Modena vista da destra

Modena dal 1919 al 1943

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Il "biennio rosso" 26 Settembre 1921 - Marcia su Roma - 28 Ottobre 1922 Modenesi alla Marcia su Roma 1923 - Inizio dell'Era Fascista
         
        1941 - Albania il Monte Kosica

 

Il "biennio rosso"

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Il primo dopoguerra a Modena e il “biennio rosso”

 Al termine della prima guerra mondiale (conclusasi il 4 Novembre 1918) l’Italia e la Provincia di Modena in particolare, si vengono a trovare in una situazione che definire precaria ci pare eufemistico. 630.00 morti di cui oltre 6.000 modenesi e oltre un milione di feriti  sono il bilancio di quel tremendo conflitto. Oltre ad un debito per spese belliche di 65 miliardi di lire-oro. L’economia modenese era a rotoli, migliaia e migliaia di disoccupati, gli ex combattenti umiliati e avviliti, il rincaro dei prezzi che era arrivato sino a valori del 625%, chiusura massiccia di laboratori, botteghe artigianali e piccole industrie avevano creato nell’opinione pubblica uno stato di frustrazione e di incertezza per il futuro che, nonostante la guerra vinta, non prometteva nulla di buono. Oltre a tutto questo vi fù la pesantissima epidemia di influenza chiamata “spagnola” che provocò numerosissime vittime.

La gioia della vittoria fu un'ebbrezza forte e fugace L'Italia era divisa in due settori: uno fiducioso, l'altro scettico. Quello fiducioso comprendeva soprattutto la gioventù e, quindi, l'enorme maggioranza del Paese. Il terribile sforzo della guerra aveva costretto anche l'Italia alla mobilitazione totale di tutte le sue risorse, materiali e morali.. Si era compresa la necessità dell'ottimismo la necessità di mantenere segrete le notizie deprimenti, di dare di tutti gli avvenimenti e le interpretazioni più favorevoli. Nacque così la nozione di "disfattismo".

Era fatale, quindi, che la cessazione delle ostilità significasse un crollo delle speranze dei combattenti.  Il gruppo degli scettici, che era composto soprattutto dai neutralisti del 1915, rimaneva convinto che la guerra era stata un gigantesco delitto, di cui l'Italia avrebbe pagato le terribili conseguenze. Essa si proponeva di compiere ogni sforzo per liquidare la mentalità di guerra e cercare di tornare all'equilibrio di prima.

Vi era stata in Italia, contrariamente agli altri paesi belligeranti una continua opposizione alla guerra, con particolari attacchi da parte dei socialisti e dei cattolici; taluni socialisti avevano rivendicato “l’onore” di essere stati complici, della disfatta di Caporetto.

Concluso il conflitto quelle forze si organizzarono ancora contro lo Stato ed iniziarono una feroce campagna di odio contro quanti avevano voluto la guerra e contro i suoi valori: si diceva che bisognava “disonorarla. Anche i cattolici erano contro, si riunirono in partito e presero i maggiori responsabili di questo tra i clericali favorevoli all’Austria, in Trentino e parte di quel clero siciliano da sempre antiunitario. Il partito socialista spingeva il proletariato verso la rivoluzione, verso la conquista violenta del potere politico economico, sulla falsariga della rivoluzione russa, potere che doveva essere affidato interamente ai Consigli degli operai e dei contadini, così come fu affermato al Congresso socialista di Bologna del 1919.

Gli scioperi si succedevano in continuazione, in quell’anno se ne contarono 1871, con conflitti sanguinosi con la forza pubblica: furono uccisi 145 scioperanti e 444 feriti, con enormi perdite per la vita economica della nazione uscita prostata dalla guerra. Sommosse con saccheggi e rapine di innumerevoli negozi, con l’uccisione dei negozianti che cercavano di difenderli.

Anche nelle nostre contrade imperversava quella violenza attraverso boicottaggi, invasioni, fatti crudeli che cercavano di indirizzare le masse verso il comunismo, così com’era duramente colpita l’autorità dello stato dai ferrovieri che rifiutavano il trasporto di merci e di militari, insomma “tutto il potere ai lavoratori”.

Ma i socialisti erano troppo divisi, tra quelli che accusavano i massimalisti come predicatori di una rivoluzione impossibile e questi che accusavano i riformisti di annullare il marxismo e il socialismo dentro al pentolone borghese; non potevano vincere.

Vi erano già larghi strati proletari che cercavano di uscire da quella dimensione attraverso la costituzione della loro proprietà; contadini diventati proprietari del podere, già prima coltivato per altri e operai delle varie industrie, meccaniche, tessili, calzaturiere che riuscivano a mettersi in proprio creando piccole officine, creando quella forma di artigianato che li toglieva, attraverso una responsabilizzazione diretta, dalle dipendenze del padrone.

Il governo della vittoria, presieduto da Vittorio Emanuele”Orlando, commise un errore decisivo. La Camera, eletta nel 1913, alla cessazione delle ostilità aveva già compiuto da qualche mese il suo quinquennio di vita. Bisognava indire immediatamente le elezioni, come Francia e Inghilterra fecero, approfittando dell'entusiasmo della vittoria e quindi raccogliendone i frutti.

Fu invece sotto il controllo di una Camera che era sempre quella del 1913, diffidente e segretamente ostile, che Vittorio Emanuele Orlando partì per Parigi. Così, mentre il Parlamento fu la forza dei francesi e degli inglesi, fu la debolezza della nostra delegazione.
La conseguenza fu che l'euforia andò rapidamente svanendo cedendo il campo ad un pauroso spirito di dissoluzione.

La violenta, amarissima delusione fu, ad un tempo, sociale e nazionale. I reduci, ritornati a casa, videro che tutti i posti di lavoro erano occupati da coloro che essi, in trincea, erano stati invitati a disprezzare come "imboscati". Niente era stato preparato per assicurare il pacifico ed ordinato passaggio dallo stato di guerra allo stato di pace. D'altra parte, le industrie che fabbricavano materiali di guerra chiudevano rapidamente i battenti. Venne, quindi, formandosi, fin dai primi mesi del dopoguerra, un'enorme massa di disoccupati, che non apparteneva solo allo strato inferiore della piramide sociale, ma anche al ceto medio.

Le lauree erano state concesse con grande prodigalità: c'era, dunque, una pletora di giovani laureati, ex ufficiali di complemento, che non avevano quasi nessuna possibilità di stabile sistemazione. D'altra parte, la classe dirigente politica, che era sempre dominata dalla maggioranza parlamentare del 1913, non aveva la minima attitudine ad affrontare e risolvere i colossali problemi che si presentarono.

Una delle principali conseguenze della guerra era stato il colossale impulso che aveva avuto il marxismo: impulso che si era risolto in una profonda trasformazione. La massa dei reduci, appena abbandonato il grigioverde, non trovando nello Stato l'immediata ed efficace protezione alla quale aveva diritto, si rivolse, com'era naturale, ai movimenti sindacali. Questi, diretti da esperti e benemeriti socialisti, assunsero rapidamente proporzioni gigantesche. Sennonché, il socialismo italiano non era già più quello del Bissolati del 1901, né quello del Modigliani e del Treves del 1914, né quello del Turati patriota del 1917. La rivoluzione russa dell'ottobre 1917 aveva intimamente sconvolto il socialismo di tutti i Paesi.

 Il partito socialista, in Italia, era maturo, alla vigilia della guerra, per la direzione del potere. L'opinione pubblica attendeva con simpatia che alla definitiva caduta di Giolitti, per morte o per vecchiaia, gli sarebbe successo un Turati o un Treves. Lo svolgimento di questo concreto progresso politico fu interrotto non tanto dalla guerra, quanto dalla rivoluzione russa e dal trionfo della frazione bolscevica del partito socialdemocratico. Il bolscevismo aveva adottato metodi che erano totalmente in contrasto con tutte le tradizioni dei partiti socialisti e socialdemocratici; questi, in tutti i Paesi, rimanevano fedeli al metodo democratico e in questa maniera trovavano la base di collaborazione e di convivenza con i partiti democratici borghesi. I bolscevichi, invece. propugnavano l'azione diretta, l'azione rivoluzionaria, l'instaurazione della dittatura del loro partito, organizzato su uno schema autoritario e militaresco.

Finita la guerra, il bolscevismo russo, che voleva creare a sé uno sbocco nell'Europa occidentale e quindi anche in Italia, favorì con danaro e con ogni mezzo il sovversivismo nostrano che, sfruttando le tristi condizioni economiche del periodo del dopoguerra, tentava in qualche modo di impadronirsi dello Stato.
Del resto si era ancora alle idee di Tkacev, che nell'esporre le condizioni di successo di una rivoluzione, scriveva ad Engels

"Basteranno due o tre disfatte militari, alcune insurrezioni contadine simultanee in due tre province e un insurrezione aperta nelle città, in tempo di pace, perché il governo rimanga completamente isolato e abbandonato da tutti. Mille rivoluzionari decisi a tutto, e la rivoluzione è fatta"(P.N. Tkacev, Socineija, II, p. 277).

II partito maggioritario a Modena, in quegli anni, era il Partito Socialista Italiano con le sue due anime, riformista e rivoluzionaria. Gli esponenti più in vista erano Gregorio Agnini, Alfredo Bertesi di Carpi, l’avvocato Cesare Marverti, il Segretario della CGIL Enrico Ferrari, l’avvocato Pio Donati sempre nell’area di sinistra esistevano altri piccoli partiti quali i socialisti libertari, gli anarchici, i radicali.

Erano i partiti della classe operaia, degli anticlericali e  delle classi più deboli in generale: all’inizio del 1919 venne costituito il Partito Popolare Italiano PPI, i cattolici, che si erano fondamentalmente astenuti dalle lotte di inizio secolo, entrano nella lotta politica. A Modena i maggiori esponenti di questa formazione politica erano: l’avvocato Francesco Luigi Ferrari, il professor Claudio Nava, l’avvocato Alessandro Coppi, l’avvocato Giuseppe Casoli, il professor Giovanni Rizzati e altri, nella maggioranza appartenenti alla classe borghese e dominante: anche i cattolici presentavano al loro interno due anime, i progressisti e i conservatori. Al centro dunque i cattolici, a destra i liberali che non avevano, almeno a Modena un partito ben definito ed erano raccolti in associazioni, clubs, circoli di vario tipo, ma che si unirono in vista delle elezioni in una lista chiamata “Unione di Rinnovamento”.

