Modena vista da destra

Guerra civile nel modenese

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Esempi di alcuni capitoli dal libro: VISTA DAI VINTI  - GUERRA CIVILE NEL MODENESE

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Introduzione La Repubblica di Montefiorino Marzo 1944
La tragica estate del 1944 RSI e Classe operaia Maggio 1945

INTRODUZIONE

 Per oltre venti anni le pagine di questo libro, pensate e scritte con lo scopo di far conoscere all’opinione pubblica un quadro, accettabilmente esauriente, del periodo della guerra civile in territorio modenese e fuori dai luoghi comuni del più vieto conformismo “resistenziale”, sono rimasti chiuse in un cassetto per le enormi difficoltà, sempre incontrate, a trovare editori disposti ad assumersi la responsabilità nell’affrontare argomenti inerenti un periodo storico visto, da sempre, in chiave manichea ed unilaterale e strumentalizzato ai fini politici da una sola parte.

Si aveva intenzione, sin da allora, affrontando questo tema e rivisitando la vasta messe di pubblicazioni della storiografia antifascista relativa al microcosmo storico della Provincia modenese, di dare un contributo a superare il discorso della guerra civile, affrontandolo anche dal punto di vista della parte soccombente onde controbilanciare l’enorme pubblicistica proposta a piene mani da coloro che, aggregandosi allo strapotere delle forze armate anglo americane, i veri vincitori della seconda guerra mondiale, si sono trovati a beneficiare di un risultato ottenuto scatenando all’interno della nostra Patria una lacerante e sanguinosa lotta tra fratelli.

Per poterlo impostare, tale problema, era ed è ancor oggi opportuno, che anche dalla parte dei perdenti si potesse, quantomeno, mettere sul piano della discussione storiografica, una visione obiettiva e anch’essa sfoltita di tutti gli aspetti agiografici della storiografia di parte fascista.

Nel nostro territorio pochissime ricerche sono state fatte da questa parte e quel poco in forma ridotta e non completamente documentata oltre che limitata, nella sua divulgazione, ad un ristretto settore dell’opinione pubblica che in realtà, quel periodo storico lo conosce per averlo vissuto sulla propria pelle.

Il nostro è un tentativo di divulgare la storia di quegli anni, da un punto di vista il più possibile obiettivo, essendoci basati fondamentalmente su notizie di cronaca, per contrastare l’imperante storiografia “resistenziale” sovvenzionata e manipolata, in grandissima parte, dal Partito Comunista.

Il crollo del comunismo in Europa e nel mondo, ma non ancora del tutto digerito in Italia, che solitamente arriva con anni di ritardo ai grandi appuntamenti della storia, ha portato molti storiografi ed ex-intellettuali della sinistra, sempre opportunisti in verità, alla ricerca del superamento e della discussione critica del periodo storico della Repubblica Sociale Italiana e di converso della resistenza.

La strumentalizzazione portata avanti per cinquanta anni dal gruppo di partiti politici facenti parte del cosiddetto “arco costituzionale” oltre che dagli incensatori acritici della resistenza, ha mostrato la corda. Della “fede”, nella quale si sono riconosciuti, crogiolati e ben pasciuti i seguaci dell’imperialismo russo e del capitalismo americano, è rimasto ben poco.

E’ anche vero che in brevissimo tempo si sono rivoltate interpretazioni storiche che sembravano dogmi assoluti; oggi si possono leggere analisi e giudizi sulla resistenza, da parte d’ex partigiani o d’antifascisti che, sino a ieri, sarebbero stati considerati come farneticazioni o eresie dei soliti “nostalgici fascisti”.

La rivisitazione di tanti aspetti e di tanti personaggi del fascismo, anche del periodo della RSI, attuata da autori che non hanno mai avuto simpatie per quel movimento e che ovviamente continuano a prenderne le distanze è sintomatico di una volontà di ripercorrere con nuove, per loro, e più obiettive valutazioni, la storia di quegli anni tormentati.

Gli storici che prendono in esame gli anni del fascismo, in modo particolare la sua ultima appendice della RSI, e che sono chiamati, con un termine non corretto a nostro parere, “revisionisti”, stanno svolgendo un lavoro di notevole interesse e d’enorme portata storica.

Scrollatisi di dosso le logore impostazioni di una certa cultura della sinistra, che, attenzione, allora sembrava quella vincente, molti autori, tra i quali citiamo, Renzo De Felice, Domenico Settembrini, Franco Bandini, Giordano Bruno Guerri, Romolo Gobbi, GianPaolo Pansa ed altri, hanno iniziato a “studiare” il Fascismo con maggior approfondimento, scoprendo che, in realtà, non fu poi quel “fenomeno demoniaco “ che per lunghissimo tempo si è voluto fare apparire e che moltissimi uomini di quel tempo furono degli statisti d’alto livello e dei politici molto validi sul piano nazionale ed internazionale e che la vita italiana ebbe in quegli anni un formidabile sviluppo sul piano sociale e culturale.

