Modena vista da destra |
Esempi di alcuni capitoli dal libro: VISTA DAI VINTI - GUERRA CIVILE NEL MODENESE
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Introduzione | La Repubblica di Montefiorino | Marzo 1944 |
La tragica estate del 1944 | RSI e Classe operaia | Maggio 1945 |
INTRODUZIONE Per oltre venti anni le pagine di questo libro,
pensate e scritte con lo scopo di far conoscere all’opinione
pubblica un quadro, accettabilmente esauriente, del periodo della
guerra civile in territorio modenese e fuori dai luoghi comuni del più
vieto conformismo “resistenziale”, sono rimasti chiuse in un
cassetto per le enormi difficoltà, sempre incontrate, a trovare
editori disposti ad assumersi la responsabilità nell’affrontare
argomenti inerenti un periodo storico visto, da sempre, in chiave
manichea ed unilaterale e strumentalizzato ai fini politici da una
sola parte. Si aveva intenzione, sin da allora, affrontando
questo tema e rivisitando la vasta messe di pubblicazioni della
storiografia antifascista relativa al microcosmo storico della
Provincia modenese, di dare un contributo a superare il discorso della
guerra civile, affrontandolo anche dal punto di vista della parte
soccombente onde controbilanciare l’enorme pubblicistica proposta a
piene mani da coloro che, aggregandosi allo strapotere delle forze
armate anglo americane, i veri vincitori della seconda guerra
mondiale, si sono trovati a beneficiare di un risultato ottenuto
scatenando all’interno della nostra Patria una lacerante e
sanguinosa lotta tra fratelli. Per poterlo impostare, tale problema, era ed è
ancor oggi opportuno, che anche dalla parte dei perdenti si potesse,
quantomeno, mettere sul piano della discussione storiografica, una
visione obiettiva e anch’essa sfoltita di tutti gli aspetti
agiografici della storiografia di parte fascista. Nel nostro territorio pochissime ricerche sono
state fatte da questa parte e quel poco in forma ridotta e non
completamente documentata oltre che limitata, nella sua divulgazione,
ad un ristretto settore dell’opinione pubblica che in realtà, quel
periodo storico lo conosce per averlo vissuto sulla propria pelle. Il nostro è un tentativo di divulgare la storia di
quegli anni, da un punto di vista il più possibile obiettivo,
essendoci basati fondamentalmente su notizie di cronaca, per
contrastare l’imperante storiografia “resistenziale”
sovvenzionata e manipolata, in grandissima parte, dal Partito
Comunista. Il crollo del comunismo in Europa e nel mondo, ma
non ancora del tutto digerito in Italia, che solitamente arriva con
anni di ritardo ai grandi appuntamenti della storia, ha portato molti
storiografi ed ex-intellettuali della sinistra, sempre opportunisti in
verità, alla ricerca del superamento e della discussione critica del
periodo storico della Repubblica Sociale Italiana e di converso della
resistenza. La strumentalizzazione portata avanti per cinquanta
anni dal gruppo di partiti politici facenti parte del cosiddetto
“arco costituzionale” oltre che dagli incensatori acritici della
resistenza, ha mostrato la corda. Della “fede”, nella quale si
sono riconosciuti, crogiolati e ben pasciuti i seguaci
dell’imperialismo russo e del capitalismo americano, è rimasto ben
poco. E’ anche vero che in brevissimo tempo si sono
rivoltate interpretazioni storiche che sembravano dogmi assoluti; oggi
si possono leggere analisi e giudizi sulla resistenza, da parte d’ex
partigiani o d’antifascisti che, sino a ieri, sarebbero stati
considerati come farneticazioni o eresie dei soliti “nostalgici
fascisti”. La rivisitazione di tanti aspetti e di tanti
personaggi del fascismo, anche del periodo della RSI, attuata da
autori che non hanno mai avuto simpatie per quel movimento e che
ovviamente continuano a prenderne le distanze è sintomatico di una
volontà di ripercorrere con nuove, per loro, e più obiettive
valutazioni, la storia di quegli anni tormentati. Gli storici che prendono in esame gli anni del
fascismo, in modo particolare la sua ultima appendice della RSI, e che
sono chiamati, con un termine non corretto a nostro parere,
“revisionisti”, stanno svolgendo un lavoro di notevole interesse e
d’enorme portata storica. Scrollatisi di dosso le logore impostazioni di una
certa cultura della sinistra, che, attenzione, allora sembrava quella
vincente, molti autori, tra i quali citiamo, Renzo De Felice, Domenico
Settembrini, Franco Bandini, Giordano Bruno Guerri, Romolo Gobbi,
GianPaolo Pansa ed altri, hanno iniziato a “studiare” il Fascismo
con maggior approfondimento, scoprendo che, in realtà, non fu poi
quel “fenomeno demoniaco “ che per lunghissimo tempo si è voluto
fare apparire e che moltissimi uomini di quel tempo furono degli
statisti d’alto livello e dei politici molto validi sul piano
nazionale ed internazionale e che la vita italiana ebbe in quegli anni
un formidabile sviluppo sul piano sociale e culturale. E’ bene pertanto che sul versante opposto si
cominci a superare il concetto d’anticomunismo fine a se stesso;
concetto che, con il crollo dell’impero sovietico, sebbene abbisogni
ancora di studi maggiormente approfonditi per capirne meglio il
fallimento, andrebbe notevolmente ridimensionato, dato che sarebbe
estremamente riduttivo considerare il fascismo solamente in funzione
di un anticomunismo viscerale, poiché, non bisogna dimenticarsi, che
esso nacque come espressione ideologica da contrapporre,
principalmente, al liberal-capitalismo, onde superare poi i due
aspetti negativi dello scontro tra questa concezione e quella marxista
della lotta di classe. Ma per far questo è necessario che si possa
conoscere la storia in modo corretto e ricominciare a leggerne, nei
suoi giusti termini, il “mito della resistenza”. Queste pagine sono dedicate alla rivisitazione
storico-cronologica del periodo 43-45 in Provincia di Modena ed è
bene sottolineare che la ricerca è stata condotta consultando, quasi
esclusivamente, ovviamente in forma critica e di aggiustamento dei
fatti, la vasta storiografia resistenziale ed in minima parte, anche
perché pochissimo esiste, la ridotta storiografia locale di parte
fascista. Un altro dato che vorremmo fare notare è la
persecuzione dei fascisti, iniziata da tutte le componenti del CLN in
periodo di guerra civile, portata avanti poi, dai nipotini di questa
“partitocrazia” dell’arco costituzionale, sino ai giorni nostri. Coloro che, negli ultimi sessanta anni e in
particolare nelle nostre zone, hanno espresso idee, opinioni e prese
di posizione contrastanti il potere demo-comunista costituitosi e
radicatosi sino alle manifestazioni più perverse, ha subito in
continuazione l’ostracismo e la messa al bando in un modo così
subdolo e persecutorio da far scomparire le forme di censura messe in
atto durante il ventennio contro gli antifascisti, in poche parole,
terminate le condanne a morte dell’immediato dopoguerra, erano
comminate condanne tacite di morte civile a coloro che si trovavano
fuori dal coro del regime partitocratico. E’ giunto il tempo di uscire da quel tunnel di
menzogne nel qual è stato tenuto il popolo italiano in questi ultimi
decenni e fare in modo che le nuove generazioni abbiano la possibilità
di valutare correttamente, facendo i dovuti confronti, le
interpretazioni storiche delle due parti in lotta e rendersi conto di
come si comportarono gli italiani, non solo quella piccola minoranza
che si accodò poi al carro del vincitore, ma anche di coloro che
ebbero l’onestà ed il coraggio di restare sulla barricata più
difficile e comprendere pertanto cosa fu realmente la guerra civile e
come fu trasformata in guerra di liberazione più con le parole del
dopoguerra che con la realtà dei fatti; anche per vedere finalmente
chiuso quel capitolo di storia italica, ma in modo possibilmente
corretto ed obiettivo e non nella forma manicheista con la quale sino
ad oggi sono state educate tante generazioni. E’ altresì interessante oggi, leggendo tanti
storici con chiara matrice di sinistra che nei lunghi anni del
conformismo “resistenziale” imperante contribuirono a creare quel
mito, vedere come questi cerchino di adattarsi ai tempi nuovi,
rivisitando in un ottica che sino a l’altro giorno poteva essere
definita “fascista”, quel tragico periodo della guerra civile. Nella vasta messe di testi, che però rimangono ai
margini e non sono pubblicizzati in modo quanto meno paritetico a
quelli incensatori della resistenza, troviamo dei passaggi
significativi, alcuni dei quali andremo a citare, come questo ad
esempio, riportato nella presentazione del libro di Romolo Gobbi,
“Il mito della resistenza”. “Nel
dopoguerra l’Italia ufficiale ha dato corpo al mito della resistenza
per ricostruire una identità nazionale e per assolvere i suoi
cittadini dalla colpa di essere stati in larghissima maggioranza
fascisti e di essere scesi in guerra a fianco della Germania
hitleriana” Ancor più interessante è l’opinione di un ex
partigiano combattente, certo Francesco Montanari, che in questo modo
si esprime nei confronti dei suoi compagni di viaggio del periodo
della guerra civile: “Questa
Repubblica nata dalla resistenza è marcia, come lo fu anche la
resistenza, infatti, la maggioranza dei partigiani era costituita non
da idealisti, ma da renitenti e poi da malfattori del tipo degli
onorevoli comunisti Moranino e Silvio Ortona o da figure esecrabili
come la medaglia d’oro Bentivegna e “Compagni”...... La
maggior parte delle imprese eroiche dei partigiani comunisti
consistettero nell’uccisione di qualche tedesco isolato per poi
darsi a precipitosa fuga, pur sapendo che, così, la popolazione
civile avrebbe dovuto pagare dolorose conseguenze.....omissis........
I comunisti, come ebbe a dire Edgardo Sogno, lottarono durante la
resistenza non tanto per liberare l’Italia dal tedesco invasore o
dal fascismo, quanto per poter installare, finita la guerra, la
dittatura comunista.” E’ pertanto opportuno che la componente che
rimase sconfitta in quel tremendo scontro di uomini e di ideologie
possa anch’essa, senza voler rinfocolare odi e vendette, anzi per
superare tutti gli steccati, partecipare al dibattito storiografico e
in modo particolare nel territorio modenese dove, pur sempre, il
fascismo, sia originario, che del regime del consenso, si era
fortemente radicato e che poi nel breve volgere di tempo si cercò di
estirpare radicalmente e i modenesi, dopo essere stati tutti o quasi,
fascisti, diventarono tutti o quasi, comunisti. Vi è stato in questo ribaltamento storico un
aspetto che non deve essere trascurato e che andrebbe maggiormente
approfondito. Gli abitanti della nostra Provincia aderirono sin dagli
anni ‘20, in modo entusiastico, al fascismo e diedero una
grandissima partecipazione popolare anche nel periodo della RSI. Questa partecipazione era veramente sentita poiché
vi era stata la convinzione, in modo particolare da parte del popolo e
delle classi meno abbienti, che quel movimento potesse portare, come
realmente fece seppure non compiutamente, le masse operaie e contadine
fuori da quello stato di arretratezza e di miseria nel quale erano
rimaste da sempre, attraverso tutte quelle realizzazioni sociali che
portarono il fascismo all’avanguardia nel mondo. Nel dopoguerra, dopo la sconfitta del fascismo,
queste classi sociali furono facile preda della falsa ideologia
comunista che predicava l’eguaglianza e la lotta di classe. Però le
cose non andarono nella direzione programmata dalla classe dirigente
comunista che aspirava alla realizzazione di un perfetto regime di
tipo sovietico, e pur trincerandosi dietro alle truculenti formule del
più rozzo comunismo di quei tempi, si adeguarono alle impostazioni
delle formule liberal-capitaliste traendone tutti i vantaggi, in modo
particolare nel nostro territorio, impostando una fittissima ragnatela
di interessi economici da far invidia al più sfrenato capitalismo;
nello stesso tempo restavano legati al comunismo di stampo sovietico
che, nel frattempo, portava danni irreparabili nelle nazioni dove
imperava con il terrore. Sono poi, ovviamente, rimasti ancorati al mito
della resistenza e della cosiddetta unità antifascista che nella
realtà dei fatti è servita a far entrare in Italia e
prepotentemente, quel sistema liberal-capitalista agganciato e colluso
alla mafia siculo americana che dichiaravano di voler combattere. E’ stata quella classe politica, forgiatasi con
la forzata penetrazione della mafia in Sicilia con lo sbarco americano
del 1943, a portare allo sfascio completo la società italiana che,
malgrado quel potere disonesto ed irresponsabile, era pur riuscita,
con l’operatività dei suoi uomini migliori, a raggiungere ottimi
traguardi. Vogliamo inoltre sottolineare che, con
quest’iniziativa, non intendiamo scavare ulteriori fossati, bensì
vorremmo portare un contributo a quel dibattito, civile e sereno, che
si dovrebbe instaurare per giungere finalmente alla vera pacificazione
nazionale. E’ altresì evidente che, se di rappacificazione
si deve parlare, essa debba essere interpretata pariteticamente; la
buona volontà ed il coraggio per superare questo steccato deve
esserci da parte di tutti. Si tratta solamente di lasciare alla storia
gli avvenimenti di quei laceranti anni di guerra civile, abbandonando
tutte le strumentalizzazioni politiche.
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LA REPUBBLICA DI MONTEFIORINO Degli avvenimenti del Giugno-Luglio 1944
nella zona di Montefiorino, la propaganda comunista e resistenziale in
genere ha creato uno dei punti cardine dell’"epopea",
facendolo passare tra gli episodi più espressivi, dal loro punto di
vista, di tutta la guerra civile. Esaltandoli in tempi a noi vicini con
un continuo proliferare di pubblicazioni e di celebrazioni tendenti a
mitizzare quella che fu chiamata, molto pomposamente: "La
repubblica di Montefiorino".(1) E' giunto il momento, sebbene a tanta distanza di
tempo, di esaminare con obiettività i fatti che portarono quella zona
dell’Appennino modenese, in primo piano delle due parti in lotta in
quel drammatico periodo e che furono, per le popolazioni del luogo,
fonte di tremendi lutti e di terribili distruzioni. Abbiamo visto come nel mese di Maggio e nei primi
quindici giorni di Giugno, rispetto ai mesi precedenti, la guerriglia
fosse aumentata d’intensità con un succedersi sempre più frequente,
d’imboscate ed agguati alle truppe tedesche e fasciste. Sia in pianura
sia in montagna i partigiani, alimentati in continuazione dai lanci
aerei anglo-americani, che sull'onda del successo ottenuto e dallo
sbarco in Normandia e dall'avanzata sul suolo italiano con la conquista
della capitale, fomentavano sempre più la guerra civile, cercando di
creare in questo modo il maggior danno possibile alle retrovie tedesche;
di conseguenza i "ribelli", aumentano decisamente le loro
azioni: "Armi
automatiche, soprattutto americane come il famoso fucile mitragliatore
"Thomson" e l'altrettanto famosa pistola mitragliatrice "sten"
(inglese), scendevano veleggiando dal cielo con i grande paracadute di
seta bianca o colorata: particolarmente nell'Appennino tosco-emiliano
per le formazioni partigiane collegate con le missioni alleate, ed
ebbero un particolare impiego nella serie dei combattimenti di
Montefiorino."(2) In questo proliferare d’agguati, imboscate ed
uccisioni e per il maggior concentramento in quelle zone di partigiani
comunisti che raggiungevano qualche migliaio d’uomini, appunto ben
forniti d’armi dai lanci paracadutati, oltre ad un battaglione
sovietico composto da ex prigionieri fuggiti dai campi di concentramento
dopo l'8 Settembre, i piccoli presidi fascisti della Valle del Dragone,
per meglio organizzarsi attraverso una tattica che li avrebbe dovuti
riportare a presidiare con maggiore sicurezza quei territori, furono
costretti ad abbandonare i loro capisaldi. I capi comunisti avevano deciso di concentrare in
queste contrade, a potenziamento della brigata "Roveda", tutte
le nuove leve partigiane, assieme a quelle comandate da
"Armando" in modo da costituire un grosso reparto che doveva
prendere il nome di "Prima Divisione Garibaldi". Il Comando Provinciale della GNR, costatando le
notevoli difficoltà a mantenere i collegamenti con i piccoli presidi di
quelle zone della montagna modenese, già dal 15 Giugno aveva ordinato
il ripiegamento da Montefiorino a Piandelagotti. In quel giorno, tutta la zona che va’ da Prignano
Secchia sino a Nord di Piandelagotti, escluso il paese di Montefiorino,
era praticamente sguarnita dalle forze italo-tedesche e per diretta
conseguenza, sotto controllo partigiano; i comandi di questi erano
entrati in un vero e proprio clima d’euforia, avendo avuto in mano
senza eccessivi sforzi e praticamente senza colpo ferire, un vasto
territorio di oltre 700 Km. quadrati. I fronti tedeschi in Italia e nelle altre zone
europee, intanto cedevano sotto la pressione angloamericana; i presidi
militari della Valle del Dolo e del Dragone si erano allontanati e anche
quello di Montefiorino, composto da circa sessanta uomini, stava per
abbandonare la Rocca; migliore occasione non poteva capitare alle bande
partigiane. Nacque così l'idea, a conferma delle tesi della non
programmazione di tali avvenimenti, di costituire, (com’era già
avvenuto in altre parti d'Italia dove zone "franche" venivano
chiamate repubbliche partigiane) un territorio libero che, solo a
posteriori, sarà chiamato "Repubblica di Montefiorino". Il giorno 17 Giugno si prepara da parte delle forze
"ribelli", la "liberazione" di quel centro: "la
situazione era piuttosto favorevole, i vari presidi circostanti erano
fuggiti e le forze partigiane avevano circondato l'ultimo drappello
nemico rimasto in montagna".(3) Ma non tutti i partigiani erano d'accordo se
attaccarlo oppure attendere la partenza del presidio che aspettava il
momento buono per ripiegare, come gli era stato ordinato. Prevalse la
tesi dell'azione, anche perché la sproporzione delle forze era enorme:
migliaia di "ribelli" concentrati in quella zona e solamente
sessanta fascisti asserragliati nella Rocca di Montefiorino. All'alba del giorno 18 Giugno i partigiani
"sferrano" l'attacco; il gruppetto di militi fascisti oppose
una debole resistenza cercando di sfuggire all'accerchiamento e in
quella piccola schermaglia vi fu un solo caduto di parte fascista,
mentre tutti gli altri vennero catturati per essere poi, nella maggior
parte, trucidati dagli occupanti. Così i partigiani entrarono in Montefiorino: "....io
Balin, ed alcuni altri partigiani arrivammo davanti al portone
d'ingresso della Rocca. A quel punto Balin mi fermò "mi hanno
detto che la Rocca è minata: lasciamo andare avanti Levoni ( un
prigioniero fascista poi fucilato ). " No dico io, entriamo prima
noi e Balin mi saltò davanti "lascia che vada avanti io
ecc"..; con una mano lo spinsi indietro, " No sono io il più
elevato in grado ed ho il diritto di entrare per primo nella
Rocca." Entrai sventagliando una raffica di mitra. La Rocca era
ormai abbandonata e vuota."(4) Hanno inizio così i quarantacinque giorni della
"repubblica rossa" con a capo il partigiano Teofilo Fontana,
in qualità di Sindaco. "La
popolazione, che pure veniva accusata di simpatia verso i fascisti, ci
accolse con entusiasmo ed in realtà si sentiva liberata dallo stato
d'incertezza tra fascisti e partigiani."(5) Va’ detto però, che per il paese giravano
centinaia di partigiani armati e pronti a tutto, e le popolazioni della
zona erano bene al corrente di come questi non andassero tanto per il
sottile, dato che bastava un nonnulla o un piccolo sospetto per essere
passati direttamente per le armi. Alla notizia che dietro le linee tedesche si era
costituita una "zona partigiana", il Comando angloamericano
provvide ad inviare una numerosa missione con il compito di stabilire
dei collegamenti. Assieme al massiccio invio di materiale
aviolanciato, si cercò di elaborare un piano che avrebbe dovuto fare di
quella "zona libera" un elemento strategicamente decisivo nel
quadro dell'offensiva verso la valle del Po’. Lo stesso partigiano "Armando", definì
questo piano, "effettivamente ambizioso", sottolineando
inoltre di quanto i tedeschi fossero allarmati per questa situazione. Nelle numerosissime opere sulla resistenza, il mito
della Repubblica di Montefiorino viene raccontato in tutti i risvolti,
anche i più banali; si va’ a sottolineare l'opera attiva e feconda
degli uomini che si erano venuti a trovare in questo territorio, vengono
raccontati i vari problemi quotidiani, quali l’approvvigionamento
viveri, il funzionamento dell'Ospedale di Fontanaluccia, il problema dei
mezzi di trasporto e delle officine, oltre a come vennero portate avanti
le operazioni per effettuare sbrigative elezioni. Ma ben poco spazio viene dato all'argomento
giustizia e di come funzionarono i cosiddetti "tribunali del
popolo", oltre a nascondere il trattamento riservato ai
prigionieri, tedeschi, fascisti o presunti tali. Si avrà modo di vedere
dettagliatamente nella parte cronologica quanti furono, e in quale modo,
gli uccisi in quei giorni di "pieno rispetto delle libertà
democratiche". Bisogna, tra l'altro, mettere in evidenza che,
contrariamente a quanto era avvenuto sino a quel momento, in tutta la
Provincia modenese, dove i fascisti o presunti tali venivano uccisi solo
da mano comunista, quanto invece accadde a Montefiorino, dove tutti i
partiti politici che componevano il CLN, si trovarono concordi nelle
condanne a morte dei prigionieri. Certa storiografia resistenziale
rileva come i comandi militari partigiani procedessero molto spesso a
delle vere e proprie "purghe" di tipo staliniano, fucilando
oltre a nemici dichiarati e "spie", anche partigiani
"indegni"; e con questa definizione potevano essere
"giustiziati", sia delinquenti comuni, ma anche personaggi
scomodi politicamente. La storiografia resistenziale, pur precisando
che, in fondo, certe decisioni di giustizia sommaria erano isolate e
prese da pochi, si compiace che a Montefiorino la decisione di uccidere
i fascisti, fosse presa all'unanimità.(6) "Ora
invece queste gravi deliberazioni erano assunte con la piena
responsabilità di tutti, perché nel Tribunale Militare di Montefiorino
tutte le correnti politiche del CLN erano rappresentate."(7) Molti religiosi hanno rilasciato testimonianze,
agli storiografi resistenziali, alquanto significative circa il modo di
amministrare la giustizia in quella "repubblica"; ne citiamo
alcune: "Un
giorno seppi che a Montefiorino il Tribunale partigiano aveva condannato
a morte degli uomini. Venne con mè Don Benedetto Richeldi e ci recammo
subito al Comando. Rammento che c'era colui che diventò poi Sindaco a
San Felice. Domandai di poter vedere questi condannati e fui io che
dovetti avvertirli che sarebbero stati fucilati. Li esortai a prepararsi
alla morte. Dopo scene di disperazione e di pianto si confessarono e mi
consegnarono dei biglietti da fare avere ai loro parenti cosa che feci
naturalmente subito."(8) Don Giuseppe Guicciardi, Cappellano a Gombola, nel
raccontare dell'episodio di un fascista "torturato" dai
partigiani, rimproverò "coraggiosamente" il comandante
partigiano "Tom", con queste parole: "Non
dovete imitare i nemici nelle cose peggiori che fanno, anche se sono i
vostri compagni di lotta che sopportano delle crudeltà. Se dovete
fucilare qualcuno, fatelo, ma non torturate nessuno. E questo quì, che
ha avuto la sua parte, lasciatelo ora in pace."(9) In un altra storia, delle tante,
che raccontano i "fasti" della resistenza, così si parla
dell'esecuzione di altri fascisti: "Il
26 Giugno 1944 "Don Luigi" (Don Elio Monari) confortò con i
sacramenti quattro sergenti repubblicani che vennero giustiziati a
Pianellino. Il 29 Giugno altri tredici tra repubblichini, borghesi e
tedeschi furono giustiziati ma non fu avvisato e lo seppe a esecuzione
avvenuta con suo grave dispiacere. Nella predica del 29, festa di San
Pietro e Paolo disse parole un pò forti alludendo ai fatti del mattino."(10) Non può sfuggire, a coloro che si sono cimentati
nella lettura della storiografia resistenziale in genere, siano essi
stati attenti lettori o superficiali, quanta importanza abbia in quelle
storie il lessico usato, in particolare quando si tratta di prendere in
esame l'uccisione di fascisti militari o borghesi che fossero. Il
fascista viene sempre "giustiziato", mentre il caduto
partigiano viene sempre, "barbaramente trucidato" dai
nazi-fascisti; di conseguenza viene evidenziata l'equazione, giustizia
partigiana, giusta ed infallibile, al contrario i vinti erano solamente
dei barbari. In merito alle fucilazioni dei fascisti di
Montefiorino è molto interessante la versione che viene data da uno dei
principali responsabili di queste, in un’intervista pubblicata su di
un testo resistenziale: "Domanda:
a Montefiorino si pose realmente anche il problema dei prigionieri. Se
prima era neccessario fucilarli, perché troppo pericoloso sarebbe stato
trascinarseli dietro, ora esisteva una prigione, la possibilità di
giudicarli con calma, magari di inviarli oltre le linee, dagli alleati. Risposta:
Il problema dei prigionieri era prima di tutto militare. La guerra di
repressione da parte dei nazisti e dei fascisti si era sviluppata sulla
base del terrore che mirava togliere alle masse popolari ogni spirito di
ribellione ed ogni iniziativa di lotta. Con la conquista di Montefiorino
e la cattura dei prigionieri noi dovevamo rispondere a quella azione di
repressione, dovevamo prendere delle misure che significassero la
radicalizzazione della lotta con l'esclusione di qualsiasi connivenza o
accordo con la repressione nazifascista. Non dimentichiamo che i
fascisti, attraverso intermediari, avevano cercato con noi un accordo
sulla base di un reciproco rispetto delle zone d'influenza. In altre
parole i tedeschi e i fascisti offrivano una tregua se i partigiani si
impegnavano a rimanere nelle loro zone senza attaccare i fascisti ed i
tedeschi delle zone che premevano a loro, cioè le vie di comunicazione.