I maggiori rappresentanti di questo raggruppamento erano a Modena: l’avvocato Ottorino Nava, il Sindaco Giuseppe Gambigliani Zoccoli, il giornalista–scrittore Giovanni Borelli, il capitano Mario Pellegrini, medaglia d’oro della prima guerra mondiale. Sempre nell’area di destra si trovava l’Associazione Combattenti guidata dall’avvocato Vittorio Arangio Ruiz.

Nel Marzo 1919, il giorno 23, a Milano Benito Mussolini  fonda i Fasci di Combattimento che in brevissimo tempo passeranno, da un piccolo gruppo a grossa formazione politica. A proposito della situazione in Italia così scriveva lo storico Attilio Tamaro:

“in quel momento la fiumana rossa ingrossava, la vita nazionale sembrava doversi spartire tra le camere del lavoro e le sagrestie e il valore della vittoria perdersi nelle bestemmie degli uni o nell’ipocrisia degli altri, Mussolini pensò di fondare un organizzazione che si opponesse a tanto sconquasso. Era colmo di energia esplosiva, credeva nel suo destino e pensava sé stesso nell’avvenire.. Nel gennaio 1919 appoggio (dato che si trovava ancora su di una linea socialista) l’agitazione dei metallurgici, nel febbraio dei fonditori, nel marzo lo sciopero agrario novarese. Si precipitò a Dal mine per inneggiare, con un discorso diventato celebre, agli operai di una fabbrica ,che, guidati da sindacalisti, l’avevano occupata e vi avevano alzato il tricolore.  

Precedentemente a Modena, nel mese di Gennaio del 1919, si era costituita l’”Associazione dei Combattenti” in Via Mondatora in un primo tempo e successivamente in Via Francesco Selmi, guidata dall’Avv. Vittorio Arangio Ruiz, da Francesco Bianchi, Mario Cabrini, da Gino Montipò, eroe della Marina Militare, da Manfredo Manfredini, oltre che da Vico Guandalini, Giorgio Levi e Virginio Bucci. Questa associazione si trasforma nell’”Associazione Nazionalista delle Camicie Azzurre”; confluirà successivamente nelle file del nascente fascismo

Fu costituito poi, il 7 Maggio, in Via Rua Muro il “Fascio Futurista Marinettiano”, al quale aderirono molti giovani, studenti, pittori, e giornalisti modenesi quali i pittori Mario Vellani Marchi e Augusto Zoboli; organizzano serate culturali e goliardiche recitando le poesie del poeta e scrittore F.T. Martinetti.

Si creò sempre nel mese di Giugno di quell’anno, fondato dall’ex Sottotenente degli Alpini, Ermanno Masinelli, il “Fascio di Combattimento”, ne facevano parte anche, Duilio Sinigaglia, Fausto Vandelli e certo A. D’Alessandro.

Il 27 Maggio il sottotenente degli arditi Cesare Cerati nella sala San Vincenzo di Corso Canalgrande (dove ora ha sede il Tribunale) tiene il primo comizio fascista alla presenza di ex combattenti e studenti, in sala erano presenti anche alcuni socialisti che intonarono l’inno dei lavoratori scatenando un putiferio tale che dovette intervenire la forza pubblica e il comizio fù sciolto. Dopo pochi giorni Gabriele D’Annunzio partì per l’impresa Fiumana, alla quale si aggregarono alcune decine di giovani modenesi.

Il 20 e 21 Luglio di quell’anno fu proclamato lo sciopero generale che, in sostanza, dà l’avvio a quello che fu definito, “il biennio rosso”.

Il 15 Novembre si svolsero le prime elezioni politiche del dopoguerra che diedero a Modena i seguenti risultati: Partito Socialista Italiano 36.976 voti, Partito Popolare Italiano 10.939 voti, Liberali 6.844 voti, Fascio d’Avanguardia 5.426 voti, Combattenti 1383 voti. Furono eletti deputati quattro socialisti e un popolare. Agnini, Donati, E. Ferrari e Chiossi per i socialisti e G. Casoli per il PPI.

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1920  anno di violenze

Si è parlato tanto di violenza fascista e sempre in termini di accusa al fascismo. Tuttavia la violenza di quegli anni non nasce dai fascisti. Finita la guerra furono i socialisti, gli anarchici, ed anche i repubblicani ad usare la violenza fisica contro gli avversari. Assalivano i reduci di guerra, distruggevano vetrine e picchiavano cittadini inermi mettendo bombe assassine, scioperando selvaggiamente oltraggiando la forza pubblica. La violenza nasce “rossa” e così è rimasta, durante tutto il biennio che gli storici hanno definito “rosso”, in pratica dal 1919 al 1921. Il modello era la rivoluzione russa che sarebbe dovuta sfociare nel sistema dei “soviet”, (non si dimentichi che già in quegli anni gli emissari dei Soviet sovietici, distribuivano in Europa e in particolare in Italia, somme considerevoli per la propaganda e lo sviluppo dei programmi e delle idee bolsceviche).

A questa violenza sovversiva, durissima e sanguinosa, prima individualmente, poi in forma di squadre organizzate, si opposero cittadini di ogni condizione sociale.

Cosi in tutta Italia ed ovviamente anche in una Provincia, come quella modenese, dove la presenza dell’apparato socialista e poi comunista, era ben radicato.

In quel 1920 gli scioperi e le dimostrazioni erano all’ordine del giorno e la conflittualità tra popolari e socialisti era costante, comizi interrotti, oratori aggrediti e lotte in continuazione. A Mortizzuolo di Mirandola ci fù il tentativo di accoltellamento di un giovane cattolico; a Polinago un altro cattolico fu pugnalato mentre usciva dalla chiesa; idem a Montese con rivoltellate ad un popolare.

Gravi incidenti avvennero a Modena, in Piazza Grande, durante uno sciopero generale proclamato dalla Camera del lavoro, in seguito ai gravi incidenti avvenuti a San Matteo di Decima di Persicelo, dove si dovettero contare otto morti. Il 7 Aprile gli scioperanti riuniti in Piazza furono presi a fucilate dalle guardie regie che cercavano di sequestrare la bandiera della Lega proletaria. Si contarono 5 morti( Evaristo Rastelli, Antonio Amici venditore ambulante, Linda Levoni, l’agricoltore Ferdinando Gatti e Stella Zanetti.) altre 15 persone rimasero gravemente ferite.  A seguito dell’eccidio vi furono manifestazioni in tutta la Provincia e lo sciopero generale andò avanti per quattro giorni.

Nel mese di Maggio, socialisti e anarchici mettono a segno un clamoroso furto al 2° Campale: sono trafugate sei mitragliatrici e molte munizioni. L’episodio suscitò molto scalpore, ma dopo circa un mese queste armi furono scoperte a San Prospero, in riva al fiume Secchia. In seguito furono arrestati una trentina tra socialisti e anarchici e tre soldati presunti complici. In seguito s’ipotizzò che il furto delle mitragliatrici non fosse stata una vera impresa bensì una trappola, messa in atto dai carabinieri per catturare i “sovversivi” in blocco.

Nel frattempo a Modena si costituisce un’altra associazione chiamata: “Ordine e Libertà”, tra i fondatori troviamo: l’on. Antonio Vicini, l’on. Vittorio Cottafavi, l’avv. Giovanni Matteotti, il prof. Giovanni Guicciardi, l’ing. Eugenio Guastalla, l’ing. Giuseppe Baccarani, il prof. Guido Bianchi, l’avv. Francesco Aggazzotti, il dott. Luigi Vaccari, l’avv. Guido Dallari, l’ing. Emilio Giorni, il dott. Guido Corni, il prof. Mario Serafini, il rag. Bruno Zanetti, il geom. Alberto Reggiani, il rag. Aldo Benassi, il geom. Alberto Setti e l’ing. Adolfo Vecchi. Molti di questi aderiranno in seguito al nascente Partito Fascista.

I cattolici reagivano, in modo particolare sull’appennino dove a Lama Mocogno, a Polinago, a Montecreto, furono bastonati propagandisti socialisti; gravi incidenti avvennero ad Ospitale di Fanano dove rimasero uccisi, in seguito agli incidenti tra popolari e socialisti, dai colpi dei carabinieri, due socialisti, oltre a numerosi feriti e molti arresti furono effettuati dalle forze dell’ordine.

Il 31 Ottobre ci furono le elezioni amministrative: videro la conquista di quasi tutti i Comuni della bassa, da parte dei socialisti e ai popolari andarono quasi tutti i Comuni dell’Appennino; Sindaco di Modena diventò il socialista Rag. Ferruccio Teglio.

Il movimento fascista non si era ancora organizzato e partecipava alla vita politica locale in modo disorganizzato e sporadico. Ma la situazione era, nella nostra Provincia come nel resto dell’Italia, a dir poco drammatica e così, anche nel modenese, il desiderio di ritornare ad una situazione di tranquillità fece sì che tante componenti della società civile si riunirono per cercare di mettere un freno alla sovversione rossa.

Nel frattempo, numerosi modenesi si aggregano alle forze che il poeta Gabriele D’Annunzio aveva raccolto attorno a sé, per quella che fu chiamata la spedizione fiumana. Dopo la conferenza di Versailles, che non aveva restituito all’Italia i suoi confini e città italianissime come Fiume, si accesero fervori nazionalistici che il poeta seppe coagulare attorno a sé decidendo di marciare ed occupare, il 12 Settembre 1919, la città istriana, ma dopo un lungo travaglio e i fatti di sangue del giorno di Natale, i legionari furono estromessi da Fiume il 31 Dicembre 1920. E’ certo che, dall’avventura fiumana, nacque in seguito l’idea, in Mussolini, della Marcia su Roma.

