Modena vista da destra |
Il "biennio rosso" | 26 Settembre 1921 - | Marcia su Roma - 28 Ottobre 1922 | Modenesi alla Marcia su Roma | 1923 - Inizio dell'Era Fascista |
1941 - Albania il Monte Kosica |
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Il primo dopoguerra a Modena e il “biennio
rosso” Al termine della prima guerra mondiale (conclusasi
il 4 Novembre 1918) l’Italia e la Provincia di Modena in
particolare, si vengono a trovare in una situazione che definire
precaria ci pare eufemistico. 630.00 morti di cui oltre 6.000 modenesi
e oltre un milione di feriti sono
il bilancio di quel tremendo conflitto. Oltre ad un debito per spese
belliche di 65 miliardi di lire-oro. L’economia modenese era a
rotoli, migliaia e migliaia di disoccupati, gli ex combattenti
umiliati e avviliti, il rincaro dei prezzi che era arrivato sino a
valori del 625%, chiusura massiccia di laboratori, botteghe
artigianali e piccole industrie avevano creato nell’opinione
pubblica uno stato di frustrazione e di incertezza per il futuro che,
nonostante la guerra vinta, non prometteva nulla di buono. Oltre a
tutto questo vi fù la pesantissima epidemia di influenza chiamata
“spagnola” che provocò numerosissime vittime. La gioia della vittoria fu
un'ebbrezza forte e fugace L'Italia era divisa in due settori: uno
fiducioso, l'altro scettico. Quello fiducioso comprendeva soprattutto
la gioventù e, quindi, l'enorme maggioranza del Paese. Il terribile
sforzo della guerra aveva costretto anche l'Italia alla mobilitazione
totale di tutte le sue risorse, materiali e morali.. Si era compresa
la necessità dell'ottimismo la necessità di mantenere segrete le
notizie deprimenti, di dare di tutti gli avvenimenti e le
interpretazioni più favorevoli. Nacque così la nozione di
"disfattismo". Era fatale, quindi, che la
cessazione delle ostilità significasse un crollo delle speranze dei
combattenti. Il gruppo
degli scettici, che era composto soprattutto dai neutralisti del 1915,
rimaneva convinto che la guerra era stata un gigantesco delitto, di
cui l'Italia avrebbe pagato le terribili conseguenze. Essa si
proponeva di compiere ogni sforzo per liquidare la mentalità di
guerra e cercare di tornare all'equilibrio di prima. Vi era stata in Italia,
contrariamente agli altri paesi belligeranti una continua opposizione
alla guerra, con particolari attacchi da parte dei socialisti e dei
cattolici; taluni socialisti avevano rivendicato “l’onore” di
essere stati complici, della disfatta di Caporetto. Concluso il conflitto quelle
forze si organizzarono ancora contro lo Stato ed iniziarono una feroce
campagna di odio contro quanti avevano voluto la guerra e contro i
suoi valori: si diceva che bisognava “disonorarla. Anche i cattolici
erano contro, si riunirono in partito e presero i maggiori
responsabili di questo tra i clericali favorevoli all’Austria, in
Trentino e parte di quel clero siciliano da sempre antiunitario. Il
partito socialista spingeva il proletariato verso la rivoluzione,
verso la conquista violenta del potere politico economico, sulla
falsariga della rivoluzione russa, potere che doveva essere affidato
interamente ai Consigli degli operai e dei contadini, così come fu
affermato al Congresso socialista di Bologna del 1919. Gli scioperi si succedevano in
continuazione, in quell’anno se ne contarono 1871, con conflitti
sanguinosi con la forza pubblica: furono uccisi 145 scioperanti e 444
feriti, con enormi perdite per la vita economica della nazione uscita
prostata dalla guerra. Sommosse con saccheggi e rapine di innumerevoli
negozi, con l’uccisione dei negozianti che cercavano di difenderli. Anche nelle nostre contrade
imperversava quella violenza attraverso boicottaggi, invasioni, fatti
crudeli che cercavano di indirizzare le masse verso il comunismo, così
com’era duramente colpita l’autorità dello stato dai ferrovieri
che rifiutavano il trasporto di merci e di militari, insomma “tutto
il potere ai lavoratori”. Ma i socialisti erano troppo
divisi, tra quelli che accusavano i massimalisti come predicatori di
una rivoluzione impossibile e questi che accusavano i riformisti di
annullare il marxismo e il socialismo dentro al pentolone borghese;
non potevano vincere. Vi erano già larghi strati
proletari che cercavano di uscire da quella dimensione attraverso la
costituzione della loro proprietà; contadini diventati proprietari
del podere, già prima coltivato per altri e operai delle varie
industrie, meccaniche, tessili, calzaturiere che riuscivano a mettersi
in proprio creando piccole officine, creando quella forma di
artigianato che li toglieva, attraverso una responsabilizzazione
diretta, dalle dipendenze del padrone. Il governo della vittoria,
presieduto da Vittorio Emanuele”Orlando, commise un errore decisivo.
La Camera, eletta nel 1913, alla cessazione delle ostilità aveva già
compiuto da qualche mese il suo quinquennio di vita. Bisognava indire
immediatamente le elezioni, come Francia e Inghilterra fecero,
approfittando dell'entusiasmo della vittoria e quindi raccogliendone i
frutti. Fu invece sotto il controllo
di una Camera che era sempre quella del 1913, diffidente e
segretamente ostile, che Vittorio Emanuele Orlando partì per Parigi.
Così, mentre il Parlamento fu la forza dei francesi e degli inglesi,
fu la debolezza della nostra delegazione. La violenta, amarissima
delusione fu, ad un tempo, sociale e nazionale. I reduci, ritornati a
casa, videro che tutti i posti di lavoro erano occupati da coloro che
essi, in trincea, erano stati invitati a disprezzare come
"imboscati". Niente era stato preparato per assicurare il
pacifico ed ordinato passaggio dallo stato di guerra allo stato di
pace. D'altra parte, le industrie che fabbricavano materiali di guerra
chiudevano rapidamente i battenti. Venne, quindi, formandosi, fin dai
primi mesi del dopoguerra, un'enorme massa di disoccupati, che non
apparteneva solo allo strato inferiore della piramide sociale, ma
anche al ceto medio. Le lauree erano state concesse
con grande prodigalità: c'era, dunque, una pletora di giovani
laureati, ex ufficiali di complemento, che non avevano quasi nessuna
possibilità di stabile sistemazione. D'altra parte, la classe
dirigente politica, che era sempre dominata dalla maggioranza
parlamentare del 1913, non aveva la minima attitudine ad affrontare e
risolvere i colossali problemi che si presentarono. Una delle principali
conseguenze della guerra era stato il colossale impulso che aveva
avuto il marxismo: impulso che si era risolto in una profonda
trasformazione. La massa dei reduci, appena abbandonato il
grigioverde, non trovando nello Stato l'immediata ed efficace
protezione alla quale aveva diritto, si rivolse, com'era naturale, ai
movimenti sindacali. Questi, diretti da esperti e benemeriti
socialisti, assunsero rapidamente proporzioni gigantesche. Sennonché,
il socialismo italiano non era già più quello del Bissolati del
1901, né quello del Modigliani e del Treves del 1914, né quello del
Turati patriota del 1917. La rivoluzione russa dell'ottobre 1917 aveva
intimamente sconvolto il socialismo di tutti i Paesi. Il partito socialista, in Italia, era maturo, alla vigilia
della guerra, per la direzione del potere. L'opinione pubblica
attendeva con simpatia che alla definitiva caduta di Giolitti, per
morte o per vecchiaia, gli sarebbe successo un Turati o un Treves. Lo
svolgimento di questo concreto progresso politico fu interrotto non
tanto dalla guerra, quanto dalla rivoluzione russa e dal trionfo della
frazione bolscevica del partito socialdemocratico. Il bolscevismo
aveva adottato metodi che erano totalmente in contrasto con tutte le
tradizioni dei partiti socialisti e socialdemocratici; questi, in
tutti i Paesi, rimanevano fedeli al metodo democratico e in questa
maniera trovavano la base di collaborazione e di convivenza con i
partiti democratici borghesi. I bolscevichi, invece. propugnavano
l'azione diretta, l'azione rivoluzionaria, l'instaurazione della
dittatura del loro partito, organizzato su uno schema autoritario e
militaresco. Finita la guerra, il
bolscevismo russo, che voleva creare a sé uno sbocco nell'Europa
occidentale e quindi anche in Italia, favorì con danaro e con ogni
mezzo il sovversivismo nostrano che, sfruttando le tristi condizioni
economiche del periodo del dopoguerra, tentava in qualche modo di
impadronirsi dello Stato. "Basteranno due
o tre disfatte militari, alcune insurrezioni contadine simultanee in
due tre province e un insurrezione aperta nelle città, in tempo di
pace, perché il governo rimanga completamente isolato e abbandonato
da tutti. Mille rivoluzionari decisi a tutto, e la rivoluzione è
fatta"(P.N. Tkacev, Socineija, II, p. 277). II partito maggioritario a Modena, in quegli anni,
era il Partito Socialista Italiano con le sue due anime, riformista e
rivoluzionaria. Gli esponenti più in vista erano Gregorio Agnini,
Alfredo Bertesi di Carpi, l’avvocato Cesare Marverti, il Segretario
della CGIL Enrico Ferrari, l’avvocato Pio Donati sempre nell’area
di sinistra esistevano altri piccoli partiti quali i socialisti
libertari, gli anarchici, i radicali. Erano i partiti della classe operaia, degli
anticlericali e delle
classi più deboli in generale: all’inizio del 1919 venne costituito
il Partito Popolare Italiano PPI, i cattolici, che si erano
fondamentalmente astenuti dalle lotte di inizio secolo, entrano nella
lotta politica. A Modena i maggiori esponenti di questa formazione
politica erano: l’avvocato Francesco Luigi Ferrari, il professor
Claudio Nava, l’avvocato Alessandro Coppi, l’avvocato Giuseppe
Casoli, il professor Giovanni Rizzati e altri, nella maggioranza
appartenenti alla classe borghese e dominante: anche i cattolici
presentavano al loro interno due anime, i progressisti e i
conservatori. Al centro dunque i cattolici, a destra i liberali che
non avevano, almeno a Modena un partito ben definito ed erano raccolti
in associazioni, clubs, circoli di vario tipo, ma che si unirono in
vista delle elezioni in una lista chiamata “Unione di
Rinnovamento”. I maggiori rappresentanti di questo raggruppamento
erano a Modena: l’avvocato Ottorino Nava, il Sindaco Giuseppe
Gambigliani Zoccoli, il giornalista–scrittore Giovanni Borelli, il
capitano Mario Pellegrini, medaglia d’oro della prima guerra
mondiale. Sempre nell’area di destra si trovava l’Associazione
Combattenti guidata dall’avvocato Vittorio Arangio Ruiz. Nel Marzo 1919, il giorno 23, a Milano Benito
Mussolini fonda i Fasci
di Combattimento che in brevissimo tempo passeranno, da un piccolo
gruppo a grossa formazione politica. A proposito della situazione in
Italia così scriveva lo storico Attilio Tamaro: “in quel momento la fiumana rossa ingrossava, la
vita nazionale sembrava doversi spartire tra le camere del lavoro e le
sagrestie e il valore della vittoria perdersi nelle bestemmie degli
uni o nell’ipocrisia degli altri, Mussolini pensò di fondare un
organizzazione che si opponesse a tanto sconquasso. Era colmo di
energia esplosiva, credeva nel suo destino e pensava sé stesso
nell’avvenire.. Nel gennaio 1919 appoggio (dato che si trovava
ancora su di una linea socialista) l’agitazione dei metallurgici,
nel febbraio dei fonditori, nel marzo lo sciopero agrario novarese. Si
precipitò a Dal mine per inneggiare, con un discorso diventato
celebre, agli operai di una fabbrica ,che, guidati da sindacalisti,
l’avevano occupata e vi avevano alzato il tricolore.