La liberazione di tutti i prigionieri di Montefiorino avrebbe
significato una debolezza da parte delle forze combattenti partigiane
che avrebbero dimostrato di cercare così un modus vivendi con le forze
della reazione; sarebbe stato come un primo passo di avvicinamento. E
noi questo non lo volevamo. Dei prigionieri fatti a Montefiorino ne
abbiamo fucilato la metà e precisamente quelli che erano volontari e
quelli che si erano compromessi nelle reazioni precedenti; mentre invece
liberammo quei militi che risultavano giovani e di leva questo come
incoraggiamento a fuggire per gli altri giovani costretti con la
violenza ad entrare nelle forze repubblichine. D'altro canto
l'esecuzione dei vecchi significava la radicalizzazione della lotta,
significava il rifiuto di qualsiasi compromesso, di qualsiasi intesa con
le forze della reazione."(11) A proposito dei prigionieri fascisti di
Montefiorino, un ulteriore testimonianza, sempre tratta dai testi
resistenziali, riferisce di incredibili torture inflitte a tedeschi,
italiani, militari e civili: racconta di giovani legati ai polsi e
appesi in punta di piedi, lasciati in quella posizione sino a quando la
circolazione del sangue ne veniva bloccata, poi slegati e selvaggiamente
percossi per giorni e giorni ininterrottamente prima della loro
esecuzione.(12) Il Parroco di Gusciola di Montefiorino, Don Angelo
Santi, in una sua testimonianza, cita la tragica fine di alcuni fascisti
di Montefiorino compresa quella di certo Martini Ercole e della di lui
moglie bruciata viva nella casa cui avevano dato fuoco, in quanto non
aveva voluto aprire ai partigiani rossi.(13) Arriviamo così alla metà
di Luglio; secondo alcune tesi, anche di parte fascista, il Comando
tedesco, forse sopravalutando il grado di efficienza della brigata
partigiana che teneva in mano Montefiorino e per non togliere dal fronte
e dai punti "caldi" un certo numero di soldati da impiegare in
un’azione nelle retrovie, inviò al Comando partigiano un Ufficiale
incaricato di trattare una tregua. Le proposte tedesche offrivano al Comando del CLN
la sospensione di ogni operazione offensiva nel territorio da loro
controllato ed inoltre si sarebbero impegnati a rilasciare tutti gli
ostaggi, sia civili che militari, già nelle mani dei "reparti di
sicurezza".(14) In cambio i tedeschi chiedevano: a) il rilascio di
tutti gli appartenenti alle forze armate tedesche (venti tra Ufficiali e
soldati ) in mano ai partigiani; b) i partigiani si dovevano impegnare a
non disturbare il traffico militare tedesco sulle arterie di grande
comunicazione; c) porre termine alle azioni repressive contro tutti
quelli che, fascisti e non, collaboravano con il Reich. La risposta del CLN fu negativa. I comandi
partigiani ritennero che quell'offerta fosse una debolezza tedesca e che
questi non avrebbero più avuto la forza di far cadere il libero
territorio che si era venuto a trovare nelle loro mani in modo del tutto
imprevisto. Lo stesso partigiano "Armando" scrisse
testualmente, in risposta alle domande tedesche: "Noi saremo pronti
a trattare con voi quando dimostrerete la volontà di abbandonare il
nostro paese. Non prima." Quali conseguenze portò la decisione del CLN e
l'enfatica risposta del comandante partigiano, alle popolazioni del
luogo e allo stesso schieramento antifascista, avremo modo di costatarlo
in seguito, successivamente a quella che fu definita, "la battaglia
di Montefiorino".(15) Di un altra tesi, alla quale però è difficile
poter dare le necessarie conferme storiografiche per l'impossibilità di
avvicinarsi agli archivi che detengono ancora molto materiale tedesco e
fascista ed anche perché molto di questo è andato perduto, si parla,
da parte di coloro che facevano parte dell'esercito repubblicano. Si tratterebbe di un vero e proprio piano
preordinato per creare i presupposti, vista la situazione contingente,
da parte dei Comandi militari tedeschi e fascisti, affinché la maggior
parte delle bande partigiane, che operavano sulla montagna modenese e
reggiana, si raggruppasse in un unica zona per poter poi sferrare
l'attacco decisivo per sconfiggerli e catturali. E difatti un
concentrato di truppe irregolari, come in realtà accadde, ben poco
avrebbe potuto fare contro truppe ben preparate ad affrontare la vera
battaglia, anziché la guerriglia. Anche se questa tesi sembra assurda, pensando a
quanto fecero pervenire ai comandi partigiani, i tedeschi, e sulla base
delle loro proposte che non vennero accettate, bisogna pur tener
presente che queste avvennero alla metà del mese di Luglio, cioè oltre
un mese dopo che tutti i presidi fascisti della zona avevano abbandonato
le località della Valle del Dragone e che probabilmente vi furono
dissensi e contrasti sul modo di condurre l'operazione tra i Comandi
tedeschi e fascisti. Sarebbe questo un argomento da approfondire con
maggior chiarezza, poiché i presupposti per dar corpo a questa tesi non
sono del tutto ipotetici. Nei paesi attorno a Montefiorino si era
concentrato il maggior numero di formazioni partigiane della montagna
modenese e reggiana e per questi due motivi fondamentali: in primo luogo
i depositi di armi, in particolare tutto l'armamento dei cadetti
dell'Accademia Militare di Modena, abbandonato in quelle zone dopo l'8
Settembre e diventato facile preda da parte dei primi gruppuscoli e che
aveva creato nei mesi precedenti gravissimi scontri tra pattuglie
tedesche e fasciste e bande di ribelli che portarono poi all'eccidio di
Monchio, Susano e Costrignano del mese di Marzo 1944, in secondo luogo
perché la zona, fuori dalle grandi linee di comunicazione non aveva
valore strategico per i Comandi militari tedeschi e difatti era
sguarnita di consistenti concentramenti di truppe tedesche, tanto che
gli aerei americani, anche nei mesi precedenti, ebbero la possibilità
di rifornire i partigiani con abbondanti lanci di armi e di altro
materiale. Aggiungasi che le piccole tenenze della GNR erano composte da
pochissimi uomini che, in condizioni normali avrebbero potuto essere più
che sufficienti, ma che, a fronte di una così massiccia presenza di
uomini armati, le fonti partigiane parlano di circa 5.000 uomini, ben
poco potevano fare. E difatti a scorrere le note della cronaca dei
primi mesi del 1944, possiamo costatare a quale continuo stillicidio di
attacchi e di perdite di vite umane furono sottoposti i piccoli centri
come, Frassinoro, Palagano, Toano, Cerredolo, Prignano ecc., oltre alle
numerosissime incursioni, da parte dell'esercito ribelle, cui furono
sottoposte decine e decine di abitazioni private. A fronte di quella
situazione, il Comando Provinciale della GNR, dalla seconda settimana di
Giugno cominciò a provvedere affinché i presidi fascisti si
allontanassero da quelle zone. Era collegata questa operazione con il
programma che scattò poi, forse mal preparato o del tutto improvvisato,
alla fine di Luglio? E' certo che, dal momento in cui i Comandi fascisti
e tedeschi decisero di passare all'attacco e malgrado che l'operazione
non sia stata completata secondo i piani prestabiliti, in tre giorni,
reparti ben addestrati ed armati, anche se non numerosi, riuscirono a
debellare ogni resistenza mettendo in fuga quel grosso concentramento di
forze partigiane che avrebbero dovuto essere, "un baluardo
imprendibile". Dopo brevi combattimenti, queste formazioni si
sparpagliarono in mille rivoli per sfuggire all'accerchiamento e
moltissimi passarono le linee del fronte per andarsi a rifugiare presso
le truppe anglo-americane.(16) NOTE 1
cfr. E. Gorrieri: "La Repubblica di Montefiorino", pag.
361. 2
cfr. I. Vaccari: "Il tempo di decidere" pag. 252. 3
cfr. L. Casali: "La resistenza a Modena". 4
cfr. O. Poppi: "Il commissario", pag. 79. 5
ibidem 6
cfr. I. Vaccari, op. cit. pag. 256. 7
ibidem 8
ibidem 9
ibidem 10
cfr. E. Gorrieri op. cit. pag. 285 11
cfr. O. Poppi, op. cit. pag. 95. 12
cfr. E. Gorrieri, op. cit. pag. 385 13
cfr. lettera del Parroco Don Angelo Santi, alla Ass. cad. della
RSI in data 5 Luglio 1957. In
Arch. Ass. Cad. 14
cfr. G. Pisanò: "Storia della Guerra civile". 15
cfr. E. Gorrieri, op. cit. ed altre opere sulla resistenza. 16
ibidem
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MERCOLEDI 1 MARZO 1944 Alla riunione del Direttorio del Partito
Fascista Repubblicano, il Segretario Alessandro Pavolini, illustra la
relazione sull'attività svolta dal Partito dalla sua costituzione sino
a questo giorno; sono iscritti al PFR, 487.000 persone. GIOVEDI 2 MARZO 1944 Si fanno sempre più numerose le azioni delle
formazioni partigiane nei riguardi dei civili nelle zone
dell’Appennino modenese; a Rocchetta Sandri, frazione di Sestola, una
banda armata composta da parecchie persone, fa irruzione nell'abitazione
di certa Mariangela Capra che è obbligata a versare oggetti preziosi,
indumenti, generi alimentari e utensili da cucina per un valore
complessivo di circa centomila lire; si fecero consegnare anche tremila
lire in contanti. Imponevano poi alla derubata il silenzio sull'avvenuto
furto.(1) A Montese, rimaneva vittima della violenza il
ventunenne: CASOLARI BRUNO.(2) VENERDI 3 MARZO 1944 A Carpi, in un agguato tesogli da un
ciclista, era ucciso a colpi di rivoltella, mentre rientrava alla sua
abitazione, il brigadiere della GNR di trentasette anni: TERNELLI
ALDO.(3) Così il quotidiano locale dava la notizia di
questa imboscata partigiana: "Venerdì sera, circa le 21,30 a Carpi, il brigadiere dei
Carabinieri di quella sezione della GNR, Aldo Ternelli di Clelio di anni
37 nel recarsi in bicicletta dal suo domicilio in caserma veniva ucciso
con tre colpi di pistola sparatigli da uno sconosciuto. Nei pressi del cadavere si rinveniva un ordigno inesploso. Si ritiene,
con ragione che il sottufficiale incontrato l'individuo avente seco
l'ordigno abbia a lui intimato il fermo, ma mentre frenava la bicicletta
veniva ucciso nel momento in cui stava per estrarre la rivoltella. Il
sottufficiale lascia la moglie ed un figlio di 4 anni."(4) Con decreto del Capo della Provincia, si pongono le
premesse per l'attuazione della socializzazione anche nel mondo
dell'agricoltura; viene pertanto posto fine alla terzeria, che rimaneva
una forma antiquata nella conduzione del lavoro agricolo. In montagna le formazioni partigiane comandate da
G. Barbolini, attaccano la Casa del Fascio di Piandelagotti,(5) ma ne
vengono respinti dai pochi uomini in borghese che vi si erano
asserragliati. SABATO 4 MARZO 1944 All'Ospedale Militare di Modena muore, in
seguito alle ferite riportate in un attentato partigiano dei giorni
scorsi, l'allievo ufficiale della GNR: BUREI
RICCARDO(6) A Fiumalbo viene nominato il nuovo Commissario
Prefettizio nella persona di Valentino Giambi che sostituiva il Podestà
Mario Morelli. DOMENICA 5 MARZO 1944 Un ordigno esplosivo viene fatto esplodere
alla base dell’arcata destra della porta d'ingresso della cabina
elettrica delle Aziende Municipalizzate in Via Cesare Costa. Non si
dovettero lamentare nè vittime nè feriti, tantomeno interruzioni di
energia elettrica.(7) LUNEDI 6 MARZO 1944 Elementi partigiani effettuano un attentato
contro il Colonnello Raffaele Gasperi nella sua abitazione di San
Donnino della Nizzola; un potente ordigno esplosivo venne posto sul
davanzale della finestra della camera da letto, il Colonnello e la
moglie rimasero seriamente feriti.(8) MARTEDI 7 MARZO 1944 Gli interventi innovativi della RSI
cominciano a diventare operativi nei vari settori del mondo del lavoro.
In questa data, con un comunicato dell'Ufficio stampa della Prefettura
Repubblicana, veniva comunicata la notizia del passaggio
all’organizzazione dei lavoratori dell'Industria, delle aziende
industriali dello Stato. Questo il comunicato: "Il
Capo della Provincia, in attesa dell'entrata in vigore del nuovo
ordinamento sindacale ha disposto che la rappresentanza delle maestranze
dipendenti dalle aziende industriali di stato sia senz'altro assunta
dall' Unione Provinciale dei lavoratori dell'industria."(9) MERCOLEDI 8 MARZO I944 La situazione nella Valle del Secchia, che da
ormai troppo tempo era diventata insostenibile a causa delle continue
aggressioni a militari e civili, i continui furti ad abitazioni private
ed ammassi del grano, gli innumerevoli attacchi ai piccoli presidi
fascisti e della GNR, da parte dei partigiani che si erano raggruppati
in queste zone (causa principale le armi abbandonate dai cadetti
dell'Accademia Militare allo sbando dell'8 Settembre), destava serie
preoccupazioni nei Comandi fascisti locali e in quello Provinciale. La prima mossa, per cercare di attenuare e di
rintuzzare questa continua pressione partigiana fu quella di rinforzare
i presidi locali, per poi indirizzare, le forze colà dislocate, in una
vasta azione di rastrellamento per cercare di eliminare il fenomeno del
ribellismo concentratosi in quella vallata. Vennero inoltre istituiti nuovi presidi a Gombola e
a Palagano. In quest'ultima località, arrivò un reparto della
GNR di circa un centinaio di uomini al Comando del Capitano Mori e del
S. Ten. Antonio Izzo. In un primo rastrellamento di quel centro vi fu
uno scambio di fucileria con i partigiani nascosti nelle montagne
circostanti e due di questi, scoperti mentre tentavano di fuggire,
vennero immediatamente passati per le armi.(10) "I
due risultavano renitenti e per di più furono trovati in possesso di
alcune bombe a mano. Vennero perciò immediatamente condannati alla
fucilazione, sulla base dell' art. 1 del decreto mussoliniano del 18
Febbraio."(11) GIOVEDI 9 MARZO 1944 Un piccolo reparto di militi della GNR, comandato
dal S. Ten. Izzo, mentre si stava spostando da Lama a Palagano, viene
attaccato da reparti partigiani che, bloccato l'autocarro ed
incendiatolo, eliminarono i militi fascisti dandosi immediatamente alla
macchia. Vennero uccisi: il sergente della GNR di ventuno
anni: ABBORRETTI MASSIMILIANO;(12)
i militi della GNR: GAIBA
MARIO,(13) PONZONI PAOLO,(14) BARBIERI
FEDERICO,(15) TOSATTI FEDERICO(16), CORONA EMANUELE(17, e l'allievo
Ufficiale dei Bersaglieri: GERLI
GIAN BATTISTA(18). In un successivo attacco portato dai partigiani ad
un autocarro dove assieme ai militi fascisti erano dei civili e dei
prigionieri partigiani, tra i quali Don Sante Bartolai, venne ucciso
l'ufficiale postale di Palagano, padre di quattro figli: RIOLI
GIUSEPPE.(18bis) Sempre nella zona, a Polinago resta ucciso il
soldato del 47° DMP: SECCHI
CORRADO(18tris) Molte pubblicazioni della storiografia
resistenziale descrivono questo fatto e portano parecchie
testimonianze(19); da parte fascista resta questo documento, che
riportiamo integralmente, a firma del S. Tenente, Izzo: "Relazione
sul fatto d'arme in cui trovarono la morte il Serg. Abborretti e i suoi
compagni. Il
mattino del 9 Marzo 1944, verso le ore 8, giungeva a Palagano il
Centurione Penso con una sessantina di legionari, montati su due
corriere, per proseguire poi, alle 8,30 per Boccasuolo, dove dovevano
compiere un azione contro un forte nucleo di sbandati. Alle
ore 14, provenienti da Boccasuolo, arrivarono le due corriere suddette
che, con la scorta di un solo legionario armato di moschetto e montato
sulla prima corriera, recavano a Montefiorino gli zaini dei legionari
impegnati nell'azione. Verso
le 14,45 una telefonata dal Comando del Presidio di Montefiorino, mi
avvertiva che, a 4Km circa da Palagano, sulla strada che porta a
Savoniero, si vedevano due macchine in fiamme. Dato
che il telefonare al mio Comandante diretto, Ten. Soriani, distaccato a
Lama Mocogno, avrebbe richiesto troppo tempo e non ero sicuro che il
fonogramma arrivasse a destinazione, chiesi ordini in proposito a
Montefiorino. Alle
ore 15, Montefiorino mi ripetè che sulla strada di Savoniero si
vedevano due automezzi bruciare e mi disse di inviare, al più presto,
qualcuno sul posto per constatare l'accaduto. Non
avevo alcun mezzo a disposizione per arrivare al più presto possibile
sul luogo indicato. Per
cui, quando alle 15,08, giunse da Lama Mocogno l'autocarro della GNR che
recava gli zaini dei mitraglieri aggregati al mio plotone, autocarro
scortato dal serg. Abborretti con 9 suoi mitraglieri. armati di una
mitragliatrice Breda 37, un mitra, moschetti e bombe a mano, ordinai di
scaricare in fretta gli zaini e di proseguire sulla strada per Savoniero,
per accertarsi dei motivi che potevano aver provocato l'incendio dei due
automezzi. Raccomandai inoltre al Serg. Abborretti di usare molta
attenzione perché a mio giudizio, si trattava certamente delle due
corriere incendiate da qualche gruppo di ribelli che probabilmente si
trovavano ancora sul posto. Il Serg. Abborretti ed i suoi uomini
dimostrarono di aver compreso il compito loro assegnato. Dopo
dieci minuti circa dalla partenza dell'autocarro da Palagano,
echeggiarono delle raffiche di mitragliatrice provenienti da Savoniero. Ero
all'oscuro di quello che effettivamente poteva essere accaduto, quando
alle ore 15,35, mi telefonarono che si vedeva in fiamme un terzo
automezzo. Pensai subito che fosse quello che trasportava Abborretti ed
i suoi uomini. Provvidi ad inviare altri 7 uomini, con un fucile
mitragliatore servendomi di un camioncino, requisito nel frattempo in
paese, ma detto camioncino, a due chilometri circa da Palagano, si fermò
per mancanza di benzina. Gli uomini, al comando del Sergente Silingardi,
rientrarono a piedi. Decisi di partire io personalmente con detti
uomini, ma a due chilometri circa da Palagano, incontrai il granatiere
Longari, che ritornava da Montefiorino dove si era recato al mattino,
autorizzato da mè per prendere i suoi indumenti civili. Costui mi disse
che le forze dei ribelli erano preponderanti, per cui ritenni opportuno
ritornare indietro e chiedere rinforzi. Intanto mi accorsi che il
bersagliere Gerli e gli alpini Grosoli e Ferrari, a mia insaputa,
avevano raggiunto il luogo dell'imboscata sull'autocarro del Sergente
Abborretti. I
rinforzi arrivarono alle ore 20,30, cinque minuti dopo che i ribelli
avevano iniziato il loro attacco contro il Presidio di Palagano, attacco
che fu in breve respinto. I
rinforzi costituiti da una parte del Plotone Armi di accompagnamento con
due mortai e da quindici agenti della questura col Cap. Mori e il S.Ten.
Corradini, non poterono recarsi sul posto, sia per l'attacco in corso
sia per le tenebre sopraggiunte da un pezzo e per l'ignoranza circa la
conformazione del terreno. Al mattino seguente 10 Marzo, il mio plotone
rinforzato dal plotone del S.Ten. Finucci, arrivato alle ore 10 e dai
quindici agenti della questura con il Cap. Mori, si recò sul posto.
Rinvenimmo colà le salme del Serg. Abboretti, del Bersagliere Gerli,
del granatiere Gaiba e del legionario Ponzoni Paolo autista
dell'autocarro. I particolari sullo svolgimento dell'imboscata possono
fornirli il granatiere Murino, il granatiere Raimondi, o il cap. magg.
Simonini, scampati all'eccidio o qualcuno dei feriti degenti
all'ospedale.
F.to
s.Ten. Antonio Izzo(20) VENERDI 10 MARZO 1944 Per un incidente stradale, non meglio
precisato, muore il milite della GNR di San Prospero: MONTANARI
MANFREDO.(21) Sulla mancata manifestazione di forza e di
preparazione all'insurrezione antifascista, organizzata dal CLN
clandestino attraverso una serie di scioperi nell'Italia del Nord, così
scrisse Mussolini nella "Corrispondenza Repubblicana " n.41,
pubblicata in questo giorno sul quotidiano locale, dal titolo: "Un
metodo uno stile": “I
Biografi attribuiscono al Principe
Ottone di Bismark una frase di questo genere: -" Non si
dicono mai tante bugie come prima di un elezione, come durante la
guerra, come dopo la caccia." - Non vi è uomo che, nel cerchio
stesso delle sue personali esperienze, non possa confermare l'opinione
del grande prussiano il quale dimostrava di possedere, fra le molte
altre virtù anche una precisa conoscenza dei suoi contemporanei. Il
candidato che nell'epoca malfamata dei ludi cartacei si presentava al
"colto e all'inclita" era costretto a mentire poichè doveva
promettere mari e monti onde carpire i suffragi dell'ingenuo armento
elettorale. Dopo una caccia, il fedele di S. Uberto, racconta
strabilianti avventure, specie se torna col carniere vuoto. Durante
una guerra poi, le bugie anche sotto la forma attenuata della reticenza
sono un fatto che accompagna le operazioni belliche, come le "impedimenta".
Deve essere stato sempre così. Un proverbio milanese dice infatti: -
Tempo di guerra più balle che terra. - Nella conflagrazione attuale,
l'esercizio della bugia ha raggiunto vette sino ad oggi impensabili,
giovandosi per la propagazione, degli strumenti che la scienza moderna
ha messo a disposizione dei mentitori, i quali per coprire il loro
inverecondo rossore, chiamano tutto ciò propaganda e guerra dei nervi.
Nessun uomo raziocinante può sollevare dubbi quando si afferma che in
fatto di bugia gli anglosassoni hanno perduto anche quell'ultimo residuo
di pudore che autentici criminali di razza conservano ancora. Londra
ha battuto qualsiasi primato passato e, forse futuro. Parafrasando
Giordano Bruno con una leggera modificazione si può dire che quello di
Londra è "lo spaccio della menzogna trionfante". Cioè è la
menzogna che trionfa, apertamente, su tutte le altre considerazioni, ma
non sulla verità perchè, la verità è invincibile e finisce, alla
lunga, per illuminare gli uomini e il mondo. Qualcuno
potrebbe a questo punto domandarsi senza ironia: che gli angloamericani
siano dei mentitori ammettiamo; ma - posti in riga gli uni e gli altri -
chi è in grado di scagliare la prima pietra? Rispondono
i fatti. E' cronaca di ieri. I gruppi e gruppetti clandestini italiani
al soldo delle centrali nemiche e manovrati dai bolscevichi hanno nei
giorni scorsi cercato di provocare uno sciopero generale, che da
"bianco" doveva diventare "rosso", da
"pacifico" "insurrezzionale" e doveva impegnare
tutto il cosidetto proletariato italiano. Le
cose sono andate in modo completamente diverso. Le radio nemiche hanno
diffuso bugie su bugie, invenzioni su invenzioni, ma stà di fatto che
lo sciopero stesso è stato un fiasco solennissimo e, potrebbe dirsi
decisivo. Un comunicato del Ministero dell'Interno ha ristabilito la
realtà della situazione, con una precisione di dati che non può non
avere favorevolmente impressionato il pubblico italiano, mentre ha
sgonfiato le vesciche della propaganda nemica. Si poteva tacere. No. Si
doveva edulcorare la verità? Nemmeno. Questo è il nostro stile. Ne
consegue che non sei milioni di operai hanno scioperato, ma appena
208.000 il chè prova che le masse se ne sono infischiate degli ordini
ricevuti, ed hanno dimostrato di possedere la coscienza dei doveri
dell'ora: che lo sciopero, soltanto a Milano, è durato quattro giorni e
solo in alcuni stabilimenti mentre in altre località è durato poche
ore o addirittura pochi minuti: che dove i cosidetti scioperanti furono
500, tale cifra fù data, e del pari non fù nascosto dove furono
100mila. Le
radio nemiche hanno parlato di battaglie, di scontri con carri armati,
di sabotaggio, mentre il comunicato ha detto la verità affermando che
nulla di tutto ciò è avvenuto. Milioni
di cittadini delle diverse città italiane, gli stessi scioperanti ed i
loro capi nel loro intimo, hanno dovuto riconoscere che il comunicato
ministeriale non inventava, ma fotografava gli eventi. No. L'esercizio
della bugia sembra, ma non è redditizio anche se si vuole - e ci
ripugna - spostare un problema nel terreno puramente morale a quello
della semplice utilità. Se gli uomini della Repubblica Sociale Italiana
vogliono realizzare una profonda e duratura riforma del costume e del
carattere, devono dire la verità; farne la formula orientatrice a tutta
la vita sindacale e collettiva. Se
voi dite la verità quando è penosa voi sarete creduti quando la verità
sarà lieta. Se voi avete il coraggio di annunciare una disfatta,
nessuno solleverà dubbi quando annunciate una vittoria. La menzogna è
uno strumento di corruzione, la verità un arma per l'educazione dei
popoli alla virilità dei pensieri e delle opere. Qualcuno
potrà infine obbiettare che la "verità" detta in ogni caso
può fornire argomenti alla speculazione nemica. Non lo si esclude. Ma
di gran lunga superiore sarà la speculazione del nemico sulla menzogna.