Il 16 Novembre in casa Cuoghi in Via Sant’Agata a Modena, venne eletto il Direttorio del Fascio di Combattimento modenese  che risultò cosi composto: Renato Bussadori, impiegato della Manifattura Tabacchi; Ing. Antonio Rizzi industriale; Enzo Roncati, maestro elementare; Mario Aminta Ughi studente di Legge; Fausto Vandelli, assicuratore; Alberto Vellani, ex Ufficiale degli Arditi; Carlo Zuccoli agricoltore e possidente; Mario Vellani Marchi pittore; segretario venne nominato Enzo Ponzi, laureando in Legge ex Ufficiale degli Arditi e giornalista della “Gazzetta dell’Emilia”. Tra i promotori troviamo inoltre, i fratelli Carlo e Augusto Vandelli, l’avv. Carlo Zanni, gli artisti Edgardo Rota e Augusto Zoboli, l’avv. Fausto Bianchi, e tra i primi aderenti: gli avvocati, Giovanni Bergonzoli e Carlo Capello, oltre a Guido Gaudenzi Carlo Giacominelli, Antonio Monelli, Marco Arturo Vicini, il Colonnello Ciro Bonacini, il dott Antonio Mazzotto, gli ingegneri, Ubaldo Magiera e Antonio Rizzi, gli studenti: Emilio Bucciardi, Umberto Monari, Gino Mori, Carlo Alberto Perroux, Virginio Prandi, Carlo Ramazzini, Corrado Vicini, il rag. Alberto Poggi, i fratelli Aggazzotti, gli operai, Bovolenta e Federici, oltre a: Ascanio Boni, Giuseppe e Walter Boni, Renzo Brugnoli, Cosimo Paolo Baccarani, Paolo Casati, Eugenio Villani, Francesco Corfini, Guido Crostini, Florestino Dallari, Adolfo Gaddi, Vincenzo Gandolfi, Virginio Dal Re, Ettore Giovannini, Armando Giuliani, Giuseppe Gregari, Igino Gazzotti, Ezio e Ugo Guandalini, Vittorio Risotti, Vasco Jann, Pilade Lugli, Aldo Lusvardi, Marzio e Romeo Marchi, Ugo Mariani, Luigi Gino Menabue, Walter Omiccioli, Italo Puviani, Enzo Roncati, Francesco Rossi, Ubaldo ed Ermanno Sacerdoti, Claudio Sandonnino, Umberto Traldi e Ermanno Tusini.

Cosi nei giorni successivi si costituivano altri Fasci locali come quello di Carpi, costituito in casa Pellicciari, dove era nominato Segretario Bruno Melloni, coadiuvato dal capitano degli arditi, Guglielmo Nobis, oltre che, da: Virgilio Lancellotti, Giacomo Fuzzi e Alfredo Pellicciari. Aderirono al primo fascio carpigiano: Nando Bellini, Ugo Calzi, Arrigo e Roberto Casarini, Eriberto Ferrari, l’ing. Mario Cabassi, Leopoldo Ferrari, l’avv. Tommaso Benassi, Gian Battista Focherini, Roberto Guidetti, Sergio Urbini, Andrea Vellani, Augusto Mazelli, Nunzio e Zola Bulgarelli, Renzo Galli, Francesco Martini, Arrigo Tirelli, Alcide Losi, Federico Bassoli, Vico D’Incerti, Vitige Lancellotti, Mario Cortesi e Alberto Benassi.

A Sassuolo il primo Fascio fu guidato da Rodolfo Maffei e tra gli uomini più in vista troviamo: Luigi Cantelli, Arturo Bortoletti, Antonio Aldini, Arnaldo Bertoli, Dario Casalotti, Giuseppe Cassani, Lello e Arturo Mori, Mario Salietti, Angelo e Guido Veroni, Adelmo Cervi e Lanfranco Bertini.

A Mirandola, il primo Fascio fu guidato da Enrico Tabacchi, a Spilamberto, da Edoardo Graziosi, a Finale Emilia, da Antonio Malaguti e così via via nascono, le sezioni del Fascio, in tutti i Comuni modenesi.

Pochi giorni dopo a Bologna avvennero i tragici fatti di Palazzo d’Accursio, con nove morti e molti feriti. A Modena e a Carpi, così come in tutta Italia, si svolsero imponenti manifestazioni di protesta, in città sfilarono centinaia di fascisti e a Carpi fu presa d’assalto la Camera del lavoro.

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1921 - Ancora Violenze

La lotta politica continua ad essere segnata da continue intemperanze e violenze a non finire. Cattolici contro Socialisti, questi contro i Fascisti in un caos indescrivibile. Bastonature, accoltellamenti, devastazione reciproca di sedi di partito, si era scatenata una serie di reazioni a catena che l’autorità costituita non riusciva a frenare, anzi in moltissime circostanze le guardie regie contribuirono, con reazioni a dir poco sconsiderate sparando sui manifestanti, a creare un clima di intolleranza e di reazione.

A Modena, nel mese di Gennaio fu ucciso un socialista a Campogalliano e la sera del 21, in località Gallo allora alla periferia di Modena, fu ucciso a colpi di pistola il fascista, ex legionario fiumano, Mario Ruini di 19 anni. Mario Ruini era assieme al fratello e allo studente Stradi, e mentre rincasavano furono aggrediti in un agguato. Tre sono i responsabili dell’attentato e fanno parte del gruppo libertario di Via S. Agata; sono tre giovani di venti anni: Renzo Cavani, Luigi Evangelisti e Aldo Gilioli. Nella sparatoria, Renzo Cavani colpisce il Ruini, che cade ferito al suolo e qui è finito, con due colpi alla nuca, da Luigi Evangelisti.

Così racconta il muratore anarchico Aldo Caselgrandi: “Non feci in tempo a vedere quel che successe. Era appena cominciata la sparatoriandei miei compagni anarchici e socialistie i fascisti stavano rispondendo. Io ero accanto all’edicola della Rosina, quando ad un tratto alcuni fascisti mi balzarono addosso e mi bastonarono perché avevo in tasca il giornale anarchico Umanità Nova.” (cfr. sito www.libera-unidea)

 Tre giorni dopo, ai suoi funerali, mentre si svolgevano sulla Via Emilia, all’altezza del Palazzo delle Poste, gruppi di comunisti si avvicinarono al corteo e iniziarono a sparare colpendo a morte l’impiegato fascista di Bologna, di ventuno anni Augusto Baccolini e l’operaio metallurgico Orlando Antonini di diciannove anni, facendo inoltre una decina di feriti, tra i quali uno dei capi del fascismo bolognese, Leandro Arpinati.

In seguito a questi fatti venne data alle fiamme la Camera del lavoro e fu proclamato lo sciopero generale. I fascisti bolognesi che ritornavano nella loro città, particolarmente esaperati per i fatti al funerale di Ruini, furono presi a fucilate, la loro reazione li porta all’assalto della Camera del lavoro bolognese, che sarà devastato. 

Il 5 Marzo, fu costituita la sezione modenese del Fascio femminile di Combattimento, che ebbe dall’inizio centocinquanta iscritte, il Direttorio era così costituito: signora Maria Ruini, signorine, Teresa Casati, Rosa Guicciardi, Maria Teresa Vicini e Mara Capitani che era la Segretaria.

Il 17 Marzo fu ferito, in un attentato fuori porta Saragozza, lo studente fascista Antonio Gozzi, per opera di un gruppo d’anarchici.  Mentre in Aprile si svolge a Bologna il primo congresso dei Fasci Emiliani, al quale parteciparono i modenesi: Enzo Ponzi, Carlo Zuccoli, Marco Antonio Vicini, Fausto Bianchi, Renato Bussadori, Mario Vellani Marchi, il dott. Ugo Righi e il Capitano di Vascello Raffaele Paolucci (affondatore della Viribus Unitis) che, pur non provenendo da Modena, era il Presidente Onorario del Fascio della nostra città.

In quello stesso mese d’Aprile esce il primo numero de “La Valanga”, organo del Fascio modenese, che fu diretto da Pilade Lugli. In questi giorni in un agguato furono aggrediti e “bastonati” due fascisti: Alfredo Aimi ed Evaristo Crostini. Al fascismo modenese si aggregano, via via, tanti personaggi di varia estrazione sociale, da gente del popolo ad uomini come il radicale avv. Nino Modena, che richiede la tessera con una lettera, “nobile”.

A Maggio, a Monteombraro di Zocca, è ucciso il popolare Igino Bellentani

 Alle elezioni politiche, che si tennero il 15 Maggio, precedute in tutta Italia da violenze che provocarono la morte di una ventina di fascisti e gli incendi di un centinaio di Camere del lavoro, si presentarono, ottenendo un clamoroso successo anche i fascisti che riuscirono a portare in parlamento 37 deputati, tra i quali i modenesi, Marco Arturo Vicini e Virgilio Lancellotti.

La lista del “Blocco Nazionale” per le Provincie di Modena, Reggio, Parma e Piacenza, comprendeva i seguenti nomi: comm. Lino Carrara, ing. Alberto Celli, dott. Ottavio Corgini, avv. Vittorio Cottafavi, prof. Icilio Bocca, avv. Tommaso Benassi, ing. Giuseppe Baccarani, prof. Giovanni Pallastrelli, prof. Giovanni Ranieri, Virgilio Lancellotti, avv. Nino Modena, Carlo Cesare Montecchi, avv. Francesco Pallastrelli, avv. Vincenzo Paltinieri avv. Pietro Petrazzani, avv. Camillo Piatti, avv. Cesare Sarfatti, (fratello della nota scrittrice Margherita, amica di Benito Mussolini) avv. Michele Terzaghi e avv. Marco Arturo Vicini.

Tre erano i fascisti modenesi, Cottafavi, Modena e Vicini, due di Carpi, Lancellotti e Benassi, due di Reggio, Montecchi e Corgini, due di Piacenza, Terzaghi e Sarfatti, due di Parma, Bocca e Celli; gli altri erano liberali tra i quali il modenese, Giuseppe Baccarani.

Nella nostra Provincia si ebbero i seguenti risultati: Blocco Nazionale, che comprendeva, fascisti, nazionalisti, liberali e radicali 28.378 voti: Partito Socialista Italiano 27.028 voti: Partito  Popolare Italiano 17.600 voti.

Passato questo momento ripresero ancora le lotte; l’8 Agosto a Stuffione di Ravarino fu pugnalato a morte il fascista Eliseo Zucchi, e a Mirandola, il 17 Agosto fu ucciso il popolare Agostino Baraldini.

La violenza nel modenese e in tutta Italia assumeva sempre più le caratteristiche di una sanguinosa guerra civile. Tra i tanti efferati delitti politi, commessi in quei giorni, ci basta citare quello commesso a Pistoia, dove, un rivenditore di un giornale fascista fu trascinato in un circolo comunista e qui fu squartato dopo che gli era stata immersa la testa in acqua bollente. (cfr. Tamaro)

Le squadre che si affrontavano in quella lotta atroce erano formate da: “gli arditi del popolo” che erano i sovversivi feroci ed armati, c’erano poi le “camicie azzurre” dei nazionalisti, le “camicie kaki” delle ridotte squadre liberali, alcune squadre repubblicane molto combattive, quali le “avanguardie di azione repubblicana” in Romagna e anche le “avanguardie dei popolari in alcune zone. Ovviamente i fascisti si presentavano in camicia nera.