Precedentemente a Modena, nel mese di Gennaio del
1919, si era costituita l’”Associazione dei Combattenti” in Via
Mondatora in un primo tempo e successivamente in Via Francesco Selmi,
guidata dall’Avv. Vittorio Arangio Ruiz, da Francesco Bianchi, Mario
Cabrini, da Gino Montipò, eroe della Marina Militare, da Manfredo
Manfredini, oltre che da Vico Guandalini, Giorgio Levi e Virginio
Bucci. Questa associazione si trasforma nell’”Associazione
Nazionalista delle Camicie Azzurre”; confluirà successivamente
nelle file del nascente fascismo Fu costituito poi, il 7 Maggio, in Via Rua Muro il
“Fascio Futurista Marinettiano”, al quale aderirono molti giovani,
studenti, pittori, e giornalisti modenesi quali i pittori Mario
Vellani Marchi e Augusto Zoboli; organizzano serate culturali e
goliardiche recitando le poesie del poeta e scrittore F.T. Martinetti. Si creò sempre nel mese di Giugno di quell’anno,
fondato dall’ex Sottotenente degli Alpini, Ermanno Masinelli, il
“Fascio di Combattimento”, ne facevano parte anche, Duilio
Sinigaglia, Fausto Vandelli e certo A. D’Alessandro. Il 27 Maggio il sottotenente degli arditi Cesare
Cerati nella sala San Vincenzo di Corso Canalgrande (dove ora ha
sede il Tribunale) tiene il primo comizio fascista alla presenza di ex
combattenti e studenti, in sala erano presenti anche alcuni socialisti
che intonarono l’inno dei lavoratori scatenando un putiferio tale
che dovette intervenire la forza pubblica e il comizio fù sciolto.
Dopo pochi giorni Gabriele D’Annunzio partì per l’impresa
Fiumana, alla quale si aggregarono alcune decine di giovani modenesi. Il 20 e 21 Luglio di quell’anno fu proclamato lo
sciopero generale che, in sostanza, dà l’avvio a quello che fu
definito, “il biennio rosso”. Il 15 Novembre si svolsero le prime elezioni
politiche del dopoguerra che diedero a Modena i seguenti risultati:
Partito Socialista Italiano 36.976 voti, Partito Popolare Italiano
10.939 voti, Liberali 6.844 voti, Fascio d’Avanguardia 5.426 voti,
Combattenti 1383 voti. Furono eletti deputati quattro socialisti e un
popolare. Agnini, Donati, E. Ferrari e Chiossi per i socialisti e G.
Casoli per il PPI. 1920 anno di violenze Si è parlato tanto di violenza fascista e sempre
in termini di accusa al fascismo. Tuttavia la violenza di quegli anni
non nasce dai fascisti. Finita la guerra furono i socialisti, gli
anarchici, ed anche i repubblicani ad usare la violenza fisica contro
gli avversari. Assalivano i reduci di guerra, distruggevano vetrine e
picchiavano cittadini inermi mettendo bombe assassine, scioperando
selvaggiamente oltraggiando la forza pubblica. La violenza nasce
“rossa” e così è rimasta, durante tutto il biennio che gli
storici hanno definito “rosso”, in pratica dal 1919 al 1921. Il
modello era la rivoluzione russa che sarebbe dovuta sfociare nel
sistema dei “soviet”, (non si dimentichi che già in quegli anni
gli emissari dei Soviet sovietici, distribuivano in Europa e in
particolare in Italia, somme considerevoli per la propaganda e lo
sviluppo dei programmi e delle idee bolsceviche). A questa violenza sovversiva, durissima e
sanguinosa, prima individualmente, poi in forma di squadre
organizzate, si opposero cittadini di ogni condizione sociale. Cosi in tutta Italia ed ovviamente anche in una
Provincia, come quella modenese, dove la presenza dell’apparato
socialista e poi comunista, era ben radicato. In quel 1920 gli scioperi e le dimostrazioni erano
all’ordine del giorno e la conflittualità tra popolari e socialisti
era costante, comizi interrotti, oratori aggrediti e lotte in
continuazione. A Mortizzuolo di Mirandola ci fù il tentativo di
accoltellamento di un giovane cattolico; a Polinago un altro cattolico
fu pugnalato mentre usciva dalla chiesa; idem a Montese con
rivoltellate ad un popolare. Gravi incidenti avvennero a Modena, in Piazza
Grande, durante uno sciopero generale proclamato dalla Camera del
lavoro, in seguito ai gravi incidenti avvenuti a San Matteo di Decima
di Persicelo, dove si dovettero contare otto morti. Il 7 Aprile gli
scioperanti riuniti in Piazza furono presi a fucilate dalle guardie
regie che cercavano di sequestrare la bandiera della Lega proletaria.
Si contarono 5 morti( Evaristo Rastelli, Antonio Amici venditore
ambulante, Linda Levoni, l’agricoltore Ferdinando Gatti e Stella
Zanetti.) altre 15 persone rimasero gravemente ferite.
A seguito dell’eccidio vi furono manifestazioni in tutta la
Provincia e lo sciopero generale andò avanti per quattro giorni. Nel mese di Maggio, socialisti e anarchici mettono
a segno un clamoroso furto al 2° Campale: sono trafugate sei
mitragliatrici e molte munizioni. L’episodio suscitò molto
scalpore, ma dopo circa un mese queste armi furono scoperte a San
Prospero, in riva al fiume Secchia. In seguito furono arrestati una
trentina tra socialisti e anarchici e tre soldati presunti complici.
In seguito s’ipotizzò che il furto delle mitragliatrici non fosse
stata una vera impresa bensì una trappola, messa in atto dai
carabinieri per catturare i “sovversivi” in blocco. Nel frattempo a Modena si costituisce un’altra
associazione chiamata: “Ordine e Libertà”, tra i fondatori
troviamo: l’on. Antonio Vicini, l’on. Vittorio Cottafavi, l’avv.
Giovanni Matteotti, il prof. Giovanni Guicciardi, l’ing. Eugenio
Guastalla, l’ing. Giuseppe Baccarani, il prof. Guido Bianchi,
l’avv. Francesco Aggazzotti, il dott. Luigi Vaccari, l’avv. Guido
Dallari, l’ing. Emilio Giorni, il dott. Guido Corni, il prof. Mario
Serafini, il rag. Bruno Zanetti, il geom. Alberto Reggiani, il rag.
Aldo Benassi, il geom. Alberto Setti e l’ing. Adolfo Vecchi. Molti
di questi aderiranno in seguito al nascente Partito Fascista. I cattolici reagivano, in modo particolare sull’appennino
dove a Lama Mocogno, a Polinago, a Montecreto, furono bastonati
propagandisti socialisti; gravi incidenti avvennero ad Ospitale di
Fanano dove rimasero uccisi, in seguito agli incidenti tra popolari e
socialisti, dai colpi dei carabinieri, due socialisti, oltre a
numerosi feriti e molti arresti furono effettuati dalle forze
dell’ordine. Il 31 Ottobre ci furono le elezioni amministrative:
videro la conquista di quasi tutti i Comuni della bassa, da parte dei
socialisti e ai popolari andarono quasi tutti i Comuni
dell’Appennino; Sindaco di Modena diventò il socialista Rag.
Ferruccio Teglio. Il movimento fascista non si era ancora organizzato
e partecipava alla vita politica locale in modo disorganizzato e
sporadico. Ma la situazione era, nella nostra Provincia come nel resto
dell’Italia, a dir poco drammatica e così, anche nel modenese, il
desiderio di ritornare ad una situazione di tranquillità fece sì che
tante componenti della società civile si riunirono per cercare di
mettere un freno alla sovversione rossa. Nel frattempo, numerosi modenesi si aggregano alle
forze che il poeta Gabriele D’Annunzio aveva raccolto attorno a sé,
per quella che fu chiamata la spedizione fiumana. Dopo la conferenza
di Versailles, che non aveva restituito all’Italia i suoi confini e
città italianissime come Fiume, si accesero fervori nazionalistici
che il poeta seppe coagulare attorno a sé decidendo di marciare ed
occupare, il 12 Settembre 1919, la città istriana, ma dopo un lungo
travaglio e i fatti di sangue del giorno di Natale, i legionari furono
estromessi da Fiume il 31 Dicembre 1920. E’ certo che,
dall’avventura fiumana, nacque in seguito l’idea, in Mussolini,
della Marcia su Roma. Il 16 Novembre in casa Cuoghi in Via Sant’Agata a
Modena, venne eletto il Direttorio del Fascio di Combattimento
modenese che risultò
cosi composto: Renato Bussadori, impiegato della Manifattura
Tabacchi; Ing. Antonio Rizzi industriale; Enzo Roncati,
maestro elementare; Mario Aminta Ughi studente di Legge; Fausto
Vandelli, assicuratore; Alberto Vellani, ex Ufficiale degli
Arditi; Carlo Zuccoli agricoltore e possidente; Mario
Vellani Marchi pittore; segretario venne nominato Enzo Ponzi,
laureando in Legge ex Ufficiale degli Arditi e giornalista della
“Gazzetta dell’Emilia”. Tra i promotori troviamo inoltre, i
fratelli Carlo e Augusto Vandelli, l’avv. Carlo Zanni, gli artisti
Edgardo Rota e Augusto Zoboli, l’avv. Fausto Bianchi, e tra i primi
aderenti: gli avvocati, Giovanni Bergonzoli e Carlo Capello, oltre a
Guido Gaudenzi Carlo Giacominelli, Antonio Monelli, Marco Arturo
Vicini, il Colonnello Ciro Bonacini, il dott Antonio Mazzotto, gli
ingegneri, Ubaldo Magiera e Antonio Rizzi, gli studenti: Emilio
Bucciardi, Umberto Monari, Gino Mori, Carlo Alberto Perroux, Virginio
Prandi, Carlo Ramazzini, Corrado Vicini, il rag. Alberto Poggi, i
fratelli Aggazzotti, gli operai, Bovolenta e Federici, oltre a:
Ascanio Boni, Giuseppe e Walter Boni, Renzo Brugnoli, Cosimo Paolo
Baccarani, Paolo Casati, Eugenio Villani, Francesco Corfini, Guido
Crostini, Florestino Dallari, Adolfo Gaddi, Vincenzo Gandolfi,
Virginio Dal Re, Ettore Giovannini, Armando Giuliani, Giuseppe
Gregari, Igino Gazzotti, Ezio e Ugo Guandalini, Vittorio Risotti,
Vasco Jann, Pilade Lugli, Aldo Lusvardi, Marzio e Romeo Marchi, Ugo
Mariani, Luigi Gino Menabue, Walter Omiccioli, Italo Puviani, Enzo
Roncati, Francesco Rossi, Ubaldo ed Ermanno Sacerdoti, Claudio
Sandonnino, Umberto Traldi e Ermanno Tusini. Cosi nei giorni successivi si costituivano altri
Fasci locali come quello di Carpi, costituito in casa Pellicciari,
dove era nominato Segretario Bruno Melloni, coadiuvato dal
capitano degli arditi, Guglielmo Nobis, oltre che, da: Virgilio
Lancellotti, Giacomo Fuzzi e Alfredo Pellicciari. Aderirono al primo
fascio carpigiano: Nando Bellini, Ugo Calzi, Arrigo e Roberto Casarini,
Eriberto Ferrari, l’ing. Mario Cabassi, Leopoldo Ferrari, l’avv.