Da qualunque lato si esamini la questione, anche in rapporto alla
contingenza, la nostra tesi è inevitabile. E' in conseguenza di queste
premesse che il Ministero dell' Interno ha diramato il suo comunicato
contenente notizie esatte sul recente tentativo, con cui i bolscevichi
si ripromettevano di porgere un aiuto sostanziale al nemico. Il quale,
ora, sà attraverso inconfutabili dati che tale aiuto è completamente
mancato. Si
può aggiungere che un eventuale ripetizione condurrebbe immancabilmente
allo stesso risultato."(22) SABATO 11 MARZO 1944 A Gaiato di Pavullo, i partigiani, pare
componenti delle "bande" di Armando(23), uccidono il
bracciante di ventiquattro anni: LUCCHI
FRANCESCO(24), la sua salma venne ritrovata sulla strada comunale,
in località Borra Niviano. Con molte probabilità, questo fatto,
potrebbe essere collocato al 26 Marzo, relativamente all'imboscata dove
vennero uccisi sei militi fascisti ed un civile.(vedi) Presso l'Istituto di Cultura fascista di Modena,
viene ricordata, nell'anniversario della morte del grande pensatore del
Risorgimento, la figura di Giuseppe Mazzini. DOMENICA 12 MARZO 1944 Nella zona di Guiglia e precisamente in
località Pieve di Trebbio, reparti tedeschi e fascisti si scontrano con
formazioni partigiane guidate da Leonida Patrignani(25) il quale aveva
l'incarico di organizzare i gruppi ribelli in quelle contrade. Al termine della messa domenicale, il gruppo di
partigiani bloccò il paese impedendo alla gente di rientrare alle
proprie case.(26) Dopo poco, pattuglie di militi della GNR e di tedeschi
provenienti da Guiglia, vennero a contatto con i "ribelli" nei
pressi di Casa Fontanazzi, all'inizio del paese ed ebbe inizio una fitta
sparatoria. Due militi: IGNOTI
(27), della GNR di
Bologna, rimasero sul terreno, altri due vennero feriti gravemente e
cinque lievemente. I partigiani, in quello scontro, dovettero lamentare
otto caduti.(28) Sull'altro versante dell’Appennino modenese altre
bande di "ribelli" commettono una serie di
"prelievi" ( o furti ? ): a Gubellino di Polinago venivano
asportati generi alimentari dall'abitazione di tale Egidio Turrini,
mentre a Ranocchio di Montese veniva svuotata la privativa di Ada
Andreoli.(29) Nella vicina frazione reggiana di Villa Minozzo,
Morsiano, un gruppo di circa trenta partigiani asporta, dall'ammasso
granario di quel piccolo centro, 11 q.li di grano e 80 Kg. di scandella,
caricando il tutto su 7 muli.(30) Nel centro Italia, la battaglia tra gli
schieramenti anglo-americani e italo-tedeschi infuria sulla testa di
ponte di Anzio, mentre perdura una relativa calma sul fronte di Cassino. LUNEDI 13 MARZO 1944 In seguito a ferite riportate in un incidente
mentre era in servizio di perlustrazione, colpo partito accidentalmente
dal fucile del capo pattuglia, muore l'agente di PS, dipendente della
Scuola di Polizia di Sassuolo: GIULIANI
RODOLFO(31). Sempre all'Ospedale di Sassuolo, muore il milite
della GNR di Correggio, che era rimasto gravemente ferito la notte
dell'11 Marzo in uno scontro con i partigiani all'altezza di Ponte Dolo:
VEZZALINI ALBERTO.(32) Nel capoluogo si sono svolte, in questa giornata,
all'interno della Cattedrale e con grande partecipazione di folla, con
la presenza di tutte le autorità cittadine, le esequie solenni delle
vittime fasciste cadute nell'imboscata di Palagano; ha celebrato la
funzione l'Arcivescovo di Modena, Mons. Cesare Boccoleri. MARTEDI 14 MARZO 1944 I gruppi partigiani delle formazioni "Barbolini",
sono in movimento nella zona della valle del Secchiello e mentre reparti
tedeschi e fascisti sono in perlustrazione sulla strada che porta da
Villa Minozzo in Val d'Asta, una pattuglia si scontra con i primi; non
si dovettero lamentare grosse perdite da entrambe le parti.(33) Nella zona di Palagano, nel frattempo, formazioni
partigiane attaccano una corriera che si recava a Savoniero, con a bordo
alcuni operai, per tentare di recuperare gli automezzi incendiati il
giorno 9 e dove rimasero uccisi i militi della GNR del Sergente
Abborretti, nell'imboscata partigiana. Mentre gli operai stavano
lavorando per il recupero dei mezzi, furono investiti da un lancio di
bombe a mano, che li costrinse a fuggire e a mettersi in salvo, mentre
anche il loro mezzo di trasporto, una corriera, veniva incendiata.(34) MERCOLEDI 15 MARZO 1944 I partigiani delle formazioni comandate da
Barbolini, dopo le scorribande nelle valli del Dragone e del Secchiello,
si trasferiscono nella zona di Ligonchio, nel vicino reggiano. In
seguito alla serie di attacchi e di imboscate a pattuglie repubblicane,
intervengono anche reparti tedeschi per cercare di porre un freno alle
continue incursioni partigiane. In una piccola frazione, Cerrè Sologno, a metà
strada tra Ligonchio e la Valle del Secchiello, si scontrano,
all'improvviso, i ribelli di Barbolini, con un reparto misto
italo-tedesco, composto da militi della 79° Legione della GNR di Reggio
Emilia e soldati tedeschi del Comando militare di Rubiera. Otto soldati
tedeschi e due militi fascisti di Reggio Emilia, caddero in quello
scontro. Anche i partigiani ebbero a subire sette morti.(35) GIOVEDI 16 MARZO 1944 Sul fronte di Nettuno, dove si coprono di gloria i
battaglioni della RSI, Nembo e Barbarigo, muore l'Allievo Ufficiale
della GNR, volontario del Battaglione Barbarigo della X° Flottiglia
MAS, nativo di Pievepelego, di ventitré anni: CORTESI
ENZO(36). I suoi conterranei, negli stessi giorni, si
combattevano tra fratelli sul fronte interno. I partigiani della
formazione di Nello, che tanti lutti ha provocato nella zona di
Montefiorino, attaccano una corriera che trasportava una decina di
militi che dalla Santona andavano in soccorso del presidio repubblicano
di Palagano, all'altezza di Molino del Grillo. Di fronte all'improvvisa imboscata partigiana, i
militi, anche in rapporto alle preponderanti forze avversarie, dovettero
arrendersi. Vennero immediatamente uccisi, con un colpo alla nuca(37),
il Tenente: FINUCCI GIUSEPPE(38),
e il caporal maggiore: MASI
GIUSEPPE(39). Uguale sorte toccò al soldato: MUZZARELLI
GEREMIA(40), la corriera, e fu la terza nel giro di pochi giorni,
venne data alle fiamme. Tutta la zona è sotto pressione per le continue
imboscate partigiane. Un ulteriore attacco contro un reparto di soldati
tedeschi e di militi della GNR venne portato sulla strada di Monchio
alle 11. "Verso
le ore 11 del 16 Marzo si spinsero sulla strada di Monchio alcuni
autocarri militari, che giunti a circa un chilometro dall'abitato di
Lama di Monchio, in località chiamata Croce di Cappello, dovettero
fermarsi.......Dagli automezzi furono scaricate armi e munizioni e una
lunga fila di soldati germanici e italiani, preceduti da un sidecar che
avanzava a fatica, si avviò in direzione di Monchio. A Lama gli
ufficiali che comandavano i soldati dell'esercito repubblicano, giunti
forse da Palagano, ebbero brevi colloqui con gli abitanti. Davano
l'impressione di affrontare molto a malincuore i rischi e le fatiche di
quel rastrellamento e sui loro volti erano evidenti i segni di una
grande inquietudine. Dissero di dover salire al Santuario di S. Giulia
per recuperare armi e munizioni e che speravano, per il bene di tutti (
e calcarono su queste ultime parole ), che i partigiani che sapevano
presenti nella zona, non li avrebbero disturbati.(41)" Ma dopo poco tempo i partigiani delle formazioni di
"Minghin", cominciarono a sparare sui tedeschi con un fuoco
rabbioso di mitragliatrice ; questi risposero con una mitragliatrice da
20mm., mentre reparti fascisti sparavano con un mortaio da Lama. Altre
formazioni partigiane, guidate da Leo Dignatici, intervennero in aiuto
dei primi; vennero uccisi in quello scontro, un Ufficiale e quattro
militari tedeschi.(42) VENERDI 17 MARZO 1944 La situazione nella zona di Montefiorino si
fa sempre più drammatica. I tedeschi, in seguito alle imboscate ed agli
agguati dove persero una ventina di uomini(43), richiamano in quella
zona dell’Appennino modenese, altre forze per cercare di contrastare
la pressante guerriglia delle bande partigiane che di giorno in giorno
assumevano sempre più virulenza. Anche esponenti del Partito Comunista
arrivano nella zona, da Modena, per cercare di fomentare ancor più la
guerriglia.(44) Intanto nella zona di Savoniero i tedeschi iniziano
un rastrellamento, arrestando tre uomini; ma improvvisamente i
partigiani aprono il fuoco da una posizione situata attorno alle case
della borgata Fontana, uccidendo un Ufficiale tedesco e ferendo altri
tre soldati,(45) Dopo un ripiegamento i tedeschi passano al
controattacco, ma verso sera, i "ribelli", "riuscirono
a sganciarsi, riguadagnando le alture che sovrastano la borgata di
Susano.(46)" Iniziano così le drammatiche ore dei martoriati
paesi, Monchio, Susano e Costrignano, che verranno brutalmente rasi al
suolo dalle formazioni della Divisione SS, Herman Goering, reduci dal
fronte di Cassino, e che si trovavano in quel periodo, nei dintorni di
Bologna, per un periodo di riposo. SABATO 18 MARZO 1944 Ulteriori truppe tedesche affluiscono nella
zona della Valle del Dragone. Si ha subito la sensazione che vogliano
fare un’operazione a vasto raggio e che siano pronti ad usare la mano
pesante. Subito all'alba, da tre cannoni posti nel Piazzale
della Rocca di Montefiorino, inizia il cannoneggiamento sulle frazioni
di Monchio, Susano e Costrignano.(47) "Nessuna
reazione da parte dei partigiani, allontanatisi nella notte o nascosti
lontano nei boschi. Del resto, anche se fossero rimasti in zona, sarebbe
stata impossibile qualsiasi resistenza."(48) La popolazione era estremamente preoccupata per
quello che era successo nei giorni precedenti e per il grosso movimento
di truppe tedesche che si andava verificando in quelle ore: "In
fondo, si pensava, i tedeschi si sarebbero comportati più o meno come i
fascisti che, nelle numerose e già ricordate puntate nelle borgate
della valle, si erano limitati a ricercare i veri ribelli o, tutt'al più,
a far man bassa delle provviste alimentari e a rastrellare degli uomini
che poi venivano messi regolarmente in libertà."(49) Molte case furono colpite dal bombardamento e
parecchie furono le vittime civili che rimasero sotto le macerie. Ma la
parte più tragica ed il più alto numero di morti lo si ebbe dopo che
le truppe tedesche, comandate dal Capitano Hartwig della Terza Divisione
paracadutisti, iniziarono il rastrellamento, uccidendo e saccheggiando
con estrema ferocia. Le varie frazioni della zona vennero messe
sistematicamente a ferro e fuoco e numerosi episodi di un’efferatezza
incredibile si verificarono nel giro di poche ore.(50) La furia tedesca si abbatté su tutto e tutti
compresi fascisti del luogo(51); uomini, donne e bambini vennero
falciati in modo disumano. Le vittime di quella tremenda rappresaglia
ammontarono a 130.(52) Fu quello il più feroce massacro effettuato dai
tedeschi in Italia, sino a quel giorno, e che anticipava di pochi giorni
quello delle Fosse Ardeatine a Roma. DOMENICA 19 MARZO 1944 In tutta la Valle, dopo lo spaventoso
eccidio, regna lo sbigottimento e il terrore. I superstiti, inebetiti
dal dolore e sconvolti per quanto era loro accaduto si aggiravano tra le
macerie delle case alla ricerca dei parenti e delle povere cose
distrutte. Il recupero delle vittime fu particolarmente penoso e
difficile e le salme dopo due giorni vennero inumate in fosse comuni.(53) LUNEDI 20 MARZO 1944 Anche le autorità fasciste , che si sono
recate sul posto, rimangono sconvolte per l'inutile massacro compiuto
dalle truppe tedesche; in una sua relazione, al Capo della Provincia,
Pier Luigi Pansera, così scriveva il Segretario fascista di
Montefiorino, Francesco Bocchi: "Nella
visita effettuata il 20 corrente ho potuto personalmente accertare che
le popolazioni colpite si presentano in un quadro della più completa
impressionante desolazione. Le case distrutte sono ridotte nella più
grande maggioranza in un cumulo di macerie sotto le quali è rimasto
bruciato tutto il mobilio, scorte di viveri, masserizie, risparmi in
contanti, attrezzi agricoli, bestiame bovino ecc. Molte altre famiglie,
poi, pur non avendo avuta la casa distrutta, hanno avuto invece
asportati tutti i viveri dai reparti operanti o transitanti.
L'accertamento di queste ultime è ancora in corso. (Molto probabilmente
questa frase è riferita alle vittime N.d.R.) Alcune persone sono
impazzite e molte altre fuggite da casa senza più dar notizie. Un
numero imprecisato di persone è stato condotto via dai tedeschi con
autocarri. Quasi tutte le mamme, per lo spavento provato, sono rimaste
senza latte per i loro bimbi poppanti. Tutti
i cadaveri fino ad ora accertati ed identificati risultano del posto ad
eccezione di due maestri elementari di Modena che insegnavano a
Costrignano, e sono stati trasportati nei cimiteri delle singole
frazioni in attesa degli adempimenti di competenza dell'autorità
giudiziaria. Essi verranno sepolti in fosse comuni per insufficienza di
area disponibile nei cimiteri. La popolazione è rimasta inebetita dalla
terrificante distruzione. I danni ammontano a parecchie decine di
milioni. L'ordine pubblico è completo e
nessuna traccia si è avuta di residui di ribelli. Il grosso di
essi risulta fuggito dal Monte S. Giulia la sera precedente le
operazioni."(54)" MARTEDI 21 MARZO 1944 Nei giorni successivi all'orrendo massacro,
le parti in lotta si scagliano invettive reciproche; mentre da parte
fascista si sosteneva che l'azione era stata portata contro i ribelli e
si addossava loro la responsabilità della spietata ritorsione tedesca,
il CLN diffondeva un volantino, che era stato stilato dal Presidente
Alessandro Coppi, del seguente tenore: "Operai,
contadini, intellettuali di Modena e Provincia! I fascisti cercano di
far credere che la montagna modenese è infestata da banditi prezzolati.
Menzogna! In montagna agiscono i Patrioti che si comportano da Patrioti.
Gente valorosa che si batte con indomito coraggio per liberare la Patria
dalla schiavitù del fascismo che si illude di rivivere grazie alle
baionette tedesche. Gente che dimostra coi fatti che il popolo italiano
non vuole saperne nè di fascisti nè di tedeschi. Gente disciplinata
che, pur professando diverse idee politiche, si trova unita e concorde
per combattere per la libertà. Gente che chiede e paga ciò che occorre
per vivere, comportandosi correttamente con la popolazione con la quale
vive ed opera. Le ricevute che essi rilasciano, quando non è loro
possibile pagare in contanti, sono pienamente garantite dal Comitato di
Liberazione Nazionale. I patrioti dunque nulla hanno a che vedere con
gli atti di banditismo compiuti da malviventi durante questi ultimi
mesi; anzi il noto bandito Fini è stato da essi passato per le armi.
Nessuno quindi si lasci impressionare dalla mendace propaganda fascista
che svisa i fatti e si guarda bene dal rendere note le sconfitte che i
Patrioti hanno fin qui inflitto alle cosiddette forze repubblicane.
Popolo modenese! i Patrioti che si battono con ammirevole valore, hanno
diritto di contare sull'appoggio affettivo, positivo, concreto di tutti
gli italiani amanti della libertà. Non sono essi, non siamo noi i
responsabili della guerra civile. Sono i fascisti che l'hanno voluta
scatenare nel tentativo pazzo, criminale e disperato di evitare la fine
che meritano. Ed essi sono tanto vili da mandare spesso a combattere
contro i patrioti dei giovani che sono anima della nostra anima, sangue
del nostro sangue. Sono tanto impotenti da sollecitare l'aiuto dei
tedeschi, i quali, non essendo riusciti ad aver ragione dei patrioti,
col cannone e col fuoco hanno distrutto alcuni villaggi nella zona di
Montefiorino, seminando freddamente la strage fra quelle inermi
popolazioni che contano decine e decine gli assassinati, compresi fra
questi donne e bambini trucidati con spietata ferocia. Ecco chi sono i
"300 ribelli caduti in combattimento" secondo l'impudente
propaganda fascista! chi sono dunque i banditi? Chi i terroristi? Chi i
senza legge? Chi i nemici della Patria? Modenesi! Stringiamo le file,
aiutiamo chi combatte, chi sanguina, chi soffre. Questo
è il dovere di tutti gli italiani. I patrioti combattono oggi per
abbreviare la durata della guerra, che ormai i tedeschi hanno perduta; e
saranno coloro che libereranno la popolazione dalle angherie e dalle
violenze tedesche. Il Comitato di Liberazione Nazionale."(55) La Federazione Fascista modenese, rispondeva con un
altro manifesto intitolato "Risposta ai Patrioti", dove, tra
l'altro, si diceva: "I
villaggi della zona di Montefiorino che i "patrioti" nel loro
manifestino affermano siano stati distrutti a cannonate e con i
lanciafiamme, si limitano invece a quei gruppi di case nelle quali i
ribelli si erano asserragliati e fortificati. Precisiamo che le donne e
i bambini che dicono "trucidati con spietata ferocia"
ammontano a 4 donne e a due bimbi trovati sotto le macerie di una casa
diroccata dal bombardamento nella quale un gruppo di ribelli si era
fortificato sparando con le mitragliatrici dalle finestre. Gli altri
morti sono realmente i ribelli caduti in combattimento o passati per le
armi perché sorpresi in possesso di fucili o mitragliatrici, e questi
elementi maschili delle popolazioni
locali che con essi avevano fatto causa comune. Questi, nella pur
dolorosa verità i fatti; al di fuori di essi non vi è speculazione
faziosa e menzogna senza nome."(56) MERCOLEDI 22 MARZO 1944 Continuano, intanto, nella zona della valle
del Panaro, gli "approvvigionamenti" delle formazioni
partigiane ai danni delle popolazioni di quelle contrade. A Castagneto
di Pavullo viene "visitato" tale Alfredo Casini; a Selva di
Serramazzoni è la volta di Umberto Zanoli; a Roncoscaglia di Sestola
provvede agli "aiuti", l'agricoltore Pietro Bernardini; a
Monzone di Pavullo venne prelevata merce di proprietà del Dott. Luigi
Emiliani; a Olina di Pavullo le bande partigiane andarono a cercare
"collaborazione", presso l'agricoltore Carlo Grandi, nella
rivendita di tabacchi di Bruno Barattini e dal Parroco, Don Agostino
Giannelli.(57) GIOVEDI 23 MARZO 1944 Sulla Via Giardini, all'altezza del Mulino
della Rosta, ove attualmente sorge il complesso Direzionale Zeta, una
pattuglia partigiana compie un attentato contro il Colonnello Costantino
Rossi, Comandante Militare Provinciale
della GNR, che transitava in auto diretto verso la sua abitazione.
L'attentato fallisce e nello scontro che seguì rimase ucciso il
partigiano Walter Tabacchi al quale venne poi intitolata una brigata dei
Gap.(58) In questa storia della guerra civile in Provincia
di Modena potrebbe sembrare fuori posto parlare di un avvenimento
accaduto a Roma: Ma il fatto ha assunto tale forza emblematica, per
tutta la storia della resistenza in Italia, che un riferimento seppur
breve e limitato è doveroso, se non essenziale, e per il collegamento
con i fatti del modenese di Monchio, Susano e Costrignano e anche perché,
di tale episodio si conosce solamente la parte conclusiva e più
tragica, cioè la fucilazione, da parte dei tedeschi, di 335 ostaggi
italiani, alle Fosse Ardeatine.(59) Di rado si parla dell'antefatto e di
quello che attorno ad esso si è verificato. Nella zona di Roma, già dai primi di Gennaio, si
erano verificati parecchi attentati gappisti a truppe tedesche e ad
isolati militari fascisti, molti furono gli uccisi. Da parte della
polizia tedesca e fascista vi fu un’immediata risposta con l'arresto
di esponenti antifascisti, in maggioranza del partito d'azione, Da
queste retate riuscirono a sfuggire molti marxisti ed altri antifascisti
di varia estrazione politica che, subito dopo l'8 Settembre, riuscirono
a rifugiarsi nella città del Vaticano. Lo stillicidio di attentati
continuò, per culminare in quello di Via Rasella. Questo era stato
particolarmente studiato e venne eseguito, se così si può dire, alla
perfezione, da dieci partigiani tra i quali, Carlo Salinari, Alfio
Marchini, Franco Calamandrei e dai due decorati, in seguito, al valor
militare, Carla Capponi e Rosario Bentivegna. L'ordine venne dato da
Giorgio Amendola, eletto, per varie legislature al Parlamento, per il
Partito Comunista Italiano.(60) Obbiettivo dell'attentato fu una colonna di anziani
soldati altoatesini (già appartenenti all'esercito italiano e
incorporati nell'esercito tedesco all'8 Settembre ) che facevano parte
della "Sudtiroler polizei" ed erano normalmente disposti alla
guardia dei Comandi germanici e in altri uffici pubblici. Non avevano
mai svolto azioni di guerra e tantomeno di controguerriglia e passavano
abitudinariamente per quella strada, nel centro di Roma, tutti i giorni. I gappisti, appostati in attesa del loro transito,
spinsero un carretto della spazzatura, carico di esplosivo, giù per la
discesa di Via Rasella, indirizzandolo contro la colonna che risaliva la
strada; vi fu un tremendo boato e trentatre di quei militi altoatesini
vi lasciarono la vita assieme a due civili italiani, uno era un bambino,
che transitavano per la via. I tedeschi, inferociti, pretendevano che si
presentassero gli autori di quel massacro; ma nessuno cercò di evitare
la terribile rappresaglia che i nazisti promettevano e che, in breve
tempo attuarono, svuotando le carceri di Regina Coeli, in una località
vicina a Roma chiamata Fosse Ardeatine. Trecento trentacinque furono gli
italiani massacrati dalla rabbiosa reazione tedesca(61). Molto è stato
scritto su questa spietata rappresaglia, ma di questa immensa tragedia,
come per altre analoghe, si dovrebbero delimitare meglio i contorni (e
non per cercare di dare una giustificazione a quelle che sono state
certamente rappresaglie feroci e addirittura controproducenti per i
fascisti e per l'Italia tutta e di cui i tedeschi ne porteranno la
tragica responsabilità per sempre) cercando di evidenziare le
gravissime responsabilità dei comunisti, autori dell'attentato, che ben
sapevano di scatenare una tremenda rappresaglia, anzi, ricercavano in
realtà proprio questa, onde scavare il fossato di odio tra italiani e
tedeschi. Nel 1981, per iniziativa della Sudtirolen
Wolkspartei, in una commemorazione delle vittime dell'attentato
partigiano, l'ex senatore di quel partito, Fried Volger, così si
espresse: "Per
i folli fanatici che nella città eterna, senza alcuna necessità, hanno
provocato un bagno di sangue in una compagnia di innocui poliziotti ci
sono state medaglie d'oro e posti in parlamento"; il senatore così proseguiva in un’intervista
apparsa su di un quotidiano italiano: "Dopo
via Rasella i partigiani, almeno uno degli autori dell'attentato,
dovevano consegnarsi per evitare una strage certa.....In altre analoghe
circostanze, anche in Italia, è quanto hanno fatto carabinieri e
sacerdoti per evitare stragi... l'attentato di Via Rasella è stato
fatto senza necessità strategica perchè non cambiava nulla in quella
situazione. E' stato un attentato folle." Ma la strategia comunista era appunto quella di
scatenare la rappresaglia, ben sapendo che questa, oltre a sollevare
l'indignazione degli italiani e ad aumentare di conseguenza l'odio nei
confronti del tedesco e del suo alleato fascista, avrebbe anche colpito
molti antifascisti detenuti che erano in netto contrasto con le
formazioni comuniste sul modo di condurre la lotta, sulla collocazione
ideologica e sulle alleanze da privilegiare.(62) Questa tattica, attuata
durante tutto il periodo della guerra civile, ma che era già stata
sperimentata e collaudata durante la rivoluzione bolscevica in Russia,
nella guerra civile spagnola e in tante altre parti del mondo dove la
penetrazione dell'internazionale rossa ha creato sanguinose guerriglie,
in conclusione non ha portato a quei risultati programmati di conquista
del potere, ma è servita solamente a creare una sequela interminabile
di lutti e di rovine morali e materiali ed una spirale di odio dalla
quale, anche a distanza di sessanta anni, non ne siamo ancora usciti. Va inoltre sottolineata, in questa circostanza,
l'ipocrisia di chi condanna la ferocia e la violenza quando vengono
usate dagli altri, mentre la predicava o la predica ancor oggi, la
esalta, la esercita e la giustifica quando la usa per se. Altro elemento da non tralasciare, nell'analisi di
quella tremenda rappresaglia, è la valutazione data dagli ambienti
Vaticani(63): l'iniziativa dei gap romani è sempre stata criticata e
quell'attentato venne definito un "colpo serio" alla strategia
di Pio XII° per tenere Roma lontana dalle atrocità del conflitto,
avendo dichiarato la capitale "città aperta".(64)
L'attentato, tra l'altro, venne effettuato all'insaputa del comando del
Comitato di Liberazione Nazionale, il quale conveniva, come Pio XII°,
che non serviva a nulla gettare Roma nella mischia. A Modena, in questa giornata, a Palazzo Littorio in
Corso E. Muti, in occasione della cerimonia per il XXVle della
fondazione dei Fasci di combattimento, vi fu una grande manifestazione a
cui presero parte tutte le autorità fasciste modenesi; l'ex Direttore
della Gazzetta dell'Emilia, Cacciari, tenne un applaudito discorso. VENERDI 24 MARZO 1944 Siamo ancora nei primi mesi della guerra civile, ma
i partigiani comunisti delle formazioni Garibaldi sono ben determinati
nel condurre una lotta spietata, inesorabile e senza esclusione di colpi
contro l'odiato nemico fascista, tanto da formulare un progetto di
decreto che sarebbe dovuto essere presentato al "Governo di
Liberazione Nazionale" e che venne stampato in un manifesto, di cui
riportiamo per intero il testo: "Contro
i traditori fascisti, contro chi collabora con i tedeschi e con i
fascisti. I
Distaccamenti e le brigate d'assalto Garibaldi, che conducono una lotta
a morte contro gli occupanti tedeschi e i suoi alleati fascisti, per
assicurare all'Italia la libertà e l'indipendenza nazionale, che si
costituirà tra breve, come segno della volontà del popolo di scacciare
dall'Italia ogni residuo nazista e fascista, il seguente progetto di DECRETO Articolo
1 - tutti gli appartenenti al Partito Fascista Repubblicano, alla
Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale del cosidetto Governo fascista
repubblicano o a qualsiasi altra organizzazione fascista, per il
semplice fatto di questa appartenenza, come anche tutti quelli che, dopo
la dichiarazione di guerra dell'Italia alla Germania, abbiano
collaborato nel campo militare, economico, amministrativo col nemico
nazista e fascista, SONO DICHIARATI TRADITORI E NEMICI DELLA PATRIA.
