro concentramento a Bellamonte, località di là dal Col Margherita, in linea d’aria poco distante, ma percorso molto lungo in automobile. I “grandi” al Passo, i “piccoli” e le famiglie a Bellamonte.

Eravamo già entrati negli anni della politicizzazione studentesca e non poté mancare la contrapposizione tra gli opposti schieramenti, anche nell’ambiente alpino. Non vi erano mai stati problemi di questo tipo in tutti gli anni precedenti, a San Pellegrino successe la notte dell’ultimo dell’anno; un gruppo di ragazze alloggiate a Bellamonte vollero partecipare “a tutti i costi” alla festa con cenone al Passo; le andai a prender con il pulmino Ford con il quale mi ero attrezzato e dopo il “caotico cenone”, a notte fonda le dovetti riaccompagnare a Bellamonte. Notte di “tregenda”, al Passo si stavano accumulando metri di neve con una bufera vista poche volte.

Con il mezzo attrezzato bene per la montagna ed essendo praticamente tutta la strada in discesa, riuscii a raggiungere, sebbene con molta fatica, Bellamonte. Al mio ritorno al passo imparai che durante la notte ne erano successe “di tutti i colori”. Dopo i brindisi e le bevute del capodanno, attraverso il classico abbassamento dei freni inibitori, i due schieramenti che si erano creati, di destra e di sinistra, si scontrarono, prima a suon d’invettive, poi si passò a qualche episodio, limitato, di scontro fisico. I miei colleghi, con in testa Gaetano Gibertini e gli albergatori, ebbero il loro gran da fare per tranquillizzare gli animi alquanto surriscaldati. Verso mattina tutto tornò alla normalità, le intemperie favorirono il ritorno alla tranquillità dato che l’albergo era quasi sepolto dalla neve e uscire all’esterno era molto difficile, Molto meglio godersi lo spettacolo, di quell’eccezionale nevicata, dalle ampie finestrature dell’Hotel.

Mi resi conto, da quel momento, quanto l’esasperazione politica avesse acceso gli animi dei giovani, in netta contraddizione tra loro e anche il periodo delle vacanze invernali, che avrebbe dovuto essere un solo momento di sport e di svago, diventò motivo di divisione tra chi era di destra e chi di sinistra. Personalmente non feci mai delle distinzioni, tanto meno dei favoritismi, ebbi sempre l’accortezza di mantenermi in un certo equilibrio anche perché non diedi mai sottolineature politiche alle mie organizzazioni giovanili.

Il “virus” della politica e dell’ideologia estrema era entrato nelle masse giovanili che si schierarono con tutta la passione dell’età. Negli anni successivi in varie località fui costretto in alcune circostanze a frenare gruppi di giovani che “scadevano” in esuberanze politiche. Non è stato facile usare “il bastone e la carota”; i genitori mi affidavano i loro ragazzi e per me era un imperativo categorico farli ritornare alle loro famiglie,“integri”, sotto tutti i punti di vista.

 Erano gli anni dei gruppi giovanili di nuova composizione, “quelli dei primi anni” erano ormai adulti e le loro scelte diventavano individuali; si affacciavano le nuove generazioni con la presenza di altri giovani modenesi e, tra i tanti, ricordo: Ludovico Casati Rollieri, Federico Vigarani, Donato Saltini, Franco Ferrari, Carlo Pandolfini, Federico Bernardoni, Alessandro Guerra, Francesco Verganti, Cecilia Verganti, Paolo Rebucci, Anselmo Vandini, Luca Rebucci, Massimo Fratelli, i fratelli Giorgio e Stefano Goldoni,  Aldo Ferretti, Angelo Po’, Patrizia Covili, Carlo Messerotti, Beatrice Lotti, Marcello Lotti. In quelle località ebbi sempre la presenza di gruppi familiari al completo come la famiglia di Giuseppe Panini, quella di Bruno Barbieri, del Dott. “Gigi” Galantini e ricordo le fiaccolate notturne a Pejo, alle quali partecipavamo, assieme ai Maestri di sci, con i nostri sciatori padani.

A Pinzolo vi fu un’eccezionale festa di capodanno, con il trasporto “anticipato” alle loro stanze, di alcuni che avevano anticipato le libagioni della mezzanotte. Tutti gli anni, quella della “sbronza di San Silvestro” era una situazione che dovevo tenere particolarmente “sotto controllo”.

Quel rito in età giovanile era qualcosa di “dovuto”, gli eccessi ci sono stati, e molti, ubriachi, io e i miei collaboratori li abbiamo dovuti sistemare innanzitempo, in quella notte di “semel in anno”, ma, in rapporto al considerevole numero di ragazzi che “alzavano il gomito”, non vi furono mai situazioni particolarmente delicate, eccetto quella che si verificò l’ultimo anno delle mie “Vacanze”, 1981-82, in quel di Andalo, dove chiusi un’attività diventata troppo impegnativa e nella quale avrei potuto correre rischi maggiori, da quel momento in avanti.

L’ultima notte dell’anno rientrai in camera verso le cinque del mattino, dopo nemmeno dieci minuti, fui richiamato da urla disumane provenienti dalla “hall” dell’albergo. Mi affacciai al vano scale e vidi venirmi incontro tre-quattro “energumeni” indigeni, armati di badili che cercavano, gridando il nome ad alta voce, uno dei miei ragazzi. In un qualche modo li affrontai, rischiando: “No, vi sbagliate non è qui quello che cercate!” Cos’era successo? Al rientro in albergo un gruppetto di giovani facenti parte della mia organizzazione, si era “scontrato” con alcuni locali, che ebbero la “peggio”. Infatti, uno di “quelli con la vanga” aveva la faccia devastata e sanguinolenta. Ci fu un lungo “conversare”; ci lasciammo, alle prime ore del mattino, con la promessa di incontrarci nel pomeriggio, per definire la “faccenda”.

Al pomeriggio di quel primo dell’anno ebbi un lungo colloquio con il/i responsabili dell’episodio, sia con i “miei”, sia con gli “altri”. Invitai il giovane del mio gruppo a non uscire dall’albergo per tutto il giorno. Alla sera, malgrado tutti i miei inviti, il giovane, già maggiorenne, di conseguenza responsabile delle sue azioni, uscì dall’albergo per recarsi in discoteca: Nemmeno mezz’ora dopo ricevo una telefonata: “Prof. Siamo qui in discoteca, circondati da una marea di valligiani che ci vogliono mettere le mani addosso appena usciamo”.

Telefonate concitate al Comando dei Carabinieri che, data la particolarità della giornata, avevano le poche pattuglie a disposizione tutte in giro e lontano dalla nostra zona; al momento e urgentemente sarebbe stata improbabile la possibilità di una loro presenza. Mi reco in discoteca e riesco a parlamentare con i valligiani con i quali ero rimasto in contatto durante il giorno. Avevano riconosciuto il responsabile della rissa, gli volevano rendere “pan per focaccia”. Alcune ore di discussione finalmente riesco a far rientrare “indenne” in albergo, il mio gruppetto, “scortato” a breve distanza dagli indigeni. Nei lunghi colloqui trovai uno spiraglio: feci un accordo con i locali: la cosa si sarebbe risolta con il versamento di “tot” lire e il caso si sarebbe chiuso.