Scontri e violenze avvenivano ovunque in Italia, ma l’episodio che suscitò enorme scalpore fu l’eccidio di Sarzana, in Provincia di La Spezia, il 21 Luglio. Una colonna di fascisti voleva entrare in quella cittadina per manifestare e cercare la liberazione di alcuni camerati, tra i quali Renato Ricci poi fondatore e capo dell’Opera Nazionale Balilla (ONB), arrestati e incarcerati dalle guardie regie. I carabinieri avevano l’ordine di impedire l’azione. Vennero allertati anche i gruppi socialisti e comunisti che si prepararono per un agguato. Partì un colpo, non è stato ben chiarito per colpa di chi, e vi fu una sparatoria, le guardie regie spararono a bruciapelo, diciotto morirono subito, quasi tutti giovanissimi; molti furono i feriti e molti di coloro che, scappando attraverso i campi, caddero in mano ai cosiddetti "Arditi del popolo", formazioni socialcomuniste formatesi da poco, furono massacrati a colpi di forcone e roncola, impiccati, squartati, evirati, torturati, smembrati e decapitati, portando il numero delle vittime ad oltre la quarantina.

I superstiti, barricati nella Stazione, furono infine caricati su un treno, insieme ai dieci prigionieri, e rispediti a casa. Un’ultima vittima, fu un ragazzo che, affacciatosi ad un finestrino per fare il Saluto Romano, fu ucciso da una rivoltellata.

La pubblicistica antifascista modenese, negli anni del secondo dopoguerra, in tutte le pubblicazioni, a senso unico, dedicate al ventennio fascista in quel di Modena, ha cercato di far apparire quel movimento, quasi praticamente composto di uomini della borghesia agraria o di quelli della classe dominante. E questo è vero, ma in minima parte; vi si trovavano sì uomini delle categorie più agiate, così come li trovavi nelle file dei socialisti o dei popolari, ma la maggioranza degli appartenenti al fascismo della “prima ora” provenivano quasi esclusivamente dal mondo operaio e impiegatizio oltre che, logicamente, dagli ex combattenti.

Tuttavia che dire dei personaggi che militavano e dirigevano i partiti che cercavano di opporsi al nascente fascismo, forse appartenevano alla classe operaia uomini come l’on. Gregorio Agnini, l’avv. Pio Donati, il Sindaco Ferruccio Teglio, l’avv. Confucio Basaglia, l’avv. Cesare Marverti, il senatore e imprenditore Guido Mazzoli, gli avvocati Luigi Colli di Cavezzo e Nicola Cilla di Mirandola per i socialisti, oppure i rappresentanti del Partito Popolare quali, l’avv. Giuseppe Casoli, il conte Claudio Boschetti, il marchese Camillo Molza, il prof. Claudio Nava, l’avv. Alessandro Coppi o il prof. Giovanni Rizzatti, tanto per citarne alcuni?

Ma a parte questo piccolo spunto polemico è bene sottolineare che i modenesi, cosi come gli altri italiani, seguirono il nuovo astro della politica nazionale in funzione della forza propulsiva delle nuove idee che Mussolini portava avanti, idee che cercavano di superare i logori concetti di un socialismo stagnante che non sapeva uscire da una visione, già superata della lotta di classe, oltre a certo clericalismo ancora legato allo strapotere di una chiesa anch’essa ferma al 1800. Non vi è stato in Italia nessun movimento politico che abbia saputo esprimere, più intimamente le aspirazioni di un popolo, riuscendo a coinvolgere e conciliare il sogno socialista con l’amor di Patria, oltre a unire, per una visione di Nazione quell’Italia proletaria ed aristocratica ad un tempo, che si era scoperta popolo e Nazione, suo malgrado, solamente allora e non prima, nelle trincee del Piave.

Quegli uomini nati nelle trincee, stoicamente avevano sopportato ogni pericolo. Erano giunti all’estremo limite, alle spalle avevano lasciato tutto: i politicanti da strapazzo, gli scrivani, i ruffiani, i pescecani, gli affaristi piccoli piccoli, gli invidiosi e in quella dimensione avevano appreso la saggezza, la serenità e l’incorruttibilità.

Nel momento in cui la vittoria mutilata e la pugnalata alle spalle delle nazioni uscite vittoriose da quell’immane conflitto assieme all’Italia, li condizionò e quando tornarono e trovarono una plebaglia vile e idiota o furono sviliti, nella loro dignità da autorità civili e militari arroganti e vigliacche nello stesso tempo, scoprirono ovunque ignobili speculazioni, ingiustizia sociale e tutte le più abbiette forme dell’animo umano. A fronte di tanto sfacelo, questi combattenti non riuscirono a starsene fermi a subire senza reazione gli sputi e gli insulti della plebaglia rossa. Trovarono pertanto un capo ed un’idea che permise loro di uscire allo scoperto e che diede loro la possibilità di marciare incontro a nuovi destini per ritrovare la loro condizione d’uomini veri e la loro rispettabilità.

Nacquero cosi i fascisti.

Il 3 Agosto, a Roma, si firma il Patto di pacificazione tra Fascisti e socialisti. Da entrambe le parti questo tentativo di mettere un freno alla violenza, non fu ben accettato. Difatti a Novembre questo fu denunziato ufficialmente. La denuncia la fece lo stesso Mussolini al Congresso di Roma, poiché, nei due mesi in cui fu in vigore, furono uccisi poco meno di sessanta fascisti e centinaia furono i feriti, in agguati e attentati da parte degli “arditi del popolo”.

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Manifesto Fascista


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1920 - Occupazione fabbriche


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Congresso Fascista


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Uccisione a Firenze del Fascista Giovanni Berta


Manifesto fascista


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26 Settembre 1921 - Eccidio di Modena

I fatti del 26 Settembre a Modena

Descriviamo i fatti del 26 Settembre con il resoconto di G.A. Chiurco in: “Storia della Rivoluzione Fascista”.

26 Settembre – Le autorità governative di Modena, in odio al Fascismo, davano ordini polizieschi categorici, che irritarono i fascisti, tanto da indurli a tenere una riunione nella quale fù votato un ordine del giorno di protesta contro il Governo. Circa un migliaio di fascisti dopo la seduta inquadrati militarmente sfilarono per la Via Emilia. Trovano la strada sbarrata dalle guardie regieagli ordini del Commissario Cammeo, ben noto per la sua condotta antifascista e vigliacca. L’on. Vicini afferma alle guardie che i fascisti domandano soltanto che una Commissione possa consegnare l’ordine del giorno alla Prefettura.  Gli squadristi attendono intanto ordinati e calmi ed al ritorno della commissione imboccano nuovamente la Via Emilia. Altro plotone di guardie regie che sbarra il passo presso il caffè Nazionale. Il corteo si ferma e l’on. Vicini si accinge a parlare ai fascisti per calmarli e dar loro l’ordine di sciogliersi. Accanto all’On. Vicini si pone il gagliardetto del Fascio.. I due commissari che si trovano accanto al gagliardetto non si vollero levare il cappello. Un fascista toglie la paglietta al commissario facendola cadere a terra ed il commissario estrae la rivoltella facendo fuoco a bruciapelo sulla folla uccidendo il fascista Carpigiani Umberto del Fascio di Modena. E ferendo gravemente al torace l’On. Vicini, che cade gridando “viva l’Italia”. Un urlo di indignazione si alzò dalla folla mentre una scarica partiva dai moschetti imbracciati dalle guardie regie. Così cadevano a terra altri morti….La commissione di inchiesta provò che la forza pubblica aprì il fuoco senza alcun preavviso e senza alcuna necessità.

Il 29 Settembre si svolsero i funerali dei caduti con una grandiosa partecipazione di folla. Ventimila persone e cinquecento gagliardetti s’inchinarono al cospetto delle bare. Benito Mussolini tenne in Piazza S. Agostino l’orazione funebre che così concludeva:

“….Salvete, morti dilettissimi. Noi non vi dimenticheremo. I Vostri nomi rimarranno scolpiti nel nostro cuore profondo. Finchè un solo fascista vi sarà in Italia, egli trarrà da Voi l’esempio e l’auspicio. Verrà giorno in cui il nostro esercito invitto e invincibile strapperà la definitiva vittoria. Allora, o fratelli di Modena, o fratelli caduti in altre città, un fremito improvviso farà sussultare i vostri resti immortali. Converremo allora alle vostre tombe di precursori e di avanguardie, a sciogliere il voto della riconoscenza e della fede. In nome dei cinquecentomila fascisti d’Italia vi porgo l’estremo addio”.

I Caduti furono

Bosi Ezio era il Segretario politico del Fascio di San Cesario s.P.. Aveva combattuto della grande guerra ed aveva ventidue anni. Faceva parte del Consiglio Provinciale dei sindacati economici.

Carpigiani Umberto, era iscritto al Partito Fascista di Modena: non aveva ancora compiuto i diciotto anni.

Gallini Gioacchino, Ex Tenente degli alpini era Segretario politico del Fascio di Mirandola: Fù tra i primi assertori del Fascismo nelle zone della bassa. Aveva ventiquattro anni.

Garuti Tullio, era uno studente di venti anni iscritto al Fascio modenese. Morì alcuni giorni dopo i fatti del 26 Settembre.

Micheli Giovanni, Ufficiale di Artiglieria era iscritto al Fascio di San Cesario sul Panaro. Era un fascista attivo ed appassionato e dedicò tutta la sua vita alla famiglia ed alla Patria.

Sanley Aurelio, era il Segretario politico del Fascio di Vignola, aveva venti anni e apparteneva ad una nota famiglia vignolese.Notevole era il suo ascendente tra i fascisti della zona.

Sinigaglia Duilio Aveva ventisei anni e apparteneva al Fascio modenese e era comandante delle squadre d'azione. Ex Tenente degli Arditi ed ex legionario fiumano.

Zulato Attilio Apparteneva al Fascio di Modena, studente, era un ragazzo buono e dedicava al partito tutte le ore libere dallo studio. Morì con sulle labbra le parole" Italia e mamma" 

La sera del 11 Novembre, tradizionale festa di San Martino un gruppo di giovanissimi ragazzi, Renzo Rubbiani, Gino Tabaroni, Mario Lasagni e Silvio Lasagni tutti appartenenti al gruppo d’avanguardia del Fascio modenese, se ne stanno seduti al ristorante Terrazza, appena fuori Porta Saragozza, là dove oggi inizia Via Buon Pastore; si scontrano con due anarchici già noti per risse ed aggressioni, Renzo Cavani e Guido Bucciarelli; i ragazzi s’insultano e si mettono a correre lungo la strada, per eventualmente darsele di santa ragione, ma il Cavani si arresta, estrae la pistola e a sangue freddo uccide il giovanissimo Gino Tabaroni, di appena diciassette anni. Il Cavani sparò anche agli altri, ferendo Mario Lasagni. I due rossi, fuggirono e subito espatriarono, arrivando a Monaco di Baviera per poi ripare in Russia.