Tommaso Benassi, Gian Battista Focherini, Roberto Guidetti, Sergio
Urbini, Andrea Vellani, Augusto Mazelli, Nunzio e Zola Bulgarelli,
Renzo Galli, Francesco Martini, Arrigo Tirelli, Alcide Losi, Federico
Bassoli, Vico D’Incerti, Vitige Lancellotti, Mario Cortesi e Alberto
Benassi. A Sassuolo il primo Fascio fu guidato da Rodolfo
Maffei e tra gli uomini più in vista troviamo: Luigi Cantelli, Arturo
Bortoletti, Antonio Aldini, Arnaldo Bertoli, Dario Casalotti, Giuseppe
Cassani, Lello e Arturo Mori, Mario Salietti, Angelo e Guido Veroni,
Adelmo Cervi e Lanfranco Bertini. A Mirandola, il primo Fascio fu guidato da Enrico
Tabacchi, a Spilamberto, da Edoardo Graziosi, a Finale Emilia, da
Antonio Malaguti e così via via nascono, le sezioni del Fascio, in
tutti i Comuni modenesi. Pochi giorni dopo a Bologna avvennero i tragici fatti di Palazzo d’Accursio, con nove morti e molti feriti. A Modena e a Carpi, così come in tutta Italia, si svolsero imponenti manifestazioni di protesta, in città sfilarono centinaia di fascisti e a Carpi fu presa d’assalto la Camera del lavoro. 1921 - Ancora Violenze La lotta politica continua ad essere segnata da
continue intemperanze e violenze a non finire. Cattolici contro
Socialisti, questi contro i Fascisti in un caos indescrivibile.
Bastonature, accoltellamenti, devastazione reciproca di sedi di
partito, si era scatenata una serie di reazioni a catena che
l’autorità costituita non riusciva a frenare, anzi in moltissime
circostanze le guardie regie contribuirono, con reazioni a dir poco
sconsiderate sparando sui manifestanti, a creare un clima di
intolleranza e di reazione. A Modena, nel mese di Gennaio fu ucciso un
socialista a Campogalliano e la sera del 21, in località Gallo allora
alla periferia di Modena, fu ucciso a colpi di pistola il fascista, ex
legionario fiumano, Mario Ruini di 19 anni. Mario Ruini era
assieme al fratello e allo studente Stradi, e mentre rincasavano
furono aggrediti in un agguato. Tre sono i responsabili
dell’attentato e fanno parte del gruppo libertario di Via S. Agata;
sono tre giovani di venti anni: Renzo Cavani, Luigi Evangelisti e Aldo
Gilioli. Nella sparatoria, Renzo Cavani colpisce il Ruini, che cade
ferito al suolo e qui è finito, con due colpi alla nuca, da Luigi
Evangelisti. Così racconta il muratore anarchico Aldo
Caselgrandi: “Non feci in tempo a vedere quel che successe. Era
appena cominciata la sparatoriandei miei compagni anarchici e
socialistie i fascisti stavano rispondendo. Io ero accanto
all’edicola della Rosina, quando ad un tratto alcuni fascisti mi
balzarono addosso e mi bastonarono perché avevo in tasca il giornale
anarchico Umanità Nova.” (cfr. sito www.libera-unidea) Tre
giorni dopo, ai suoi funerali, mentre si svolgevano sulla Via Emilia,
all’altezza del Palazzo delle Poste, gruppi di comunisti si
avvicinarono al corteo e iniziarono a sparare colpendo a morte
l’impiegato fascista di Bologna, di ventuno anni Augusto
Baccolini e l’operaio metallurgico Orlando Antonini di
diciannove anni, facendo inoltre una decina di feriti, tra i quali uno
dei capi del fascismo bolognese, Leandro Arpinati. In seguito a questi fatti venne data alle fiamme la
Camera del lavoro e fu proclamato lo sciopero generale. I fascisti
bolognesi che ritornavano nella loro città, particolarmente esaperati
per i fatti al funerale di Ruini, furono presi a fucilate, la loro
reazione li porta all’assalto della Camera del lavoro bolognese, che
sarà devastato. Il 5 Marzo, fu costituita la sezione modenese del
Fascio femminile di Combattimento, che ebbe dall’inizio
centocinquanta iscritte, il Direttorio era così costituito: signora
Maria Ruini, signorine, Teresa Casati, Rosa Guicciardi, Maria Teresa
Vicini e Mara Capitani che era la Segretaria. Il 17 Marzo fu ferito, in un attentato fuori porta
Saragozza, lo studente fascista Antonio Gozzi, per opera di un gruppo
d’anarchici. Mentre in
Aprile si svolge a Bologna il primo congresso dei Fasci Emiliani, al
quale parteciparono i modenesi: Enzo Ponzi, Carlo Zuccoli, Marco
Antonio Vicini, Fausto Bianchi, Renato Bussadori, Mario Vellani
Marchi, il dott. Ugo Righi e il Capitano di Vascello Raffaele Paolucci
(affondatore della Viribus Unitis) che, pur non provenendo da Modena,
era il Presidente Onorario del Fascio della nostra città. In quello stesso mese d’Aprile esce il primo
numero de “La Valanga”, organo del Fascio modenese, che fu diretto
da Pilade Lugli. In questi giorni in un agguato furono aggrediti e
“bastonati” due fascisti: Alfredo Aimi ed Evaristo Crostini. Al
fascismo modenese si aggregano, via via, tanti personaggi di varia
estrazione sociale, da gente del popolo ad uomini come il radicale
avv. Nino Modena, che richiede la tessera con una lettera,
“nobile”. A Maggio, a Monteombraro di Zocca, è ucciso il
popolare Igino Bellentani Alle
elezioni politiche, che si tennero il 15 Maggio, precedute in tutta
Italia da violenze che provocarono la morte di una ventina di fascisti
e gli incendi di un centinaio di Camere del lavoro, si presentarono,
ottenendo un clamoroso successo anche i fascisti che riuscirono a
portare in parlamento 37 deputati, tra i quali i modenesi, Marco
Arturo Vicini e Virgilio Lancellotti. La lista del “Blocco Nazionale” per le
Provincie di Modena, Reggio, Parma e Piacenza, comprendeva i seguenti
nomi: comm. Lino Carrara, ing. Alberto Celli, dott. Ottavio Corgini,
avv. Vittorio Cottafavi, prof. Icilio Bocca, avv. Tommaso Benassi,
ing. Giuseppe Baccarani, prof. Giovanni Pallastrelli, prof. Giovanni
Ranieri, Virgilio Lancellotti, avv. Nino Modena, Carlo Cesare
Montecchi, avv. Francesco Pallastrelli, avv. Vincenzo Paltinieri avv.
Pietro Petrazzani, avv. Camillo Piatti, avv. Cesare Sarfatti,
(fratello della nota scrittrice Margherita, amica di Benito Mussolini)
avv. Michele Terzaghi e avv. Marco Arturo Vicini. Tre erano i fascisti modenesi, Cottafavi, Modena e
Vicini, due di Carpi, Lancellotti e Benassi, due di Reggio, Montecchi
e Corgini, due di Piacenza, Terzaghi e Sarfatti, due di Parma, Bocca e
Celli; gli altri erano liberali tra i quali il modenese, Giuseppe
Baccarani. Nella nostra Provincia si ebbero i seguenti
risultati: Blocco Nazionale, che comprendeva, fascisti, nazionalisti,
liberali e radicali 28.378 voti: Partito Socialista Italiano 27.028
voti: Partito Popolare
Italiano 17.600 voti. Passato questo momento ripresero ancora le lotte;
l’8 Agosto a Stuffione di Ravarino fu pugnalato a morte il fascista Eliseo
Zucchi, e a Mirandola, il 17 Agosto fu ucciso il popolare Agostino
Baraldini. La violenza nel modenese e in tutta Italia assumeva
sempre più le caratteristiche di una sanguinosa guerra civile. Tra i
tanti efferati delitti politi, commessi in quei giorni, ci basta
citare quello commesso a Pistoia, dove, un rivenditore di un giornale
fascista fu trascinato in un circolo comunista e qui fu squartato dopo
che gli era stata immersa la testa in acqua bollente. (cfr. Tamaro) Le squadre che si affrontavano in quella lotta
atroce erano formate da: “gli arditi del popolo” che erano i
sovversivi feroci ed armati, c’erano poi le “camicie azzurre”
dei nazionalisti, le “camicie kaki” delle ridotte squadre
liberali, alcune squadre repubblicane molto combattive, quali le
“avanguardie di azione repubblicana” in Romagna e anche le
“avanguardie dei popolari in alcune zone. Ovviamente i fascisti si
presentavano in camicia nera. Scontri e
violenze avvenivano ovunque in Italia, ma l’episodio che suscitò
enorme scalpore fu l’eccidio di Sarzana, in Provincia di La Spezia,
il 21 Luglio. Una colonna di fascisti voleva entrare in quella
cittadina per manifestare e cercare la liberazione di alcuni camerati,
tra i quali Renato Ricci poi fondatore e capo dell’Opera Nazionale
Balilla (ONB), arrestati e incarcerati dalle guardie regie. I
carabinieri avevano l’ordine di impedire l’azione. Vennero
allertati anche i gruppi socialisti e comunisti che si prepararono per
un agguato. Partì un colpo, non è stato ben chiarito per colpa di
chi, e vi fu una sparatoria, le guardie regie spararono a bruciapelo, diciotto
morirono subito, quasi tutti giovanissimi; molti furono i feriti e
molti di coloro che, scappando attraverso i campi, caddero in mano ai
cosiddetti "Arditi del popolo", formazioni
socialcomuniste formatesi da poco, furono massacrati a colpi di
forcone e roncola, impiccati, squartati, evirati, torturati, smembrati
e decapitati, portando il numero delle vittime ad oltre la quarantina. I superstiti,
barricati nella Stazione, furono infine caricati su un treno, insieme
ai dieci prigionieri, e rispediti a casa. Un’ultima vittima, fu un
ragazzo che, affacciatosi ad un finestrino per fare il Saluto Romano,
fu ucciso da una rivoltellata. La pubblicistica antifascista modenese, negli anni
del secondo dopoguerra, in tutte le pubblicazioni, a senso unico,
dedicate al ventennio fascista in quel di Modena, ha cercato di far
apparire quel movimento, quasi praticamente composto di uomini della
borghesia agraria o di quelli della classe dominante. E questo è
vero, ma in minima parte; vi si trovavano sì uomini delle categorie
più agiate, così come li trovavi nelle file dei socialisti o dei
popolari, ma la maggioranza degli appartenenti al fascismo della
“prima ora” provenivano quasi esclusivamente dal mondo operaio e
impiegatizio oltre che, logicamente, dagli ex combattenti. Tuttavia che dire dei personaggi che militavano e
dirigevano i partiti che cercavano di opporsi al nascente fascismo,
forse appartenevano alla classe operaia uomini come l’on. Gregorio
Agnini, l’avv. Pio Donati, il Sindaco Ferruccio Teglio, l’avv.