Tirai un grosso sospiro di sollievo, il giorno dopo “radunato” tutto il mio gruppo ed esposta la situazione, essendo la cifra richiesta, alta per il solo responsabile, che in verità si era solamente “difeso”, optai, e feci in modo che tutti accettassero, per una “colletta”. La cifra fu raccolta e versata, tutto si concluse “a tarallucci e vino”. Imparai in seguito da dei personaggi locali e responsabili della comunità di Andalo, che quel gruppo di “giovinastri” era solito andare alla ricerca di episodi analoghi, per cercare di “ragrannellare” un po’ di soldi. Non fu solamente quest’episodio a farmi concludere più di venti anni di “Vacanze Invernali”. Eccessiva era diventata la responsabilità, non ero più il giovane trenta-quarantenne nel pieno delle sue energie psico-fisiche.

Continuai per un certo tempo con l’attività dello “Sci Club Modena” e con le settimane bianche scolastiche. Seguivo, agonisticamente, un piccolo gruppo di ragazzi che si dedicarono alle gare di sci nell’ambito del Comitato Appennino Emiliano, tra i quali vorrei citare, Andrea Crespi, Carlo Bartolamasi, Giovanni Carpaneto, Alessandro Zucchini, Davide Gasparini e Andrea Zucchini. Non vi erano molti mezzi a disposizione, era difficile far quadrare i bilanci di una piccola Società Sportiva, con un’attività abbastanza costosa.

Trasferte, attrezzature e quant’altro lievitavano i costi in modo incredibile, non era possibile affrontare, “alla pari”, quei club che già, attraverso gli sponsor o attraverso particolari sovvenzioni, potevano “meglio arrangiarsi”.

Indicativo, in proposito, quest’episodio. Un anno mi arrivò una cartolina del Comune di Modena, indirizzata allo “Sci Club Modena” dove c’era concesso un accredito di 300.000 lire; allora erano “soldini”. Sorpreso, ma nello stesso tempo convinto di un errore, mi recai all’Esattoria Comunale dove doveva essere erogata la somma. Difatti, costatammo immediatamente, che era stato commesso un errore. La somma era destinata allo “Sci Club Mutina”, costituito da pochi mesi, senza alcuna attività alle spalle, ma che rientrava nell’”area” gestita dall’amministrazione comunale. Era stato commesso un errore nell’indirizzare quella disponibilità economica. Gli amici degli amici, avevano sovvenzionato immediatamente quell’entità sportiva, appena costituita, poiché entrava nella loro sfera politica. Tutto questo a prescindere dall’attività agonistica effettuata. Lo Sci Club Modena era da anni che operava nel settore partecipando a gare e quant’altro, gli altri dovevano ancora partire. Tutto finì. Finalmente continuai a sciare e divertirmi per i “fatti miei”

 

 

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 La Destra Modenese   - ANNI ‘50

 

Nel capitolo “Rossi e Neri”, nella prima parte dedicata alla “Mia” Modena, ho raccontato del primo incontro avvenuto nei primi mesi dell’anno 1949, alla Trattoria del Bersagliere, con gli ex fascisti e i neo fascisti modenesi di quegli anni.

Avendo trascorso, tutto il periodo del Movimento Sociale Italiano, sino alla sua trasformazione in Alleanza Nazionale e pur non essendo, da quel momento, rimasto legato né alla “Cosa di Fiuggi” né ai piccoli Partiti dell’area dell’estrema destra, sono pur sempre rimasto vicino, idealmente, al mio trascorso in quel variegato e, contraddittorio mondo, della “impropriamente chiamata” destra, del nostro territorio.

Non è mai stato trattato un bilancio storico di un periodo che va dal dopoguerra ad oggi, di quella, se si vuole, piccola fetta della società modenese legata idealmente al discusso, vituperato, incensato, periodo storico che prende la storia d’Italia dal 1921 al 1945, pur sempre attraverso tutte le contraddizioni, le polemiche, le conflittualità portate sino all’eccesso, nelle diverse componenti ideologiche da sempre trovatesi all’’interno di quel minuscolo partito, almeno per quanto riguarda l’area territoriale modenese.

Già al tempo del Fascismo, sia dentro al Partito sia nel Regime, convivevano a fianco a fianco, italiani che si dicevano ugualmente fascisti, avevano la stessa tessera e lo stesso distintivo, ma ragionavano, nel loro intimo, in modo completamente diverso in funzione di una differente origine e preparazione politica. Quello che vi era nel suo fondo sostanziale nel fenomeno fascista, e certo non mi permetto osservazioni nuove, aveva la sua origine nelle due componenti nazionalista e socialista, tendendo a risolvere in una sintesi, il problema della società italiana uscita da una guerra, la prima guerra mondiale, vittoriosa sul piano militare ma sconfitta sul piano economico e politico. Non vi fu improvvisazione ma una precipitazione, sottoposta dalla confluenza di quelle correnti, sino a quel momento separate, del nazionalismo esasperato e dal sindacalismo socialista. Furono poi esercitate, in modo confuso, varie influenze da parte di tanti movimenti culturali quali, l’estetica dannunziana, l’esasperazione nietzchiana, la componente tradizionalista, quella futurista, le tendenze oligarchice, la gerarchia, le interferenze ecclesiastiche, quelle massoniche, quelle monarchiche e conservatrici. Nonostante tutto questo, la linea più forte, quella nazionale e sociale, servì come fattore di coesione attraverso la presenza dell’uomo Mussolini che coagulò attorno a sé le varie istanze dell’animo comune.

Ma sotto sotto e nonostante l’apparente conformismo, vi era dentro al fascismo uno stato di conflitto tra le stesse categorie culturali e sociali, gentiliani e antigentiliani, artisti che s’ispiravano al novecento avevano contro gli antinovicentisti, vi erano sindacalisti che volevano a tutti i costi, la socializzazione e vi erano i conservatori reazionari e autoritari, anche la mistica fascista, rivoluzionaria e intransigente, si scontrava con le gerarchie imborghesite, vi erano repubblicani e monarchici, militaristi e pacifisti, i filo inglesi e quelli che sostenevano un fronte mondiale delle nazioni proletarie, quali l’Italia, la Russia, la Germania e il Giappone. Al termine del conflitto gli uomini sconfitti dispersero le varie correnti, che un uomo solo era riuscito ad unire, nelle diverse e disparate direzioni, a volte opposte.