Così racconta l’anarchico Renzo Cavani: “….Gino Tabaroni è un nome che non scorderò più. Anche perché via Buon Pastore si chiamò durante il fascismo via Gino Tabaroni, e i miei abitavano proprio lì e quando scrivevo a mia madre dall’estero scrivevo, Modena via Gino Tabaroni…..Non sono pentito di questi fatti. Noi avevamo quell’idea e loro erano i nostri peggiori nemici. E poi i fascisti avevano già cominciato ad uccidere per conto loro. Noi non potevamo stare con le mani in mano a vedere, come facevano invece i socialisti” (cfr. sito libera-unidea).

   Per tutto il periodo del ventennio, la strada che vide quest’efferato assassinio, fu dedicata al martire fascista, ma fu poi epurata dalla toponomastica modenese, nel secondo dopoguerra.

Nel mese di Novembre di quel 1921, con la costituzione del Partito Nazionale Fascista PNF, viene avviata anche l’attività parlamentare dei 37 deputati eletti a Maggio e, con un grande discorso, chiamato “dalla mano tesa”, Mussolini proclama una vera proposta di pace rivolgendosi sia ai popolari sia ai socialisti invitandoli a “disarmare”, per mettere la parola fine alla guerra civile. Si augurava, dunque, un disarmo reciproco, e come disse ”anche un disarmo degli spiriti, dato che la Nazione correva un serio pericolo di precipitare in un abisso”.

 

 

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Marcia su Roma - 28 Ottobre 1922

1922 - Ancora tensioni - 28 Ottobre Marcia su Roma

 Pure il 1922 inizia con tensione e incidenti un po’ ovunque. Il Fascismo modenese, che in breve tempo si era fortemente consolidato, comincia a rintuzzare colpo su colpo a tutte le intemperanze; in tutta la Provincia  si andavano costituendo le sezioni di Partito, in modo particolare si era affermato nel carpigiano tanto che l”Avanti” del 31 Marzo 1922 scriveva che “Carpi è, come si sa la roccaforte del del fascismo modenese, anzi la sua fama ha oltrepassato da gran tempo i confini della Provincia ed è diventata nazionale.” I Fascisti carpigiani furono definiti dal giornale socialista “superfascisti”.

La lotta politica tra i partiti e nei partiti era particolarmente accesa, Popolari contro Socialisti, lotte interne nei due schieramenti principali, tanto che a Livorno, al Congresso del Partito Socialista, avvenne la scissione che portò la corrente massimalista a fondare il Partito Comunista Italiano.

La tensione politica raggiunge livelli altissimi, a Modena come in tutta Italia. Nei primi giorni del mese di Gennaio del 1922, avvengono moltissimi scontri e imboscate da parte degli anarchici e dei comunisti. A Villanova di Là, sono feriti in agguati comunisti, i fascisti: Guido Tavoni, Giovanni Benfatti e Guido Ferrari, mentre a Nonantola, il diciottenne Ascanio Boni sfugge miracolosamente ad un attentato. Il giorno 15, due anarchici feriscono gravemente in un agguato in un’osteria di Porta Saragozza, luogo diventato abituale per tanti scontri tra rossi e neri, il fascista Guido Albinelli. A Febbraio, bastonatura di socialisti, tra i quali i Deputati Donati e Agnini, da parte dei fascisti.

Si verifica poi un gesto vandalico sulla tomba del martire Duilio Sinigaglia che viene lordata e sfregiata.. Vengono, in seguito, sparati colpi di pistola ai fascisti, Bruno Fava e Silvio Gandolfi e a quattro carabinieri.  Il 18 Febbraio durante una festa a Migliarina di Carpi, è ucciso, a colpi di rivoltella, dal comunista Pio Rossi, il fascista carpigiano, Eugenio Paltrinieri. Il giorno 23 si svolgono i solenni funerali di questo caduto, con i discorsi dei maggiorenti del Partito, gli onorevoli Vicini e Lancellotti e di Salesio Schiavi.

Il 4 Marzo è ucciso a fucilate, a San Martino Secchia, Pio Zanfrognini, negoziante di bestiame a Mirandola, uno dei primi aderenti al fascio mirandolese. L’operaio fascista, Giuseppe Salvatori, subisce in questi giorni un primo attentato da parte dei “rossi”, che gli porteranno nel corso dell’anno altri quattro agguati, sempre sventati. Spesso avvengono sparatorie e risse in tante osterie di Modena e Provincia; a San Felice s. Panaro, durante uno di questi scontri resta ucciso il giovane socialista di 24 anni, Benvenuto Pignatti. Dopo una serie di tafferugli con feriti vari e ammaccati dal bastone, che a quei tempi si usava con molta facilità, nei giorni attorno al 1° Maggio, scoppia improvvisamente la “rivoluzione di Bologna”.

Un Ufficiale della Marina Militare, tale Cavedoni, è ucciso in un attentato, dove rimangono feriti altri due fascisti, dalle “guardie rosse”. La Federazione fascista bolognese convoca i segretari dei fasci delle quattro Provincie di, Modena, Ravenna, Ferrara e Bologna, per coordinare un’azione comune nel capoluogo emiliano. Vi è pertanto una mobilitazione generale dei fascisti di queste Provincie che giungono a Bologna in diecimila. E’ una mobilitazione generale e tra questi vi sono duemila modenesi; di cui cinquecento di Modena città, trecento di Carpi e i restanti di tutta la Provincia.

Fortunatamente si arrivò ad un accordo tra il comandante fascista della Legione Emiliana, il ferrarese Italo Balbo e il Generale di Corpo d’Armata, Sani, per la tregua. Il 2 Giugno, dopo quattro giorni di altissima tensione e di presenza dei fascisti nel capoluogo emiliano, Mussolini ordina lo sgombero e il rientro a casa di tutti i fascisti.

In Agosto avviene la caduta del Governo Facta e la proclamazione dello sciopero generale di quattro giorni, che fallirà nel modenese come in tutta Italia.

Unica eccezione la città di Parma, che “resisterà” per alcuni giorni, e dove accadde una vera e propria battaglia tra fascisti e social-comunisti. Lo sciopero aveva attecchito solamente in città, mentre in provincia fu un fiasco completo. Fu posto un “ultimatum” per la ripresa del lavoro dopo 48 ore, ma i rossi si asserragliarono nei sobborghi, costruendo trincee e barricate sotto lo sguardo dei carabinieri e delle guardie regie, che assistevano impassibili agli avvenimenti poiché avevano avuto tali ordini dalle autorità prefettizie. Vi furono attentati terroristici e una lunga serie d’attacchi ai fascisti. Scaduto l’ultimatum inizia il concentramento delle forze fasciste provenienti dalle città vicine. Modenesi e carpigiani accorrono a Parma in buon numero, assieme agli altri provenienti dalle città vicine, occupano militarmente la stazione ferroviaria e quella tranviaria, ovunque avvengono conflitti, si lanciano bombe, i “rossi” fecero incursioni anche verso il centro e assalti al Fascio. Inizia la battaglia dell’”Oltretorrente” con molti morti e feriti. Oltre ai modenesi, sono migliaia le camicie nere che arrivano a Parma da, Cremona, Ferrara, Mantova, Bologna e Piacenza. In uno di questi scontri, resta ucciso il giovane fascista carpigiano, Edoardo Amadei il quale, prima di morire, gridò: “Se avessi due vite le darei entrambe per la Patria”.

A fronte del succedersi dei gravi conflitti, l’autorità militare si decise ad assumere il servizio di ordine pubblico, mettendo fine agli scontri. I fascisti si smobilitarono. Malgrado la tenace resistenza di Parma, lo sciopero generale fu un clamoroso “flop”.

L’organo socialista “La Giustizia” cosi si espresse tre giorni dopo: “Bisogna avere il coraggio di confessarlo: lo sciopero generale proclamato ed ordinato dall’Alleanza del lavoro è stata la nostra Caporetto. Usciamo da questa prova clamorosamente battuti….” (cfr. Tamaro pag. 224 Vol. 1)

Il socialismo, con la chiamata dei lavoratori a difesa della “legalità d’istituzioni decadenti e un’oligarchia “borghese” screditata, anzitutto violò i suoi programmi fondamentali, e poi non si rese conto del peso, della penetrazione, dell’audacia del fascismo, né della disgregazione, né dell’inconsistenza delle correnti democratiche e liberali. (cfr. Zibordi, in “ Antologia della critica sociale”).

   In Provincia di Modena, a San Venanzio di Maranello, la sera del 20 Agosto, è commesso un duplice omicidio, da parte dei fascisti sassolesi nei confronti di due simpatizzanti socialisti: il bracciante Adelmo Benvenuti e il calzolaio Giovanni Romani.

Precedentemente, nel mese di Giugno di quell’anno terribile, fascisti carpigiani, uccidono un giovane dell’Azione Cattolica a Quartirolo di Carpi: si trattava del giovanissimo Agostino Zanfi.  Per quest’atroce delitto la Direzione Provinciale fascista nomina una commissione d’inchiesta, con la presenza di Attilio Teruzzi e Italo Balbo, è inoltre sospeso il Direttorio fascista carpigiano e dodici fascisti sono messi agli arresti, solamente uno, certo Alvaro Po, che si assume la responsabilità del fatto, sarà condannato.

Nel mese di Settembre si tenne a Modena il secondo Congresso Provinciale Fascista. Il nuovo Direttorio era così composto: avv. Augusto Ascari, Avv. Carlo Zanni, Assirto Tosatti, dott. Matteo Di Noia, Giovacchino Cavicchioli, dott. Salesio Schiavi, dott. Temistocle Testa, dott. Italo Puviani, Pietro Simonelli, ing. Marino Mancini, Angelo Ferrari e, Segretario politico, avv. Vittorio Arangio Ruiz.

Il 26 Settembre sono commemorati, in una grandiosa manifestazione di popolo, gli otto caduti fascisti del 1921 con la presenza di moltissimi esponenti del Fascismo Nazionale, quali, Italo Balbo, Starace, Farinacci, Grandi, Arpinati e i deputati emiliani, Marco Arturo Vicini, Virgilio Lancellotti, Ottavio Corgini e Michele Terzaghi.

 Pestaggi, scontri, uccisioni, scioperi, occupazioni anche di città, come accade nelle vicine, Ferrara e Ravenna, furono il preludio della Rivoluzione Fascista che si concretò, da rilevare senza spargimento di sangue, il 28 Ottobre con la Marcia su Roma.