Essi sono perciò privi di diritti civili, dichiarati decaduti da ogni
diritto a pensioni e sussidi licenziati da ogni impiego nelle
amministrazioni pubbliche e statali ed esclusi per sempre dalla
possibilità di concorrere a detti impieghi. Articolo
2 - tutti gli indicati nell'art. precedente che nelle organizzazioni del
Partito Fascista Repubblicano o nell'opera di collaborazione con i
tedeschi abbiano dimostrato particolare iniziativa, o comunque abbiano
svolto opera di direzione, sono condannati a morte e tutti i loro beni
mobili ed immobili sono confiscati a favore dei caduti e dei combattenti
per la liberazione e l'indipendenza nazionale. Articolo
3 - Una deroga all'applicazione degli articoli precedenti è ammessa
solo a favore di chi, trovandosi per cause di forza maggiore in enti
costretti alla collaborazione col nemico (forze armate, polizia,
amministrazioni pubbliche e private, imprese ecc.) possa provare, con
dati concreti, non solo di non essersi macchiato mai di atti di
tradimento a danno di patrioti e della causa di liberazione nazionale,
ma di aver condotto dal posto occupato, un attiva opera di sabotaggio
dei piani e delle forze del nemico nazista e fascista e aiutato, secondo
le possibilità, la lotta partigiana in seno allo stesso esercito
fascista e, in particolare, provvedendo alla soppressione di dirigenti e
di ufficiali fascisti; avvertendo, se poliziotto, i patrioti minacciati
d'arresto, aiutando a fuggire gli arrestati e sopprimendo commissari e
agenti fascisti; sabotando la produzione bellica tedesca, le
requisizioni, la riscossione delle tasse, delle imposte ecc. Articolo
4 - Tutti i criminali contemplati in questo decreto sono di competenza
dei tribunali del popolo da nominarsi nei territori liberati
dall'occupazione tedesca. Nei territori ancora sotto il tallone nazista
e fascista, le forze armate patriottiche e i partigiani, in primo luogo,
sono incaricati dell'applicazione, senza nessuna formalità, dell'art.2
del seguente decreto, provvedendo alla soppressione del nemico della
patria, alla distruzione dei loro beni che non si possono sequestrare e
mettere a disposizione della lotta partigiana. E'
evidente che fin d'oggi i distaccamenti e le brigate d'assalto Garibaldi
prendono a base della lotta contro i tedeschi e contro i fascisti le
disposizioni contenute nel proposto decreto."(65) A prescindere dalla forma e dal contenuto di questo
scomposto invito alla delazione, all'omicidio, al sequestro
indiscriminato di beni, resta da sottolineare come le formazioni
comuniste abbiano eseguito perfettamente gli ordini, sia durante
la fase della guerra, sia al termine della stessa, andando anche
oltre, attraverso le esecuzioni sommarie, con le farse dei processi dei
cosiddetti tribunali del popolo, con le epurazioni indiscriminate, in
conclusione con una persecuzione programmata sino alla eliminazione
completa dell'avversario e delle sue famiglie. A Albareto vicino a Modena veniva ucciso
l'agricoltore MALAGOLI UMBERTO
(65bis) SABATO 25 MARZO 1944 L'avvio della guerra civile nella bassa
modenese, malgrado buona parte della storiografia partigiana cerchi di
datarlo in periodi antecedenti, viene collocato realisticamente con
l'assassinio del vice reggente del Fascio Repubblicano di Carpi, al
giorno 26 Marzo. Difatti: "E'
da escludere, che nell'inverno 1943-44 si siano verificati degli atti di
sabotaggio nella "Bassa" modenese: prima di tutto perché
nessuna notizia di essi troviamo nella stampa fascista, che pure,
proprio in quel periodo, si diffondeva ampiamente nel riferire le più
semplici operazioni di approvvigionamento compiute dai partigiani in
montagna; in secondo luogo, perché i tedeschi, che sarebbero stati
gravemente danneggiati dagli atti di sabotaggio, avrebbero certamente
reagito con rappresaglie."(66) DOMENICA 26 MARZO 1944 Le nuove formule del Fascismo Repubblicano
stanno facendo presa su larghi strati della popolazione anche nel
modenese; i comunisti malsopportano che la RSI abbia una impostazione
così avanzata verso la classe lavoratrice, pertanto si scagliano con
rabbia contro gli uomini che si sono messi in evidenza, incrementando
gli attentati terroristici contro fascisti isolati e facili bersaglio
per gli agguati, spostando così la lotta su di un piano fatto di
assassinii e di rappresaglie che, in breve tempo, porterà il confronto
tra le due fazioni, anche nella pianura modenese a limiti incredibili di
uccisioni, da entrambe le parti. A Carpi, dopo l'assassinio del brigadiere della GNR,
Ternelli, avvenuto il 3 Marzo, viene messo a segno dai partigiani un
altro attentato. Mentre stava vendendo dei biglietti all'ingresso del
Cinema Lux, viene ucciso, da una serie di centrati colpi di pistola, il
vice reggente del Fascio carpigiano, padre di tre figli: LEONARDI
VINCENZO.(67) In questo modo la storiografia partigiana inquadra
l' omicidio: "Questo
nuovo fascismo ha qualche pretesa demagogica "sociale" e, quà
e là i nuovi dirigenti vorrebbero distinguersi (più che altro per non
condividere con loro il potere) dai vecchi gerarchi, ma la sostanziale
continuità (se e quando un cambiamento c'è, è in peggio) è data
dagli interessi che servono, dalle caste di cui sono esponenti.... A
Carpi quelle caste hanno affidato la reggenza del fascio al vice
direttore della Marelli, Carlo Alberto Ferraris, vice reggente l'ex
carabiniere (augusto) Leonardi....Diventa perciò uno dei doveri del
movimento di liberazione, quello di giustiziare questi oppressori e
persecutori in quanto tali e in quanto sono i più fanatici
collaboratori dell'occupazione, colonne del sistema terroristico e
depredatorio di occupazione. La serie sarà lunga. A Carpi comincia nel
Marzo 1944."(68) Se nella pianura modenese la guerra civile sta
avviandosi con attentati del tipo che abbiamo preso in esame, in
montagna ha già raggiunto l'apice con la lunga serie di attentati a
tedeschi, fascisti e civili. Le formazioni partigiane riprendono i loro
agguati in altre zone, spostandosi dalle valli del Secchia a quelle del
Panaro. In questa prima Domenica di primavera, una pattuglia di militi
fascisti viene attirata in una imboscata, da una formazione di
"ribelli" guidata dal capo partigiano "Armando".
Vengono uccisi: il Tenente della GNR nativo di Sestola: BOLDRINI
OTELLO,(70) il medico di Pavullo di trentadue anni: ROMANI
ANTONIO,(71) e CINQUE IGNOTI MILITI(72), giovanissimi volontari dai
sedici ai diciotto anni, nativi di Tripoli. Rimase seriamente ferito
anche il maresciallo della GNR, Bonanno, ed un altro milite perdette un
occhio. Sulla stampa dell'epoca venne data questa versione
dei fatti: "La
mattina del 26 corrente numerosi delinquenti si portavano in vicinanza
di Sassoguidano, frazione del Comune di Pavullo e armati di fucili,
moschetti, mitragliatrici e bombe a mano, aggredivano un autocarro
militare nel quale si trovavano un sottotenente e cinque militi, tutti
distaccati per servizio a Pavullo. Erano pure con essi un maresciallo
maggiore dei carabinieri e un carabiniere, appartenenti al distaccamento
della GNR di Pavullo e il Dott. Antonio Romani fu Sante di anni 32 da
Pavullo. L'autocarro era diretto in località Gaianello per accertamenti
giudiziari inerenti ad un cadavere rinvenuto nel mattino sulla strada
comunale identificato poi per un milite appartenente al Centro di
addestramento distaccato a Montecenere di Lama Mocogno. Fatti segno ad
improvviso tiro di mitraglia e lancio di bombe a mano rimanevano uccisi
il sottotenente e quattro militi. Il maresciallo, il carabiniere e il
Dott. Romani venivano trasportati all'Ospedale Civile di Pavullo. Un
altro milite rimaneva leggermente ferito."(73) L'imboscata era stata ben preordinata da
"Armando", il quale, la notte precedente, aveva inviato un
gruppo di suoi partigiani in una cascina dove abitavano due belle
ragazze, amiche di due ragazzi fascisti che di solito si recavano a
trovarle. Il gruppo di partigiani catturò i due, uno venne ucciso,
l'altro lasciato libero dopo una notte d'interrogatorio. Il suo cadavere
venne poi abbandonato sul ciglio della strada, per preparare l'imboscata
a chi doveva andare a fare il sopralluogo.(74) "Era
giorno di fiera a Pavullo ed eravamo certi che di lì a poco qualcuno
avrebbe dato l'allarme e i brigatisti neri sarebbero venuti sul posto.
Avvenne appunto così ; ci appostammo nelle vicinanze del bosco,
nascosti dietro un cumulo di pietre e quando scorgemmo il polverone
sollevato dal camion che soppragiungeva, ci preparammo ad accoglierlo."(75) Seguirono il lancio di bombe a mano che bloccarono
l'autocarro ed un nutrito fuoco di mitragliatori che fecero scempio dei
militi a bordo del mezzo. In un altra testimonianza partigiana si racconta
che i fascisti, per vendicarsi, arrestarono i genitori di Armando: "Ma
anche in questa circostanza i rapporti stabiliti precedentemente tra i
partigiani e i carabinieri si rivelarono assai proficui e, dopo un pò
di tempo la cosa si risolse nel migliore dei modi."(76) LUNEDI 27 MARZO 1944 Gli Ufficiali ed i graduati dei reparti
dell'Esercito Repubblicano di stanza nel modenese avevano grosse
responsabilità in momenti così delicati; difficile era il compito di
trattenere la rabbia dei militari in divisa che erano sempre più,
facile bersaglio degli agguati partigiani. Spesso si verificarono
ribellioni non facili da domarsi, anche perché, molti giovani vedevano
massacrare amici e parenti nelle imboscate tese dai ribelli e non negli
scontri diretti o in aperte battaglie campali che raramente si
verificarono nel nostro territorio. MARTEDI 28 MARZO 1944 Si svolgono a Carpi i funerali del vice
reggente del PFR, Leonardi, ucciso il giorno 26; vennero tenuti chiusi
tutti i locali pubblici e venne promessa una grossa somma a chi avesse
fornito indicazioni sugli autori dell'omicidio.(71) MERCOLEDI 29 MARZO 1944 L'Arcivescovo di Modena si reca in Prefettura
per una visita ufficiale al Capo della Provincia; il giorno successivo
verrà diramato un comunicato che così si esprimeva: "S.E.
l'Arcivescovo di Modena e Abate di Nonantola si è recato ieri mattina
al Palazzo del Governo accompagnato dal Vicario generale della Curia in
visita ufficiale al Capo della Provincia. Mons. Boccoleri si è a lungo
e molto cordialmente intrattenuto con il Console Pier Luigi Pansera, al
quale ha portato l'espressione dei nobili sentimenti di italianità che
animano il clero della nostra Diocesi. Durante il corso del colloquio il
Capo della Provincia e l'alto Prelato hanno serenamente esaminato con
largo spirito di mutua comprensione i vari problemi che interessano le
gerarchie politiche e religiose della provincia, auspicando infine
quella vittoria delle nostre armi che è la sola garanzia di salvezza
anche per la religione, insostituibile nutrimento spirituale del nostro
popolo profondamente patriottico e cattolico."(78) GIOVEDI 30 MARZO 1944 A Castelfranco Emilia, per rappresaglia agli
agguati ed alle imboscate contro le truppe tedesche e fasciste, vengono
fucilati dieci giovanissimi partigiani di Renno di Pavullo che erano
trattenuti in quelle carceri.(79) VENERDI 31 MARZO 1944 Nelle zone dell’Appennino modenese della
Valle del Secchia, si concludono le operazioni di rastrellamento contro
le formazioni ribelli ed il grosso delle forze che vi avevano
partecipato rientra alle proprie basi, lasciando nei piccoli paesi
solamente piccoli nuclei a presidiare quelle zone che, di lì a breve
tempo si torneranno a popolare dei vecchi e nuovi partigiani che verso
la fine della primavera aumenteranno di numero sull'onda dei successi
ottenuti dalle truppe anglo-americane sul territorio italiano. NOTE 1
cfr. Gazzetta dell'Emilia del 4.3.44 2
cfr. ESGC.Mo 3
cfr. E. Gorrieri: "La Repubblica di Montefiorino" pag.
139; 4
cfr. Gazzetta dell'Emilia del 5 Marzo 44 5
cfr. P. Alberghi: "Attila sull'appennino" pag. 96 6
cfr. G. Pisanò: "Gli ultimi in grigioverde" Vol. 3°
pag. 1815, elenco caduti della GNR. 7
cfr. Gazzetta dell'Emilia del 7.3.44. 8
cfr. F. Borghi: "L'an n'era menga giosta" pag. 263 e
Gazzetta dell'Emilia del 7.3.44 9
ibidem 10
si trattava dei due partigiani, Amelio Aravecchia e Dante
Schiavoni; cfr. anche testimonianza di Don Sante Bartolai in ISR n. 5
pag. 79. 11
cfr. P. Alberghi op. cit. pag. 101. 12
cfr. Lettera del Comune di Medolla del 16.1.1956, alla Ass.
Cad.Rsi. 13
cfr. Gazzetta dell'Emilia del 14 Marzo 1944 14
ibidem e in elenco caduti RSI, inumati nell'ossario di San
Cataldo. 15
ibidem 16
ibidem 17
ibidem 18
ibidem. 18bis
Questo nominativo trovasi inserito in un elenco dei caduti della
resistenza modenese in rassegna ISR n. 3 pag. 7. 18tris
cfr. "Martirologio" pag. 89 19
cfr. E. Gorrieri, P. Alberghi, op.cit 20
dattiloscritto in Archivio Caduti RSI. 21
cfr. Elenco caduti RSI n. 507. 22
cfr. Gazzetta dell'Emilia del 11 Marzo 1944. 23
cfr. E. Gorrieri, op. cit. pag. 151. 24
cfr. lettera del Comune di Pavullo in data 16.2.1956 prot. 1261;
elenco caduti RSI n. 431. 25
Comandante partigiano, azionista. 26
cfr. E. Gorrieri, op. cit. pag. 153. 27
cfr. Gazzetta dell'Emilia del 14 Marzo 1944. 28
I caduti partigiani in quel combattimento furono: Bruno Belloi,
Alcide Borsari, Enrico Brandoli, Ottavio Ferrari, Carlo Fiandri, Dino
Lugli, Bruno Parmeggiani e Sovente Sabbatini. In E. Gorrieri, op. cit.
pag. 153. 29
cfr. Gazzetta dell'Emilia del 14 Marzo 30
cfr. P. Alberghi, op. cit. pag. 98. 31
cfr. lettera del Dott. Comini, accertante le cause della morte,
in Arch. Ass. Cad. RSI. 32
cfr. P. Alberghi, op. cit. pag. 98. 33
ibidem 34
cfr. Gazzetta dell'Emilia del 14 Marzo 1944. 35
cfr. P. Alberghi, op. cit. pag. 111. 36
cfr. elenco caduti RSI n. 243. 37
cfr. P. Alberghi, op. cit. pag. 112. 38
ibidem 39
ibidem 40
ibidem; per questi caduti anche in elenco caduti RSI. 41
cfr. P. Alberghi, op. cit. pag. 113. 42
ibidem 43
ibidem pag.120 44
ibidem pag. 118; dichiarazione di Leo Dignatici. 45
ibidem pag. 119 46
ibidem 47
cfr. G. Silingardi: "I giorni del fascismo e
dell'antifascismo" pag. 168. 48
cfr. E. Gorrieri, op. cit. pag. 170 49
cfr. P. Alberghi, op. cit. pag. 129. 50
ibidem 51
ibidem pag. 184. 52
I caduti nelle frazioni colpite dalla furia tedesca: Frazione
di Susano: Gualmini
Celso, Aschieri Clerice, Aschieri Massimiliano, Gualmini Raffaele,
Baschieri Maria, Gualmini Lavinia, Gualmini Celso di Raffaele, Gualmini
Viterbo, Gualmini Aurelio, Albicini Delia, Marastoni Ursilia, Marastoni
Orfeo, Carlo di NN, Gherardo Filippo, Garzoni Francesca, Baldelli
Camillo, Casacci Dovindo, Casini Battista, Casolari Florigi, Pagliai
Domenico, Pagliai Tonino, Peli Giuseppe, Peli Andrea, Zenchi Dante. Frazione
di Costrignano: Barbati
Ersidio, Barbati Ignazio, Barbati Luigi, Barbati Pasquino, Baschieri
Mario, Beneventi Pellegrino, Beneventi Giacomo, Beneventi Giuseppe,
Caminati Adelmo, Casinieri Luigi, Ceccherelli GianBattista, Chiesi
Sante, Compagni Tolmino, Ferrari Secondo, Ferrari Nino, Ghiddi Lorenzo,
Lami Alcide, Lami Silvio, Lami Ennio, Lami Mario, Lorenzini Marcellina,
Maestri Massimo, Pancani Giuseppe, Pigoni Luigi, Pigoni Lino, Rioli
Ernesto, Rioli Claudio, Rioli Pellegrino, Rosi Dante, Sassatelli
Lodovico, Severi Enrico. Frazione
di Monchio: Abbati
Callisto, Abbati Cristoforo, Abbati Giuseppe, Abbati Milziade, Abbati
Raffaele, Abbati Remo, Abbati Tommaso, Albicini Ermenegildo, Barozzi
Augusto, Barozzi Adelmo, Barozzi Mario, Bedostri Giuseppe, Bedostri
Luigi, Bucciarelli Livio, Braglia Ambrogio, Cornetti Adele, Corenetti
Luigi, Caminati Giovanni, Caselli Alberto, Carani Ernesto, Carani
Geminiano, Compagni Ernesto, Debbia Enrico, Debbia Franco, Debbia
Valerio, Debbia Roberto, Facchini Sisto, Ferrari Egidio, Ferrari Remo,
Ferrari Teobaldo, Fiorentini Giuseppe, Fontanini Teodoro, Giberti
Attilio, Giberti Eleuterio, Giusti Giuseppe, Guglielmi Aurelio,
Guglielmi Emilio, Guglielmini Luigi, Guglielmini Renato, Guglielmini
Giuseppe, Sajelli Pia, Magnani Amilcare, Marchi Ivo, Martelli Giuseppe,
Martelli Alvino, Massari Gino, Mesini Celso, Mesini Alessandro, Mussi
Remo, Ori Attilio, Ori Ernesto, Pancani Claudio, Pancani Ernesto,
Pancani Marco, Pancani Tonino, Pistoni Leonildo, Pistoni Michele,
Pistoni Luigi, Ricchi Ernesto, Ricchi Viterbo, Rioli Antonio, Rioli
Pellegrino, Rioli Mauro, Silvestri Agostino, Tincani Ennio, Tincani
Geminiano, Venturelli Dante, Silvestri Ines, Venturelli Gioacchino,
Venturelli Florindo e Sassatelli Adelmo. 53
cfr. G. Silingardi, op. cit. pag. 169. 53bis
Francesco Bocchi, Segretario del PFR di Montefiorino, che venne ucciso
il 16 marzo 1945 a Modena dai partigiani, venne accusato dal CLN, come
uno dei responsabili dell'eccidio per aver messo sull'avviso i comandi
fascisti e germanici ad intervenire nella zona. In una testimonianza,
l'Arciprete di Serra, Don Marino Donini a quei tempi capellano a
Vitriola, sul Resto del Carlino del 14 marzo 1984, così parlò del
Dott. Bocchi: "Trovai
il Dott. Bocchi, seduto in poltrona, in uno stato di profondo sconforto.
Mi disse testualmente: " E' un disastro! Si dice che di là dal
fiume ci siano un centinaio di morti. Le SS avevano in programma di
distruggere anche Savoniero e Vitriola ma io ho supplicato i comandanti
di cessare il rastrellamento e la rappresaglia." 54
cfr. P. Alberghi , op. cit. pag. 214. 55
cfr. E Gorrieri, op. cit. pag. 174. 56
ibidem pag. 175 57
cfr. Gazzetta dell'Emilia del 17 e 22 Marzo 1944. 58
cfr. ISR Rassegna 59
Esiste un ampia letteratura sull'episodio di Via Rasella e del
successivo eccidio delle Fosse Ardeatine, che riteniamo non elencare. 60
cfr. G. Pisanò op. cit. 61
ibidem 62
tra i fucilati alle Fosse Ardeatine vi fù anche un modenese:
certo Luigi Gavioli ( da ISR rassegna n. 7 pag. 28) 63
cfr. Atti e documenti della Santa Sede, Vol. X° 64
ibidem 65
cfr. ISR Rassegna n. 8 pag. 67. 65bis
cfr. "Martirologio" pag. 138 66
cfr. F. Gorrieri : "La resistenza nella bassa
modenese", pag. 93. 67
cfr. lettera del Comune di Carpi in data 30.5.1956 prot. 7033. 68
cfr. Pacor-Casali: "Lotte sociali e guerriglia in
pianura" pag. 89. 69
Al secolo, Armando Ricci, che fu successivamente, al termine
della guerra, Sindaco di Pavullo. 70
In una agenda, dove il Ten. Boldrini, teneva notati pensieri ed
appunti venne trovata questa sua affermazione: " Questo mio vivere
è proprio un vivere pericolosamente. La morte mi circonda da ogni
parte; eppure non mi fa paura. Morire per la Patria! Morire per l'idea
in fondo è una fortuna! Speriamo bene! Morire amando è vivere. W il
Duce" 72
cfr. E. Gorrieri, op. cit. 73
cfr. Gazzetta dell'Emilia del 29 Marzo 1944 74
ibidem 75
cfr. Ada Tommasi De Micheli: "Armando racconta" pag.
122 e segg.; per il Dott. Romani cfr. anche A. Galli in "Pievepelago
durante la seconda guerra mondiale" pag. 29 e in E. Gorrieri, op.
cit. ; in questa versione si precisa che il fatto non avvenne a
Gaianello, bensì in località Fontanella di Sassoguidano. 76
cfr. S. Prati - G. Rinaldi in: "Quando eravamo i
ribelli", pag. 64-65. 77
cfr. F. Gorrieri.: op. cit. pag. 92. 78
cfr. Gazzetta dell' Emilia del 30 Marzo 1944. 79
I giovani partigiani fucilati nelle carceri di Castelfranco
Emilia furono: Badiali Bruno, Adani Faustino, Pattarozzi Massimo,
Gherardini Ubaldo, Vandelli Romano, Maletti Gervasio, Manfredini
Teodorico, Montecchi Egidio, Camatti Renato e Walter Martelli.