In questo racconto, che cerca di ricordare brani di storia locale, sino ad oggi mai presi in considerazione, mi piacerebbe che un briciolo di memoria storica fosse dedicato a tutti quegli uomini, che, pur provenendo da diverse culture e da diverse impostazioni spirituali, sociali e comportamentali, ben sapendo in quale posizione sociale si andavano a collocare cioè di emarginazione e di allontanamento dai vertici societari, si sono pur sempre battuti ed esposti per dare un significato a quella che è stata la nostra tradizione, a quello che era stato il nostro recente passato, che non può essere cancellato dalla protervia dei padroni del potere locale provenienti tutti da una cultura che ha sconvolto il mondo e che è rimasta totalmente sconfitta nella terra dove era cresciuta.

Lo scrivente, pur non essendo uno scrittore, né uno storico, né un politico di professione, ha pur sempre militato, seppure con fasi esistenziali alterne, in quel partito dal 1949, ritengo pertanto di poter tracciare una sintesi di questi sessanta anni, che si cerca di far dimenticare, come il periodo precedente. Non sono in possesso di documenti storiografici tali da poter dare un taglio scientifico a questo mio racconto; cercherò ugualmente, facendo riferimento alla “mia memoria” che ancor oggi mi supporta, di mettere in luce personaggi, fatti e avvenimenti con riferimenti cronologici sufficientemente esaurienti.

Il Movimento Sociale Italiano nasce a Roma il 29 Dicembre 1946 nello studio di Arturo Michelini, (futuro Segretario), alla presenza di: Pino Romualdi, Giorgio Almirante, Giorgio Bacchi, Giovanni Tondelli, Cesco Giulio Baghino, Mario Cassiano e Biagio Pace.

Al momento della fondazione di quel raggruppamento politico esistevano una molteplicità di gruppi e gruppuscoli di orientamento neofascista, oltre a partiti costituiti, come il Fronte dell’Uomo Qualunque (UQ), monarchici e liberali che pescavano nel mondo “nostalgico” che si presentarono alle prime consultazioni elettorali del 1946 per la Costituente e alle amministrative dell’anno dopo, e che ottennero un certo successo.

La comparsa sulla scena politica nazionale del MSI fece sì che formazioni come l’UQ e tanti gruppuscoli si sciogliessero per confluire, in buona parte, in quella struttura che già al suo primo apparire sembrava molto più omogenea e convincente per un suo reale inserimento politico nel paese, a quei tempi.

A Modena le prime elezioni amministrative si svolsero il 31 Marzo 1946; si presentarono i partiti del CLN. Su di un totale di 62.676 voti validi, il PCI ne ottenne 30.162 pari al 48,1%, il PSIUP, 11.991 voti pari al 19,1% e il PdA (Partito d’Azione) lo 0,9%. Questo era lo schieramento di sinistra che conquistò il potere locale sommando un totale pari al 68,1%. I comunisti erano già potentemente organizzati e sulla base di forti pressioni, violenze postbelliche che non si erano ancora concluse, riuscirono a far presa sull’opinione pubblica conquistando quel potere che ancor oggi mantengono, ininterrottamente, da quegli anni. Dalla parte opposta si presentarono: la DC, che ottenne 17.417 voti pari al 27,8%, il PRI 592 voti con lo 0,9% e il PLI 1.991 voti con il 3,2%. Fu eletto Sindaco, il partigiano comunista, Alfeo Corassori.

Subito dopo, il 2 Giugno, con il Referendum su Repubblica o Monarchia, si votò anche per la Costituente, dove l’area di destra era rappresentata dall’UQ che ottenne 2497 voti pari al 3,8%e l’UDN 1396 voti con il 2,1%. A sinistra il PCI ebbe un netto calo, il 6% in meno a vantaggio dl PSIUP e sia l’area di sinistra che quella di centro non subirono sostanziali modifiche rispetto alle amministrative.

In città, le prime riunioni degli sconfitti avvennero principalmente in due case: in quella del Rag. Giorgo Fabbri, assicuratore, e in quella del “proletario” Otello Rovatti in Rua Muro. Erano riunioni “carbonare”, girava ancora per la città la cosiddetta “Volante Rossa”, la polizia partigiana che, per un certo periodo, con una parvenza d’autorità concessale dal CLN, fermava, arrestava, fucilava, commetteva soprusi di ogni sorta ma che, dopo il ripristino di una certa legalità e con la ricostituzione quasi immediata dell’arma dei Carabinieri, fu esautorata, operando però in una specie di semi-clandestinità, continuava ad esercitare una certa pressione sulla cittadinanza, di conseguenza per i fascisti, per quelli rimasti tali o per quelli presunti, era estremamente pericoloso circolare per la città, specialmente di sera.

In quella casa venne anche ospitato, per un certo periodo, colui che diventò il capo indiscusso del Movimento Sociale Italiano, Giorgio Almirante, il quale, dopo il crollo della RSI trovò rifugio nella nostra città svolgendo un’attività di copertura, il rappresentante di commercio, ed iniziò così a reinserirsi nella vita sociale del paese.  

Nel 1947 fu scelto il simbolo del partito, la “Fiamma Tricolore” che era stato l’emblema degli arditi della prima guerra mondiale.

In quei primi anni, i gruppuscoli di area neofascista come i FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria) e altri si andarono via via dissolvendo per entrare nella legalità del nuovo Movimento Sociale Italiano; presero forma una serie di periodici di area che ebbero una certa rilevanza e diedero la possibilità, anche in provincia, di conoscere ciò che avveniva e “bolliva in pentola” nella Capitale. A Modena arrivavano queste pubblicazioni e, alcune edicole, quali la “Rosina” in pieno centro, l’edicola Panini in Corso Duomo o quella di “Palmino” in Via Saragozza, erano il punto di riferimento per tanti giovani che desideravano essere “informati”. Molti erano i settimanali e i quindicinali che fornirono una tribuna molto importante, alle diverse anime del neofascismo che si stava impegnando per una ripresa politica “democratica”.

Ricordo il “Meridiano d’Italia” diretto da Franco De Agazio, “Il Pensiero Nazionale” di Stanis Ruinas, “Rivolta Ideale” diretto da Giovanni Tonelli, e che nei primi anni fu uno dei più seguiti; “Il Merlo Giallo” diretto da Alberto Giannini, il “Rosso e Nero”, “Senso Nuovo” diretto da Achille Cruciani, “Noi” del Direttore Bruno Spampanato, “ Asso di Bastoni”, chiamato anche: “Settimanale satirico anticanagliesco” uno dei più seguiti, e che raggiunse anche le centomila copie vendute settimanalmente, diretto inizialmente da Ferdinando Marchiotto, poi da Pietro Caporilli; il settimanale di Leo Longanesi “Il Borghese” e il notissimo “Candido” di Giovanni Guareschi. La lettura di questa stampa dava ai giovani la possibilità di “iniziare” una “cultura di destra”, ma non la forgiava completamente, e non la rendeva “pregnante”.