Confucio Basaglia, l’avv. Cesare Marverti, il senatore e
imprenditore Guido Mazzoli, gli avvocati Luigi Colli di Cavezzo e
Nicola Cilla di Mirandola per i socialisti, oppure i rappresentanti
del Partito Popolare quali, l’avv. Giuseppe Casoli, il conte Claudio
Boschetti, il marchese Camillo Molza, il prof. Claudio Nava, l’avv.
Alessandro Coppi o il prof. Giovanni Rizzatti, tanto per citarne
alcuni? Ma a parte questo piccolo spunto polemico è bene
sottolineare che i modenesi, cosi come gli altri italiani, seguirono
il nuovo astro della politica nazionale in funzione della forza
propulsiva delle nuove idee che Mussolini portava avanti, idee che
cercavano di superare i logori concetti di un socialismo stagnante che
non sapeva uscire da una visione, già superata della lotta di classe,
oltre a certo clericalismo ancora legato allo strapotere di una chiesa
anch’essa ferma al 1800. Non vi è stato in Italia nessun movimento
politico che abbia saputo esprimere, più intimamente le aspirazioni
di un popolo, riuscendo a coinvolgere e conciliare il sogno socialista
con l’amor di Patria, oltre a unire, per una visione di Nazione
quell’Italia proletaria ed aristocratica ad un tempo, che si era
scoperta popolo e Nazione, suo malgrado, solamente allora e non prima,
nelle trincee del Piave. Quegli uomini nati nelle trincee, stoicamente
avevano sopportato ogni pericolo. Erano giunti all’estremo limite,
alle spalle avevano lasciato tutto: i politicanti da strapazzo, gli
scrivani, i ruffiani, i pescecani, gli affaristi piccoli piccoli, gli
invidiosi e in quella dimensione avevano appreso la saggezza, la
serenità e l’incorruttibilità. Nel momento in cui la vittoria mutilata e la
pugnalata alle spalle delle nazioni uscite vittoriose da
quell’immane conflitto assieme all’Italia, li condizionò e quando
tornarono e trovarono una plebaglia vile e idiota o furono sviliti,
nella loro dignità da autorità civili e militari arroganti e
vigliacche nello stesso tempo, scoprirono ovunque ignobili
speculazioni, ingiustizia sociale e tutte le più abbiette forme
dell’animo umano. A fronte di tanto sfacelo, questi combattenti non
riuscirono a starsene fermi a subire senza reazione gli sputi e gli
insulti della plebaglia rossa. Trovarono pertanto un capo ed un’idea
che permise loro di uscire allo scoperto e che diede loro la
possibilità di marciare incontro a nuovi destini per ritrovare la
loro condizione d’uomini veri e la loro rispettabilità. Nacquero cosi i fascisti. Il 3 Agosto, a Roma, si firma il Patto di
pacificazione tra Fascisti e socialisti. Da entrambe le parti questo
tentativo di mettere un freno alla violenza, non fu ben accettato.
Difatti a Novembre questo fu denunziato ufficialmente. La denuncia la
fece lo stesso Mussolini al Congresso di Roma, poiché, nei due mesi
in cui fu in vigore, furono uccisi poco meno di sessanta fascisti e
centinaia furono i feriti, in agguati e attentati da parte degli
“arditi del popolo”. |
Manifesto Fascista 1920 - Occupazione fabbriche Congresso Fascista Manifesto Uccisione a Firenze del Fascista Giovanni Berta Manifesto fascista
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26 Settembre 1921 - Eccidio di Modena
I fatti del 26 Settembre a Modena Descriviamo i fatti del 26 Settembre con il
resoconto di G.A. Chiurco in: “Storia della Rivoluzione
Fascista”. 26 Settembre – Le autorità governative di
Modena, in odio al Fascismo, davano ordini polizieschi categorici, che
irritarono i fascisti, tanto da indurli a tenere una riunione nella
quale fù votato un ordine del giorno di protesta contro il Governo.
Circa un migliaio di fascisti dopo la seduta inquadrati militarmente
sfilarono per la Via Emilia. Trovano la strada sbarrata dalle guardie
regieagli ordini del Commissario Cammeo, ben noto per la sua condotta
antifascista e vigliacca. L’on. Vicini afferma alle guardie che i
fascisti domandano soltanto che una Commissione possa consegnare
l’ordine del giorno alla Prefettura.
Gli squadristi attendono intanto ordinati e calmi ed al ritorno
della commissione imboccano nuovamente la Via Emilia. Altro plotone di
guardie regie che sbarra il passo presso il caffè Nazionale. Il
corteo si ferma e l’on. Vicini si accinge a parlare ai fascisti per
calmarli e dar loro l’ordine di sciogliersi. Accanto all’On.
Vicini si pone il gagliardetto del Fascio.. I due commissari che si
trovano accanto al gagliardetto non si vollero levare il cappello. Un
fascista toglie la paglietta al commissario facendola cadere a terra
ed il commissario estrae la rivoltella facendo fuoco a bruciapelo
sulla folla uccidendo il fascista Carpigiani Umberto del Fascio di
Modena. E ferendo gravemente al torace l’On. Vicini, che cade
gridando “viva l’Italia”. Un urlo di indignazione si alzò dalla
folla mentre una scarica partiva dai moschetti imbracciati dalle
guardie regie. Così cadevano a terra altri morti….La commissione di
inchiesta provò che la forza pubblica aprì il fuoco senza alcun
preavviso e senza alcuna necessità. Il 29 Settembre si svolsero i funerali dei caduti
con una grandiosa partecipazione di folla. Ventimila persone e
cinquecento gagliardetti s’inchinarono al cospetto delle bare.
Benito Mussolini tenne in Piazza S. Agostino l’orazione funebre che
così concludeva: “….Salvete, morti dilettissimi. Noi non vi
dimenticheremo. I Vostri nomi rimarranno scolpiti nel nostro cuore
profondo. Finchè un solo fascista vi sarà in Italia, egli trarrà da
Voi l’esempio e l’auspicio. Verrà giorno in cui il nostro
esercito invitto e invincibile strapperà la definitiva vittoria.
Allora, o fratelli di Modena, o fratelli caduti in altre città, un
fremito improvviso farà sussultare i vostri resti immortali.
Converremo allora alle vostre tombe di precursori e di avanguardie, a
sciogliere il voto della riconoscenza e della fede. In nome dei
cinquecentomila fascisti d’Italia vi porgo l’estremo addio”. I Caduti furono Bosi
Ezio, era il Segretario politico del Fascio di San Cesario s.P.. Aveva
combattuto della grande guerra ed aveva ventidue anni. Faceva parte
del Consiglio Provinciale dei sindacati economici. Carpigiani
Umberto, era iscritto al Partito Fascista di Modena: non aveva ancora compiuto i
diciotto anni. Gallini
Gioacchino, Ex Tenente degli alpini era Segretario politico del
Fascio di Mirandola: Fù tra i primi assertori del Fascismo nelle zone
della bassa. Aveva ventiquattro anni. Garuti
Tullio, era uno studente di venti anni iscritto al Fascio modenese. Morì alcuni
giorni dopo i fatti del 26 Settembre. Micheli
Giovanni, Ufficiale di
Artiglieria era iscritto al Fascio di San Cesario sul Panaro. Era un
fascista attivo ed appassionato e dedicò tutta la sua vita alla
famiglia ed alla Patria. Sanley
Aurelio, era il Segretario politico del Fascio di Vignola, aveva venti anni e
apparteneva ad una nota famiglia vignolese.Notevole era il suo
ascendente tra i fascisti della zona. Sinigaglia
Duilio Aveva ventisei anni e apparteneva al Fascio modenese e era comandante
delle squadre d'azione. Ex Tenente degli Arditi ed ex legionario
fiumano. Zulato Attilio Apparteneva
al Fascio di Modena, studente, era un ragazzo buono e dedicava al
partito tutte le ore libere dallo studio. Morì con sulle labbra le
parole" Italia e mamma" La sera del 11 Novembre, tradizionale festa di San
Martino un gruppo di giovanissimi ragazzi, Renzo Rubbiani, Gino
Tabaroni, Mario Lasagni e Silvio Lasagni tutti appartenenti al gruppo
d’avanguardia del Fascio modenese, se ne stanno seduti al ristorante
Terrazza, appena fuori Porta Saragozza, là dove oggi inizia Via Buon
Pastore; si scontrano con due anarchici già noti per risse ed
aggressioni, Renzo Cavani e Guido Bucciarelli; i ragazzi s’insultano
e si mettono a correre lungo la strada, per eventualmente darsele di
santa ragione, ma il Cavani si arresta, estrae la pistola e a sangue
freddo uccide il giovanissimo Gino Tabaroni, di appena
diciassette anni. Il Cavani sparò anche agli altri, ferendo
Mario Lasagni. I due rossi, fuggirono e subito espatriarono, arrivando
a Monaco di Baviera per poi ripare in Russia. Così racconta l’anarchico Renzo Cavani: “….Gino
Tabaroni è un nome che non scorderò più. Anche perché via Buon
Pastore si chiamò durante il fascismo via Gino Tabaroni, e i miei
abitavano proprio lì e quando scrivevo a mia madre dall’estero
scrivevo, Modena via Gino Tabaroni…..Non sono pentito di questi
fatti. Noi avevamo quell’idea e loro erano i nostri peggiori nemici.