Così come in tutta Italia, si sta preparando anche a Modena l’insurrezione dei fascisti che precede la Marcia su Roma.  La prima grande adunata, mentre il Governo non avveva ancora il minimo sentore che tutto era pronto per l’insurrezione, si tiene a Napoli il 24 Ottobre. I fascisti furono accolti con grande entusiasmo dal popolo napoletano che gridava “A Roma, a Roma”, mentre al Teatro San Carlo, Mussolini teneva la sua orazione seguita dal breve discorso in Piazza Plebiscito dopo la grande sfilata delle camicie nere, e qui dichiarava, senza mezzi termini  e in tutta chiarezza: “O il Governo ci darà il potere o lo prenderemo noi calando a Roma !”

Chi erano dunque questi fascisti che, da Modena e da tutte le città italiane calarono a Roma, pronti ad ogni evenienza, anche allo scontro, che poi non avvenne, malgrado che il consiglio dei Ministri avesse deliberato la proclamazione dello stato d’assedio, che fortunatamente il re non volle avvalorare?

Come definirli? Era gente pragmatica, non nel senso ignobile che il termine ha assunto oggi, si possono definire reazionari, interventisti e rivoluzionari. Reazionari perché reagirono alle ingiustizie dell’immediato dopoguerra, interventisti perché seguirono lo spirito che li aveva portati nel crogiulo della Grande Guerra, rivoluzionari perché presero l’iniziativa di sconvolgere una situazione oramai deteriorata, che una classe borghese dominante, ma pavida e inetta, non era riuscita a capire, con l’emergere prepotente delle masse e con il recupero dei forti valori del recente passato.

I fascisti furono e di destra e di sinistra, senza essere né di destra né di sinistra. Erano entusiasti e vincenti nel travolgere le inique barriere sociali, nel ritrovare i valori della Patria, nella ricerca di una pacificazione degli animi dopo anni di violenze, sopraffazioni e di scontri crudeli. Mussolini, che aveva seguito gli avvenimenti da Milano, fu chiamato a Roma dal Re, Vittorio Emanuele terzo che gli conferì l’incarico di formare il nuovo Governo. Mussolini lo costituì, malgrado molti fascisti lo osteggiassero e non fossero entusiasti, con la presenza di molti uomini provenienti da partiti che avevano contrastato il fascismo e in pratica, due popolari, due demosociali e tre liberali oltre, ovviamente a tre fascisti. Il 31 Ottobre prestò giuramento. Obiettivamente la Marcia su Roma non fu una vera e propria rivoluzione, malgrado si parlasse durante tutto il ventennio e anche dopo di marcia rivoluzionaria, epica e leggendaria.

In realtà non vi fu nulla di epico se non: “Una manovra politica calcolata con straordinaria intuizione dal suo promotore”. Senza la Marcia indubbiamente il fascismo non sarebbe arrivato al potere, ma fu ugualmente un movimento d’importanza storica eccezionale che ebbe il merito di dimostrare, a tutto il paese, a quale sacrificio fosse disposta la gioventù italiana per far arridere la vittoria ai propri ideali. Se Mussolini ha avuto in quei giorni la sensazione o la certezza, che non ci sarebbe stato spargimento di sangue, questo non era a conoscenza delle centinaia di migliaia di camicie nere mobilitate che non potevano sapere quale accoglienza sarebbe stata fatta loro dalla forza pubblica, se andava in porto lo stato d’assedio, ed eventualmente dai comunisti o dai socialisti.

Questa gioventù, come i duemila modenesi che andarono a Roma e gli oltre cinquemila che rimasero a presidiare la città della Ghirlandina, era pronta a tutto, ma fortunatamente, quando a Roma sembrava dovesse entrare la guerra, in realtà vi entrò la pace e la mobilitazione di quelle centinaia di migliaia di uomini rientrò in poche ore.

Si aprì così, un’era diversa; non vi è alcun dubbio che il periodo fascista si distinse profondamente da quello che lo aveva preceduto. E’ altresì lampante che esso soppresse il liberalismo e la democrazia sino allora imperante, Mussolini stesso mentre celebrava la “Rivoluzione” durante il ventennio, negò a chiare lettere che l’insurrezione del 28 Ottobre sboccasse in una rivoluzione: nel 1944, in “Storia di un anno” scrisse  testualmente:

“Premesso che una rivoluzione si ha quando si cambia con la forza non solo il sistema di governo ma la forma istituzionale dello Stato, bisogna riconoscere che da questo punto di vista il Fascismo non fece, nell’ottobre del 1922, una rivoluzione, c’era una Monarchia prima e una monarchia rimase dopo.” 

In realtà  non furono violate leggi costituzionali dato che il Governo Facta era dimissionario e che il Re nominava e revocava i suoi Ministri e questo lo diceva lo Statuto del Regno.

Certo è che: “Alla testa del Governo veniva messo un uomo del carattere , dell’ambizione e della volontà di Mussolini, tutto diverso dagli altri uomini politici  e dalla cui irrequieta e vulcanica mente potevano uscire imprevedibili novità. Saliva al potere per la prima volta un giovane popolano, che veniva dagli strati molto vicini alla plebe.” (Cfr. Tamaro).

Certamente ai fascisti più intransigenti, che collaboravano e avevano seguito anche nelle battaglie più dure Mussolini, non fu gradita quella posizione “borghese”, e non si capacitavano che si fosse fatta una “rivoluzione” semplicemente per la sola conquista di qualche Ministero o per qualche miglioramento all’amministrazione pubblica.

Mussolini però, nella sua replica, affermava che l’Italia avrebbe avuto bisogno di un lungo periodo di pace, anche se  avrebbe potuto fare come in Russia, dove la “rivoluzione sovietica” aveva distrutto la macchina dello Stato ma, disse:

“Se sappiamo raggiungere la concordia, fra dieci anni l’Italia sarà irriconoscibile, avrà cambiato faccia, perché ricca, tranquilla, prospera, possente e sarà una delle poche nazioni che potranno domani guidare la civiltà mondiale”. (cfr. D. Susmel in “Mussolini e il suo tempo” pag. 134)

  I Fascisti raggiunsero la capitale con ogni mezzo possibile e tra le migliaia e migliaia di questi uomini in camicia nera oltre 2.000 erano modenesi. Modena fu la città d’Italia che portò, percentualmente, il maggior numero di fascisti a Roma.

Mentre a Roma si stava realizzando la conquista del potere da parte di Benito Mussolini, a Modena, nell’attesa dello svilupparsi degli eventi, cinquemila camice nere, presidiarono i maggiori edifici pubblici e si smobilitarono tre giorni dopo, mentre il giorno 29, in Piazza Roma in un tripudio incredibile, migliaia di persone applaudirono i discorsi del Generale Freri e del Segretario della Federazione Provinciale Fascista, Avv. Vittorio Arangio Ruiz. La Ghirladina fu illuminata a festa cosi come molte case furono imbandierate con il tricolore e con luminarie.

Intanto come detto, Mussolini aveva costituito il suo primo Governo e il 16 Novembre pronunciò in Parlamento il suo primo discorso da Capo del Governo: è un discorso rimasto famoso per le sue forti dichiarazioni; così si pronunciò:

“… Mi sono rifiutato di stravincere e potevo stravincere. Mi sono posto dei limiti….con 300mila giovani armati e decisi a tutto e quasi misticamente pronti a un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato d’infangare il fascismo. Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti, Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.”

Malgrado questo violento discorso non vi furono particolari reazioni, se non un semplice ed isolato grido di un deputato socialista, Modigliani, che urlò: “Evviva il Parlamento”.

Ha inizio così l’avventura al potere del fascismo e del suo Capo indiscusso, Benito Mussolini.  

Le elezioni amministrative si svolgono a Modena, il 26 Novembre al primo turno e al 3 Dicembre al secondo turno: si astengono i gruppi dei socialisti e dei popolari e si presentano solo le liste dei fascisti, nazionalisti e liberali uniti.

 A Modena si presentano: Fermo Benatti, Luigi Ferrari, Renato Bussadori, Umberto Caselgrandi, Orazio Bolognesi, dott. Amedeo Bianconi, avv. Fausto Bianchi, prof. Guido Bianchi, Italo Bicchieri, dott. Guido Corni, Roberto Ferrari, ing. Giulio Abbati Marescotti, avv. Vittorio Arangio Ruiz, Aldo Benassati, avv. Giuseppe Fontana, Emilio Miani, dott. Giuseppe Manicardi, ing. Umberto Magiera, prof. Italo Maffei, Federico Formiggini, avv. Gino Friedman, dott. Igino Gazzotti, avv. Ernesto Giordano, ing. Emilio Giorgi, Erminio Goldoni, Camillo Gregori, Oliviero Lazzarini, dott. Tommaso Lolli, Emilio Miani, avv. Nino Modena, Luigi Montagnani, Daniele Pisi, Oreste Prandini, Alberto Poggi, ing. Antonio Rizzi, Luigi Reggianini, Alfredo Rovatti, dott. Arturo Silingardi, prof. Giuseppe Sperino, Camillo Tettoni, Giuseppe Venturelli, Fausto Vandelli, avv. Marco Arturo Vicini, Alfonso Vignocchi, Domenico Zaia, Enrico Zanasi, ing. Silvio Zanasi, avv. Carlo Zanni, dott. Ferruccio Zibordi, dott. Carlo Zuccoli.

Fu eletto Sindaco Fausto Bianchi. Assessori: Modena, Montagnani, Rizzi, Maffei, Bicchieri, Manicardi, Fontana, Luigi Ferrari, Poggi, Vandelli, Vignocchi.

A Carpi fu eletto Sindaco Salesio Schiavi e assessori, Clodo Feltri, dott. Giuseppe Bertolazzi, Luigi Giglioli, Giuseppe Govi e Mario Formigoni. A Sassuolo diventa Sindaco l’avv. Aristide Ferioli e assessori: Enrico Roteglia, Silvio Galeozzi, ing. Adriano Fiori, Vincenzo Zanni, Adelmo Cervi e Luigi Cantarelli.

Riportiamo l’elenco dei cittadini di Modena e Provincia che presero parte alla Marcia su Roma. L’elenco è desunto da “Storia della Rivoluzione Fascista” di G.A. Chiurco.

 

 

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1923 - Inizio dell'Era Fascista

   

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Il Monte Kosica – Ara di gloria dei Legionari Modenesi

Sicuramente non sono molti i modenesi che conoscono l’origine della denominazione di uno dei più noti Viali della città: viale Monte Kosica. Nell’immediato dopoguerra e negli anni successivi in tutta Italia e a Modena in particolare, avvenne l’epurazione di tutta la toponomastica stradale che faceva riferimento a personaggi e a luoghi del periodo fascista. Furono pure eliminate sculture, edifici immagini in una furia iconoclasta che a Modena ebbe il suo vertice nella totale demolizione di uno degli edifici più belli del puro stile novecento, il palazzo dell’ex GIL.