Alle elezioni politiche del 18 Aprile 1948, si presenta anche la lista del Movimento Sociale Italiano, che su una parte limitata del territorio nazionale riesce a portare in Parlamento sei deputati e un senatore con 583.000 voti pari allo 0,8%. Vi fu, in quella tornata elettorale, una dura sconfitta del “Fronte Popolare” delle sinistre a favore della vittoria della Democrazia Cristiana, a Modena vinsero le sinistre con 38.160 voti pari al 52,2% contro i 25.646 voti della DC pari al 35,1%.

Subito dopo il Movimento Sociale celebra a Napoli, dal 27 al 29 Giugno 1948, il suo Primo Congresso. Le varie anime del Partito si confrontarono su posizioni non esasperate, con la visione di un certo compromesso: risultò vincente la componente di sinistra che mantenne il controllo del Partito con Giorgio Almirante alla Segreteria e con Vice Segretari Gianni Roberti, Arturo Michelini e Massi.

La sintesi tra i fautori ad oltranza della “Socializzazione” e quella dei sostenitori del “Corporativismo” fu costruita da Augusto De Marsanich che, in riferimento al Fascismo, trova, nella formula “Non rinnegare, non restaurare”, l’accettazione dei congressisti, attraverso l’invito alla pacificazione tra le generazioni che il dramma della guerra civile ha diviso.

La posizione dei sei deputati missini in Parlamento suscitò perplessità e polemiche che furono messe a tacere dalla Dirigenza del Partito che, sulla “Rivolta Ideale”, precisò che “essendo l’estrema sinistra occupata dagli uomini di Togliatti, per logica coerenza, gli uomini del Movimento Sociale non potevano, se non collocarsi all’opposto di questi”.  

Nella mattinata del 14 luglio Palmiro Togliatti è colpito da tre colpi di pistola, sparati a distanza ravvicinata mentre esce da Montecitorio in compagnia di Nilde Iotti. L'autore dell'attentato a Togliatti è un giovane simpatizzante di estrema destra, iscritto al Partito Liberale, Antonio Pallante. I proiettili, sparati da una pistola calibro 38, colpiscono il leader del PCI alla nuca e alla schiena, mentre una terza pallottola sfiora la testa di Togliatti. Nelle ore in cui si attende l'esito dell'intervento si diffondono le più diverse voci sullo stato di salute del Segretario del PCI: circola addirittura la notizia della sua morte. Il clima politico del paese è caldissimo. Poche ore dopo l'attentato si verificano incidenti a Roma e morti a Napoli, Genova, Livorno e Taranto nel corso di violentissime manifestazioni di protesta. Il Paese sembra sull'orlo della guerra civile.

Anche a Modena vi furono momenti di tensione notevole. Le strade della città erano percorse, in un clima surreale, da pattuglie della polizia e dai gruppi dell’estrema sinistra. La maggioranza delle persone restava chiusa nelle proprie case. L'operazione a Togliatti andò a buon fine e, si dice che, il dirigente del Partito Comunista Italiano, impose ai suoi luogotenenti, Secchia e Longo, che diressero il Partito in quei drammatici momenti, di fermare la rivolta. L'insurrezione di massa delle organizzazioni militanti e militari comuniste si arresta, ma tutti sono convinti che abbiano contribuito a moderare gli animi e superare quella crisi, le imprese di Gino Bartali, al Tour de France.

L’anno 1949 mi vedeva, all’inizio, ancora impegnato con la congregazione dei Frati Cappuccini di Via Ganaceto e con la partecipazione alle varie manifestazioni condotte dai “Terziari Francescani”. Partecipai difatti, come delegato modenese, assieme al Dott. Carlo Luppi, al Congresso Nazionale che si tenne a Maggio al convento dei Francescani di Frascati.

Gradualmente mi avvicinai, come raccontato nel capitolo “Rossi o Neri”, al raggruppamento Giovanile chiamato “Giovane Italia” del Movimento Sociale Italiano, dove mi iscrissi nel Novembre di quell’anno.

Nel frattempo, dal 28 Giugno al 1° Luglio, si era tenuto a Roma il 2° Congresso del MSI, che vide rinnovarsi il confronto tra le posizioni di sinistra che tendevano ad orientare il Partito in senso più sociale e le posizioni moderate. Le due fratture sostanziali, all’interno del MSI si evidenziarono nella posizione dei “moderati”, Arturo Michelini, Augusto De Marsanich, Nino Tripodi che desideravano l’unione delle forze nazionali in funzione anticomunista; anche i “traditori monarchici e badogliani” potevano tornare utili nella lotta al comunismo, così come sul tema dell’Alleanza Atlantica (NATO) questo schieramento era decisamente favorevole; a sinistra, Giorgio Almirante, Giorgio Pini, Concetto Pettinato, Domenico Leccisi e altri dichiararono che coloro che rimasero fedeli a loro stessi durante la RSI, non erano, e non sono, gente di destra e quelli che concepiscono il partito in esclusiva funzione anticomunista, conservatrice e reazionaria non fanno parte della famiglia del MSI, così come schierarsi a favore del Patto Atlantico non può essere accettato dato che, non è possibile essere “alleati e vinti” nello stesso tempo.

Queste due anime del partito saranno sempre presenti nella storia del Msi seppure con alcune varianti e in molte zone, Modena compresa, con grosse conflittualità.

Ma il successo del Movimento Sociale Italiano arrivò, sia a Modena sia in tutta Italia, con la grandissima partecipazione giovanile. I giovani che non avevano fatto la guerra diedero un’entusiastica adesione alle organizzazioni del RGSL (Raggruppamento Giovanile Studenti e Lavoratori) fondato a Roma il 12 Marzo 1949 dall’esuberante deputato, ex combattente di “Bir El Gobi”, Roberto Mieville.

L’anno successivo, il 21 Maggio 1950, si diede corpo all’organizzazione degli studenti Universitari con la costituzione del FUAN (Fronte Universitario di Azione Nazionale), mentre, due mesi prima il 24 Marzo, si era costituita la CISNAL (Confederazione Italiana Sindacato Nazionale Lavoratori) guidata dall’On. Gianni Roberti.

Si andavano così delineando, sul territorio nazionale, tutte le strutture che costituivano l’ossatura portante del Partito. La Cisnal a Modena ebbe sede, inizialmente in Via Cesare Battisti, in seguito in Via Canalino con alla guida, il sindacalista Cesare Piccinini poi, Giuseppe Grasso.

Dei personaggi modenesi incontrati in quei lontani anni ne ricordo alcuni e mi spiace se non riesco a ricordarli tutti.

Uno dei fondatori e dirigente del Msi è stato il Rag. Giorgio Fabbri, Segretario del Partito per un certo tempo e collaboratore del quotidiano “Il Secolo d’Italia”, noto assicuratore, ha sempre dato, anche negli anni a seguire, la partecipazione attiva al Partito assieme alla grande esperienza sempre unita alla sua proverbiale bontà d’animo.