E poi i fascisti avevano già cominciato ad uccidere per conto loro.
Noi non potevamo stare con le mani in mano a vedere, come facevano
invece i socialisti” (cfr. sito libera-unidea). Per
tutto il periodo del ventennio, la strada che vide quest’efferato
assassinio, fu dedicata al martire fascista, ma fu poi epurata dalla
toponomastica modenese, nel secondo dopoguerra. Nel mese di Novembre di quel 1921, con la
costituzione del Partito Nazionale Fascista PNF, viene avviata anche
l’attività parlamentare dei 37 deputati eletti a Maggio e, con un
grande discorso, chiamato “dalla mano tesa”, Mussolini proclama
una vera proposta di pace rivolgendosi sia ai popolari sia ai
socialisti invitandoli a “disarmare”, per mettere la parola fine
alla guerra civile. Si augurava, dunque, un disarmo reciproco, e come
disse ”anche un disarmo degli spiriti, dato che la Nazione correva
un serio pericolo di precipitare in un abisso”.
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Marcia su Roma - 28 Ottobre 1922
1922 - Ancora tensioni - 28 Ottobre Marcia su Roma Pure il 1922 inizia con tensione e incidenti un
po’ ovunque. Il Fascismo modenese, che in breve tempo si era
fortemente consolidato, comincia a rintuzzare colpo su colpo a tutte le
intemperanze; in tutta la Provincia
si andavano costituendo le sezioni di Partito, in modo
particolare si era affermato nel carpigiano tanto che l”Avanti” del
31 Marzo 1922 scriveva che “Carpi è, come si sa la roccaforte del del
fascismo modenese, anzi la sua fama ha oltrepassato da gran tempo i
confini della Provincia ed è diventata nazionale.” I Fascisti
carpigiani furono definiti dal giornale socialista “superfascisti”. La lotta politica tra i partiti e nei partiti era
particolarmente accesa, Popolari contro Socialisti, lotte interne nei
due schieramenti principali, tanto che a Livorno, al Congresso del
Partito Socialista, avvenne la scissione che portò la corrente
massimalista a fondare il Partito Comunista Italiano. La tensione politica raggiunge livelli altissimi, a
Modena come in tutta Italia. Nei primi giorni del mese di Gennaio del
1922, avvengono moltissimi scontri e imboscate da parte degli anarchici
e dei comunisti. A Villanova di Là, sono feriti in agguati comunisti, i
fascisti: Guido Tavoni, Giovanni Benfatti e Guido Ferrari, mentre a
Nonantola, il diciottenne Ascanio Boni sfugge miracolosamente ad un
attentato. Il giorno 15, due anarchici feriscono gravemente in un
agguato in un’osteria di Porta Saragozza, luogo diventato abituale per
tanti scontri tra rossi e neri, il fascista Guido Albinelli. A Febbraio,
bastonatura di socialisti, tra i quali i Deputati Donati e Agnini, da
parte dei fascisti. Si verifica poi un gesto vandalico sulla tomba del
martire Duilio Sinigaglia che viene lordata e sfregiata.. Vengono, in
seguito, sparati colpi di pistola ai fascisti, Bruno Fava e Silvio
Gandolfi e a quattro carabinieri. Il
18 Febbraio durante una festa a Migliarina di Carpi, è ucciso, a colpi
di rivoltella, dal comunista Pio Rossi, il fascista carpigiano, Eugenio
Paltrinieri. Il giorno 23 si svolgono i solenni funerali di questo
caduto, con i discorsi dei maggiorenti del Partito, gli onorevoli Vicini
e Lancellotti e di Salesio Schiavi. Il 4 Marzo è ucciso a fucilate, a San Martino
Secchia, Pio Zanfrognini, negoziante di bestiame a Mirandola, uno
dei primi aderenti al fascio mirandolese. L’operaio fascista, Giuseppe
Salvatori, subisce in questi giorni un primo attentato da parte dei
“rossi”, che gli porteranno nel corso dell’anno altri quattro
agguati, sempre sventati. Spesso avvengono sparatorie e risse in tante
osterie di Modena e Provincia; a San Felice s. Panaro, durante uno di
questi scontri resta ucciso il giovane socialista di 24 anni, Benvenuto
Pignatti. Dopo una serie di tafferugli con feriti vari e ammaccati dal
bastone, che a quei tempi si usava con molta facilità, nei giorni
attorno al 1° Maggio, scoppia improvvisamente la “rivoluzione di
Bologna”. Un Ufficiale della Marina Militare, tale Cavedoni,
è ucciso in un attentato, dove rimangono feriti altri due fascisti,
dalle “guardie rosse”. La Federazione fascista bolognese convoca i
segretari dei fasci delle quattro Provincie di, Modena, Ravenna, Ferrara
e Bologna, per coordinare un’azione comune nel capoluogo emiliano. Vi
è pertanto una mobilitazione generale dei fascisti di queste Provincie
che giungono a Bologna in diecimila. E’ una mobilitazione generale e
tra questi vi sono duemila modenesi; di cui cinquecento di Modena città,
trecento di Carpi e i restanti di tutta la Provincia. Fortunatamente si arrivò ad un accordo tra il
comandante fascista della Legione Emiliana, il ferrarese Italo Balbo e
il Generale di Corpo d’Armata, Sani, per la tregua. Il 2 Giugno, dopo
quattro giorni di altissima tensione e di presenza dei fascisti nel
capoluogo emiliano, Mussolini ordina lo sgombero e il rientro a casa di
tutti i fascisti. In Agosto avviene la caduta del Governo Facta e la
proclamazione dello sciopero generale di quattro giorni, che fallirà
nel modenese come in tutta Italia. Unica eccezione la città di Parma, che “resisterà”
per alcuni giorni, e dove accadde una vera e propria battaglia tra
fascisti e social-comunisti. Lo sciopero aveva attecchito solamente in
città, mentre in provincia fu un fiasco completo. Fu posto un
“ultimatum” per la ripresa del lavoro dopo 48 ore, ma i rossi si
asserragliarono nei sobborghi, costruendo trincee e barricate sotto lo
sguardo dei carabinieri e delle guardie regie, che assistevano
impassibili agli avvenimenti poiché avevano avuto tali ordini dalle
autorità prefettizie. Vi furono attentati terroristici e una lunga
serie d’attacchi ai fascisti. Scaduto l’ultimatum inizia il
concentramento delle forze fasciste provenienti dalle città vicine.
Modenesi e carpigiani accorrono a Parma in buon numero, assieme agli
altri provenienti dalle città vicine, occupano militarmente la stazione
ferroviaria e quella tranviaria, ovunque avvengono conflitti, si
lanciano bombe, i “rossi” fecero incursioni anche verso il centro e
assalti al Fascio. Inizia la battaglia dell’”Oltretorrente” con
molti morti e feriti. Oltre ai modenesi, sono migliaia le camicie nere
che arrivano a Parma da, Cremona, Ferrara, Mantova, Bologna e Piacenza.
In uno di questi scontri, resta ucciso il giovane fascista carpigiano, Edoardo
Amadei il quale, prima di morire, gridò: “Se avessi due vite le
darei entrambe per la Patria”. A fronte del succedersi dei gravi conflitti,
l’autorità militare si decise ad assumere il servizio di ordine
pubblico, mettendo fine agli scontri. I fascisti si smobilitarono.
Malgrado la tenace resistenza di Parma, lo sciopero generale fu un
clamoroso “flop”. L’organo socialista “La Giustizia” cosi si
espresse tre giorni dopo: “Bisogna avere il coraggio di
confessarlo: lo sciopero generale proclamato ed ordinato dall’Alleanza
del lavoro è stata la nostra Caporetto. Usciamo da questa prova
clamorosamente battuti….” (cfr. Tamaro pag. 224 Vol. 1) Il socialismo, con la chiamata dei lavoratori a
difesa della “legalità d’istituzioni decadenti e un’oligarchia
“borghese” screditata, anzitutto violò i suoi programmi
fondamentali, e poi non si rese conto del peso, della penetrazione,
dell’audacia del fascismo, né della disgregazione, né
dell’inconsistenza delle correnti democratiche e liberali. (cfr.
Zibordi, in “ Antologia della critica sociale”). In
Provincia di Modena, a San Venanzio di Maranello, la sera del 20 Agosto,
è commesso un duplice omicidio, da parte dei fascisti sassolesi nei
confronti di due simpatizzanti socialisti: il bracciante Adelmo
Benvenuti e il calzolaio Giovanni Romani. Precedentemente, nel mese di Giugno di quell’anno
terribile, fascisti carpigiani, uccidono un giovane dell’Azione
Cattolica a Quartirolo di Carpi: si trattava del giovanissimo Agostino
Zanfi. Per quest’atroce delitto la Direzione Provinciale fascista
nomina una commissione d’inchiesta, con la presenza di Attilio Teruzzi
e Italo Balbo, è inoltre sospeso il Direttorio fascista carpigiano e
dodici fascisti sono messi agli arresti, solamente uno, certo Alvaro Po,
che si assume la responsabilità del fatto, sarà condannato. Nel mese di Settembre si tenne a Modena il secondo
Congresso Provinciale Fascista. Il nuovo Direttorio era così composto:
avv. Augusto Ascari, Avv. Carlo Zanni, Assirto Tosatti, dott. Matteo Di
Noia, Giovacchino Cavicchioli, dott. Salesio Schiavi, dott. Temistocle
Testa, dott. Italo Puviani, Pietro Simonelli, ing. Marino Mancini,
Angelo Ferrari e, Segretario politico, avv. Vittorio Arangio Ruiz. Il 26 Settembre sono commemorati, in una grandiosa
manifestazione di popolo, gli otto caduti fascisti del 1921 con la
presenza di moltissimi esponenti del Fascismo Nazionale, quali, Italo
Balbo, Starace, Farinacci, Grandi, Arpinati e i deputati emiliani, Marco
Arturo Vicini, Virgilio Lancellotti, Ottavio Corgini e Michele Terzaghi. Pestaggi,
scontri, uccisioni, scioperi, occupazioni anche di città, come accade
nelle vicine, Ferrara e Ravenna, furono il preludio della Rivoluzione
Fascista che si concretò, da rilevare senza spargimento di sangue, il
28 Ottobre con la Marcia su Roma. Così come in tutta Italia, si sta preparando anche
a Modena l’insurrezione dei fascisti che precede la Marcia su Roma.