A fronte di questo comportamento, resta incomprensibile come sia rimasta integra la targa di “Viale Monte Kosica - Ara di gloria dei legionari modenesi” come ancora oggi troviamo scritto. In queste pagine vogliamo ricordare, in modo succinto il sacrificio di quelle centinaia di Camicie Nere modenesi che si coprirono di gloria sul confine greco-albanese.

Erano trascorsi pochi mesi dall’entrata in guerra dell’Italia quando il 28 Ottobre 1940, mentre a Firenze Mussolini riceve Hitler e gli comunica improvvisamente quella che doveva essere una grande notizia, l’invasione italiana della Grecia, inizia una delle più discusse campagne di guerra che rimarrà memorabile nella storia italiana per l’inefficienza, pressappochismo, impreparazione e miopia strategica dello Stato maggior italiano. L’illusione di una guerra lampo si esaurì in pochi giorni. Due Corpi d’Armata che dovevano entrare velocemente in Grecia dall’Albania in breve si impantanarono letteralmente. La famosa frase di Mussolini “spezzeremo le reni alla Grecia” si rivelò quantomeno inopportuna poiché immediatamente, dopo il nostro attacco, i greci riuscirono a bloccare l’iniziativa italiana e a contrattaccare e costringendo le nostre truppe a bloccarsi sul fronte greco albanese, in un durissimo inverno. Su questo terreno ostile e impervio i nostri soldati, malgrado le amarezze e lo scadente supporto di mezzi e di materiali, oltre alle risse tra gli alti Comandi, scrissero pagine d’eccezionale valore in quei tremendi mesi dell’inverno 1940-1941.

La composizione del Corpo dell’Esercito comprendeva due Corpi d’Armata il XXV e il XXVI forte di 12 Reggimenti di Fanteria , un Reggimento di Granatieri, uno di Bersaglieri, due Reggimenti Alpini, due Reggimenti di carri armati, cinque Battaglioni di Camicie Nere, tre battaglioni di Carabinieri, quaranta gruppi di artiglieria e cinque compagnie del Genio, per un totale di 105 mila uomini, 163 carri armati e 680 cannoni.

Tra i battaglioni di Camicie Nere era presente anche un Battaglione di Modena che faceva parte della 72° Legione Farini ed era composto da 18 Ufficiali, 32 sottufficiali e 460 CC.NN. Assieme al battaglione modenese era aggregato il CXI  battaglione CC.NN. di Pesaro.

 Il 1° Seniore Antonio Petti comandava il battaglione dei nostri concittadini che nel suo gagliardetto, ricamato e consegnato ai legionari dalle donne fasciste modenesi, portava la scritta “Viva la morte”.

Il giorno 7 Dicembre 1940, “i Falchi”, così era chiamato il Battaglione delle Camicie Nere, si  imbarcano da Bari sulla motonave “Giuseppe Verdi” e il giorno successivo sbarcano nel porto di Durazzo in Albania. Andranno a schierarsi sul fronte Est albanese tra il Monte Kosica e il Lago Okrida giungendo, attraverso mulattiere piene di fango e dopo sforzi sovrumani, sulla linea del fronte nelle vicinanze di Dunica. In questa zona rimarranno per alcuni mesi, in una durissima guerra di posizione.

Il periodo prenatalizio e sino ai primi giorni di Gennaio è dedicato alle ricognizioni tattiche, alla sistemazione delle tende e degli accantonamenti alle varie quote in Val Dunica dove avverrà il “battesimo del fuoco” dei legionari modenesi. A metà Gennaio si aggiungono ai reparti già schierati altre cÿÿÿÿieÿÿere, in particolare iÿÿlotoni di salmerÿÿÿÿÿÿ i fidati muli che si riveleranno i migliori mezzi di trasporto su quelle impervie montagne. Assieme a loro è presente il C.M. Nino Saverio Basaglia, giornalista, sindacalista e scrittore.  Dal suo diario abbiamo appreso le tante notizie dei fatti e degli uomini modenesi che hanno affrontato quel periodo di guerra eroica e drammatica.

Molti uomini si dovettero improvvisare mulattieri, uomini del plotone comando che erano partiti con diversi compiti si resero disponibili a svolgere il servizio pesante e gravoso di accudire i muli e con loro fare miracoli per compiere il trasporto dalla base alle linee. Vogliamo citare alcuni modenesi che si dedicarono a quelle operazioni: i due operai della Manifattura Tabacchi di Modena, Rinaldi Amos e Sighinolfi Ivo, il tramviere Frateschi Giuseppe di Modena, l’impiegato Mazzuccato Luigi, il meccanico Pistoni Agostino, l’edile Capellini Terzo, il metallurgico Forti Alberto tutti di Modena.

Mano a mano che i vari reparti della 72° Legione Farini vanno a posizionarsi sulle quote a loro destinate, hanno la possibilità di valutare e di giudicare la vita di quelle popolazioni e fare valutazioni come quelle del giornalista citato che visitando la cittadina di Kavaja scrive”……Osservo qundi le condizioni miserabili in cui l’urbanistica di re Zog ha lasciato un centro così popolato. Bimbi dappertutto, bimbi stracciati, macilenti. Questo non è il “colore locale” che amiamo e che una letteratura cosmopolita descrive come caratteristiche di molte regioni balcaniche……. E se i turisti delle lussuose e potenti macchine fuori serie si lamenteranno per il perduto colore locale, che Iddio non ci metta in corpo la proletaria voglia di farli discendere dai morbidi e lussuosi cuscini, di sporcar loro la faccia con una maleodorante manata di fango………Prenderemo loro fotografie a testimonianza postuma, a documento ultimo di una stupidità umana e di una insensibilità morale che non è l’ultima causa dei perturbamenti sociali, culminati nelle rivolte civili e nelle guerre fra i popoli.”

 Le pendici del Monte Kosica sono a strapiombo e difficilissime da superare,  a quota 1108 è distaccato un plotone agli ordini del C.M Florindo Longagnani assieme al II° Battaglione dell’84° fanteria “Venezia” e alla 10° Compagnia mitraglieri della Divisione Arezzo. In questa zona, mentre porta un ordine al Comando del settore di Dunica, a quota 1033 viene mortalmente colpita da schegge di mortaio la camicia nera Montanari Ferruccio di Vignola. E’ il primo caduto modenese.

Le temperature sul Kosica sono sempre rigidissime e l’azione delle pattuglie è totalmente condizionata; i greci dominano la vallata dalle quote 1475 e 1498 del monte e di frequente attaccano le nostre postazioni che si difendono e mantengono le loro posizioni a prezzo di notevoli sacrifici. 

La difficoltà dei trasporti e degli approvvigionamenti è notevole. Per quasi due mesi le CC.NN. modenesi dovranno accontentarsi delle razioni dei viveri che consistevano in un pezzetto di formaggio, venti grammi di marmellata, un gavettino di caffè, una pagnotta e cinque sigarette, a quelle rigidissime temperature sempre sotto lo zero non era il massimo.

Uno dei più ardimentosi attacchi delle CC.NN alle quote alte del Kosica avviene il 5 Gennaio “alla legionaria, con lo sprezzo del mortale pericolo ereditato dagli arditi della grande guerra , con un ardore che accende il sangue e lo sommuove come un fervido sole di vendemmia fa con l’uva ribollente nei tini, gli arditi fascisti attaccano il trincerone”

Il trincerone viene raggiunto di slancio ma i greci si difendono con rabbiosa decisione e con l’aiuto delle nuove mitragliatrici e di freschi rinforzi riescono a ricacciare le CC.NN. alle loro posizioni di partenza¸poi vi è il contrattacco dei greci che viene in parte rintuzzato. Ma la compagnia è gia priva di una trentina di elementi, tra feriti più o meno gravi e congelati. Quattro camicie nere vengono date per disperse sono, i legionari Giorgio Crabbia, Pietro Bellei, Francesco Gherardini e Marino Bonazzi. Ma dopo tre giorni, senza viveri e senza medicinali per curare uno di loro ferito, dopo essere rimasti nella cavità di una grossa roccia, riescono a ritornare tra i loro camerati.  

In un ulteriore attacco alle postazioni greche rimane gravemente ferito, preso in pieno da una rosa di schegge di mortaio, il comandante della compagnia, Centurione Ermanno Sacerdoti-Grassi: il nemico è su postazioni privilegiate e cinque volte superiore di numero ai circa cento legionari modenesi che si proiettano avanti con impeto indomabile: una raffica di mitragliatrice colpisce in pieno la camicia nera Michele Bollettini e altri rimangono feriti sul terreno; i capi delle squadre e dei plotoni Tonino Zoboli, Gustavo Lami, Adolfo Muzzarelli e Armando Bosi portano i loro uomini sin sull’orlo della trincea nemica che attaccano con bombe a mano: le perdite avversarie sono moltissime ma anche molti modenesi sono a terra: la battaglia prosegue per tutto il giorno e alla notte i resti della compagnia si attestano sui costoni sino al momento che con il raggiungere dei rinforzi riusciranno ad attestarsi su di una linea difensiva più solida. Rimangono su quella montagna con il rosso del loro sangue i valorosi: Aldo Gelmuzzi, Guido Malpighi, Roberto Zanetti, Antonio Ballati e Armando Morandi.

I feriti sono molti e così gli atti eroici come quello del nonantolano Tonino Zoboli,  o di Domenico Pini che pur feriti continuano a lanciare bombe sino all’esaurimento di queste.

In seguito, per questi fatti, furono concesse le medaglie al valore: Medaglia d’Argento a C.N. Bonazzi  Maurizio di Ferdinando da Castelfranco Emilia; Medaglia di Bronzo ai  C.P  Benassi Mario da Modena, Bonacini Umberto da Modena, Pignatti Aroldo da Bomporto, alle CC.NN. Maccaferri Arturo da Castelfranco Emilia, Marani Abdon da Bomporto, Gherardini Francesco da Castelfranco E., Vaccari Gildo da Nonantola, Bellei Nino da Bomporto, Rebuttini Primo da Nonantola. Croci di Guerra al Vice caposquadra Belli Pietro da Spilamberto e Crabbia Giorgio da Castelfranco E.

Poi per il mese di Gennaio riprende la normale routine di vigilanza sulle linee e di qualche scaramuccia per rintuzzare sporadici attacchi greci.