Il Prof. Amerigo Ansaloni è stato Segretario del Partito nei primi anni cinquanta lasciando un ricordo indimenticabile della sua personalità; il Professor Ansaloni divideva la sua passione per la politica con l’attività professionale: aveva in centro storico, precisamente in Via Università un negozio di arte dove si confezionavano cornici di pregio e commerciava oggetti d’arte di valore.

Uomo dotato di un carattere aperto e bonario, lo trovavi sempre disponibile, in  modo particolare quando i giovani avevano bisogno di consigli e aiuti che erano dettati da una “umanità” e conoscenza dei problemi della vita, non indifferenti.

Il Prof. Francesco Zambrano, insegnante di lettere all’Istituto Magistrale Sigonio, grande dantista e latinista, uomo di fede dotato di notevole senso di responsabilità anche nei momenti difficili della vita del Partito, sapeva sempre creare attorno a sé unanimità d’intenti che portavano a stemperare anche scontri accesi e apparentemente insanabili.

Nino Saverio Basaglia si può dire sia stato un “faro” per molti giovani modenesi. Uomo di fede adamantina, con il suo “pizzetto” e la sua figura “carismatica”, sapeva cogliere le istanze giovanili in modo lucido e razionale. Sindacalista pieno di “verve”, dotato di vasta cultura, scrittore, giornalista, combattente in Albania sul Monte Kosica con le Camicie Nere modenesi, aveva attraversato tutti i momenti più difficili del periodo della Rsi, riusciva sempre ad instaurare un rapporto di vero “cameratismo” specialmente con i giovani, dando loro quella “sicurezza” necessaria anche nei momenti più difficili.

L’Avv. Gino Mori, primo Consigliere Comunale del MSI della nostra città, per la signorilità, compostezza, rettitudine che lo distinguevano, seppe conquistare le simpatie e il rispetto anche degli avversari, in quella difficile arena nella quale venne a trovarsi. I suoi interventi in consiglio comunale furono sempre apprezzati per il suo senso di moderazione e di civiltà.

L’Ing. Bruno Rivaroli, uomo partito: vivacissimo, piccolo e minuto ma carico di energia, i suoi interventi nelle riunioni in sede, nei tantissimi anni  di sua militanza (si è spento alcuni anni or  sono quando ne aveva compiuti novanta), avevano sempre un aspetto e un contenuto significativo per tutti i presenti. Aveva avuto un ruolo importante in quel di Pavullo durante il periodo dei “Seicento Giorni”, contraddistinto anche da polemiche, durante e dopo, sia con gli avversari politici sia all’interno dello stesso MSI. Fu per lunghi anni Consigliere Provinciale, dove si confrontò sempre ad armi pari con la “marea” di comunisti, socialisti e democristiani, che doveva affrontare in memorabili battaglie.

La Sig.na Lina Grandi, responsabile del settore femminile del MSI ebbe un ruolo rilevante nei direttivi dei primi anni del partito a Modena. Ha curato con competenza e sacrificio la ricostruzione degli schedari dei Caduti della RSI in territorio modenese, dirigendo la sezione dell’Associazione Nazionale Caduti e Dispersi della RSI, curando inoltre la sistemazione, al cimitero di San Cataldo, del piccolo sacrario dei Caduti.

Assieme a Lei ha seguito, con particolare competenza e partecipazione quel settore, il Rag. Fabio Rebucci, fratello di un caduto Repubblicano, ucciso dai partigiani di Moranino, nell’efferato eccidio delle carceri di Novara nell’immediato dopoguerra.

Dei primi anni di vita del Movimento Sociale Italiano a Modena ricordo ancora il Dott. Vincenzo Marino e l’Ing. Gianfranco Bacchi, fratello di Annamaria, uccisa dai partigiani pochi giorni prima della fine della guerra, il Prof. Mario Ciulla, il Prof. Primo Guerzoni di Mirandola, Manfredo Garuti, Fausto Greco, Brenno Moretti, Enzo Beltrami, Nino Gualtieri, Libero Todaro; di molti altri si avrà modo di ricordarli man mano che procede il racconto.

Erano anni di difficoltà e contrasti interni al partito, di non poco conto. Ci fu un momento in cui non si riusciva ad eleggere il Segretario Provinciale e da Roma fu inviato un Commissario Straordinario, che resse la Federazione per circa un anno, Franco Dragoni. Era, come si suol dire, un “fegataccio”, non aveva difficoltà ad esporsi in prima persona, anche perché proveniva da esperienze romane di quelle “toste”.

Gli inizi degli anni ’50 furono, per il Raggruppamento Giovanile del MSI pieni di attività. Le manifestazioni studentesche per Trieste Italiana, erano sempre seguitissime. I numerosi e “vivaci” cortei; per il centro di Modena, guidati dagli Universitari del Fuan e dagli studenti medi della “Giovane Italia”, riuscivano a portare migliaia di studenti dell’Università e delle scuole medie superiori, al canto di inni nazionali e con lo sventolio di innumerevoli bandiere tricolori, a percorrere quelle strade del centro storico che, negli anni settanta videro invece sfilare gli studenti modenesi al seguito delle “bandiere rosse” e vietnamite.

Ricordo che ad una di quelle manifestazioni del 1951, il corteo degli studenti fu bloccato dalla polizia e dirottato per strade diverse da quelle programmate; di solito si percorreva la Via Emilia per concludere la sfilata al Monumento dei Caduti sui viali del parco cittadino. Quel giorno i gruppi si dispersero per Via Università e nelle strade adiacenti, per ricompattarsi di nuovo sotto i portici del Collegio. Proprio in pieno centro, tra il bar Molinari e l’edicola della “Rosina”, si venne a trovare il questore (uomo di piccola statura e grassottello) contornato da numerosi agenti di polizia. All’improvviso, dal gruppo degli studenti, si alzò un coro: “Lo sai che i papaveri sono alti alti alti e tu sei piccolino e tu sei piccolino….” (era l’anno della canzone di Nilla Pizzi al Festival di San Remo). La “presa in giro” degli studenti non piacque al questore che ordino una carica violentissima sotto al Portico del Collegio, con le camionette della “Celere” che facevano evoluzioni “pazzesche” tra le colonne dei portici e la Via Emilia, con i tavolini e le sedie del bar Nazionale che volavano da tutte le parti e con gli studenti che, o si rifugiavano nelle stradine laterali dentro ai portoni, o si “aggrappavano” alle colonne e ai “fittoni” del Portico ove solitamente si era soliti passeggiare per lo “struscio”.  I manganelli e gli “sfollagente” dei poliziotti, roteavano sulle schiene e sulle teste dei giovani che avevano “osato” schernire l’autorità costituita.