La prima grande adunata, mentre il Governo non avveva ancora il
minimo sentore che tutto era pronto per l’insurrezione, si tiene a
Napoli il 24 Ottobre. I fascisti furono accolti con grande entusiasmo
dal popolo napoletano che gridava “A Roma, a Roma”, mentre al Teatro
San Carlo, Mussolini teneva la sua orazione seguita dal breve discorso
in Piazza Plebiscito dopo la grande sfilata delle camicie nere, e qui
dichiarava, senza mezzi termini e
in tutta chiarezza: “O il Governo ci darà il potere o lo prenderemo
noi calando a Roma !” Chi erano dunque questi fascisti che, da Modena e
da tutte le città italiane calarono a Roma, pronti ad ogni evenienza,
anche allo scontro, che poi non avvenne, malgrado che il consiglio dei
Ministri avesse deliberato la proclamazione dello stato d’assedio, che
fortunatamente il re non volle avvalorare? Come definirli? Era gente pragmatica, non nel senso
ignobile che il termine ha assunto oggi, si possono definire reazionari,
interventisti e rivoluzionari. Reazionari perché reagirono alle
ingiustizie dell’immediato dopoguerra, interventisti perché seguirono
lo spirito che li aveva portati nel crogiulo della Grande Guerra,
rivoluzionari perché presero l’iniziativa di sconvolgere una
situazione oramai deteriorata, che una classe borghese dominante, ma
pavida e inetta, non era riuscita a capire, con l’emergere prepotente
delle masse e con il recupero dei forti valori del recente passato. I fascisti furono e di destra e di sinistra, senza
essere né di destra né di sinistra. Erano entusiasti e vincenti nel
travolgere le inique barriere sociali, nel ritrovare i valori della
Patria, nella ricerca di una pacificazione degli animi dopo anni di
violenze, sopraffazioni e di scontri crudeli. Mussolini, che aveva
seguito gli avvenimenti da Milano, fu chiamato a Roma dal Re, Vittorio
Emanuele terzo che gli conferì l’incarico di formare il nuovo
Governo. Mussolini lo costituì, malgrado molti fascisti lo
osteggiassero e non fossero entusiasti, con la presenza di molti uomini
provenienti da partiti che avevano contrastato il fascismo e in pratica,
due popolari, due demosociali e tre liberali oltre, ovviamente a tre
fascisti. Il 31 Ottobre prestò giuramento. Obiettivamente la Marcia su
Roma non fu una vera e propria rivoluzione, malgrado si parlasse durante
tutto il ventennio e anche dopo di marcia rivoluzionaria, epica e
leggendaria. In realtà non vi fu nulla di epico se non: “Una
manovra politica calcolata con straordinaria intuizione dal suo
promotore”. Senza la Marcia indubbiamente il fascismo non sarebbe
arrivato al potere, ma fu ugualmente un movimento d’importanza storica
eccezionale che ebbe il merito di dimostrare, a tutto il paese, a quale
sacrificio fosse disposta la gioventù italiana per far arridere la
vittoria ai propri ideali. Se Mussolini ha avuto in quei giorni la
sensazione o la certezza, che non ci sarebbe stato spargimento di
sangue, questo non era a conoscenza delle centinaia di migliaia di
camicie nere mobilitate che non potevano sapere quale accoglienza
sarebbe stata fatta loro dalla forza pubblica, se andava in porto lo
stato d’assedio, ed eventualmente dai comunisti o dai socialisti. Questa gioventù, come i duemila modenesi che
andarono a Roma e gli oltre cinquemila che rimasero a presidiare la città
della Ghirlandina, era pronta a tutto, ma fortunatamente, quando a Roma
sembrava dovesse entrare la guerra, in realtà vi entrò la pace e la
mobilitazione di quelle centinaia di migliaia di uomini rientrò in
poche ore. Si aprì così, un’era diversa; non vi è alcun
dubbio che il periodo fascista si distinse profondamente da quello che
lo aveva preceduto. E’ altresì lampante che esso soppresse il
liberalismo e la democrazia sino allora imperante, Mussolini stesso
mentre celebrava la “Rivoluzione” durante il ventennio, negò a
chiare lettere che l’insurrezione del 28 Ottobre sboccasse in una
rivoluzione: nel 1944, in “Storia di un anno” scrisse
testualmente: “Premesso che una rivoluzione si ha quando si
cambia con la forza non solo il sistema di governo ma la forma
istituzionale dello Stato, bisogna riconoscere che da questo punto di
vista il Fascismo non fece, nell’ottobre del 1922, una rivoluzione,
c’era una Monarchia prima e una monarchia rimase dopo.”
In realtà non
furono violate leggi costituzionali dato che il Governo Facta era
dimissionario e che il Re nominava e revocava i suoi Ministri e questo
lo diceva lo Statuto del Regno. Certo è che: “Alla testa del Governo veniva
messo un uomo del carattere , dell’ambizione e della volontà di
Mussolini, tutto diverso dagli altri uomini politici
e dalla cui irrequieta e vulcanica mente potevano uscire
imprevedibili novità. Saliva al potere per la prima volta un giovane
popolano, che veniva dagli strati molto vicini alla plebe.” (Cfr.
Tamaro). Certamente ai fascisti più intransigenti, che
collaboravano e avevano seguito anche nelle battaglie più dure
Mussolini, non fu gradita quella posizione “borghese”, e non si
capacitavano che si fosse fatta una “rivoluzione” semplicemente per
la sola conquista di qualche Ministero o per qualche miglioramento
all’amministrazione pubblica. Mussolini però, nella sua replica, affermava che
l’Italia avrebbe avuto bisogno di un lungo periodo di pace, anche se
avrebbe potuto fare come in Russia, dove la “rivoluzione
sovietica” aveva distrutto la macchina dello Stato ma, disse: “Se sappiamo raggiungere la concordia, fra dieci
anni l’Italia sarà irriconoscibile, avrà cambiato faccia, perché
ricca, tranquilla, prospera, possente e sarà una delle poche nazioni
che potranno domani guidare la civiltà mondiale”. (cfr. D. Susmel in “Mussolini e il suo tempo”
pag. 134) I
Fascisti raggiunsero la capitale con ogni mezzo possibile e tra le
migliaia e migliaia di questi uomini in camicia nera oltre 2.000 erano
modenesi. Modena fu la città d’Italia che portò, percentualmente, il
maggior numero di fascisti a Roma. Mentre a Roma si stava realizzando la conquista del
potere da parte di Benito Mussolini, a Modena, nell’attesa dello
svilupparsi degli eventi, cinquemila camice nere, presidiarono i
maggiori edifici pubblici e si smobilitarono tre giorni dopo, mentre il
giorno 29, in Piazza Roma in un tripudio incredibile, migliaia di
persone applaudirono i discorsi del Generale Freri e del Segretario
della Federazione Provinciale Fascista, Avv. Vittorio Arangio Ruiz. La
Ghirladina fu illuminata a festa cosi come molte case furono
imbandierate con il tricolore e con luminarie. Intanto come detto, Mussolini aveva costituito il
suo primo Governo e il 16 Novembre pronunciò in Parlamento il suo primo
discorso da Capo del Governo: è un discorso rimasto famoso per le sue
forti dichiarazioni; così si pronunciò: “… Mi sono rifiutato di stravincere e potevo
stravincere. Mi sono posto dei limiti….con 300mila giovani armati e
decisi a tutto e quasi misticamente pronti a un mio ordine, io potevo
castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato d’infangare il
fascismo. Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di
manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo
esclusivamente di fascisti, Potevo: ma non ho, almeno in questo primo
tempo, voluto.” Malgrado questo violento discorso non vi furono
particolari reazioni, se non un semplice ed isolato grido di un deputato
socialista, Modigliani, che urlò: “Evviva il Parlamento”. Ha inizio così l’avventura al potere del
fascismo e del suo Capo indiscusso, Benito Mussolini.
Le elezioni amministrative si svolgono a Modena, il
26 Novembre al primo turno e al 3 Dicembre al secondo turno: si
astengono i gruppi dei socialisti e dei popolari e si presentano solo le
liste dei fascisti, nazionalisti e liberali uniti. A
Modena si presentano: Fermo Benatti, Luigi Ferrari, Renato Bussadori,
Umberto Caselgrandi, Orazio Bolognesi, dott. Amedeo Bianconi, avv.
Fausto Bianchi, prof. Guido Bianchi, Italo Bicchieri, dott. Guido Corni,
Roberto Ferrari, ing. Giulio Abbati Marescotti, avv. Vittorio Arangio
Ruiz, Aldo Benassati, avv. Giuseppe Fontana, Emilio Miani, dott.
Giuseppe Manicardi, ing. Umberto Magiera, prof. Italo Maffei, Federico
Formiggini, avv. Gino Friedman, dott. Igino Gazzotti, avv. Ernesto
Giordano, ing. Emilio Giorgi, Erminio Goldoni, Camillo Gregori, Oliviero
Lazzarini, dott. Tommaso Lolli, Emilio Miani, avv. Nino Modena, Luigi
Montagnani, Daniele Pisi, Oreste Prandini, Alberto Poggi, ing. Antonio
Rizzi, Luigi Reggianini, Alfredo Rovatti, dott. Arturo Silingardi, prof.
Giuseppe Sperino, Camillo Tettoni, Giuseppe Venturelli, Fausto Vandelli,
avv. Marco Arturo Vicini, Alfonso Vignocchi, Domenico Zaia, Enrico
Zanasi, ing. Silvio Zanasi, avv. Carlo Zanni, dott. Ferruccio Zibordi,
dott. Carlo Zuccoli. Fu eletto Sindaco Fausto Bianchi. Assessori:
Modena, Montagnani, Rizzi, Maffei, Bicchieri, Manicardi, Fontana, Luigi
Ferrari, Poggi, Vandelli, Vignocchi. A Carpi fu eletto Sindaco Salesio Schiavi e
assessori, Clodo Feltri, dott. Giuseppe Bertolazzi, Luigi Giglioli,
Giuseppe Govi e Mario Formigoni. A Sassuolo diventa Sindaco l’avv.
Aristide Ferioli e assessori: Enrico Roteglia, Silvio Galeozzi, ing.
Adriano Fiori, Vincenzo Zanni, Adelmo Cervi e Luigi Cantarelli. Riportiamo l’elenco dei cittadini di Modena e
Provincia che presero parte alla Marcia su Roma. L’elenco è desunto
da “Storia della Rivoluzione Fascista” di G.A. Chiurco.