Un operaio meccanico di Fanano certo Monterastelli Edoardo tenne un diario di quei drammatici giorni sul Kosica e così con una vena poetica notevole descrisse la vita sotto la tenda su quei costoni impervi e desolati: “Il giorno stà per finire. Il cielo è sereno, ma l’aria è gelida: I teli all’interno luccicano di uno strato di ghiaccio che li fa sembrare d’argento. “ Oh telo di tenda, debole come una ragnatela, sembri  a noi una fortezza inespugnabile. Tu ci ripari dal vento, dalla neve e ci dai l’impressione di difenderci anche dal piombo nemico. Abbiamo fiducia in te, fratello telo, che fermi sul nostro capo il vento di gelo e di morte che fuori infuria”.

Il mese di Febbraio è gelido come i precedenti, le camicie nere modenesi lo trascorrono sotto i bombardamenti dei nemici e a rintuzzare gli attacchi che abbastanza di frequente sono portati loro.

Molti battaglioni sono in prima linea da oltre tre mesi e in condizioni veramente difficili, il freddo, l’acqua, il gelo, la neve. Molti legionari si ammalano, congelamenti, febbri ed anche dissenteria provocano vuoti nei ranghi per lunghi periodi ed alcuni purtroppo morirono come le CC.NN. Giuseppe Reggiani, Erasmo Baraldi e Fulvio Veroni.

Le azioni delle pattuglie della 72° Legione Farini sono frequenti alle varie quote del Monte Kosica dove sono dislocate e precisamente a q. 1033, q. 1214, q. 1333  dove era situata la Madonnina del Kosica e a q. 1434. I piccoli villaggi dei dintorni sono tenuti sotto controllo per evitare che vi s’installino reparti dell’esercito greco, pertanto, in vari punti si creano posti avanzati per il controllo e la difesa degli sbocchi verso valle che non devono cadere in mano nemica. Di tanto in tanto si davano il cambio con i legionari sistemati nel paesino di Dunica a quota 900 metri. L’operare delle pattuglie, specialmente per quelle impegnate di notte, è un compito snervante e difficilissimo per la tensione di improvvise imboscate o di scontri diretti con il nemico.

Nelle giornate del 12 e 13 Febbraio avvennero numerosi attacchi dei greci alle postazioni dei modenesi e le nostre linee sono sconvolte da un furioso fuoco di artiglieria e mortai, in quegli attacchi e bombardamenti trovano la morte le CC.NN. del 72° Battaglione, Ivo Gasparini, Tonino Vecchi, Cesare Dondi e Zoello Gilli  e molti furono i feriti.: vennero particolarmente colpite quota 1033 e 1333. La reazione dell’artiglieria italiana non si fece aspettare e le postazioni greche  vennero tenute per alcune ore sotto un fuoco incessante. La battaglia era divampata, in un primo tempo i greci riuscirono a penetrare nelle linee italiane a quota 1333 ma da qui vennero ricacciati indietro dal fuoco delle mitragliatrici delle camicie nere.

Poi le posizioni si consolidano e le trincee delle camicie nere sono ad una distanza, da quelle greche, di circa 150 metri mentre le postazioni avanzate delle vedette, sono a non più di 70 metri. La vita in quelle condizioni è difficile ma i legionari devono “tenere” il fronte, sorvegliare i movimenti dei vicini, sopportare i principi di congelamento, controllare costantemente le armi affinché l’olio non geli nei congegni, restare vigili sotto i rabbiosi bombardamenti, poi dopo i lunghi turni di guardia entrare nella tana seminterrata per dare un morso alla pagnotta, bere un sorso di caffè freddo, dormire vestiti con le scarpe ai piedi.

In una relazione al Comandante il Settore Occidentale di Dunica, il Console Petti comandante della 72° Legione Farini, faceva presente la situazione difficile, dopo tre mesi di permanenza al fronte durante un inverno particolarmente gelido, dei suoi reparti che,  tra morti (13), feriti (51) e ammalati (84) si trovava ad essere particolarmente decimato e pertanto chiedeva un periodo di riposo.

Durante i primi giorni di Marzo avvengono numerosi scontri di pattuglie e scambi ripetuti delle artiglierie mentre i legionari attendono il cambio. Vogliamo sottolineare un aspetto particolare della presenza dei modenesi in terra d’Albania che è quella della presenza di tante famiglie quali ad esempio i tre fratelli Dario, Alberto e Remo Stefani nella stessa compagnia di CC.NN e il quarto fratello in un altro reparto in Albania: altro esempio quello dei quattro fratelli Rivaroli, l’ing. Bruno con i legionari sul Kosica ed i fratelli, Oberdan, Antonino e PierDomenico in altri reparti, ma sempre in Albania

Pochi giorni prima di andare al meritato riposo, i legionari modenesi subiscono un improvviso attacco, e dopo un furioso fuoco di artiglieria da una postazione greca a q. 1461, partono rabbiose raffiche di mitragliatrice che prendono d’infilata, in fondo ad un breve sentiero scoperto, un gruppo di legionari che stavano per avvicinarsi ad una piccola fonte di scarsa acqua torbida. Una quindicina di questi, al settantesimo giorno di permanenza in linea sul fronte, rimangono a terra colpiti. Tre di loro perdono la vita: i CapiSquadra Guido Ramini e Arnaldo Pastorelli e la Camicia Nera Gino Vezzali.

Il 16 Marzo, è l’ultimo giorno in linea e i greci per quasi tutto il giorno tengono sotto il fuoco delle loro batterie i legionari modenesi e la Camicia Nera Vittorio Goldoni paga l’ultimo tributo al caposaldo sul Monte Kosica ; così aveva scritto in una lettera alla famiglia trovatagli in tasca “ ..abbiamo già avuto il cambio, stanotte lasciamo la linea e quando questa vi arriverà saremo a riposo molto lontani dal pericolo.”

Arriva così il momento del sospirato riposo e i legionari modenesi vengono sostituiti dalle CC.NN di Parma e di Forlì, e vanno a Qukes nel vicino Lago di Okrida.

Ai primi giorni di Aprile, dopo un breve periodo di riposo e dopo che i reparti sono stati rinforzati dai complementi appena giunti dall’Italia a seguito delle perdite sul Kosica, la 72° Legione si rimette in marcia, sulla base di un ordine improvviso, per raggiungere nuovamente la prima linea. Si vanno a disporre sulla linea che va dal Kosica al Lago Okrida, la compagnia mitraglieri della 72°, comandata dal Centurione Ermanno Tusini, che da poco tempo è arrivato in Albania, si dispone nel settore tra il Kungullit e il Breshenikut e il battaglione “Viva la morte” raggiunge il Kalase: così i due reparti modenesi, che in quei giorni ricevettero la visita del Console Calzolari e di Roberto Farinacei, furono schierati uno fianco all’altro.

In quei giorni, dopo continui duelli di artiglieria su tutto il fronte i greci compiono un tentativo di sfondamento nel settore del Kungullit dove è schierato il reparto “mitraglieri”. La lotta è furiosa varie compagnie rimangono isolate e numerosi sono i corpo a corpo. Il 1° plotone, comandato dal C.M. Renzo Gemma, il 2° plotone al comando del C.M. Mauro Gatti, il 3° plotone comandato dal Cm: Branco Piacentini e il plotone comandato dal C.M. Aldo Giovannardi, vengono a trovarsi al centro dell’attacco nemico. Un formidabile bombardamento nemico, preparatorio all’assalto, sconvolge le nostre linee. Molte mitragliatrici furono messe fuori uso dal violentissimo fuoco dei greci e molti legionari tra morti e feriti gravi vennero messi fuori combattimento. Alcune compagnie furono completamente distrutte. Con un numero preponderante di uomini il nemico attacca furiosamente e alcuni gruppi di CC.NN. già completamente accerchiate riuscirono ad aprirsi un varco, usando pugnali e bombe a mano, attraverso le fanterie nemiche riuscendo a raggiungere una posizione leggermente arretrata tenuta dall’ultimo plotone “mitraglieri” ancora efficiente. Poi verso sera, con l’aiuto dell’intervento del CXI° battaglione di Pesaro fu sferrato il contrattacco che riuscì a rigettare indietro le fanterie nemiche che lasciarono sul terreno molti caduti.  I Legionari modenesi in linea erano circa 150. Dopo i furiosi combattimenti si contarono 8 morti sessantre feriti e 16 dispersi. Dei cinque Ufficiali della Compagnia: 1 morto 3 feriti e 1 disperso.

Numerosissimi furono gli atti di valore, tanto che la compagnia ebbe una medaglia d’oro assegnata al giovanissimo “balilla” Arturo Galluppi, tre d’argento, sette di bronzo oltre a numerose croci di guerra al valore. Caddero in quella furiosa battaglia oltre alla giovane camicia nera Arturo Galluppi, le CC.NN: Irmo Righi, Donato Toni, Ettore Lusetti, Mario Lanzotti, Remo Vandelli, Giovanni Cadignani, Ettore Vezzani e il Capo Manipolo, Mauro Gatti.

Il reparto schierato sul Kalase era stato sistemato su di una specie di altipiano argilloso, sconvolto dalle bombe e con attorno boschi di castagni, tutti colpiti e frantumati dall’artiglieria. In quei giorni entra in guerra anche la Iugoslavia e i reparti modenesi vengono a trovarsi in una zona delicatissima, esattamente al confine con la Grecia e la stessa Iugoslavia. Come è avvenuto sul vicino Kongullit anche sul Kalase, dopo un fortissimo fuoco di artiglieria, si accende furioso il combattimento e tantissimi furono gli scontri ravvicinati con i greci: numerosi feriti e i seguenti caduti modenesi rimasero sul terreno: il Capo Squadra Vezzani Nello, e le CC. NN. Givera Mario, Zanni Mario e RiccardoZanella.

Il giorno 13 Aprile, giorno di Pasqua, dopo logoranti combattimenti, termina in sostanza la battaglia su quelle montagne impervie. E’ il contrattacco italiano, con la collaborazione dei reparti tedeschi; su tutto il fronte, l’inseguimento ai greci è frenetico, si riconquistano tutte le posizioni di confine e sono fatti moltissimi prigionieri. Sulle alture di Borova i legionari trovano un forte sistema difensivo e il giorno 19 Aprile al pomeriggio scatta l’attacco per debellare quella forte resistenza: oltre ad alcuni feriti restano per sempre sul terreno alcuni modenesi: il Centurione Felice Sarzano  il Capo Manipolo Umberto Bonacini e le CC. NN. Ottavio Righetti e Contardo Bolelli.

Qui ha termine il succinto racconto dei legionari modenesi che si sacrificarono sull’Ara del Monte Kosica chiamato da loro: “ l’Alcazar della morte bianca” in quei lontani mesi dell’anno 1941.

 

Bruno Zucchini

 



Caduto Camicia Nera Vezzelli Nello


Il Gagliardetto del Reggimento “Viva la morte”


 

 

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