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L'estate del 1944 è forse il periodo, di tutta la guerra civile, se si
escludono le stragi del dopoguerra, più tormentato e nel quale, su
tutto il territorio della Provincia modenese, dalla montagna alla
pianura, attentati, fucilazioni, rappresaglie si susseguono in una
"escalation" incredibile; spaventosi eccidi vengono effettuati
dalle truppe tedesche completamente imbestialite dallo stillicidio
continuo di agguati ed uccisioni e dalle incursioni delle bande
partigiane, che dopo lo smacco subito a Montefiorino cercavano di
portare la violenza della guerriglia, quasi debellata in montagna, nelle
zone della "bassa" che, sino a quel momento, non era ancora
entrata nell'occhio del ciclone e dove si erano verificati solamente
alcuni attentati a fascisti per lo più isolati e dove ancora le
ritorsioni non avevano raggiunto la ferocia di certi episodi già
avvenuti in montagna. L'estate dunque, porta la guerra civile nella
forma più spietata anche in pianura: la lunga serie di attentati alle
fabbriche, alle ferrovie, alle colonne militari e all'uccisione di
decine e decine di fascisti tra i quali il Console della Milizia
Filiberto Nannini, del Direttore del settimanale "Valanga
Repubblicana", Corrado Rampini oltre ai moltissimi ufficiali e
soldati tedeschi, si risponde con le fucilazioni di Cibeno, d’Ospitaletto
di Marano, di Ravarino, di Rovereto, di Novi e di Carpi. E' un vero e proprio massacro generale: i
partigiani sentivano l'avvicinarsi delle truppe angloamericane, la
conquista di buona parte del centro Italia faceva supporre che la catena
appenninica sarebbe stata superata entro l'estate. Ma la resistenza
tedesca e fascista era ancora tenace e fortissima e nelle retrovie a far
le spese di questo tremendo braccio di ferro tra le due fazioni in
lotta, erano le inermi popolazioni sottoposte ad ogni tipo di vessazione
sia dai partigiani, sia dai tedeschi e dai fascisti. Della tremenda sequela di lutti e vendette che
hanno costellato questo triste periodo, cerchiamo di darne uno squarcio,
attraverso le pagine della stampa comunista per evidenziare con quali
sistemi era condotta la guerriglia partigiana e come tante azioni
fossero predisposte con il preciso piano organizzativo del PCI, per
creare le ritorsioni. Nell'enfasi del racconto resistenziale, nella
limitatezza descrittiva per cercare di fare apparire a tutti i costi
l'avversario, solamente uno spietato e brutale aguzzino, (infatti i
fascisti sono solamente traditori e spie e le azioni delle bande
partigiane si rivelano delle perfette azioni militari e l'onestà e la
correttezza dell'azione, la bontà della "giustizia" è
ovviamente da una sola parte) non si accorgono, questi
"storici" a senso unico, di mettere in luce quel che per tanti
anni tenevano nascosto. Dalla lettura di alcune pagine stralciate dalle
"loro storie" e che prenderemo in esame, il lettore, che non
abbia già subito il lavaggio del cervello della martellante propaganda
comunista, durata sessanta anni, potrà rendersi conto che la
"brutalità" nazi-fascista non era poi tanto diversa dalla
"giustizia" di chi combatteva lo spietato "moloch"
che sino ad oggi hanno descritto. Vediamo dunque una serie di "pregevoli"
azioni partigiane: "Dalla
fine di Luglio fu soprattutto un ininterrotto appostarsi notturno di
gappisti - spesso in collaborazione con sappisti - sulle strade, con
decine e decine di attacchi agli automezzi tedeschi e fascisti. Poiché
di giorno essi rischiavano il martellamento da parte dell'aviazione
alleata, avevano deciso che gli spostamenti si effettuassero di
preferenza nella notte ma incapparono, appunto nella vigilanza
partigiana....si registrarono per Luglio, tutto Agosto e per i mesi
successivi, decine e decine di attacchi ad autovetture ed autocarri, che
molte volte portarono a vivaci scontri a fuoco, con talora qualche
ferito da parte partigiana per lo più senza perdite dei patrioti,
mentre assai spesso sono gli automezzi nemici a rovesciarsi nei fossati
ai lati della strada. E' constatato subito dopo l'attacco o il giorno
successivo, un certo numero di morti e di feriti tedeschi e fascisti."(1) E a commento di queste "perfette azioni
militari", basate sulla tecnica del "colpire e fuggire"
che noi, forse con maggiore obiettività, chiamiamo agguati ed
imboscate, nella storiografia partigiana, viene anche descritta la
tecnica usata: “L’attacco
ai convogli veniva effettuato con 5 persone. Una staffetta veniva
sistemata a circa 150 metri. Quando arrivava un camion o una macchina di
notte(..) ce lo segnalava. Gli altri quattro uomini erano appostati
(dietro a una siepe o dentro un fosso); due affiancati a 150 metri dalla
staffetta un altro dopo dieci metri, il quarto dopo altri 10-15 metri.
Come il camion si avvicinava, i primi due, se si trattava di automobile
rafficavano nella cabina, se di camion rafficavano uno nella cabina, uno
nel cassone. Indiscutibilmente l'automezzo sbandava e (anche se il
conducente era morto) andava avanti almeno una decina di metri, finendo
presso il partigiano armato di bombe a mano che se ne serviva
abbondantemente. L'ultimo era di riserva in caso fosse necessario un
ulteriore intervento a mitra o bombe a mano."(2) Il testo prosegue con un altra serie di
"eroiche azioni" che riteniamo opportuno proporre ai lettori
per dimostrare che quanto poi andiamo a raccontare nella parte
cronachistica non è frutto di nostre invenzioni o di sole testimonianze
di parte fascista, anche perché la quasi totalità dei documenti, delle
testimonianze e delle pubblicazioni è, purtroppo, quasi esclusivamente
di parte resistenziale. "Tra
i tanti episodi, ricorderemo gli attacchi del 12 Agosto a Sozzigalli e
Quartirolo a due automezzi tedeschi che vengono messi fuori strada, con
un tedesco ucciso, un ufficiale ed un soldato feriti; del 14 Agosto
ancora presso Sozzigalli, con morti e feriti nemici; dello stesso 14
agosto presso Campogalliano; del 15 a Ponte Nuovo di Santa Croce, con un
colonnello ed un capitano uccisi e due soldati feriti; del 17 a un
autocarro presso Novi; del 18 da parte dei Gap 27 a Fossoli contro una
vettura ed un autocarro, con un intenso scontro a fuoco durante il quale
veniva ferito un partigiano; dello stesso 18 da parte dei gap 34 sulla
strada Modena-Carpi con un violento scontro durante il quale rimaneva
ucciso un partigiano e venivano uccisi due tedeschi ed uno restava
ferito; del 20 presso San Prospero ad una colonna di tre macchine, con
un ufficiale tedesco ucciso e sette soldati feriti; del 22 presso
Quartirolo da parte dei gap 28, con quattro nemici feriti; del 25 presso
Fossoli da parte dei gap 40 e del 29 nella stessa località da parte dei
gap 21. Proseguirono
pure, come era di dovere, i colpi contro i caporioni ed aguzzini, i
traditori, le spie. Il 5 Luglio i gap 2 e 23 attaccavano presso Gargallo
una vettura su cui transitavano i tristemente noti gerarchi repubblicani
Foroni, Nellusco Gasparini e Rapieri, che risposero al fuoco e
riuscirono a fuggire. Più di una volta appostamenti ed incursioni nelle
case di scherani fascisti non portarono all'esecuzione decretata perchè
costoro riuscivano a fuggire o non si trovavano in casa, ma spesso in
tal caso, i gappisti tornavano però con un certo bottino di armi. Ma la
giustizia popolare finiva comunque, presto o tardi, per colpire. Così
Alvise Foroni, sfuggito al primo attentato, fu fatto fuori il 12 Luglio
insieme con la sua amante e complice Olga Corradini. Il 10 Luglio un
altro squadrista aguzzino era stato giustiziato ad Albone di
Campogalliano. il 15 Agosto è invece la volta di un altro truce
individuo, il colonnello (console) della milizia Nannini."(3)
In questo brano si compendia tutta la cattiveria e
l'arroganza di certa partigianeria: i fascisti, secondo il loro copione,
vengono sempre gratificati di appellativi quali, traditori, spie,
aguzzini, truci individui, e la "giustizia popolare" trionfa
sempre, tacendo, nel contempo, che il Console Nannini venne assassinato
in modo vigliacco in uno stradello di campagna alla periferia di Carpi
mentre in bicicletta, assieme alla moglie ed al figlioletto in
tenerissima età, che teneva in braccio e che venne ferito, stava
ritornando dalla scampagnata ferragostana. Vedremo in seguito quali
tristi conseguenze abbia portato quella sorta di "giustizia"
partigiana. Ma nello stesso modo vogliamo sottolineare come
questi "ribelli" trattassero i loro prigionieri, sempre
attraverso le "storie" da loro stessi raccontate e messe in
bella mostra come avessero compiuto gesta eroiche: "Bruschi
Ermanno..gli ultimi due mesi, prima della liberazione, li passò a
Paganine. Solo e temerario, egli condusse fino alla fine la sua lotta
personale contro tedeschi e fascisti. Aveva preso l'abitudine di andare
a caccia di uomini. Un giorno durante una di queste cacce, s'imbattè in
un tedesco, un graduato; lo sopraffece e lo consegnò da custodire ad un
mezzadro. Alla sera un gruppo di noi andò a prelevarlo per fucilarlo.
Eravamo tutti di Paganine: Nascimbeni Rolando, Torri Athos, Gibellini
Onorio, Gibellini Zorro, Benedetti Luigi ed io. (Prandini Vittorio) Senza
nemmeno legargli le mani lo portammo in un podere a circa 2 Km, dove il
mezzadro aveva già scavato la fossa. Ricordo che c'era l'erba, era
quindi primavera e che l'erba era bagnata. Quando arrivammo sul posto
lo mettemmo vicino ad un albero per sparargli. A questo punto
accadde qualcosa che non dimenticherò mai: l'episodio è rimasto in mè
come il senso stesso della guerra, degli orrori che porta con se e della
degradazione che opera nelle coscienze di coloro che ne sono coinvolti.
Quando fummo per sparare al prigioniero, cominciammo a litigare tra noi,
a darci spintoni, c'incattivimmo, perché ognuno voleva essere lui a
sparare. Il tedesco non capiva l'italiano, ma sapeva che sarebbe stato
ammazzato, che per lui non c'era scampo e vedeva anche lo squallido
spettacolo che offrivamo; allora gridò "Heil Hitler" e tentò
la fuga: Nel buio lo perdemmo di vista, ma qualcuno di noi sparò una
raffica di mitra e lo colpì a caso. Un altra raffica lo finì."(4) Non c'è alcun bisogno di commento: ma dallo stesso
autore stralciamo un altro brano significativo: "L'esercito
tedesco era in ritirata. (erano stati catturati dei prigionieri N.d.R.):
A questo punto ci chiedemmo che fare dei due tedeschi. Uno propose di
pugnalarli, per non segnalare la nostra presenza a quella colonna in
marcia, che in linea d'aria era abbastanza vicina; ma tutti gli altri
dissero di no. Decidemmo per un colpo alla nuca e così facemmo. Li
seppellimmo in fretta e ci avviammo verso Paganine.”(5) Era una lotta micidiale, senza esclusione di colpi,
da entrambe le parti. I rastrellamenti tedeschi e fascisti, in realtà,
più che rendere un contributo sostanziale all’eliminazione del
"fenomeno" banditismo, servivano più a terrorizzare le
popolazioni e a portare acqua al mulino della campagna dell'odio che i
partigiani comunisti alimentavano a più non posso e che loro stessi
cercavano di provocare artatamente con un cinismo programmatico
attraverso attentati ed uccisioni indiscriminate, onde ottenere questi
effetti. Conferma questo il partigiano, giornalista e
storiografo della Resistenza, Giorgio Bocca che, in un suo articolo,
parlando dell’aspetto del terrorismo degli anni settanta-ottanta, così
scriveva: "Il
secondo argomento su cui invito a riflettere è quello riassunto da una
parola che per noi conserva un significato di angoscia e di paura:
rastrellamento. Voglio dire il criterio a cui starebbero approdando
alcuni organi di polizia e di indagine giudiziaria: pescare a mucchio
negli ambienti sospetti, sia a sinistra che a destra, così come il
rastrellamento arrestava in massa quando incontrava nelle zone
perlustrate, e poi vedere se nel mucchio è capitato qualche terrorista
vero. Come
ex partigiano e storico della guerra partigiana vorrei ricordare a chi
riscopre oggi questa tecnica, che l'unico risultato dei rastrellamenti
è stato di aumentare il numero dei partigiani e dei loro simpatizzanti
( ci fu anzi un terrorismo partigiano e rivoluzionario che aveva per
compito precipuo o complementare, proprio quello di provocare
rastrellamenti, di coinvolgere il maggior numero di persone). Il
che non significa che io intendo equiparare i partigiani di allora ai
terroristi di oggi; intendo solo sottolineare dei rapporti di causa ed
effetto."(6) Ma di questa realtà, che traspare appena tra le
righe di ben pochi storiografi partigiani o di ex partigiani veri se ne
è ben poco parlato e l'opinione pubblica non ne è per nulla a
conoscenza. E' stato molto più facile a tutti i "pennivendoli di
regime" di questi sessanta anni, servire la verità del padrone,
descrivendo episodi gonfiati, facendo apparire ciò che non è stato,
nascondendo le verità e pertanto facendo credere alle nuove generazioni
che la partecipazione alla lotta partigiana ebbe un adesione pressoché
totale della popolazione e che, quei pochi, pochissimi che si erano
legati al nazifascismo non erano altro che dei venduti, dei violenti o
dei corrotti e alcuni altri, rarissimi, erano solamente accecati da
"ingenua fede".(7) Tutto questo è stato volutamente falsato poiché
la realtà di quel periodo è stata ben diversa. Furono centinaia di
migliaia, come abbiamo visto, i giovani "accecati" che
aderirono al fascismo repubblicano e tra essi la maggioranza era
composta da volontari, che portarono, in quella terribile lotta, che a
molti poteva sembrare illusoria ed impossibile, la loro disperata ed
adamantina fede in quanto non si può essere ciechi, o corrotti, o
ignavi, quando si combatte e si va’ a morire per un ideale che altro
non era che ideale di Patria e di libertà dai vari eserciti stranieri
che calpestavano il suolo italiano. Ed erano di gran lunga superiori, come numero, a
quelli che avevano scelto la strada della montagna. E' giunto il tempo di sfatare certi luoghi comuni e
vedere la storia di quegli anni, senza acredine e senza desideri di
vendette, nelle giuste proporzioni, per una migliore conoscenza del
proprio passato e delle proprie origini; per una vera opera educativa in
termini storici. Ma tutta la storia della partigianeria ha molti
vuoti e molte lacune, volute e ricercate. Nella recensione di un libro di uno storiografo
della resistenza del modenese, l'autore dell'articolo commenta, in modo
corretto quelle valutazioni, con un giudizio che riportiamo, e che
vorremmo far nostro: "Il
punto più delicato, quello facilmente destinato ad incontrare la
curiosità di chi legge e, talora, il dissenso di chi ha vissuto negli
anni '30 e'40, è ovviamente la sezione sulla Resistenza (specialità
nella quale l'Alberghi è, per suo conto, versatissimo, avendo già
pubblicato un migliaio di pagine in materia). Si
tratterebbe in primo luogo, di sapere quale fu la reale incidenza del
fenomeno resistenziale sulla durata della guerra: dopo l'effimera
parentesi, seppur d'alto valore morale, della Repubblica di Montefiorino,
l'autore scrive che gli attacchi partigiani alla Via Giardini del 10
Aprile 1945 furono una manovra diversiva (P.157) ed agli insorti rimase
il solo compito di ripulire i territori della residua presenza di
nazifascisti in fuga.(159) Fu vera gloria insomma? In secondo luogo
occorrerebbe conoscere come stavano le cose, e dalla parte dei montanari
c'era effettiva adesione di popolo alla "gravosa necessità delle
requisizioni"(151) o alle azioni partigiane con successivo
"sganciamento" ( quante volte ricorre questo eufemismo! ) che
lasciavano i residenti inermi in balia di rappresaglie, costate
addirittura 80 morti per una fucilata (pag.148)? Perché tanti, in
Frignano se si tenta oggi di farli parlare dei partigiani, se non ti
confidano cose irriferibili commentano epigrammaticamente : "curag,
ca scapuma!". A
queste grosse domande (che si riducono ad una sola: la presa effettiva
del fascismo tra i montanari) l'Alberghi non risponde: anzi non se lo
pone nemmeno: ci sa dire quanti si arruolarono per la Spagna dalla parte
"giusta", ma non dall'altra: parla di un certo interesse per
le vicende etiopiche ma senza scendere nei particolari.(8) Lo stesso articolista concorda poi che i tempi non
sono ancora maturi per una storia obiettiva; ma quando si è instaurato
per tantissimo tempo, un clima di omertà e di paura, che ancora oggi
permane tra quelle popolazioni che difficilmente, se vengono
interpellate, parlano apertamente delle "gesta" dei partigiani
e tanto meno sono disposti a rilasciare testimonianze firmate, in clima
di tal genere è estremamente difficile poter fare della storia sulla
base di testimonianze credibili e serene; e purtroppo sarà molto
difficile per gli storici futuri affrontare questo periodo, poiché
tutte le argomentazioni della parte sconfitta o sono andate distrutte o
rimangono nei piccoli ricordi personali. Se il clima di paura e di
persecuzione rimarrà ancora per un certo tempo, gli ultimi testimoni di
quelle tragiche giornate si porteranno i loro ricordi nella tomba e
resteranno così solamente quelli di una sola parte, per di più
manipolati e forzati; la storia verrà così ricostruita in modo
parziale e non obbiettivo. NOTE 1
cfr. Pacor-Casali: "Lotte sociali e guerriglia in
pianura" pag. 99. 2
ibidem pag. 127 3
ibidem pag. 100 4
V. Prandini: "Tra paesani e compagni" pag.,. 241 5
ibidem pag. 250 6
cfr. articolo di Giorgio Bocca sul settimanale L' Espresso di
Ottobre 1980, dal titolo: " Calunniate, calunniate, qualcosa resterà" 7
cfr. Pacor-Casali, op. cit. pag. 111 8
cfr. articolo sul quotidiano, "Giornale Nuovo" del 18
Gennaio 1981, in cronaca modenese, a firma; F.M. e dal titolo: "Tra
le righe si intravedono anche i "compagni assassini".
Recensione del libro di P. Alberghi: "Quaranta anni di storia
montanara."
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Nell'ambito della ricerca storiografica sul periodo
dei 600 giorni della Repubblica Sociale Italiana in provincia di Modena
è necessario dedicare un po’ di spazio, e di conseguenza tentare
un’analisi, del rapporto intercorso tra la nuova concezione del
fascismo repubblicano, scaturita, o meglio tornata alle origini dopo il
tradimento monarchico e badogliano, e la classe operaia e, in
contrapposizione, vedere come si sono effettivamente svolte le
"lotte operaie". Non è facile interpretare al meglio, e per di più
in modo succinto, quel groviglio d’innovazioni e situazioni
ambientali, particolarmente quando le tensioni ideologiche erano portate
all’esasperazione in un tutt'uno con la guerra all'interno dei nostri
confini che andava configurandosi sempre più crudele e distruttiva,
lasciando poco spazio alle tensioni sociali ed alle conquiste che si
prefiggeva la costituzione del Partito Fascista Repubblicano depuratosi
da tutte le scorie del ventennio. A tutt'oggi, nell'ambito della ricerca
storiografica di quel periodo, abbiamo notato una limitatezza d’opere
relative a quest’argomento e nello stesso tempo sono estremamente
carenti i dati che si possono raccogliere da ambedue le fazioni, circa
le tensioni sociali e le proposte di realizzazione di miglioramenti
socio-economici voluti ma non realizzati dal nuovo governo fascista. Da un versante s’incensano i grandi rinnovamenti
portati sul piano sociale dalle leggi emanate dalla Repubblica
mussoliniana a partire dai 18 punti di Verona, e vedremo in quale
misura, mentre nell'altro campo le vicende della classe operaia sono
mescolate e non sufficientemente sviluppate in quella che sino ad oggi
è stata una ricerca finalizzata particolarmente alle vicissitudini
politiche e militari della lotta partigiana. E' evidente che non può essere possibile, anche
per gli storici legati al più vieto conformismo antifascista, ritenere
che gli operai, in quel periodo, si siano totalmente schierati con la
resistenza. Da parte fascista si dà per scontata la
partecipazione alla "resistenza" di una combattiva minoranza
che ha creato, senza alcun dubbio, difficoltà all'apparato industriale,
ma nello stesso tempo si può affermare che, almeno per un lungo periodo
dei 600 giorni, buona parte della classe operaia, in particolare nelle
industrie modenesi, se non la maggioranza della stessa, era favorevole e
compartecipe alle nuove tematiche operaistiche della socializzazione. Avremo modo di costatare quanto queste
affermazioni, siano anche avvalorate da quella piccola parte della
storiografia resistenziale che ha dedicato qualche studio, sebbene
marginalmente, al problema proposto. Brevi premesse vanno fatte prima di entrare
nell’analisi di quel periodo di storia modenese ed italiana, e
prendere in esame quali sono state le tendenze dello sviluppo
industriale, prima, e poi durante il periodo fascista, sino al 25 Luglio
1943, nella nostra Provincia. Agli albori del Fascismo le produzioni prevalenti,
in Provincia di Modena, erano quelle foraggiere e dell'uva;
rappresentavano il 65% del reddito agricolo provinciale con una
produzione di foraggi per un importo globale di 143 milioni di lire
annue, di 113 per l'uva, mentre, a distanza, seguiva il frumento con
soli 53 milioni.(1) Vi era pertanto una ricchissima presenza, sul
nostro territorio, di capi di bestiame, tanto da essere, già a quei
tempi Modena, uno dei maggiori centri d'Europa, con numerosissimi capi
di, bovini, cavalli e suini; mentre in montagna, ovini e caprini davano
alla nostra Provincia uno dei primi posti nelle graduatorie nazionali.
Notevoli erano anche le produzioni di granoturco e fagioli, mentre era
relativamente scarsa la produzione delle barbabietole da zucchero. La popolazione della Provincia raggiungeva le
395.513 unità(2) e tra queste, la popolazione attiva si contava su
199.572 persone, delle quali ben 128.985 erano dedite all'agricoltura,
con una percentuale del 65%, mentre il 20% era dedito all'attività
industriale e il 15% ad altre attività. La proprietà agricola era distribuita in buona
parte tra i grandi e medi proprietari terrieri, dei quali faceva parte
la Chiesa che, con ben 210 parrocchie sparse sul territorio Provinciale
e che mediamente possedevano uno o due poderi condotti a mezzadria,
aveva una gran fetta della proprietà agricola nella nostra Provincia.(3) La vita nelle campagne era di conseguenza
poverissima; braccianti, mezzadri, fittavoli, salariati fissi ed
avventizi tra i quali i bifolchi, i cavallanti, gli acquaioli ecc. erano
malpagati e sfruttati dalla classe dominante che, anche per merito
dell'influenza dei parroci su questi inculturati, riusciva a mantenere i
lavoratori delle campagne, attraverso i numerosi pregiudizi d’ordine
religioso quali superstizioni e carenza d’educazione, in uno stato
d’arretratezza endemica.(4) Provincia dunque particolarmente agricola quella
modenese agli albori del fascismo, con scarsi insediamenti industriali
particolarmente localizzati nel capoluogo e nei centri maggiori; in
realtà l'attività industriale esistente in quegli anni, era sparsa in
una miriade di piccole officine e laboratori a prevalenza artigianale.