Lo scrivente di queste note organizzava le manifestazioni all’interno dell’Istituto Barozzi, nella maggior parte quegli scioperi partivano proprio da quella scuola, poi ci si recava davanti al Liceo Scientifico “Tassoni”, al Liceo Classico “Muratori”, all’Istituto Magistrale, all’Istituto Corni e al Liceo d’Arte “Venturi” a cercare di far uscire dalle aule quelle scolaresche. In alcune circostanze mi capitò di “prelevare”, dall’ufficio di Presidenza, la bandiera tricolore, con il Preside, Prof. Mario Negri, che mi rincorreva per i corridoi del vecchio convento di Corso Cavour dove si trovava allora il “Barozzi”, poiché non gradiva quel primo tipo di “esproprio”. Era ovvio che al termine della manifestazione il tricolore ritornava al suo posto, magari attraverso la consegna ai bidelli e non al Capo d’Istituto, per ragioni comprensibili.

Noi avevamo la soddisfazione, mentre sfilavamo per le strade della città di ricevere il plauso e il saluto di tanti cittadini che, al passaggio del tricolore, si sentivano in dovere di segnalare il loro gradimento partecipando in quel modo al nostro entusiasmo.

Il 10 e 11 Giugno di quell’anno, partecipai al raduno dei Bersaglieri a Gorizia; andai con un gruppo di reduci, cercando di rappresentare e onorare il “piumetto” di mio fratello che, Ufficiale del 3° Reggimento Bersaglieri, non era tornato dai campi di concentramento sovietici. Fu una giornata di vibrante italianità e mi resi conto del dramma che stavano vivendo quelle popolazioni. Gorizia era divisa a metà, una parte italiana, l’altra jugoslava. Entrai in una casa dove sui pavimenti, segnato da una grossa striscia rossa, vi era il confine, se valicavi quella linea ti trovavi in territorio Yugoslavo con tutte le conseguenze che potevi correre. Era un clima allucinante e assurdo.

Si andava, in quei primi mesi del 1951, in giro frequentemente per comizi e ad ”attaccare” manifesti elettorali sui muri della città; frequentemente ci si “scontrava”, più spesso a parole, ma qualche volta anche con brevi tafferugli, in modo particolare con i “rossi”. Era normale che si facessero le “ore piccole”, logicamente la mia attività sportiva e le mie lezioni scolastiche subivano pesanti “contraccolpi”.

Il 10 Giugno ci furono, sul nostro territorio, le elezioni amministrative alle quali partecipò, per la prima volta, anche il Movimento Sociale che ottenne un buon successo conquistando, con 2.153 voti, il 3% ed eleggendo il primo Consigliere Comunale nella figura dell’Avv. Gino Mori.

 Gli altri partiti si attestarono sui seguenti valori: Area di sinistra: PCI 32.427 voti con il 44,6%, il PSI il 7,8% l’IS il 2,1%. L’area di centro vide la DC al 30,8%, il PSULI lo 7,8%, il PLI il 2,7% e il PRI lo 0,7%. Si presentò anche il PNM (Partito Nazionale Monarchico) che ottenne lo 0,5%.

Partecipai, sempre in quell’anno, al campeggio organizzato dalla Giovane Italia al Parco Nazionale d’Abruzzo, nelle vicinanze di Villetta Barrea, splendida località inserita in una natura bellissima, tra il Monte Meta e la “Camosciara”, con l’orso marsicano sempre nelle nostre vicinanze, ci fece visita notturna alcune volte, ripulendo i pentoloni con i resti della nostra cena. Erano con mè altri modenesi, Carlo Luppi, Libero Todaro, Franco Casolari, Carlo Poppi e Libero Lolli. Furono quindici giorni splendidi, anche perché quelle furono le prime “vere vacanze” che riuscivo a fare. Quando lessi, a distanza di tempo, che il Msi organizzava, in terra d’Abruzzo, campeggi paramilitari, restai esterrefatto. Ma dove? Ma quando? La mia esperienza con i “camerati” romani fu di tutt’altro tipo. Si cantavano sì, canzoni nostalgiche assieme agli struggenti cori alpini, la sera attorno ai fuochi, si discuteva anche di politica, ma la nostra vita quotidiana trascorreva, tra escursioni agli splendidi monti che ci circondavano con camminate che duravano ore e ore, e la preparazione del cibo: occorrevano circa due ore di cammino per raggiungere il paesino di Villetta Barrea e fare i nostri rifornimenti. Mai, dico mai, ho avuto il sentore della presenza di armi e nemmeno di proposte a compiere esercitazioni paramilitari. La nostra era, una dimensione puramente cameratesca e sportiva.

Il 6 Novembre vi fu l’inaugurazione della sede del Msi in Via Cesare Battisti, finalmente locali abbastanza ampi. A quei tempi, la sede era frequentata da tantissimi giovani, studenti e lavoratori e, in quell’ambiente, ebbi la possibilità di crearmi delle buone amicizie, non solo sul piano politico, ma fondamentalmente su quello umano. Cito coloro che mi vengono alla memoria: di tanti avrò modo di parlarne in questo mio ricordo della vita del movimento sociale dei primi tempi: il Prof. Franco Bartolamasi, il Dott. Gianpaolo Manzini, il Prof. Pietro Cerullo, il Dott. Gianni Calabrese, l’Avv. Adriano Sciascia, Sergio Bacchi, Nino Gualtieri, l’Avv. Leopoldo Parigini, Erio Pellicciari, Giancarlo Monducci, Arturo Messerotti, Sergio Franchini, Enzo Cavazza di Carpi, Trentini Rodolfo di Pievepelago, Dino e Rosanna Orsi di Carpi, Manfredo Garuti, Vittorio Ledi di Carpi, Otello Rovatti, Dino Corradi, l’Ing. Turno Sbrozzi e Alfredo “Dino” Ferrari, nato il mio stesso anno, il 1932, e che, di tanto in tanto, nonostante la sua già evidente “distrofia muscolare”, frequentava la nostra sede ma che, per evidenti ragioni, non era molto presente alle nostre azioni più “dinamiche”. Una sola volta gli chiesi: “Ma cosa ne pensa tuo padre di questa tua frequenza nel nostro ambiente?” mi rispose “che gli andava bene”. Quando ne parlai con mia madre, che era stata amica della moglie di Enzo Ferrari, ne uscì anche un piccolo “gossip” che allora non mi interessava più di tanto.

Il 17 novembre 1951 il principe Junio Valerio Borghese aderisce al Msi, che dirama in proposito un comunicato con il quale saluta "con senso commosso di orgoglio" l’ingresso di Borghese nel partito, affermando: "L’atto del Comandante probabilmente altro non fa che dare crisma di ufficialità a quella comunione di fede e di intenti che ha sempre legato il Partito all’Eroe; ma non è per questo meno importante ed indicativo agli effetti politici e morali… ".