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1923 - Inizio dell'Era Fascista
Il
Monte Kosica – Ara di gloria dei Legionari Modenesi Sicuramente
non sono molti i modenesi che conoscono l’origine della
denominazione di uno dei più noti Viali della città: viale Monte
Kosica. Nell’immediato dopoguerra e negli anni successivi in tutta
Italia e a Modena in particolare, avvenne l’epurazione di tutta la
toponomastica stradale che faceva riferimento a personaggi e a luoghi
del periodo fascista. Furono pure eliminate sculture, edifici immagini
in una furia iconoclasta che a Modena ebbe il suo vertice nella totale
demolizione di uno degli edifici più belli del puro stile novecento,
il palazzo dell’ex GIL. A
fronte di questo comportamento, resta incomprensibile come sia rimasta
integra la targa di “Viale Monte Kosica - Ara di gloria dei
legionari modenesi” come ancora oggi troviamo scritto. In queste
pagine vogliamo ricordare, in modo succinto il sacrificio di quelle
centinaia di Camicie Nere modenesi che si coprirono di gloria sul
confine greco-albanese. Erano
trascorsi pochi mesi dall’entrata in guerra dell’Italia quando il
28 Ottobre 1940, mentre a Firenze Mussolini riceve Hitler e gli
comunica improvvisamente quella che doveva essere una grande notizia,
l’invasione italiana della Grecia, inizia una delle più discusse
campagne di guerra che rimarrà memorabile nella storia italiana per
l’inefficienza, pressappochismo, impreparazione e miopia strategica
dello Stato maggior italiano. L’illusione di una guerra lampo si
esaurì in pochi giorni. Due Corpi d’Armata che dovevano entrare
velocemente in Grecia dall’Albania in breve si impantanarono
letteralmente. La famosa frase di Mussolini “spezzeremo le reni alla
Grecia” si rivelò quantomeno inopportuna poiché immediatamente,
dopo il nostro attacco, i greci riuscirono a bloccare l’iniziativa
italiana e a contrattaccare e costringendo le nostre truppe a
bloccarsi sul fronte greco albanese, in un durissimo inverno. Su
questo terreno ostile e impervio i nostri soldati, malgrado le
amarezze e lo scadente supporto di mezzi e di materiali, oltre alle
risse tra gli alti Comandi, scrissero pagine d’eccezionale valore in
quei tremendi mesi dell’inverno 1940-1941. La
composizione del Corpo dell’Esercito comprendeva due Corpi
d’Armata il XXV e il XXVI forte di 12 Reggimenti di Fanteria , un
Reggimento di Granatieri, uno di Bersaglieri, due Reggimenti Alpini,
due Reggimenti di carri armati, cinque Battaglioni di Camicie Nere,
tre battaglioni di Carabinieri, quaranta gruppi di artiglieria e
cinque compagnie del Genio, per un totale di 105 mila uomini, 163
carri armati e 680 cannoni. Tra
i battaglioni di Camicie Nere era presente anche un Battaglione di
Modena che faceva parte della 72° Legione Farini ed era composto da
18 Ufficiali, 32 sottufficiali e 460 CC.NN. Assieme al battaglione
modenese era aggregato il CXI battaglione
CC.NN. di Pesaro. Il
1° Seniore Antonio Petti comandava il battaglione dei nostri
concittadini che nel suo gagliardetto, ricamato e consegnato ai
legionari dalle donne fasciste modenesi, portava la scritta “Viva la
morte”. Il
giorno 7 Dicembre 1940, “i Falchi”, così era chiamato il
Battaglione delle Camicie Nere, si
imbarcano da Bari sulla motonave “Giuseppe Verdi” e il
giorno successivo sbarcano nel porto di Durazzo in Albania. Andranno a
schierarsi sul fronte Est albanese tra il Monte Kosica e il Lago
Okrida giungendo, attraverso mulattiere piene di fango e dopo sforzi
sovrumani, sulla linea del fronte nelle vicinanze di Dunica. In questa
zona rimarranno per alcuni mesi, in una durissima guerra di posizione. Il
periodo prenatalizio e sino ai primi giorni di Gennaio è dedicato
alle ricognizioni tattiche, alla sistemazione delle tende e degli
accantonamenti alle varie quote in Val Dunica dove avverrà il
“battesimo del fuoco” dei legionari modenesi. A metà Gennaio si
aggiungono ai reparti già schierati altre cÿÿÿÿieÿÿere, in
particolare iÿÿlotoni di salmerÿÿÿÿÿÿ i fidati muli che si riveleranno
i migliori mezzi di trasporto su quelle impervie montagne. Assieme a
loro è presente il C.M. Nino Saverio Basaglia, giornalista,
sindacalista e scrittore. Dal
suo diario abbiamo appreso le tante notizie dei fatti e degli uomini
modenesi che hanno affrontato quel periodo di guerra eroica e
drammatica. Molti
uomini si dovettero improvvisare mulattieri, uomini del plotone
comando che erano partiti con diversi compiti si resero disponibili a
svolgere il servizio pesante e gravoso di accudire i muli e con loro
fare miracoli per compiere il trasporto dalla base alle linee.
Vogliamo citare alcuni modenesi che si dedicarono a quelle operazioni:
i due operai della Manifattura Tabacchi di Modena, Rinaldi Amos e
Sighinolfi Ivo, il tramviere Frateschi Giuseppe di Modena,
l’impiegato Mazzuccato Luigi, il meccanico Pistoni Agostino,
l’edile Capellini Terzo, il metallurgico Forti Alberto tutti di
Modena. Mano
a mano che i vari reparti della 72° Legione Farini vanno a
posizionarsi sulle quote a loro destinate, hanno la possibilità di
valutare e di giudicare la vita di quelle popolazioni e fare
valutazioni come quelle del giornalista citato che visitando la
cittadina di Kavaja scrive”……Osservo qundi le condizioni
miserabili in cui l’urbanistica di re Zog ha lasciato un centro così
popolato. Bimbi dappertutto, bimbi stracciati, macilenti. Questo non
è il “colore locale” che amiamo e che una letteratura cosmopolita
descrive come caratteristiche di molte regioni balcaniche……. E se
i turisti delle lussuose e potenti macchine fuori serie si
lamenteranno per il perduto colore locale, che Iddio non ci metta in
corpo la proletaria voglia di farli discendere dai morbidi e lussuosi
cuscini, di sporcar loro la faccia con una maleodorante manata di
fango………Prenderemo loro fotografie a testimonianza postuma, a
documento ultimo di una stupidità umana e di una insensibilità
morale che non è l’ultima causa dei perturbamenti sociali,
culminati nelle rivolte civili e nelle guerre fra i popoli.” Le
pendici del Monte Kosica sono a strapiombo e difficilissime da
superare, a quota 1108 è
distaccato un plotone agli ordini del C.M Florindo Longagnani assieme
al II° Battaglione dell’84° fanteria “Venezia” e alla 10°
Compagnia mitraglieri della Divisione Arezzo. In questa zona, mentre
porta un ordine al Comando del settore di Dunica, a quota 1033 viene
mortalmente colpita da schegge di mortaio la camicia nera Montanari
Ferruccio di Vignola. E’ il primo caduto modenese. Le
temperature sul Kosica sono sempre rigidissime e l’azione delle
pattuglie è totalmente condizionata; i greci dominano la vallata
dalle quote 1475 e 1498 del monte e di frequente attaccano le nostre
postazioni che si difendono e mantengono le loro posizioni a prezzo di
notevoli sacrifici. La
difficoltà dei trasporti e degli approvvigionamenti è notevole. Per
quasi due mesi le CC.NN. modenesi dovranno accontentarsi delle razioni
dei viveri che consistevano in un pezzetto di formaggio, venti grammi
di marmellata, un gavettino di caffè, una pagnotta e cinque
sigarette, a quelle rigidissime temperature sempre sotto lo zero non
era il massimo. Uno
dei più ardimentosi attacchi delle CC.NN alle quote alte del Kosica
avviene il 5 Gennaio “alla legionaria, con lo sprezzo del mortale
pericolo ereditato dagli arditi della grande guerra , con un ardore
che accende il sangue e lo sommuove come un fervido sole di vendemmia
fa con l’uva ribollente nei tini, gli arditi fascisti attaccano il
trincerone” Il
trincerone viene raggiunto di slancio ma i greci si difendono con
rabbiosa decisione e con l’aiuto delle nuove mitragliatrici e di
freschi rinforzi riescono a ricacciare le CC.NN. alle loro posizioni
di partenza¸poi vi è il contrattacco dei greci che viene in parte
rintuzzato. Ma la compagnia è gia priva di una trentina di elementi,
tra feriti più o meno gravi e congelati. Quattro camicie nere vengono
date per disperse sono, i legionari Giorgio Crabbia, Pietro Bellei,
Francesco Gherardini e Marino Bonazzi. Ma dopo tre giorni, senza
viveri e senza medicinali per curare uno di loro ferito, dopo essere
rimasti nella cavità di una grossa roccia, riescono a ritornare tra i
loro camerati. In
un ulteriore attacco alle postazioni greche rimane gravemente ferito,
preso in pieno da una rosa di schegge di mortaio, il comandante della
compagnia, Centurione Ermanno Sacerdoti-Grassi: il nemico è su
postazioni privilegiate e cinque volte superiore di numero ai circa
cento legionari modenesi che si proiettano avanti con impeto
indomabile: una raffica di mitragliatrice colpisce in pieno la camicia
nera Michele Bollettini e altri rimangono feriti sul terreno; i capi
delle squadre e dei plotoni Tonino Zoboli, Gustavo Lami, Adolfo
Muzzarelli e Armando Bosi portano i loro uomini sin sull’orlo della
trincea nemica che attaccano con bombe a mano: le perdite avversarie
sono moltissime ma anche molti modenesi sono a terra: la battaglia
prosegue per tutto il giorno e alla notte i resti della compagnia si
attestano sui costoni sino al momento che con il raggiungere dei
rinforzi riusciranno ad attestarsi su di una linea difensiva più
solida. Rimangono su quella montagna con il rosso del loro sangue i
valorosi: Aldo Gelmuzzi, Guido Malpighi, Roberto Zanetti, Antonio
Ballati e Armando Morandi. I
feriti sono molti e così gli atti eroici come quello del nonantolano
Tonino Zoboli, o di
Domenico Pini che pur feriti continuano a lanciare bombe sino
all’esaurimento di queste. In
seguito, per questi fatti, furono concesse le medaglie al valore:
Medaglia d’Argento a C.N. Bonazzi
Maurizio di Ferdinando da Castelfranco Emilia; Medaglia di
Bronzo ai C.P
Benassi Mario da Modena, Bonacini Umberto da Modena, Pignatti
Aroldo da Bomporto, alle CC.NN. Maccaferri Arturo da Castelfranco
Emilia, Marani Abdon da Bomporto, Gherardini Francesco da Castelfranco
E., Vaccari Gildo da Nonantola, Bellei Nino da Bomporto, Rebuttini
Primo da Nonantola. Croci di Guerra al Vice caposquadra Belli Pietro
da Spilamberto e Crabbia Giorgio da Castelfranco E. Poi
per il mese di Gennaio riprende la normale routine di vigilanza sulle
linee e di qualche scaramuccia per rintuzzare sporadici attacchi
greci. Un
operaio meccanico di Fanano certo Monterastelli Edoardo tenne un
diario di quei drammatici giorni sul Kosica e così con una vena
poetica notevole descrisse la vita sotto la tenda su quei costoni
impervi e desolati: “Il giorno stà per finire. Il cielo è
sereno, ma l’aria è gelida: I teli all’interno luccicano di uno
strato di ghiaccio che li fa sembrare d’argento. “ Oh telo di
tenda, debole come una ragnatela, sembri
a noi una fortezza inespugnabile. Tu ci ripari dal vento, dalla
neve e ci dai l’impressione di difenderci anche dal piombo nemico.