In città spiccavano: la Fabbrica Italiana serrature Corni, la
Manifattura Tabacchi, le officine Rizzi e Benassi e in Provincia, la
SIPE di Spilamberto mentre nel carpigiano era fiorente l'attività del
truciolo. La crisi economica, nella quale si venne a trovare
la nostra Provincia in quegli anni, acuì maggiormente le tensioni
sociali e la lotta politica assunse toni, in certi momenti, drammatici.(5) In breve tempo il movimento fascista seppe
coagulare attorno a sé l’attenzione di grossa parte della classe
operaia e della borghesia, entrambe insoddisfatte della politica del
Partito Socialista e del Partito Popolare, tanto da ottenere un buon
successo alle elezioni del 1921, sino a quello clamoroso del 1924.(6) Il Fascismo trova di conseguenza nella Provincia
modenese una situazione quantomeno delicata; disoccupazione,
immigrazioni dalla montagna alla pianura, aumento della popolazione,
piccole e medie industrie in crisi con il ritorno della mano d'opera
alle campagne già sature di braccia, l'emigrazione delle donne modenesi
nelle risaie del novarese e del vercellese per lavori stagionali,(7)
diminuzione dei salari; si andava dunque incontro, e a grandi passi,
alla crisi che sfociò alla fine degli anni venti e che sconvolse
l'economia del mondo occidentale ma che in Italia venne in parte
controllata e ridimensionata in breve volgere di tempo. Gli anni trenta furono quelli dell'assestamento
sociale, politico ed economico; furono fatti enormi progressi in tutte
le direzioni. Aumentò la produzione agricola, si aprirono nuove
industrie e la disoccupazione calò sensibilmente; si curò in modo
particolare l'edilizia popolare e le strutture sociali ebbero un
notevole impulso, quali, ad esempio, l'Opera Nazionale Maternità ed
Infanzia; moltissime scuole nuove, dalle elementari alle superiori, con
un sensibile aumento della popolazione scolastica, iniziando così ad
eliminare la piaga dell'analfabetismo ancora assai consistente nelle
nostre zone; si avviò il concetto di turismo popolare, anche attraverso
il potenziamento della rete ferroviaria e delle strutture alberghiere,
sia alpine sia marine; molto fu fatto per le organizzazioni aziendali e
per la costruzione d’impianti sportivi, data l'enorme arretratezza in
questo settore e per quei tempi, rispetto a molte altre nazioni europee,
si ebbe, negli anni del consenso, un vero progresso sociale ed economico
nelle classi meno abbienti, riconosciuto ormai anche dai maggiori
storici siano essi pure dichiaratamente antifascisti.(8) All’inizio della seconda guerra mondiale la
situazione economica e sociale in Provincia di Modena la possiamo così
brevemente riassumere: il settore più rilevante per l'occupazione e per
il reddito era ancora quello dell'industria agricola ed alimentare,
oltre ad un forte impiego nell'attività salumiera e molitoria e
numerosi erano gli stabilimenti dell'industria vinicola e dell'alcol,
delle acque gassate, dell'industria dolciaria e d’altre minori.(9) Notevole in quegli anni era stato lo sviluppo
dell'industria meccanica e metallurgica, sia legata al mondo
dell'agricoltura sia ad altri settori come acciaierie e fonderie,
industrie per carrozzerie d’autobus ed automobili, officine
specializzate per la costruzione dei motori diesel, bilance, impianti di
riscaldamento ecc.; a Sassuolo si stava realizzando l'inizio dell'era
della piastrella e della ceramica, mentre nella bassa, a Mirandola, era
stato creato un grosso polo per la lavorazione della barbabietola da
zucchero.(10) L'impulso industriale dell'economia modenese in
questi anni è stato senz'altro rilevante e in modo particolare : "si
definiscono alcune linee di tendenza molto importanti, e cioè
l'affermazione all'interno di una economia basata prevalentemente
sull'agricoltura, di un primo consistente nucleo industriale che subirà
un ulteriore accelerazione nel periodo bellico registrando, tra l'altro,
un notevole aumento del numero degli addetti."(11) Gli anni della guerra, ovviamente in rapporto anche
alla produzione bellica, intensificarono l'aumento della mano d'opera
nell'industria e, nel modenese, nell'anno 1941 vi erano impiegati più
di trentamila lavoratori che raggiunsero i quarantamila nel 1944. Fonti antifasciste, citando anche testimonianze
orali, parlano di scioperi ed agitazioni operaie negli anni di guerra ed
in particolare di quello che sarebbe avvenuto nel marzo del 1943, ma: "dopo
un attento esame di queste ed altre testimonianze, dei documenti coevi
di parte fascista ed antifascista, dopo aver inquadrato complessivamente
le vicende e valutato i tempi di maturazione della coscienza di classe
dei lavoratori modenesi, riteniamo confermato il nostro convincimento
che a Modena nel Marzo del 1943 non si sia scioperato, anche se è
sempre possibile che in qualche azienda in modo spontaneo, vi sia stata
qualche fermata."(12) Agitazioni, invece, ci furono dopo la caduta del
fascismo, durante i 45 giorni badogliani, anche se non di grossa entità
e vanno inquadrati in quel breve periodo pieno di grosse incognite,
poiché non era ben chiara, anche per la popolazione, quale sarebbe
stata, a breve termine, la posizione dell'Italia nei confronti degli
alleati. Di conseguenza, nelle fabbriche la situazione era,
complessivamente, abbastanza tranquilla, non si notavano i prodromi di
particolari lotte antifasciste e non vi era alcun segno di quei
"presupposti resistenziali" di cui è infarcita la
storiografia partigiana; e gli stessi capi del sindacalismo comunista
stentavano: "a
mobilitare i lavoratori soprattutto in modo coordinato."(13) Ci avviciniamo così al periodo della RSI, la
quale, con l'impostazione della socializzazione delle imprese, ha dato
un esempio, valido ancora oggi, di com’è possibile il superamento
dell'antitesi marxista, classe operaia-capitalismo, in una
interpretazione che sceglie la collaborazione tra le classi e di
conseguenza quelle motivazioni, non solo materiali, ma anche morali,
etiche e spirituali che fanno parte inscindibile dell'uomo. Attualmente si stanno riscoprendo questi valori
seppur ipocritamente mascherati, sia all'est, dove il crollo del
comunismo li ha prepotentemente portati alla ribalta, sia all'ovest dove
la concezione del puro capitalismo, grettamente materiale e creatore di
scompensi incredibili, pone all'uomo di oggi la rivisitazione di quei
concetti d’economia corporativa e di socializzazione portati avanti
dalla lungimiranza politica di un Mussolini, che condensiamo in una sua
dichiarazione del periodo repubblicano: "L'unico
socialismo attuabile socialisticamente è il corporativismo punto di
confluenza, di equilibrio e di giustizia degli interessi privati
rispetto all'interesse collettivo."(14) Nelle varie ricerche effettuate in tutti questi
anni sul fascismo, sia del ventennio sia della RSI, si è, grosso modo,
sempre sostenuta la tesi che quel movimento rivoluzionario conservò in
sé, e se ne fece garante, le strutture capitaliste in genere. La propaganda antifascista tutta, ma in particolare
quella comunista, ha sempre sostenuto questa tesi falsa e demagogica,
scagliandosi con violenza contro le avanzatissime teorie sociali
postulate in modo particolare nei 18 punti di Verona, poiché,
evidentemente queste portavano ad un vero e proprio scavalcamento a
sinistra. La Socializzazione, voluta dal nuovo Fascismo
Repubblicano, fu approvata dal Consiglio dei Ministri della RSI il 12
Febbraio 1944 e cominciò ad entrare nella sua attuazione in varie parti
d'Italia, ma ovviamente, tra moltissime difficoltà comprensibili per la
delicata situazione interna italiana e per le vicende belliche, ma anche
per l'ostruzionismo da parte dei tedeschi che non vedevano di buon
occhio, in quel particolare momento, rivoluzionamenti così profondi
della società italiana. Con queste riforme di grandissima importanza
sociale, viste anche alla luce delle attuali lotte sindacali, pur
mantenendo integro il principio della proprietà privata, anche andando
contro a molte tendenze collettivistiche della stessa sinistra fascista,
si dava sostanzialmente una nuova regolamentazione alla struttura delle
aziende, sia private sia statali. Nelle amministrazioni delle aziende, attraverso i
"consigli di gestione", erano inseriti i rappresentanti degli
operai e degli impiegati con poteri ben definiti ed importanti, quali la
ripartizione degli utili e la possibilità di partecipare, attraverso le
assemblee, alla nomina del capo dell'azienda. Mussolini, libero dalle
imposizioni monarchiche, clericali e borghesi che lo avevano imbrigliato
per venti anni, porta avanti quelle rivendicazioni sociali che erano
parte integrante dei suoi programmi degli inizi. Quest’aspetto del nuovo Fascismo Repubblicano non
può passare solamente come un desiderio di rivincita o come una
espressione puramente demagogica del momento. Negli anni precedenti, cioè
in quelli del "ventennio", certe forze economiche hanno, in
parte, condizionato una progressione più rapida delle motivazioni di
fondo del fascismo, e di questo è bene prenderne atto; il capitalismo
ha cercato con tutte le collusioni e con tutte le formule possibili,
anche le più subdole, di piegare attraverso un calcolo che si doveva
poi dimostrare errato, il fascismo; in parte vi è riuscito, ma non
completamente e se anch'esso ha voluto vincere la battaglia con le forze
vitali della nazione si è dovuto accodare ed asservire al capitalismo
internazionale in combutta con il marxismo comunista. E nello stesso
tempo è opportuno sottolineare che il movimento rivoluzionario fascista
degli anni venti è andato al potere, contrariamente a quello che ha
fatto l'altro grosso movimento rivoluzionario del ventesimo secolo , il
comunismo, senza le brutalità e gli eccidi che hanno caratterizzato
quest'ultimo. E' anche vero che, durante il periodo della RSI, la
classe industriale e borghese conservatrice, che in parte o forzatamente
aveva dato i suoi appoggi durante il ventennio, abbandonò completamente
il fascismo e conseguentemente le ipoteche scomparvero: Mussolini poté
così reimpostare la sua rivoluzione non completata agli albori, ma
purtroppo era troppo tardi. In effetti la RSI, e su questo punto molti storici
anche antifascisti concordano, non fu solo l'ultima trincea dei
"fanatici del manganello", ed al suo interno non ebbero spazio
esclusivamente i cosiddetti "mercenari dell'invasore tedesco".
La RSI fu una sincera aspirazione al rinnovamento
sociale, fu slancio verso le masse popolari, fu istanza anticapitalismo
che cercava di darsi forma, seppure in un periodo difficilissimo;
attrasse e galvanizzò uomini dalle esperienze e dalle provenienze più
disparate, quali, ad esempio, l'ex segretario del Partito Comunista,
Nicola Bombacci, morto con Mussolini e con il gruppo di gerarchi
fascisti fucilati dai partigiani comunisti; il socialista Carlo
Silvestri, accusatore di Mussolini ai tempi del delitto Matteotti e uno
degli uomini più vicini al Capo del fascismo durante il periodo di Salò
con il quale ebbe numerosissimi colloqui, condensati nel dopoguerra in
un volume di gran successo: "Mussolini, Graziani e
l'antifascismo"; l'ex sindacalista rivoluzionario Nicola Vecchi,
del quale riportiamo stralci di una sua lettera, scritta da Mirandola,
dove risiedeva, al Prefetto della RSI Piero Parini, lettera emblematica
di chi aveva conosciuto per diverso tempo e nella realtà, il
"paradiso dei lavoratori" della Russia sovietica e che anche
oggi risulta di grand’attualità: (15) "All'Ecc.
Piero Parini - Milano - Mirandola
17.4.44 Solamente
ora ho potuto rendermi libero dagli impegni che avevo assunto con uno
stabilimento meccanico di Roma, di cui ero da cinque anni direttore. E
solo ora mi è stato possibile allontanarmi da Roma, la cui ammorbante
atmosfera di viltà non potevo oltre sopportare. Ritengo
di avere qualche cosa da dire ai lavoratori italiani, ubriacatisi nella
messianica attesa di un comunismo staliniano, che sotto l'orpello di un
barbaro autocrate nasconde la più feroce repressione di un super
capitalismo di stato messo al servizio di un nazionalismo slavo, elevato
all'ennesima potenza, dalla bieca anima di Giuda, e inverniciato per
l'occasione di falsa democrazia operaia. Subito
dopo il 25 Luglio scrissi, non ai giornali per rimettere a lustro il mio
passato di combattente antifascista, ma ad un vecchio sindacalista
milanese, per dirgli che era d'uopo unirci per impedire la
rivalorizzazione di uomini come Buozzi, fuggiti vigliaccamente
all'estero con le ben fornite casse delle federazioni riformiste e di
comunisti calati in Italia, d'ordine di Stalin per ordire la consegna
dei lavoratori italiani, mani e piedi legati, al Budda russo. I
successivi avvenimenti mi hanno maggiormente convinto della necessità
di agire in questo senso. Amici
miei, vecchi organizzatori dell'Unione Sindacale Italiana, di cui fui
Segretario Generale, si sono dichiarati pronti a seguirmi. Ho
la presunzione di ritenere che gli aderenti dell'Unione Sindacale
Italiana, di cui fece parte Corridoni ed i lavoratori aderenti al
movimento socialista, non abbiano dimenticato la lotta da mè combattuta
contro il fascismo negli anni 1919\1923; il mio passato di sindacalista
rivoluzionario; l'opera da me svolta quale organizzatore dei sindacati
fascisti milanesi dal 1926 al 1928; l'assistenza da me prestata sempre a
chi fra loro a me si volse, dopo - per dedurne che l'odierno mio
atteggiamento vuol significare che solo difendendo l'Italia e la
Repubblica Sociale, si difendono, oggi, gli interessi e le aspirazioni
dei lavoratori. Conosco
uomini e cose della Russia, ove fui negli anni 1921 e 1922 per
partecipare ai Congressi dell'Internazionale sindacale di cui ero uno
dei Dirigenti - nè mi è nuova l'attuale turpe commedia che la Russia
gioca al Governo Badoglio e l'arlecchinesca ibrida combutta dei partiti
dell'Italia cosidetta liberata; perchè uguale inganno fu contro di me
ordito, allorchè, dopo la Marcia su Roma, il riconoscimento dell'Italia
Mussoliniana, costituiva tale vantaggio da non fare esitare gli uomini
del Cremlino ad abbandonare e tradire i rivoluzionari italiani e ad
irretirne l'azione. Di
ciò parlerò meglio e più ampiamente a suo tempo, per far comprendere
ai lavoratori italiani che la Russia d'oggi non è che la copia riveduta
e scorretta della precedente monarchia, che come questa non persegue
altro scopo che non sia l'attuazione della conquista dell'Europa, per
instaurarvi l'egemonia dello slavismo semibarbaro, semiasiatico, ed
antieuropeo. Le
classi abbienti attendono l'Inghilterra perchè paventano le attuazioni
rivoluzionarie della Repubblica Sociale Italiana. e non hanno torto. Le
classi non abbienti invece, in maggioranza anticomunista, pur diffidando
del comunismo russo, attendono la Russia per la ventennale loro
avversione al fascismo, sperando in realizzazioni rivoluzionarie che
dovrebbero essere loro apportate dalle baionette dello straniero: e
hanno torto. Sono
queste ultime che bisogna conquistare: esse solo potranno dare alla
Patria la forza sufficiente a riscattarsi dall'attuale abbiezione.
Conquista ardua, ma non impossibile. E' duopo però dare ai lavoratori
italiani la sensazione che la rivoluzione è in marcia e che nulla e
nessuno potrà arrestarla. Chiamarli a partecipare alla lotta per le
conquiste rivoluzionarie, che senza il loro apporto non potrebbero
essere conservate ed alla direzione dei Sindacati e delle istituzioni di
previdenza. Sui
muri di Roma, la città più antifascista d'Italia, non vi è una
scritta che dica abbasso Mussolini.....(omissis).....Eccellenza dite a
Mussolini, che io ed i miei amici ci mettiamo a Sua disposizione per
vincere o morire - bruciando i ponti alle nostre spalle per non mai
indietreggiare - che svolgendo, con intensa propaganda i concetti
suesposti, riteniamo possibile conseguire l'unità dei lavoratori e
ricondurli sulla via dell'onore, alla lotta per la difesa della Patria
repubblicana. - F.to (Nicola Vecchi) - Mirandola"(16) A
conferma della validità delle spinte sociali decisamente innovative
della RSI, e proprio in funzione di queste, oltre agli uomini del
fascismo meno legati agli schemi del ventennio e a moltissimi giovani
entusiasti, aderirono alla socializzazione numerosi ex dirigenti
sindacali di estrazione antifascista quali, ad esempio, nel modenese:
l'ex segretario della Camera del Lavoro, Vittorio Messerotti, Anselmo
Forghieri e Carlo Verratti, entrambi questi ultimi ex dirigenti della
Camera del lavoro, oltre all'ex sindacalista anarchico, Vincenzo
Chiossi.(17) La classe operaia era dunque ben poco favorevole
alla lotta armata dei "partigiani", anche se, nella
storiografia antifascista si cercano dei sottili distinguo quando si
affronta questo tema: "Si
trattava di una classe operaia politicizzata, ma ristretta in piccole e
medie aziende dove vigeva naturalmente un rapporto paternalistico che,
nel periodo di formazione della Rsi, era diventato ancor più pericoloso
a causa della nascita di quello strano raggruppamento sindacale facente
capo a "Giustizia Sociale" che interveniva demagogicamente
anche in contrasto con la linea locale della federazione repubblichina,
e agitava rivendicazioni operaie anche sotto la spinta di alcuni ex
sindacalisti anarchici, come Chiossi, che avevano abboccato all'amo
della socializzazione. L'intervento del Pci era stato quindi su un
terreno particolarmente difficile e la richiesta di passare
immediatamente sul terreno della lotta armata, nonostante la
preparazione e la presenza costante degli anni precedenti, era troppo
alta per ottenere risposta adeguata ed immediata, anche perchè il
"sindacato" fascista non peritava di ricorrere agli
specchietti o ai ricatti sul terreno economico per tentare di ottenere,
se non una egemonia o un consenso, perlomeno la neutralità e la pace
sociale."(18) Le lotte sindacali furono, di conseguenza limitate
a poche fabbriche(19), e nonostante la ristrettezza di quei tempi duri,
della guerra, della presenza tedesca sul nostro territorio che
ostacolava la messa in atto delle avanzatissime teorie sociali della RSI,
furono moltissime le industrie ad aumentare i propri organici tanto da
raggiungere la cifra di quarantamila addetti nel settore.(20) E tutto questo nonostante i micidiali bombardamenti
aerei, come quello del 14 Febbraio 1944 che colpì duramente le
Acciaierie, la Corni, la Fiat-Oci, la Magneti Marelli, e del Maggio
dello stesso anno quando altre fabbriche furono danneggiate, come la
Giusti e la Rizzi, oltre alle officine Maserati, la Ferrari, le Fonderie
Riunite, la Fiat Grandi Motori e le officine Valdevit. Gli studi che hanno affrontato il contributo dato
dagli operai alla resistenza, seppure come sempre in una visione
manicheista e demagogica, rilevano quanto meno, le difficoltà oggettive
nello scorporare in quel "fenomeno"(della resistenza) il vario
ruolo esercitato dalle componenti sociali che hanno contribuito alla sua
realizzazione(21), in quanto: "...vi
sono stati degli appiattimenti che hanno ricordato ad esempio le lotte
operaie all'interno della politica del CLN, senza cioè analizzare e
quasi negando l'autonomia collettiva della classe operaia.(22) A prescindere pertanto dalla ristretta minoranza
combattiva, che, come abbiamo già accennato ha partecipato alla
resistenza nelle fabbriche con azioni di sabotaggio, mettendo, in alcuni
casi in difficoltà la produzione e creando non pochi fastidi, ha pure e
nello stesso tempo, creato danni e difficoltà agli altri operai, la
maggioranza, che doveva subire impotente queste azioni, dato che la
partecipazione politica di questi alla resistenza è tutta da
riconsiderare: "
non è sempre possibile ricondurre i tempi della lotta operaia alle
scadenze politiche più generali. Lo provano le mancate risposte ad
alcune scadenze politiche, come quelle del Marzo 1943 ed in parte del
Marzo 1944, i ritardi ad accogliere l'invito a dare inizio alla lotta
armata, abbandonando la fabbrica, avanzata nel 1943..ecc".(23) La storiografia antifascista racconta di
occultamenti di macchinari delle industrie modenesi effettuati da operai
con la partecipazione degli stessi industriali per preservarli dalle
razzie tedesche, e questi episodi si sono effettivamente verificati in
molte fabbriche, ma, bisogna precisarlo, solamente negli ultimissimi
giorni quando la guerra stava concludendosi, e non si è mai fatto
cenno, invece, all'intensa attività svolta in questo senso da tante
forze del sindacalismo repubblicano che operavano attivamente e tra
mille difficoltà, affinché quello che restava di materiali ed
attrezzature italiane risparmiate dalle tremende ferite dei
bombardamenti anglo-americani, non fosse disperso nelle mani fameliche
di tedeschi o filo-inglesi che fossero; tra gli uomini che maggiormente
s’interpretarono in questa forma di protezione delle nostre industrie,
ne vogliamo citare uno per tutti: il noto sindacalista, Nino Saverio
Basaglia.(24) Da questo breve "excursus" sui rapporti
tra RSI e classe operaia si evidenzia quanto sarebbe utile e necessario,
per la ricostruzione storica di quel periodo, uno studio ben più
approfondito, che non è possibile portare avanti nel complesso di
questa storia, e che necessiterebbe di approfondimenti e di reperti
d'archivio, e non esaminati con le formule unilateralistiche con cui si
è proceduto sino ad oggi. Riteniamo peraltro utile proporre ai lettori e per
intero, i 18 Punti di Verona, che sono alla base di tutta la politica
sociale intrapresa, ma appena abbozzata, dalla RSI nel breve periodo di
quei drammatici 600 giorni. I
18 PUNTI DI VERONA Testo
integrale dei "18 Punti" del Manifesto del Congresso del
Partito Fascista Repubblicano. In materia costituzionale e interna. 1. - Sia convocata la Costituente, potere
sovrano di origine popolare, che dichiari la decadenza della monarchia,
condanni solennemente l'ultimo re traditore e fuggiasco, proclami la
repubblica sociale e ne nomini il Capo. 2. - La Costituente sia composta dai
rappresentanti di tutte le associazioni sindacali e di tutte le
circoscrizioni amministrative, comprendendo i rappresentanti delle
provincie invase attraverso le delegazioni degli sfollati e dei
rifugiati sul suolo libero. Comprenda altresì le rappresentanze dei
combattenti; quelle dei prigionieri di guerra, attraverso i rimpatriati
per minorazione; quelle degli italiani all'estero; quelle della
Magistratura, delle Università e di ogni altro Corpo o Istituto la cui
partecipazione contribuisca a fare della Costituente la sintesi di tutti
i valori della Nazione. 3. - La costituzione repubblicana dovrà
assicurare al cittadino - soldato, lavoratore e contribuente - il
diritto di controllo e di responsabile critica sugli atti della pubblica
amministrazione. Ogni cinque anni il cittadino sarà chiamato a
pronunziarsi sulla nomina del Capo della Repubblica. Nessun cittadino, arrestato in flagrante o fermato
per misure preventive, potrà essere trattenuto oltre i sette giorni
senza un ordine dell'autorità giudiziaria. Tranne il caso di flagranza,
anche per le perquisizioni domiciliari occorrerà un ordine dell'autorità
giudiziaria. Nell’esercizio delle sue funzioni la magistratura
agirà con piena indipendenza. 4. - La negativa esperienza elettorale già
fatta dall'Italia e l'esperienza parzialmente negativa di un metodo di
nomina troppo rigidamente gerarchico contribuiscono entrambe ad una
soluzione che concili le opposte esigenze. Un sistema misto (ad esempio,
elezione popolare dei rappresentanti alla Camera e nomina dei Ministri
per parte del Capo della Repubblica e del Governo e, nel Partito,
elezione di Fascio salvo ratifica e nomina del Direttorio nazionale per
parte del Duce) sembra il più consigliabile. 5. - L'organizzazione a cui compete
l'educazione del popolo ai problemi politici è unica. Nel Partito, ordine di combattenti e di credenti,
deve realizzarsi un organismo di assoluta purezza politica, degno di
essere il custode dell'idea rivoluzionaria. La sua tessera non è richiesta per alcun impiego o
incarico. 6. - La religione della Repubblica è la
cattolica apostolica romana. Ogni altro culto che non contrasti alle
leggi è rispettato. 7. - Gli appartenenti alla razza ebraica sono
stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica. IN POLITICA ESTERA. 8. - Fine essenziale della politica estera
della Repubblica dovrà essere l'unità, l'indipendenza, l'integrità
territoriale della Patria nei termini marittimi ed alpini segnati dalla
Natura, dal sacrificio di sangue e dalla storia, termini minacciati dal
nemico con l'invasione e con le promesse ai Governi rifugiati a Londra.
Altro fine essenziale consisterà nel far riconoscere la necessità
degli spazi vitali indispensabili ad un popolo di 45 milioni di abitanti
sopra a un area insufficiente a nutrirli. Tale politica si adopererà inoltre per la
realizzazione di una comunità europea, con la federazione di tutte le
Nazioni che accettino i seguenti principi fondamentali: a) eliminazione dei secolari intrighi britannici
dal nostro continente; b) abolizione del sistema capitalistico interno e
lotta contro le plutocrazie mondiali; c) valorizzazione, a beneficio dei popoli europei e
di quelli autoctoni, delle risorse naturali dell'Africa, nel rispetto
assoluto di quei popoli, in ispecie mussulmani, come l'Egitto, che, sono
già civilmente e nazionalmente organizzati. IN MATERIA SOCIALE 9. - Base della Repubblica Sociale e suo
oggetto primario è il lavoro, tecnico, intellettuale, in ogni sua
manifestazione. 10. - La proprietà privata, frutto del
lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità
umana, è garantita dallo Stato. Essa non deve però diventare
disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini
attraverso lo sfruttamento del loro lavoro. 11. - Nell'economia nazionale tutto ciò che
per dimensioni o funzioni esce dall'interesse singolo per entrare
nell'interesse collettivo, appartiene alla sfera d'azione che è propria
dello Stato. I pubblici servizi e, di regola, le fabbricazioni
belliche debbono venire gestiti dallo Stato a mezzo di enti parastatali. 12. - In ogni azienda ( industriale, privata,
parastatale, statale ) le rappresentanze dei tecnici e degli operai
coopereranno intimamente - attraverso una conoscenza diretta della
gestione - all'equa fissazione dei salari, nonché all'equa ripartizione
degli utili tra il fondo di riserva, il frutto al capitale azionario e
la partecipazione agli utili stessi per parte dei lavoratori. In alcune imprese ciò potrà avvenire con una
estensione delle prerogative delle attuali Commissioni di fabbrica. In
altre, sostituendo i Consigli di amministrazione con Consigli di
gestione composti da tecnici e operai con un rappresentante dello Stato.