La vita al partito andava avanti, per il sottoscritto, con alterne vicende poiché avevo frequenze attive in altre compagnie, di conseguenza la mia presenza non era costante. Sempre nel 1951, agli inizi di Settembre vi fu uno scontro con i comunisti. Uscivamo da una serata a casa dell’Avv. Araldi, non ricordo se in Via G. Guarini o in Via Saragozza e, dopo cena, ci incamminammo per i viali cittadini in un bel gruppetto, per una salutare passeggiata “digestiva” dopo la “mangiata” di gnocco e salumi annaffiata da buon lambrusco: certamente vi furono anche una serie di canti “nostalgici”, quando arrivammo in Viale Berengario all’altezza circa di Via Voltone e di Via della Cerca, sbucò all’improvviso un gruppo di comunisti armati di catene e spranghe. Ci fronteggiammo in “cagnesco”, qualche spintone un po’ violento e qualche cazzotto ci furono prima che arrivassero le camionette della polizia, probabilmente avvertita da qualche cittadino, che misero termine alla “vivace discussione” con alcuni fermi da entrambe le parti. Il giorno seguente, sul quotidiano comunista, fu pubblicato un lungo articolo che deprecava “la bravata notturna” dei soliti fascisti, con argomentazioni che niente avevano a che vedere con la realtà di quell’episodio.

Nel 1952, a L’Aquila, dal 26 al 28 Luglio si svolse il terzo Congresso del MSI con la guida del Segretario Nazionale Augusto De Marsanich, che aveva sostituito Giorgio Almirante.

Già prima, all’interno del vertice del partito, si era creata notevole tensione per il rifiuto della corrente di sinistra ad accettare l’intensificarsi dei contatti con la destra monarchica e democristiana; vi fu anche una piccola scissione dei quadri piemontesi con la costituzione di un Gruppo Autonomo Repubblicano. Il grosso successo del Partito alle elezioni amministrative diede la possibilità di contenere gli scontri tra “falchi e colombe” e la sinistra, pur avendo avuto al Congresso, una vittoria sostanziale, si vide costretta ad accettare e ad abbozzare le posizioni “filo-atlantiche” dei moderati.

Il 1953 fu l’anno del consolidamento su tutto il territorio nazionale del Movimento Sociale Italiano che ottenne, alle elezioni del 7 Giugno un notevole successo elettorale; alla Camera 1.582.567 voti pari al 5,8% portando in parlamento 29 Deputati , e a1.473596 voti pari al 6,0% al Senato dove entrarono 9 Senatori. A Modena la battaglia elettorale fu accesissima, striscioni per le strade, manifesti su tutti i muri, volantini che ricoprivano letteralmente le strade, comizi ad ogni angolo di strada, tutto il partito, in modo particolare il Raggruppamento Giovanile, fu tenuto, per alcuni mesi, notevolmente “sotto pressione”.

La posizione del Msi in questa tornata confermò, in parte, le elezioni amministrative del ’51; con 2.215 voti pari al 2,8%. Sempre a destra si presentarono anche i monarchici che, con 994 voti ottennero lo 1,3%. Discreto il successo dei partiti di centro con la DC che raggiunse il suo massimo storico con il 32,0% e 24954 voti, lo PSDI 5.314 voti con il 6,8%, il PRI 441 voti e lo 0,6% e il PLI al 2,4%. L’area di sinistra subì un netto ridimensionamento, con il PCI “ridotto” al 41,5% con 32.445 voti, il PSI con voti 7.160 e il 9,6% e l’UP 1303 voti pari al 1,7%.

Il 5 marzo 1953 muore Giuseppe Stalin. A Modena i “rossi” inscenarono una veglia funebre. Ricordo che alla Camera del Lavoro, in Via San Vincenzo angolo Via Modonella, era stata allestita una camera ardente con la fotografia del defunto e con la folla comunista in “adorante” processione a portare l’estremo saluto al “sanguinario” dittatore russo.

Ovviamente a destra vi era un clima completamente opposto, però non andarono “in scena” quelle manifestazioni che molti giovani della “Giovane Italia” avrebbero voluto allestire. Certo, pensare a come gli italiani avevano trattato il “loro” dittatore a Piazzale Loreto e vedere come invece osannavano il defunto “baffone”, senza conoscere le devastanti conseguenze che il comunismo aveva portato nella stessa Russia, non poteva essere accettato dagli uomini che si erano battuti contro il “moloch” moscovita.

La “rossa” Modena sembrava dovesse ridimensionarsi su posizioni più vicine alla media nazionale, ma fu una “pia illusione”. Obiettivamente la situazione della destra modenese era, in quegli anni, abbastanza positiva; la massiccia presenza di giovani faceva ben sperare nel futuro ma, come sempre accade per i giovani, l’inserimento nella vita lavorativa con i problemi familiari che man mano emergono, con le situazioni economiche personali, nella maggior parte dei casi difficili, tanti di questi, con il passare degli anni affievolirono la loro tensione ideologica e si emarginarono gradualmente; molti passeranno anche sull’”opposta sponda”.

I Segretari del partito e le Direzioni che man mano si avvicendavano alla guida del MSI, in Provincia di Modena, si trovarono sempre ad affrontare difficoltà quasi insormontabili. Benefici economici non c’erano, anzi spesso si dovevano fronteggiare certe situazioni, di “tasca propria”, le “sovvenzioni” di qualche privato non erano sufficienti, le conflittualità interne sempre attuali, la “pressione” pesante dei “sinistri” che dominavano e dominano ancora il territorio, oltre a tante frange di area democristiana e clericale, non davano quel margine di “sicurezza” per gestire un partito politico in quelle particolari condizioni. Bisogna dare atto a tutti coloro che si sono impegnati nell’”area di destra”, di aver avuto il coraggio morale e civile di affrontare una difficile battaglia in anni irti di ostacoli, che vanno dal 1950 al 1990.

Il 4° congresso del Msi, si tenne nei primi giorni del 1954, da 9 all’11 Gennaio, a Viareggio.

Le varie anime che costituivano, sia a Modena, che in tutta Italia l’ossatura del MSI, si scontrarono nuovamente al Congresso, nella splendida località della Versilia, dove, ai lavori congressuali furono presentate tre mozioni; quella di maggioranza: “Per l’Unità del Movimento” alla quale aderisce anche Giorgio Almirante, su posizioni atlantiste e favorevoli alla collaborazione con il PNM, disponibili inoltre alla contrattazione parlamentare; la mozione di “ sinistra” con la presenza di uomini quali Bruno Spampanato, Giorgio Bacchi, Palamenghi-Crispi e chiamata “Per una Repubblica Sociale” ed una terza mozione che rappresentava le istanze del “Raggruppamento Giovanile Studenti e Lavoratori” con alla testa, Pino Rauti, Enzo Erra e Pino Romualdi, che sostenevano la tesi che “sia il marxismo sia il capitalismo sono i nostri mortali nemici in quanto rappresentano in pratica la stessa concezione di vita che è inconciliabile con quella che anima le nostre idee”. Nella mozione finale si troverà un “aggiustamento” in modo da poter far entrare in Comitato Centrale tutte le componenti, saranno in 66 quelli del gruppo “centrista”, in 31 quelli di “sinistra” mentre i restanti 22 andranno al gruppo di Rauti e Romualdi.