Abbiamo fiducia in te, fratello telo, che fermi sul nostro capo il
vento di gelo e di morte che fuori infuria”. Il
mese di Febbraio è gelido come i precedenti, le camicie nere modenesi
lo trascorrono sotto i bombardamenti dei nemici e a rintuzzare gli
attacchi che abbastanza di frequente sono portati loro. Molti
battaglioni sono in prima linea da oltre tre mesi e in condizioni
veramente difficili, il freddo, l’acqua, il gelo, la neve. Molti
legionari si ammalano, congelamenti, febbri ed anche dissenteria
provocano vuoti nei ranghi per lunghi periodi ed alcuni purtroppo
morirono come le CC.NN. Giuseppe Reggiani, Erasmo Baraldi e Fulvio
Veroni. Le
azioni delle pattuglie della 72° Legione Farini sono frequenti alle
varie quote del Monte Kosica dove sono dislocate e precisamente a q.
1033, q. 1214, q. 1333 dove
era situata la Madonnina del Kosica e a q. 1434. I piccoli villaggi
dei dintorni sono tenuti sotto controllo per evitare che vi
s’installino reparti dell’esercito greco, pertanto, in vari punti
si creano posti avanzati per il controllo e la difesa degli sbocchi
verso valle che non devono cadere in mano nemica. Di tanto in tanto si
davano il cambio con i legionari sistemati nel paesino di Dunica a
quota 900 metri. L’operare delle pattuglie, specialmente per quelle
impegnate di notte, è un compito snervante e difficilissimo per la
tensione di improvvise imboscate o di scontri diretti con il nemico. Nelle
giornate del 12 e 13 Febbraio avvennero numerosi attacchi dei greci
alle postazioni dei modenesi e le nostre linee sono sconvolte da un
furioso fuoco di artiglieria e mortai, in quegli attacchi e
bombardamenti trovano la morte le CC.NN. del 72° Battaglione, Ivo
Gasparini, Tonino Vecchi, Cesare Dondi e Zoello Gilli
e molti furono i feriti.: vennero particolarmente colpite
quota 1033 e 1333. La reazione dell’artiglieria italiana non si fece
aspettare e le postazioni greche
vennero tenute per alcune ore sotto un fuoco incessante. La
battaglia era divampata, in un primo tempo i greci riuscirono a
penetrare nelle linee italiane a quota 1333 ma da qui vennero
ricacciati indietro dal fuoco delle mitragliatrici delle camicie nere.
Poi
le posizioni si consolidano e le trincee delle camicie nere sono ad
una distanza, da quelle greche, di circa 150 metri mentre le
postazioni avanzate delle vedette, sono a non più di 70 metri. La
vita in quelle condizioni è difficile ma i legionari devono
“tenere” il fronte, sorvegliare i movimenti dei vicini, sopportare
i principi di congelamento, controllare costantemente le armi affinché
l’olio non geli nei congegni, restare vigili sotto i rabbiosi
bombardamenti, poi dopo i lunghi turni di guardia entrare nella tana
seminterrata per dare un morso alla pagnotta, bere un sorso di caffè
freddo, dormire vestiti con le scarpe ai piedi. In
una relazione al Comandante il Settore Occidentale di Dunica, il
Console Petti comandante della 72° Legione Farini, faceva presente la
situazione difficile, dopo tre mesi di permanenza al fronte durante un
inverno particolarmente gelido, dei suoi reparti che,
tra morti (13), feriti (51) e ammalati (84) si trovava ad
essere particolarmente decimato e pertanto chiedeva un periodo di
riposo. Durante
i primi giorni di Marzo avvengono numerosi scontri di pattuglie e
scambi ripetuti delle artiglierie mentre i legionari attendono il
cambio. Vogliamo sottolineare un aspetto particolare della presenza
dei modenesi in terra d’Albania che è quella della presenza di
tante famiglie quali ad esempio i tre fratelli Dario, Alberto e Remo
Stefani nella stessa compagnia di CC.NN e il quarto fratello in un
altro reparto in Albania: altro esempio quello dei quattro fratelli
Rivaroli, l’ing. Bruno con i legionari sul Kosica ed i fratelli,
Oberdan, Antonino e PierDomenico in altri reparti, ma sempre in
Albania Pochi
giorni prima di andare al meritato riposo, i legionari modenesi
subiscono un improvviso attacco, e dopo un furioso fuoco di
artiglieria da una postazione greca a q. 1461, partono rabbiose
raffiche di mitragliatrice che prendono d’infilata, in fondo ad un
breve sentiero scoperto, un gruppo di legionari che stavano per
avvicinarsi ad una piccola fonte di scarsa acqua torbida. Una
quindicina di questi, al settantesimo giorno di permanenza in linea
sul fronte, rimangono a terra colpiti. Tre di loro perdono la vita: i
CapiSquadra Guido Ramini e Arnaldo Pastorelli e la
Camicia Nera Gino Vezzali. Il
16 Marzo, è l’ultimo giorno in linea e i greci per quasi tutto il
giorno tengono sotto il fuoco delle loro batterie i legionari modenesi
e la Camicia Nera Vittorio Goldoni paga l’ultimo tributo al
caposaldo sul Monte Kosica ; così aveva scritto in una lettera alla
famiglia trovatagli in tasca “ ..abbiamo già avuto il cambio,
stanotte lasciamo la linea e quando questa vi arriverà saremo a
riposo molto lontani dal pericolo.” Arriva
così il momento del sospirato riposo e i legionari modenesi vengono
sostituiti dalle CC.NN di Parma e di Forlì, e vanno a Qukes nel
vicino Lago di Okrida. Ai
primi giorni di Aprile, dopo un breve periodo di riposo e dopo che i
reparti sono stati rinforzati dai complementi appena giunti
dall’Italia a seguito delle perdite sul Kosica, la 72° Legione si
rimette in marcia, sulla base di un ordine improvviso, per raggiungere
nuovamente la prima linea. Si vanno a disporre sulla linea che va dal
Kosica al Lago Okrida, la compagnia mitraglieri della 72°, comandata
dal Centurione Ermanno Tusini, che da poco tempo è arrivato in
Albania, si dispone nel settore tra il Kungullit e il Breshenikut e il
battaglione “Viva la morte” raggiunge il Kalase: così i due
reparti modenesi, che in quei giorni ricevettero la visita del Console
Calzolari e di Roberto Farinacei, furono schierati uno fianco
all’altro. In
quei giorni, dopo continui duelli di artiglieria su tutto il fronte i
greci compiono un tentativo di sfondamento nel settore del Kungullit
dove è schierato il reparto “mitraglieri”. La lotta è furiosa
varie compagnie rimangono isolate e numerosi sono i corpo a corpo. Il
1° plotone, comandato dal C.M. Renzo Gemma, il 2° plotone al comando
del C.M. Mauro Gatti, il 3° plotone comandato dal Cm: Branco
Piacentini e il plotone comandato dal C.M. Aldo Giovannardi, vengono a
trovarsi al centro dell’attacco nemico. Un formidabile bombardamento
nemico, preparatorio all’assalto, sconvolge le nostre linee. Molte
mitragliatrici furono messe fuori uso dal violentissimo fuoco dei
greci e molti legionari tra morti e feriti gravi vennero messi fuori
combattimento. Alcune compagnie furono completamente distrutte. Con un
numero preponderante di uomini il nemico attacca furiosamente e alcuni
gruppi di CC.NN. già completamente accerchiate riuscirono ad aprirsi
un varco, usando pugnali e bombe a mano, attraverso le fanterie
nemiche riuscendo a raggiungere una posizione leggermente arretrata
tenuta dall’ultimo plotone “mitraglieri” ancora efficiente. Poi
verso sera, con l’aiuto dell’intervento del CXI° battaglione di
Pesaro fu sferrato il contrattacco che riuscì a rigettare indietro le
fanterie nemiche che lasciarono sul terreno molti caduti.
I Legionari modenesi in linea erano circa 150. Dopo i furiosi
combattimenti si contarono 8 morti sessantre feriti e 16 dispersi. Dei
cinque Ufficiali della Compagnia: 1 morto 3 feriti e 1 disperso. Numerosissimi
furono gli atti di valore, tanto che la compagnia ebbe una medaglia
d’oro assegnata al giovanissimo “balilla” Arturo Galluppi, tre
d’argento, sette di bronzo oltre a numerose croci di guerra al
valore. Caddero in quella furiosa battaglia oltre alla giovane camicia
nera Arturo Galluppi, le CC.NN: Irmo Righi, Donato Toni,
Ettore Lusetti, Mario Lanzotti, Remo Vandelli, Giovanni Cadignani,
Ettore Vezzani e il Capo Manipolo, Mauro Gatti. Il
reparto schierato sul Kalase era stato sistemato su di una specie di
altipiano argilloso, sconvolto dalle bombe e con attorno boschi di
castagni, tutti colpiti e frantumati dall’artiglieria. In quei
giorni entra in guerra anche la Iugoslavia e i reparti modenesi
vengono a trovarsi in una zona delicatissima, esattamente al confine
con la Grecia e la stessa Iugoslavia. Come è avvenuto sul vicino
Kongullit anche sul Kalase, dopo un fortissimo fuoco di artiglieria,
si accende furioso il combattimento e tantissimi furono gli scontri
ravvicinati con i greci: numerosi feriti e i seguenti caduti modenesi
rimasero sul terreno: il Capo Squadra Vezzani Nello, e le CC.
NN. Givera Mario, Zanni Mario e RiccardoZanella. Il
giorno 13 Aprile, giorno di Pasqua, dopo logoranti combattimenti,
termina in sostanza la battaglia su quelle montagne impervie. E’ il
contrattacco italiano, con la collaborazione dei reparti tedeschi; su
tutto il fronte, l’inseguimento ai greci è frenetico, si
riconquistano tutte le posizioni di confine e sono fatti moltissimi
prigionieri. Sulle alture di Borova i legionari trovano un forte
sistema difensivo e il giorno 19 Aprile al pomeriggio scatta
l’attacco per debellare quella forte resistenza: oltre ad alcuni
feriti restano per sempre sul terreno alcuni modenesi: il Centurione Felice
Sarzano il Capo
Manipolo Umberto Bonacini e le CC. NN. Ottavio Righetti
e Contardo Bolelli. Qui
ha termine il succinto racconto dei legionari modenesi che si
sacrificarono sull’Ara del Monte Kosica chiamato da loro: “
l’Alcazar della morte bianca” in quei lontani mesi dell’anno
1941. Bruno Zucchini
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Caduto Camicia Nera Vezzelli Nello Il Gagliardetto del Reggimento “Viva la morte”
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