In altre ancora, in forma di cooperativa parasindacale. 13. - Nell'agricoltura, l'iniziativa privata
del proprietario trova il suo limite là dove l'iniziativa stessa viene
a mancare. L'espropriazione delle terre incolte e delle aziende mal
gestite può portare alla lottizzazione fra braccianti da trasformare in
coltivatori diretti, o alla costituzione di aziende cooperative,
parasindacali o parastatali, a seconda delle varie esigenze
dell'economia agricola. Ciò è del resto previsto dalle leggi vigenti,
alla cui applicazione il Partito e le organizzazioni sindacali stanno
imprimendo l'impulso necessario. 14. - E' pienamente riconosciuto ai
coltivatori diretti, agli artigiani, ai professionisti, agli artisti il
diritto di esplicare le proprie attività produttive individualmente,
per famiglie o per nuclei, salvi gli obblighi di consegnare agli ammassi
la quantità di prodotti stabilita dalla legge o di sottoporre a
controllo le tariffe delle prestazioni. 15. - Quello della casa non è soltanto un
diritto di proprietà, è un diritto alla proprietà. Il Partito iscrive
nel suo programma la creazione di un Ente nazionale per la casa del
popolo, il quale, assorbendo l'Istituto esistente e ampliandone al
massimo l'azione, provveda a fornire in proprietà la casa alle famiglie
dei lavoratori di ogni categoria, mediante diretta costruzione di nuove
abitazioni o graduale riscatto delle esistenti. In proposito è da
affermare il principio generale che l'affitto una volta rimborsato il
capitale e pagatone il giusto frutto, costituisce titolo di acquisto. Come primo compito, l'Ente risolverà i problemi
derivanti dalle distruzioni di guerra, con requisizione e distribuzione
di locali inutilizzati e con costruzioni provvisorie. 16. - Il lavoratore è iscritto d'autorità
nel sindacato di categoria, senza che ciò impedisca di trasferirsi in
altro sindacato quando ne abbia i requisiti. I sindacati convergono in
una unica Confederazione che comprende tutti i lavoratori, i tecnici, i
professionisti, con esclusione dei proprietari che non siano dirigenti o
tecnici. Essa si denomina Confederazione Generale del Lavoro, della
Tecnica e delle Arti. I dipendenti delle imprese industriali dello Stato
e dei servizi pubblici formano sindacati di categoria, come ogni altro
lavoratore. Tutte le imponenti provvidenze sociali realizzate
dal Regime fascista in un ventennio restano integre. La carta del Lavoro
ne costituisce nella sua lettera la consacrazione, così come
costituisce nel suo spirito il punto di partenza per l'ulteriore
cammino. 17. - In linea di attualità il Partito stima
indilazionabile un adeguamento salariale per i lavoratori attraverso
l'adozione di minimi nazionali e pronte revisioni locali, e più ancora
per i piccoli e medi impiegati tanto statali che privati. Ma perché il
provvedimento non riesca inefficace e alla fine dannoso per tutti
occorre che con spacci cooperativi, spacci d'azienda estensione dei
compiti della "Provvida", requisizioni dei negozi colpevoli di
infrazioni e loro gestione parastatale o cooperativa, si ottenga il
risultato di pagare in viveri ai prezzi ufficiali una parte del salario.
Solo così si contribuirà alla stabilità dei prezzi e della moneta e
al risanamento del mercato. Quanto al mercato nero, si chiede che gli
speculatori - al pari dei traditori e dei disfattisti - rientrino nella
competenza dei Tribunali straordinari e siano passibili di pena di
morte. 18. - Con questo preambolo alla Costituente
il Partito dimostra non soltanto di andare verso il popolo, ma di stare
col popolo. Da parte sua il popolo italiano deve rendersi conto
che vi è per esso un solo modo di difendere le sue conquiste di ieri,
oggi domani: ributtare l'invasione schiavistica delle plutocrazie
angloamericane, la quale, per mille precisi segni, vuole rendere ancora
più angusta e misera la vita degli Italiani. V'è un solo modo di
raggiungere tutte le mete sociali: combattere, lavorare, vincere. NOTE 1
cfr. G. Muzzioli : "L'economia e la società modenese fra le
due guerre." pag. 18 2
cfr. Censimento della popolazione italiana del 1921 3
cfr. G. Muzzioli, op. cit. pag. 29. 4
cfr. in G. Muzzioli op. di Paolo Riccardi: "Pregiudizi e
superstizioni del popolo modenese" - Firenze 1891 5
A Modena in quegli anni operavano parecchie bande di banditi che
vessavano le popolazioni con, furti, rapine, taglieggiamenti ecc., si
facevano i nomi delle bande di: Adani, Caprari, Cerchiari, Cipolli, dei
fratelli Mazzetti e numerosissimi erano i piccoli ladruncoli. Alto anche
il numero di omicidi e suicidi, la cronaca nera, in quegli anni, viveva
decisamente una stagione intensissima. Nell'Ottobre
del 1920, in occasione delle elezioni amministrative, fortissime erano
le tensioni tra socialisti e popolari e vi furono parecchi casi di
oratori aggrediti e bastonati; a Mortizzuolo, un giovane cattolico venne
accoltellato, così come a Polinago e anche a Lama Mocogno tre popolari
vennero feriti. Anche molti propagandisti socialisti vennero bastonati
dai cattolici, specie nelle zone di montagna; due socialisti vennero
uccisi dai carabinieri ad Ospitale di Fanano; l'anno seguente, il 1921,
fù ancora più pesante; a Campogalliano venne ucciso un sindacalista
rosso; la sera del 21 Gennaio venne ucciso il fascista, Mario Ruini e ai
suoi funerali, tre giorni dopo, si sparò sulla folla e vennero uccisi
altri due fascisti: Amilcare Baccolini e Orlando Antonini; a Novi il 16
Marzo venne mortalmente ferito il socialista, Celso Piccinini; a Vignola
venne gravemente ferito, da parte dei fascisti bolognesi, il socialista
Vermiglio Bonesi che morirà dopo 30 mesi; il 4 Giugno venne aggredito e
leggermente ferito il Prefetto Carlo Bodo ad opera di alcuni fascisti;
l'8 Agosto, a Stuffione di Ravarino, venne aggredito e pugnalato il
fascista Eliseo Zucchi; il 17 venne ucciso a Mortizzuolo, un popolare,
il 26 Settembre le guardie regie, a Modena, sparano su di un corteo di
fascisti uccidendone otto, ai funerali di questi partecipò lo stesso
Mussolini; il 12 Novembre ancora aggressione ad un fascista, venne
ucciso a rivoltellate, Gino Tabaroni. Anche
nel 1922 vi furono aggressioni e violenze di ogni tipo; a San Venanzio
di Maranello, due giovani cattolici, Adelmo Beneventi e Giovanni Romani,
furono uccisi dai fascisti; si può dire che la lunga catena di violenze
si esaurì dopo la Marcia su Roma del 28 Ottobre. 6
cfr. i dati di queste elezioni riportati nel capitolo: Il Clero e
la rsi. 7
Nel 1925, ben 7.000
donne si recarono in quelle provincie a lavorare come mondariso. 8
cfr. l'opera di Renzo De Felice su Mussolini. 9
cfr. G. Muzzioli, op. cit. pag. 254 10
ibidem 11
cfr. ISR, nuova serie n.5, anno 1985, in:Ennio Resca e Claudio
Silingardi: "Lotte operaie e riorganizzazione sindacale a Modena
(1943-45 )" pag. 63-64. 12
ibidem pag. 77. 13
ibidem pag. 81. 14
dichiarazione di B. Mussolini del 20 Marzo 1945. 15
cfr. : "Storia Contemporanea" ed. Il Mulino n. 2/1977,
pag. 260. 16
ibidem 17
cfr. E Resca ecc. op. cit. pag. 82. 18
cfr. L. Casali: "Storia della resistenza a Modena",
pag. 319-320. 19
cfr. E. Resca ecc. op. cit. 20
ibidem pag. 74 21
ibidem pag. 89. 22
ibidem 23
ibidem 24
Dott. Nino Saverio Basaglia, giornalista, sindacalista; scrisse,
tra l'altro, il Diario di guerra delle Camicie Nere modenesi che
combatterono sul fronte greco-albanese, titolato: "Gradinate di
fango e mandorli in fiore" - Edito dalla Soc. Tip. Modenese, nel
1944. Si raccontano, le epiche gesta delle camicie nere che caddero sul
Monte Kosica. Và sottolineato che, probabilmente per una dimenticanza o
per semplice ignoranza, il viale modenese che fiancheggia l'ex ippodromo
e lo Stadio Braglia, non venne mai epurato dalla toponomastica cittadina
dai reggitori del potere comunisti, come invece successe a tutte le
altre strade dedicate ai nomi più famosi del fascismo.
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MARTEDI 1 MAGGIO 1945 A Erba, in Provincia di Como, perde la vita
il Maggiore della Guardia Nazionale Repubblicana, di Sassuolo: MORI
ARTURO,(1) aveva quarantasei anni; rimase gravemente ferito in uno
scontro con i partigiani alcuni giorni prima. A Modena viene assassinato il civile: BERTELLI
PIETRO (1bis) MERCOLEDI 2 MAGGIO 1945 A Castelfranco Emilia i partigiani prelevano,
dal carcere di quel centro, dove era stato rinchiuso da pochi giorni
per la sua militanza nei reparti della RSI, il milite della GNR: CATTANI GIUSEPPE,(2) per poi "eliminarlo" a poca distanza,
nelle campagne circostanti. A Modena viene ucciso il Capitano della GNR: CIOFFI
ANTONIO.(3) GIOVEDI 3 MAGGIO 1945 A Mirandola viene ucciso il milite della
Brigata Nera "M. Pistoni": MOLINARI
GIACOMO.(4) A Tolmino, in Venezia Giulia, viene ucciso dai
partigiani titini, il modenese, caporal maggiore del Battaglione
bersaglieri "Mussolini": BAROZZI
ALFREDO.(5) VENERDI 4 MAGGIO 1945 A Castelfranco Emilia viene ucciso il
paracadutista, appartenente ai corpi alle dipendenze dei tedeschi: POLIDORI
MARIO.(6) A Montefiorino resta ucciso un milite della GNR: LANDI
ALFREDO.(7) A San Pietro in Casale viene ucciso il modenese: BARALDI
GUELFO.(8) SABATO 5 MAGGIO 1945 A Carpi viene trucidato il milite della GNR: BARBIERI
OTELLO.(9) Nella zona di Mirandola, precisamente a Vallalta,
vengono uccisi altri due militi della GNR:
SGARBI UGO,(10) che
si presume sia stato sepolto ancora vivo, essendo stato trovato il suo
cadavere con i pugni pieni di terra: l’altro era il milite: RAZZANI TEOBALDO.(11) A Collegara in Comune di Modena, viene ucciso, dopo
essere stato prelevato dai partigiani dalla sua abitazione, il milite
della GNR: MARCHETTI GIAN
PIETRO,(12) di diciannove anni: il padre, Giuseppe, era stato
ucciso alcuni mesi prima dai partigiani titini. Sempre in queste zone viene soppressa la giovane
ausiliaria della RSI, di soli diciassette anni: MALAGOLI TIZIANA(13) venne trucidata in località Villa
Filanda-Spiaggetta del Panaro, assieme ad altri fascisti, tra i quali,
sicuramente, il sopracitato Marchetti: A Nonantola viene "eliminato" il
ventiquattrenne: MALAGUTI
LUCIANO.(14) DOMENICA 6 MAGGIO 1945 In Comune di Modena, località San Damaso,
viene barbaramente assassinato il milite della GNR, di quarantotto
anni: RUINI
FEDERICO.(15) A Rosasco, in Provincia di Parma, assieme ad altre
ragazze, viene fucilata dai partigiani, l'ausiliaria di Castelfranco
Emilia: FORLANI BARBARA,(16) aveva
venticinque anni. Barbara era una giovane maestra; frequentò il corso
per le ausiliarie volontarie della RSI anche contro il volere dei
genitori, per essere fedele ai suoi ideali di Patria e per assistere i
combattenti; dalle sue parole s’intuisce tutto il travaglio di
questa giovane donna che, consapevole della sorte che l'aspettava, non
ha avuto tentennamenti della scelta compiuta. Questa fu l'ultima lettera che scrisse a casa: "mamma
carissima, ieri ho avuto due vostre lettere. Sono stata veramente
contenta di avere vostre notizie così recenti e dubito quando potrò
averne ancora, perchè i nostri cari "ribellucci" da alcuni
giorni fanno saltare il trenino che arriva a metà strada, da noi
e compiono scorribande. Anche questa volta, mamma, hai voluto essere pungente nelle tue parole, ma io ora ti
faccio una domanda: cosa devo fare per meritare il tuo perdono? io
credo che riuscirei ad ottenerlo solo a questa condizione: venire a
casa! E' così? Sappi mamma, che prima di intraprendere questo cammino
ho molto, dico molto pensato e discusso da sola nelle notti insonni
nella mia camera. Quanti quesiti mi sono posta. Risolvendoli sempre
per la grande fede e l'amore che porto per tè e per la mia cara
Patria, con una sola soluzione: partire! La morte non mi spaventa,
come mai mi ha spaventata. Non la temo. Le vado incontro giorno per
giorno, ora per ora. L'unico mio rammarico sarebbe il trapasso senza
il tuo perdono. Sia fatta, mamma, la tua volontà. Non ti chiederò più
nulla. Me ne starò sola con le mie montagne. Confiderò loro, che
sono più vicine al Giudice Supremo, le mie angosce, i miei dolori i
miei crucci. Rina.(17) LUNEDI 7 MAGGIO 1945 Nella zona di Carpi viene dato per disperso
il marò della "Decima Mas": RIPARINI
FULVIO.(18) Nella zona di Collegara, nei pressi della
Filanda-Ponte di Sant'Ambrogio, viene scoperto il cadavere di un
giovane di circa 20 anni: IGNOTO,(19)
sicuramente appartenente a reparti della RSI; risulta essere stato
ucciso da colpi di arma da fuoco; portava pantaloni grigi alla zuava,
cinghia di cuoio nero e scarpe alte. Un altro cadavere, viene trovato nel fondo Paduli,
in Via Panni a Saliceto San Giuliano: IGNOTO,(20)
sicuramente appartenente a reparti della RSI. Il rapporto dei
Carabinieri così diceva: "nella
prima fossa trovato cadavere di m. 1,70, di circa 35 anni. Vestito con
panno militare e scarpe militari nere. Ferite da taglio multiple al
collo e al torace". Un altro: IGNOTO,(21)
viene scoperto dai Carabinieri a San Damaso: nel rapporto questi,
così scrivevano: "
nella seconda fossa, cadavere di un uomo sui 40-45 anni, alto m. 1,75,
nudo, capelli castani, viso ovale: morto circa 20gg. prima del 25
Aprile, con colpo di arma da fuoco alla tempia destra e al collo;
avanzata decomposizione." A Castelfranco Emilia , sulla strada, viene ucciso
con una raffica di mitra, il quarantenne: ROGGIO
ANTONIO.(22) MARTEDI 8 MAGGIO 1945 A Modena viene ucciso il Colonnello
dell'Esercito Repubblicano: MARANO
VINCENZO.(23) A Castelfranco Emilia resta ucciso, dopo essere
stato prelevato dai partigiani, il paracadutista della RSI: INNOCENTI
BRUNO.(24) A Castelvetro vengono soppressi due fratelli di
sentimenti fascisti: si trattava della Signora: VANDINI ERNESTA,(25) di
cinquantadue anni e del fratello di quarantacinque anni: VANDINI DIOMIRO.(26) MERCOLEDI 9 MAGGIO 1945 A Maranello viene ucciso da elementi
partigiani, il giovane milite della Guardia Nazionale Repubblicana: LORINI ROBERTO.(27) A Modena perdono la vita, uccisi in imboscate o
prelevati dalle loro abitazioni i fascisti: MORANDI EMILIO,(28) CATELLANI GIULIO,(29) e LODI LUCIANO,(30) quest'ultimo
era Tenente dell'esercito repubblicano, venne prelevato dalla propria
abitazione in città e portato a Villa Ganaceto dove veniva ucciso; la
sua salma verrà recuperata dopo diverso tempo. Dalla ex caserma di Mirandola della GNR, partiva,
in questo giorno, un camion con a bordo sette prigionieri fascisti che
dovevano essere portati a Modena, per ordine del CLN, dovendosi
indagare sulla loro posizione politica. I sette erano accompagnati da
cinque partigiani. Il camion non giunse a destinazione: all'altezza di
Bomporto, sulla statale n.12, l'automezzo deviò per una via
secondaria; i sette furono fatti scendere e uccisi a raffiche di
mitra. Si trattava dei
seguenti fascisti. Il Maggiore della GNR, di sessantadue anni: TABACCHI
ETTORE ENRICO,(31) del figlio, anche lui milite della GNR: TABACCHI
FERNANDO,(32) del Colonnello della GNR di cinquanta anni:CECCHI
MARIO,(33) del Tenente della GNR di trentacinque anni: PALTRINIERI
DOMENICO,(34) del Tenente della GNR di ventidue anni: SPEZZANI CLAUDIO,(35) e delle due ausiliarie: CASTELLINI GIULIA,(36) di anni quaranta e della ventitreenne: MALAGOLI
GINA.(37) Sempre a Bomporto veniva ucciso da partigiani
comunisti il Dott. Carlo Testi, che era membro del CLN, ma iscritto
alla DC.(38) A Bologna viene ucciso lo squadrista della B.N.
"Pappalardo": GRADARA
RUGGERO (39) GIOVEDI 10 MAGGIO 1945 Vengono prelevati da un gruppo di partigiani,
dalla loro abitazione in Modena, due giovani fratelli, militi della
GNR; in quella casa, mesi prima, si era già pianto per la morte di un
altro giovanissimo fratello di 16 anni, ucciso anch'esso dai
partigiani in un’imboscata tra Carpi e Correggio il 14 Novembre
1944. I due fratelli uccisi in questo giorno sono: il ventenne
maestro: BELTRAMI ALFREDO,(39a) ed il giovane studente di diciannove anni: BELTRAMI
ARNALDO.(40) Sempre a Modena, viene prelevato e ucciso il
ventunenne milite delle SS Italiane: RISTORI
SERGIO.(41) Nella zona di Mirandola vengono brutalmente
"eliminati" i militi della GNR: FACCHINI
GRAZIANO,(42) e SIMONETTO GIUSEPPE.(43) A San Prospero veniva ucciso il Maggiore della GNR:
VELLANI ALBERTO.(44) VENERDI 11 MAGGIO 1945 A Modena viene ucciso il giovane milite della
GNR e bersagliere del Duce di venti anni: GIOVANARDI
ALESSANDRO.(45) Alla
periferia della città, nel fondo Panini in stradello Orsi, veniva
rinvenuto il cadavere di un: IGNOTO.(46)
Un altro veniva rinvenuto nel fondo Berselli, in Via Iacopo da
Porto: si trattava del cadavere di un: IGNOTO,(47)
era di età giovanile, portava un abito color chiaro, pantaloni
alla cavallerizza e nelle tasche aveva un giornale in data 1° Maggio.
I carabinieri ritennero che si trattasse di persone sicuramente
appartenenti a reparti della RSI. A Mirandola veniva ucciso tale: BERTOLI
UMBERTO.(48) SABATO 12 MAGGIO 1944 A Fiorano Modenese, viene ucciso il milite
della GNR:CIONI GIOVANNI,(49) venne
prima torturato e poi trucidato dai partigiani: la moglie, attraverso
mille difficoltà e pericoli, fece affannose ricerche e dopo parecchio
tempo, precisamente il 26 Settembre 1945, le spoglie di questo
sventurato milite fascista vennero ritrovate presso le Salse di Nirano. A Carpi veniva ucciso lo squadrista: BENATI
GAETANO.(49BIS) A Modena, veniva ucciso, in Via Bianchi Ferrari
dove risiedeva, il graduato della GNR: PISTONI
FRANCESCO;(50) la salma di questo fascista verrà recuperata a
Cognento circa un anno dopo, il 12 Aprile 1946. A Medolla viene ucciso il Sottotenente della GNR: BIANCHINI
GIUSEPPE.(51) A Castelfranco viene ucciso a colpi di rivoltella
l'ex milite della Brigata Nera di trentasei anni: GAROFANI ALBERTO.(52) In zone periferiche alla città di Modena restano
vittime di esecuzioni partigiane: BIANCONI
GAETANO;(53) era ispettore tecnico del consorzio carni ed aveva
quarantasette anni; e il Dott. ZUCCONI
ALBERTO;(54) che aveva trentuno anni; la salma di quest'ultimo
venne rinvenuta a Freto il 12 Novembre 1945. A Vercelli viene barbaramente ucciso assieme a
moltissimi suoi commilitoni, il giovane sottotenente della GNR, di
venti anni: REBUCCI PAOLO.(55) Questo giovane modenese si arruolò giovanissimo
nella GNR precisamente il 1° Novembre 1943; partì per Ravenna al
Corso Allievi Ufficiali. Nell'Agosto 1944 divenne sottotenente. Fu
orgoglioso di essere destinato a Vercelli poiché in quella città
occorrevano uomini sicuri, data la zona difficile e turbolenta. Pur
essendo ligio al dovere, quando al Comando vi era da trattare uno
scambio di prigionieri, gli emissari partigiani preferivano rivolgersi
a lui, perché sapeva comprendere e capire certe situazioni. Il 25
Aprile a Vercelli si forma una colonna detta poi dei
"duemila" per andare a Como per l'ultima battaglia: era una
trappola, tesa dai partigiani con una telefonata anonima.(56) La colonna giunta a Cortellazzo è in dubbio
atroce, poi la certezza del tradimento diventa realtà; non sapevano
più cosa fare: ritornare indietro? Combattere?. Sopraggiunse il
Vescovo di Novara; espone la situazione disperata e consiglia di
deporre le armi per evitare uno scontro con i partigiani che avrebbe
potuto essere la rovina del paese. Promette salva la vita! Furono
disarmati, privati del loro denaro, internati nel campo sportivo di
Novara, in mano alle "Fiamme verdi" partigiani
democristiani. Subito cominciarono le sevizie e gli eccidi: a
gruppi i disgraziati venivano torturati, trascinati fuori e scannati.
Ai primi di Maggio il campo fu assalito da una folla di contadini
armati di forche, badili, vanghe, che fecero scempio di tanti
infelici. Poi arrivarono i partigiani di Vercelli, con due automezzi,
per prelevare parte di coloro che erano sopravvissuti. Vennero
caricati 75 prigionieri, tra i quali il sottotenente Rebucci e portati
all'Ospedale Psichiatrico di Vercelli. Arrivarono già massacrati di
botte. Il Cappellano dell'Ospedale diede l'assoluzione in massa, perché
i partigiani avevano fretta di "lavorarli"; l'orgia di
sevizie durò delle ore, perché i carnefici si davano il cambio. Fra
questi "eroi" vi era un medico che sapeva torturare bene,
senza far morire il "paziente". Alle due di notte
cominciarono a condurli a morte. Parte nel canale Cavour, altri nelle
campagne. Fu un vero e proprio massacro. La salma del sottotenente
Rebucci non venne mai più ritrovata, nonostante le pazienti ed
accurate ricerche portate avanti per anni dai genitori.(57) DOMENICA 13 MAGGIO 1945 Eccidio partigiano a Sassuolo; dalle loro
abitazioni vengono prelevate ed uccise le seguenti persone, fasciste o
sospette di esserlo state: il quarantenne MATTEOTTI
UMBERTO,(58) il quarantaquattrenne: MONTI
MARIO,(59) un altra persona della stessa età: MUCCHI CARLO,(60) l'impiegato al Municipio di Sassuolo di
cinquantotto anni: PRANDINI
BATTISTA,(61) e il quarantacinquenne: BONILAURI
GIUSEPPE.(62) LUNEDI 14 MAGGIO 1945 Continuano in tutte le zone del modenese,
nessuna esclusa, anche se la maggior parte avvengono in città e nella
bassa, le spietate esecuzioni dei fascisti o dei presunti tali.
Andarono a bersaglio, in questo clima di anarchia e di giustizia
arbitraria, tutta una serie di vendette, di rancori personali di
ruberie, che sono poi passate come rappresaglie politiche e di guerra. A Castelfranco vengono prelevati e portati in una
casa colonica dove vengono torturati, derubati ed uccisi: GARAGNANI LUIGI,(63) di quarantasette anni e tale: VIGNALI
ALDO.(64) A Formigine viene "eliminato" un uomo di
cinquantatré anni: MONTORSI
EZECHIELLO.(65) "Alle
ore 17 del 14 Maggio 1945, a Casinalbo, venne prelevato l'industriale
Ezechiello Montorsi. La sera stessa venne ucciso con quattro colpi di
mitra. Dopo due giorni, la salma venne recuperata, già sotterrata nel
podere del mezzadro Fernando Stefani. Lo stesso giorno, venne
arrestato il capo partigiano.... autore materiale del delitto.