Alla fine vi fu soddisfazione da parte di tutti poiché si videro, in parte, superate le incertezze e le preoccupazioni sorte nei precedenti Congressi, sentendo di aver conquistato, anche sulla base dei positivi risultati elettorali, legittimità e cittadinanza politica. In conseguenza a questa situazione, durante il mese di ottobre del’54, il Segretario del Partito Augusto De Marsanich passerà le consegne a quell’abile mediatore e tessitore di alleanze che è stato Arturo Michelini che reggerà le sorti del MSI per un lungo periodo, sino al 1969.

Personalmente, negli anni dal 1953 al 1956, frequentando l’Isef romano, durante i mesi invernali, e lavorando in quelli estivi, presso l’Istituto Autonomo delle Case Popolari per potermi sostenere le spese degli studi, non ebbi molto tempo da dedicare al partito; molti episodi, specialmente della vita modenese, li imparavo a distanza di tempo, o dalla lettura dei giornali, o da qualche rara comunicazione da parte degli amici rimasti a Modena. Una delle ultime mie partecipazioni, di quel periodo, avvenne il 4 Novembre 1954 quando, con un gruppetto di modenesi si partecipò, a Trieste, all’immensa manifestazione di patriottismo che vedeva ritornare quella città sotto la giurisdizione italiana. Dopo tutti gli scioperi e le manifestazioni studentesche alle quali avevo partecipato negli anni precedenti per cercare di ottenere questo risultato, mi pareva opportuno essere presente, quel giorno, assieme a centinaia di migliaia di italiani, a quella grande festa Tricolore.

Un’altra imponente manifestazione, alla quale partecipai, trovandomi in quel periodo a Roma, fu quella dei grandiosi funerali del Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani che era deceduto l’11 Gennaio 1955.

Le elezioni amministrative del 1956 diedero un ottimo risultato al MSI che al Comune di Modena conquistò , con 3.455 voti il 4,3% e due seggi; per gli altri partiti furono questi i risultati: PLI 3.354 4,1%; PSDI 6.752 voti e il 7,8%; la DC con 22.965 voti e  il 28,4%; il PS 9.178 voti, l’11,4%; il PCI con 35.158 voti ottenne, il 43,45%. 

A Modena, in quegli anni, si verificarono due episodi dei quali venni a conoscenza a distanza di tempo e cioè di un tentativo fatto, si diceva, da due militanti di destra, di incendio alla sede dell’Anpi e dell’esplosione di un ordigno alla redazione modenese dell’”Unità”; per quest’episodio venne “fermato” un giovane missino.

A fine Ottobre 1956 inizia la rivolta Ungherese, che sarà repressa nel sangue dai carri armati russi. Vi furono decine di migliaia di morti e tutto il mondo rimase sbigottito dalla ferocia dei sovietici, i quali, chiamati dai comunisti ungheresi che si vedevano sfuggire di mano il loro potere, appoggiati dall’Internazionale comunista e dal Partito Comunista Italiano soffocarono brutalmente quell’audace tentativo di ribellione. Grosse responsabilità vi furono da parte di certo mondo occidentale che, in precedenza, attraverso le radio in lingua ungherese, dichiaravano che il: “così detto mondo libero” era pronto a dare tutto l’aiuto possibile a sostegno dei “rivoltosi” La contemporanea azione anglo-francese contro gli egiziani, la chiusura del Canale di Suez e la conseguente grave crisi internazionale, fu la causa, almeno apparente, dell’abbandono, al loro tragico destino, del popolo ungherese.

A distanza di cinquanta anni, i “capoccioni” rossi nostrani, che allora non presero le distanze, anzi applaudirono l’intervento sovietico, si sono dimostrati “pentiti” di quanto successo allora e sono andati in “pellegrinaggio” a portare corone di fiori e “lacrime di coccodrillo” sui luoghi dello sterminio del popolo ungherese

A Modena, come in tutte le città italiane, i giovani di destra non persero l’occasione per dimostrare la loro rabbia e il loro disgusto verso l’intervento russo, ma in particolare contro l’appoggio incondizionato dei comunisti nostrani a tanta barbarie. Sfilate per la città, bandiere rosse trascinate nella polvere e bruciate davanti alla sede del Partito Comunista in Via Ganaceto. I “rossi” non muovevano un dito, nascosti nelle loro “tane”, non si vedevano in giro, nemmeno i rari personaggi che, in quei giorni, presero le distanze dall’interventismo “togliattiano” e da tutto il suo “entourage”. Raggiunsero la nostra città alcuni ragazzi ungheresi che riuscirono a fuggire dalla loro Patria, accolti da alcune organizzazioni modenesi; ebbi modo di conoscerne alcuni; ci raccontarono episodi di un’incredibile efferatezza commessi, non solo dai “padroni” sovietici, ma dai comunisti ungheresi, che protetti dai carri armati, stavano riprendendo il potere.

Pochi giorni dopo quei fatti, dal 24 al 26 Novembre, si svolse a Milano il 5° Congresso del MSI, che vide l’ultimo forte attacco della “sinistra” alla dirigenza”moderata”. Vi furono forti tensioni e “scontri” tra le varie fazioni. Vi sarà un “compromesso dell’ultimo minuto, merito e del cedimento di Arturo Michelini sulla maggioranza dei punti in discussione e dal ritiro di un emendamento di Giorgio Almirante sull’alleanza con i monarchici, che porterà ad una votazione unitaria sulla mozione finale. Vi fu anche l’uscita dal Partito da parte di alcuni componenti il gruppo rautiano di “Ordine Nuovo”.

Un grosso successo politico, per la Segreteria Michelini, fu quello, durante il Governo di Adone Zoli, per il trasferimento a Predappio, il 30 Agosto 1957, della salma di Benito Mussolini.

L’inserimento, nella vita politica nazionale, del MSI raggiunse il suo obiettivo contribuendo con i suoi voti all’elezione per la Presidenza della Repubblica, di Giovanni Gronchi e sostenendo, in alcuni casi, i Governi Pella e Segni. Questa posizione, che allontanò dal Partito la parte “antisistema” e l’allontanamento di alcune figure carismatiche, comporterà un costo elettorale al MSI. Difatti, alle elezioni politiche del 1958 vi sarà un lieve calo, avendo ottenuto alla Camera, 1.407.919 voti pari al 4,7% con l’elezione di 24 Deputati e 1.149.000 voti , pari al 4,4% al Senato con l’elezione di 8 Senatori.

Al Comune di Modena il MSI ebbe il 3,18% pari a 2.791 voti. Gli altri partiti: PCI, 40,33% con 35.355 voti, la DC il 30,58% con voti 26.810; i socialisti PSI ottennero 12.188 voti e il 13,90%; il PLI 3.269 voti e il 3,18%.

 

 

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