Condotto alla Questura di Modena, riuscì ad evadere (c'era ancora la
polizia partigiana) ed a riparare in Iugoslavia. Un altro dei
partecipanti all'assassinio fuggì mentre stava per essere arrestato
all'interno del salumificio di Casinalbo. L'industriale era stato
derubato del portafoglio, dell'orologio d'oro, e di un anello d'oro
con brillanti.(65bis) Mentre nella zona di Mirandola rimane vittima di
rappresaglia: RAZZOLI
ALBERIGIO.(66) A Pavullo i partigiani prelevano dalla loro
abitazione due coniugi che verranno barbaramente assassinati: sono il
sessantacinquenne: GAETTI
GIUSEPPE,(67) e la moglie di cinquantotto anni: CIONI
GAETTI VIRGINIA.(68) A Modena vengono assassinati: il Brigadiere della
GNR: SALA UBER,(69) venne
ucciso con otto pugnalate, come dichiareranno i suoi assassini che
verranno poi assolti al processo e tale: BARBIERI
GINO.(70) In Via Guicciardini veniva colpito mortalmente da
colpi di arma da fuoco un adulto: IGNOTO,(71)
sicuramente appartenente a corpi militari della RSI. A Nonantola vengono uccise madre e figlia, la prima
di sessantadue anni, la seconda di ventuno anni: TANGERINI ERMINIA e
TANGERINI MARIA.(71BIS) MARTEDI 15 MAGGIO 1945 A Zocca vengono prelevati ed uccisi, da
elementi partigiani: il custode del campo d'aviazione di Modena, di
cinquantadue anni: REAMI GILIO,(72)
e il trentaseienne: BERTUZZI
FILIPPO.(73) A Castelnuovo Rangone viene ucciso tale: BACCHI
OLIVIERO.(74) Nell’ormai famigerato "triangolo della
morte", che era situato tra Castelfranco-Piumazzo-Manzolino,
vengono uccisi: il Capitano della GNR: TEAGNO
ODOARDO,(75) l'ex Federale di Cuneo: RONZA
SECONDO,(76) e altre due persone: DE
STEFANI FERDINANDO,(77) e ZORGNOTTI CARLO.(78) Nella zona di Mirandola, a San Martino Spino, viene
ucciso: MALAGUTI ANTONIO,(79) A Modena, due partigiani prelevano dalla sua
abitazione il quarantunenne: PAGANI
GIACOMO,(80) che verrà mantenuto prigioniero in una porcilaia e
successivamente fucilato. E' in questi tragici giorni di maggio che parte dal
Nord, precisamente da Brescia, diretto verso la Capitale, un camion
del Vaticano con a bordo 40-50 persone che, tramite le autorità
ecclesiastiche, avevano ottenuto dal CLN il lasciapassare per
raggiungere le famiglie, sparse in ogni parte d'Italia e in
particolare nelle zone del Centro e del Sud. Erano, nella maggioranza, allievi ufficiali della
Scuola della GNR di Oderzo che, dopo aver ricevuto l'onore della armi
alla loro resa, da questa località avevano raggiunto Brescia, poiché
da quel centro attraverso particolari canali avrebbero avuto la
possibilità di raggiungere con mezzi messi a disposizione dal CLN e
dalla curia, le località d'origine. "Dal
vescovado il camion sul quale - come su tutti gli altri mezzi in
servizio per la P.O.A - era stata issata una grande bandiera bianca e
gialla, quella del Vaticano, raggiunse Porta Venezia (nella zona
orientale della città) per caricare altri passeggeri; poi lasciò
Brescia diretto a Mantova e attraverso il Po a San Benedetto. A bordo
di questo mezzo viaggiavano molto pigiate, 40-50 persone....
omissis... A Bondanello l'automezzo venne fermato da un gruppo di
partigiani della polizia locale....poi l'autocarro fu lasciato
proseguire per Concordia....ma fu fermato da un gruppo di sette otto
partigiani con il fazzoletto rosso armati di mitra bombe e pugnali.
L'autocarro fu scortato da costoro fin davanti alla Villa Medici di
Concordia..."(80bis) Alcuni dei presenti sull'autocarro vennero
rilasciati gli altri vennero rinchiusi nel solaio di Villa Medici dove
erano già trattenuti altri prigionieri politici. Con esattezza non si poté mai sapere come andarono
le cose malgrado vari interventi, negli anni successivi, della
magistratura che indagò a lungo, e in svariate circostanze in seguito
alle continue ricerche fatte da molti dei familiari di coloro che si
trovarono su quel camion che poi venne definito come, "la
corriera fantasma" o "la corriera della morte". Molti
particolari di quel tragico viaggio si poterono conoscere in una prima
occasione al processo che si tenne presso la corte di Assise di
Viterbo dal 15 Dicembre 1950 al 15 Gennaio 1951. Le imputazioni degli
imputati consistevano nei seguenti reati:1) concorso nel reato di
sequestro continuato ed aggravato di persona; 2) di concorso nel reato
di omicidio aggravato continuato; 3) di concorso nel reato di
malversazione continuata. La sentenza condannava poi, il comandante e vice
comandante della polizia partigiana di Concordia, colpevoli di
omicidio volontario continuato a 25 anni di reclusione, dei quali 16
anni e 7 mesi condonati, e l'interdizione perpetua dai pubblici
uffici. Ma la possibilità di trovare i resti degli
sventurati ed avere la possibilità di un loro riconoscimento sfumava
sempre più. Negli anni successivi nelle campagne di quelle zone
si continueranno a scoprire ossa
e resti umani che i carabinieri assicureranno , in molti casi,
appartenere agli scomparsi della "corriera fantasma" Di alcune di queste vittime
si è riusciti ad accertare l'identità, dopo lunghissime e
laboriosissime ricerche, ma purtroppo in molti casi si è potuto
risalire alla probabile identità degli scomparsi attraverso ipotesi e
valutazioni che non hanno potuto avere un’esatta e precisa conferma.
Anche le analisi fatte dall'Istituto di Medicina legale di Modena su
centinaia di frammenti di ossa raccolti, non portarono a risultati
definitivi. Tuttavia, i fatti accertati, nella loro sostanza, non
lasciavano più adito a dubbi: la polizia partigiana aveva derubato i
passeggeri, e ne aveva ucciso un buon numero. Si ha la quasi assoluta certezza che tra i
trucidati a San Possidonio fossero presenti le seguenti persone: gli allievi Ufficiali della GNR della Scuola di
Oderzo: CALVANI MARCELLO,(81)
COZZI MARCELLO,(82) DELLA GERVA NICCODEMO,(83) GOTTARDI
FRANCO,(84) IANNONI SEBASTIANI CESARE,(85) LOMBARDI ROBERTO,(86)
PICCININI SERGIO,(87) dei fratelli bolognesi , il primo di
trentotto anni e capitano della GNR, il secondo di non ancora
diciassette anni: QUADRI
GIOVANNI(88) e QUADRI SILVANO.(89) Del sottocapo di marina: GIUFFRE'
VINCENZO(90) dell'ex aviere di quarantacinque anni: CAGNO ALFONSO,(91) del vice brigadiere della GNR, di venti anni: ENRICO
SERRELI(92) di certi: NOTTI
ALFREDO,(93) FALLAI ALFIO,(94) GROSSI GINO,(95) dell'ausiliaria
della RSI di diciannove anni: TIRABASSI
MARIA TERESA,(96) dell'Ufficiale toscano: PIA
IACOPO RENZO,(97) del Capitano delle B.N.: BARTOLOZZI
WALTER,(98) di certi: BARIANI
WALTER(99) STABELLINI,(100) di cui non si conosce il nome. e
ancora di certo MELLI ALFREDO. Molto probabilmente nelle fosse di San Possidonio
sono stati sepolti altri prigionieri politici che erano stati
trasportati in quelle zone dalla sede della "polizia partigiana
di Carpi", pertanto si può ritenere che altri VENTI
IGNOTI (101) si siano trovati accomunati al tragico destino di
coloro che ebbero la possibilità di essere quasi sicuramente
identificati. In seguito alla scoperta delle fosse del 1968 e
degli scavi successivi, venne stilato un rapporto dei carabinieri che
così concludeva: "Per
opportuna notizia inoltre, si comunica che, nel corso delle indagini
relativo al presente rapporto, sono stati svolti numerosi contatti, a
seguito dei quali è stato possibile localizzare: -
nel fondo così detto Pacchioni, al confine dei comuni di Cavezzo e
San Possidonio il punto in cui giacerebbero i resti appartenenti ad
una quarantina di persone, soppresse durante il periodo clandestino; -
nel fondo Sbardellati Triante, in Comune di San Possidonio, lungo
l'argine del canale, il punto in cui si troverebbero i resti di altre
15 persone, fucilate nel periodo clandestino ad opera dei partigiani; -
nel fondo del Dottor Pollastri Bruno, di San Possidonio un ex rifugio
antiaereo ove giacerebbero i resti delle rimanenti persone fucilate a
San Possidonio nella notte tra il 18
e 19 Maggio 1945 e di cui tratta il presente rapporto." In
conclusione. le indagini dei Carabinieri avrebbero stabilito che le
persone soppresse e sepolte in modo clandestino in quel periodo, nel
Comune di San Possidonio, soltanto dentro fosse comuni delle quali poté
essere accertata l'esistenza, sarebbero state, nel complesso, quanto
meno, un ottantina. Dal novero restano escluse le persone soppresse e
sepolte isolatamente quà e là, sempre in modo clandestino."(102) MERCOLEDI 16 MAGGIO 1945 A Castelfranco Emilia un gruppo di
"sconosciuti" si presenta ad un droghiere del luogo per la
"solita" operazione di giustizia partigiana. Una volta
entrati nell'abitazione del predestinato, gli sconosciuti hanno fatto
allineare uno fianco all'altro tutti i familiari, nella camera da
pranzo. Poi il capo famiglia venne portato via. Di lui non si seppe più
nulla.(103) Si trattava di tale: GIOVANNONI
BERNARDO.(104) A Mirandola viene ucciso lo squadrista: OTTANI
CORRADO.(104bis) A Cognento veniva ucciso il sottotenente della GNR
di ventuno anni: CANEPONE
RANIERO.(104tris) In località Tre Olmi di Modena, veniva ucciso il
sergente maggiore della RSI: RICCHETTI
CESARE.(104/4) GIOVEDI 17 MAGGIO 1944 A Finale Emilia viene prelevato ed ucciso, il
maggiore della MVSN di quarantasei anni: FALZONI
GINO.(105) A Corlo di Formigine veniva ucciso il Brigadiere
della GNR: BOARI ADALGISO.(106) VENERDI 18 MAGGIO 1945 A Formigine viene prelevato ed ucciso il
quarantaduenne: GIACOBAZZI
CONFUCIO,(107) la sua salma verra’ recuperata, in seguito, a
Cognento. A Collegara viene scoperto il cadavere di un
anziano: IGNOTO,(108) sicuramente
appartenente a reparti della RSI. SABATO 19 MAGGIO 1945 A Vignola viene impiccato, nelle carceri del
Castello, il facchino, di trentanove anni: SANTI
GINO A Castelfranco
Emilia viene ucciso certo: CONSOLINI
DANTE.(110) A Formigine, il solito gruppo di partigiani,
"sconosciuti", preleva dalla sua abitazione per trucidarlo,
un noto possidente di Casinalbo, il cinquantenne: CAVAZZUTI
ZOELLO.(111) La salma di questo sventurato venne ritrovata nel
fondo Rangoni, a Formigine, il 12.2.1946. A San Damaso viene ucciso il nativo di Bomporto, già
iscritto al Partito Nazionale Fascista: BARBIERI MARIO.(112) A Modena viene ucciso, a colpi di arma da
fuoco, un uomo di circa 30-35 anni rimasto: IGNOTO.(113) DOMENICA 20 MAGGIO 1945 A Freto, in Comune di Modena, viene ucciso il
milite della GNR di quarantasei anni: BADIALI
PIETRO.(114) A Castelfranco Emilia, nello stillicidio delle
uccisioni quotidiane che hanno tormentato quelle zone per un lungo
periodo del dopo "liberazione", vengono soppresse due donne
ritenute fasciste: COCCHI
VITTORIA,(115) e DE ANGELIS ITALIA.(116) LUNEDI 21 MAGGIO 1945 A Modena viene prelevato dalla sua
abitazione, portato a San Matteo sul fiume Secchia e quì ucciso, il
cantoniere di quarantatré anni: FREGNI
DUILIO.(117) A Savignano sul Panaro resta vittima della
"giustizia" partigiana, tale: BONI
ANGIOLINO.(118) MARTEDI 22 MAGGIO 1945 A Sassuolo, la "giustizia"
partigiana si presenta a casa di: RUBBIANI
UMBERTO,(119) venne portato a Baggiovara e in questa località,
ucciso. A Zocca i "giustizieri" proletari, si
accaniscono contro l'operaio di quarantaquattro anni: CARLINI FIORIGIO.(120) A San Cesario sul Panaro viene trovato ucciso, con
il capo fracassato da colpi di mitra, il quarantaseienne: BONI MARIO(121) Nei pressi di Carpi, mentre era diretto a
Castiglione delle Stiviere, nel mantovano, per raggiungere i fratelli
che colà erano sfollati, in bicicletta e con i calzoncini corti, un
ragazzo di diciassette anni, PINI
GIOVANNI (122) viene fermato da un gruppo di partigiani nella zona
di Concordia; dai documenti viene accertato che si trattava del figlio
di Giorgio Pini, ex Direttore del "Resto del Carlino" e
Sottosegretario agli Interni nel Governo della RSI, riconosciuto,
anche dagli avversari, per un uomo corretto e leale. Il giovane non
apparteneva a nessun reparto militare, ne aveva preso parte in nessun
modo alla guerra civile. La sua condanna a morte fu dovuta solamente
al fatto di essere figlio di un esponente della RSI. Malgrado vane
ricerche, la sua salma non venne mai recuperata. MERCOLEDI 23 MAGGIO 1945 Nella tormentata zona del triangolo della
morte, a Castelfranco Emilia, viene assassinato: MELONI
MANFREDO.(123) GIOVEDI 24 MAGGIO 1945 A Montalto di Zocca viene prelevato dalla sua
abitazione e brutalmente ucciso il Parroco di quel piccolo centro: PRECI
DON GIUSEPPE.(125) "due
individui si presentano alla casa di Don Preci. Quando la domestica
Teresa Tamburini va ad aprire, essi invitano il sacerdote a
seguirli.....omissis...A poche centinaia di metri dalla canonica...
estrae la pistola e ammazza il Prete. Poi gli assassini tornano in
canonica e fanno man bassa dei beni di Don Preci. Alla Tamburini viene
dato del denaro per comprarne il silenzio. E così par alcuni anni
l'uccisione del Parroco di Montalto resta un mistero. Poi, nel 1949,
le indagini subiscono una svolta: la Tamburini confessa e i
responsabili vengono assicurati alla giustizia. Il movente accertato
è quello dell' "odio antireligioso" e della
rapina".(126) A Castelfranco Emilia resta ucciso il civile
CAVALLOTTI ANTONIO(126bis) VENERDI 25 MAGGIO 1945 A Ravarino vengono prelevati dalle loro
abitazioni per essere uccisi, due fratelli:
VACCARI VITTORIO:(127) e
VACCARI GUERRINO.(128) A Modena viene prelevato dalla sua abitazione il
brigadiere della Milizia Ferroviaria di cinquantatré anni: PAPARELLA ROCCO.(129) Da indagini effettuate dai suoi familiari,
sembra sia stato ucciso nella zona di Ganaceto. La sua salma non venne
mai ritrovata. SABATO 26 MAGGIO 1945 Feroci esecuzioni a Concordia: padre e figlio
vengono bestialmente assassinati: il padre era milite della GNR: ARTIOLI
LUIGI,(130) e il figlio, probabilmente, nell'intento di difendere
il genitore, subì la stessa sorte: ARTIOLI
ALBERIGIO.(131) Assieme a questi venne ucciso il cinquantunenne:GAVIOLI
RENATO.(132) A Castelfranco Emilia, ennesima esecuzione ai danni
di un religioso, che come negli altri casi , non viene ricordato dalla
storiografia resistenziale, che è sempre andata a senso unico
ricordando la partecipazione della Chiesa alla guerra civile ma non i
preti massacrati dai partigiani. TAROZZI
DON GIUSEPPE.(133) Era parroco di Riolo di Castelfranco Emilia e venne
prelevato e soppresso, da otto partigiani comunisti a scopo di rapina.
Gli autori furono anche denunciati all'autorità giudiziaria. La salma
di questo sacerdote non venne mai ritrovata e si ritiene sia stata
bruciata in una fornace.(134) DOMENICA 27 MAGGIO 1945 A Medolla si verifica una delle più spietate
ed efferate rappresaglie del dopoguerra. Il Maresciallo della GNR: GRECO
GIORGIO ANGELO,(135) di quarantotto anni, viene barbaramente
trucidato assieme ai suoi giovani figli: l'ausiliaria ventitreenne: GRECO
EVA,(136) ed il giovanissimo figlio di diciassette anni: GRECO
SANTINO.(137) Questo orrendo crimine, emblematico per la volontà
comunista di far scomparire intere famiglie accusate di fascismo,
dimostra il disegno precostituito per la totale eliminazione fisica
dei fascisti: una vera e propria strage etnica. La povera madre e
moglie, di questa famiglia così tragicamente decimata chiese ripetute
volte, a coloro che ben sapeva essere gli esecutori materiali degli
omicidi, dove fossero stati sepolti i suoi familiari, ma venne sempre
beffeggiata. Assieme ai tre Greco e sempre a Medolla vennero uccisi i
fascisti: GEMMI PASQUALE,(138) e NERI RENATO.(139) LUNEDI 28 MAGGIO 1945 A Mirandola viene ucciso tale: CALEFFI
DARIO.(140) A Zocca vennero raggiunti dalla "giustizia
partigiana" in una proditoria ed efferata aggressione, due
coniugi: l' ex Podestà di Zocca, di sessantacinque anni: CHECCHI
LUIGI,(141) e la moglie di cinquantotto anni: CHECCHI
BENEDETTI ANTONIA.(142) MARTEDI 29 MAGGIO 1945 Siamo ancora nella zona di Mirandola: viene
ucciso tale. MELETTI GIORGIO.(143)
A Castelvetro è la volta del venticinquenne: BURSI
EGIDIO.(144) Ancora nella zona del "triangolo della
morte", a Castelfranco vengono uccise due persone si trattava di:
CAVALLOTTI LUIGI,(145) di
sessanta anni e di: BAROZZI
UMBERTO(146) A Villa Freto viene ucciso il fascista: MORANDI
LEOPOLDO(146BIS) era stato prelevato presso l'Istituto San Filippo
Neri di Modena. MERCOLEDI 30 MAGGIO 1945 In Comune di Modena nel fondo Panini, sito in stradello Orsi, viene rinvenuto il
cadavere di un: IGNOTO,(147) in
avanzato stato di decomposizione; era vestito da Ufficiale della GNR
con camicia nera, pantaloni grigioverdi e stivali di cuoio. GIOVEDI 31 MAGGIO 1945 In questa data elenchiamo quei fascisti, o
presunti tali, uccisi nel mese di Maggio e dei quali non si è mai
conosciuta con esattezza la data del decesso. A Castelfranco Emilia vengono uccisi: ZANASI
VITTORINO,(148) POLIDORI MARIO,(149) oltre a
OTTO IGNOTI.(150) A Codevigo, in Provincia di Padova, restava ucciso
il Capitano della GNR di Carpi: FORTI
MASSIMO,(151) a Concordia veniva ucciso: CREMA ANTONIO.(152) Nella zona di Ravarino si dovevano contare altri
caduti: SETTE IGNOTI.(153) Ancora nella zona di Castelfranco Emilia venivano
uccisi: LANDINI VITO.(154)
GANDOLFI LUIGI (154bis) MANZONI ITALO (154ter) NOTE 1
cfr. Elenco caduti della RSI n. 518. 1bis
cfr. "Martirologio" pag. 127 2
ibidem n. 206 3
cfr. elenco caduti inumati nel sacrario di San Cataldo. 4
cfr. lettera del Comune di San Felice sul Panaro del 3.2.1956. 5
cfr. elenco caduti del Battaglione "Mussolini" 6
cfr. G. Fantozzi: "Vittime dell'odio" pag. 91 7
cfr. G. Pisanò: "Gli ultimi in grigioverde", Vol. 4°
pag. 2099. - "Martirologio" colloca questa uccisione al
3/5/44 8
cfr. elenco caduti n. 49. 9
ibidem n. 55 10
ibidem n. 717 11
cfr. lettera del Comune di Mirandola del 16.1.1956 prot. 126 12
cfr. elenco caduti n. 462 13
ibidem n. 451 14
cfr. lettera del Comune di Nonantola del 23.1.1956 prot. 186 15
cfr. elenco caduti n. 679 16
ibidem n. 309 17
cfr. lettera agli atti dell'archivio dell'Ass. Naz. Cad. e
dispersi della RSI di Modena e inserita anche nel volume di Don A.
Scarpellini: "Lettere dei condannati a morte della RSI".
pag. 193 18
cfr. elenco caduti 19-20-21
cfr. in elenco caduti ignoti in detto Archivio, tratto dai
verbali dei CC della nostra città. 22
cfr. elenco caduti n. 654 23
ibidem n. 460 24
cfr. ESGC.Pi e anche in : F. Fantozzi, op. cit. pag. 153 25
cfr. elenco caduti RSI n. 784 26
ibidem n. 785 27
ibidem n. 423 28
ibidem n. 515 29
ibidem n. 203 30
ibidem n. 421 31
cfr. lettera del Comune di Mirandola del 16.1.56 32
-38 ibidem 39
cfr. "Martirologio" pag. 119 39a
cfr. elenco caduti n. 76 40
ibidem n.77 41
ibidem n. 653; anche in : R. Lazzero; "Le SS
italiane", pag. 370 42
ibidem n. 273 43
ibidem n. 725 44
cfr. elenco caduti inumati nel Sacrario di San Cataldo. 45
cfr. elenco caduti n. 349 46
cfr. elenco caduti ignoti in Archivio Ass. Cad. RSI 46
- 47 ibidem 48
cfr. articolo di F. Focherini in: "A1", mensile,
luglio 1983 49
cfr. elenco caduti n. 228 49bis
cfr. Martirologio pag. 112. 50
cfr. elenco caduti inumati nel sacrario di San Cataldo. 51
cfr. lettera del Comune di Medolla del 16.1.1956 prot. 42. 52
cfr. lettera del Comune di Castelfranco, cit. 53
cfr. elenco caduti n. 112 54
ibidem n.826 55
ibidem n. 638 56
- 57 cfr. testimonianza del Dott. Enzo Rebucci. 58
cfr. elenco caduti n. 483 59
ibidem n. 510 60
cfr. lettera del Comune di Sassuolo del 30.1.1956 prot. 563. 61
cfr. elenco caduti n. 616 62
ibidem n. 137 63
- 64 cfr. lettera
del Comune di Castelfranco. cit. 65
cfr. elenco caduti n. 512 65bis
cfr. V. Martinelli: "La corriera fantasma", pag. 146 66
cfr. ESGC.Pi 67
cfr. elenco caduti n. 326 68
ibidem n.327 69
ibidem n. 688 70
ibidem n. 52 71
cfr. elenco caduti ignoti 71bis
cfr. Fantozzi, op. cit. pag. 168 72
cfr. elenco caduti n. 635 73
cfr. lettera del Comune di Zocca del 28.1.1956 prot. 231 74
ESGC.Mo 75
cfr. elenco caduti RSI n. 700 76
ibidem n. 664 77
cfr. ESGC.Mo e F. Fantozzi, op. cit. pag. 82 78
cfr. elenco caduti n. 825 79
ibidem n. 446 80
ibidem n. 555 81
a 102 cfr. G. Pisanò, in op. cit. Vol. 3° pag. 1836; A. Scarpellini,
op. cit. pag. 252-255;V. Martinelli, op. 103
cfr. "La seconda liberazione in Emilia" opuscolo
edito nel 1949 a cura della segreteria region. della DC. 104
cfr. elenco caduti n. 352 104bis
cfr. Martirologio pag. 117 104tris
cfr. Albo d'oro A.U. della GNR 104/4
cfr. F. Fantozzi op. cit. pag. 165 185
cfr. elenco caduti n. 274 106
ibidem n. 117 107
ibidem n. 345 108
cfr. elenco caduti ignoti della RSI, dai verbali dei CC. 109
cfr. lettera del Comune di Vignola del 3.2.1956 prot. 407 110
cfr. lettera del Comune di Castelfranco cit. 111
cfr. elenco caduti n. 216 112
ibidem n. 30 113
cfr. elenco sconosciuti appartenenti alla RSI 114
cfr. elenco caduti n. 38 115
ibidem n. 230 116
ibidem n. 250 117-118
ibidem n. 317 119
ibidem n. 667 120
cfr. lettera del Comune di Zocca del 28.1.1956 prot. 231 121
cfr. lettera del Comune di Castelfranco cit. 122
cfr. V. Martinelli, op. cit. 123
cfr. elenco caduti n. 488 124
cfr. G. Pisanò op. cit. 125
cfr. lettera del Comune di Zocca, cit. 126
cfr. F. Fantozzi, op. cit. pag.59 126bis
cfr. "Martirologio" pag. 131 127
cfr. elenco caduti n. 773 128
ibidem n. 771 129
ibidem n. 569 130
ibidem n. 25 131
ibidem n. 21 132
ibidem n. 237 133
cfr. ESGC.Pi 134
cfr. G. Pisano op. cit. 135
cfr. elenco caduti n. 367 136
ibidem n. 368 137
ibidem n. 369 138
ibidem n. 341 139
ibidem n. 541 140
cfr. ESGC.Pi 141
cfr. lettera del Comune di Zocca cit. 142
ibidem 143
cfr. ESGC.Pi 144
cfr. ESGC.Mo 145
cfr. elenco caduti n. 208 e lettera del Comune di Castelfranco,
cit. 146
cfr. elenco caduti n. 59 146bis
cfr. F. Fantozzi, op. cit. pag. 162 147
cfr. elenco sconosciuti in Arch. Ass. Cad. 148
cfr. ESGC.Pi e F. Fantozzi, op. cit. pag. 82 149
ibidem 150
cfr. elenco sconosciuti 151
cfr. elenco caduti n. 310 152
cfr. ESGC.Pi 153
cfr. elenco sconosciuti 154
cfr. F. Fantozzi, op. cit. pag. 82 154bis
cfr. "Martirologio" pag. 139 154ter
ibidem
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