E’ bene pertanto che sul versante opposto si cominci a superare il concetto d’anticomunismo fine a se stesso; concetto che, con il crollo dell’impero sovietico, sebbene abbisogni ancora di studi maggiormente approfonditi per capirne meglio il fallimento, andrebbe notevolmente ridimensionato, dato che sarebbe estremamente riduttivo considerare il fascismo solamente in funzione di un anticomunismo viscerale, poiché, non bisogna dimenticarsi, che esso nacque come espressione ideologica da contrapporre, principalmente, al liberal-capitalismo, onde superare poi i due aspetti negativi dello scontro tra questa concezione e quella marxista della lotta di classe.

Ma per far questo è necessario che si possa conoscere la storia in modo corretto e ricominciare a leggerne, nei suoi giusti termini, il “mito della resistenza”.

Queste pagine sono dedicate alla rivisitazione storico-cronologica del periodo 43-45 in Provincia di Modena ed è bene sottolineare che la ricerca è stata condotta consultando, quasi esclusivamente, ovviamente in forma critica e di aggiustamento dei fatti, la vasta storiografia resistenziale ed in minima parte, anche perché pochissimo esiste, la ridotta storiografia locale di parte fascista.

Un altro dato che vorremmo fare notare è la persecuzione dei fascisti, iniziata da tutte le componenti del CLN in periodo di guerra civile, portata avanti poi, dai nipotini di questa “partitocrazia” dell’arco costituzionale, sino ai giorni nostri.

Coloro che, negli ultimi sessanta anni e in particolare nelle nostre zone, hanno espresso idee, opinioni e prese di posizione contrastanti il potere demo-comunista costituitosi e radicatosi sino alle manifestazioni più perverse, ha subito in continuazione l’ostracismo e la messa al bando in un modo così subdolo e persecutorio da far scomparire le forme di censura messe in atto durante il ventennio contro gli antifascisti, in poche parole, terminate le condanne a morte dell’immediato dopoguerra, erano comminate condanne tacite di morte civile a coloro che si trovavano fuori dal coro del regime partitocratico.

E’ giunto il tempo di uscire da quel tunnel di menzogne nel qual è stato tenuto il popolo italiano in questi ultimi decenni e fare in modo che le nuove generazioni abbiano la possibilità di valutare correttamente, facendo i dovuti confronti, le interpretazioni storiche delle due parti in lotta e rendersi conto di come si comportarono gli italiani, non solo quella piccola minoranza che si accodò poi al carro del vincitore, ma anche di coloro che ebbero l’onestà ed il coraggio di restare sulla barricata più difficile e comprendere pertanto cosa fu realmente la guerra civile e come fu trasformata in guerra di liberazione più con le parole del dopoguerra che con la realtà dei fatti; anche per vedere finalmente chiuso quel capitolo di storia italica, ma in modo possibilmente corretto ed obiettivo e non nella forma manicheista con la quale sino ad oggi sono state educate tante generazioni.

E’ altresì interessante oggi, leggendo tanti storici con chiara matrice di sinistra che nei lunghi anni del conformismo “resistenziale” imperante contribuirono a creare quel mito, vedere come questi cerchino di adattarsi ai tempi nuovi, rivisitando in un ottica che sino a l’altro giorno poteva essere definita “fascista”, quel tragico periodo della guerra civile.

Nella vasta messe di testi, che però rimangono ai margini e non sono pubblicizzati in modo quanto meno paritetico a quelli incensatori della resistenza, troviamo dei passaggi significativi, alcuni dei quali andremo a citare, come questo ad esempio, riportato nella presentazione del libro di Romolo Gobbi, “Il mito della resistenza”.

 “Nel dopoguerra l’Italia ufficiale ha dato corpo al mito della resistenza per ricostruire una identità nazionale e per assolvere i suoi cittadini dalla colpa di essere stati in larghissima maggioranza fascisti e di essere scesi in guerra a fianco della Germania hitleriana”

 Ancor più interessante è l’opinione di un ex partigiano combattente, certo Francesco Montanari, che in questo modo si esprime nei confronti dei suoi compagni di viaggio del periodo della guerra civile:

 “Questa Repubblica nata dalla resistenza è marcia, come lo fu anche la resistenza, infatti, la maggioranza dei partigiani era costituita non da idealisti, ma da renitenti e poi da malfattori del tipo degli onorevoli comunisti Moranino e Silvio Ortona o da figure esecrabili come la medaglia d’oro Bentivegna e “Compagni”......

La maggior parte delle imprese eroiche dei partigiani comunisti consistettero nell’uccisione di qualche tedesco isolato per poi darsi a precipitosa fuga, pur sapendo che, così, la popolazione civile avrebbe dovuto pagare dolorose conseguenze.....omissis........ I comunisti, come ebbe a dire Edgardo Sogno, lottarono durante la resistenza non tanto per liberare l’Italia dal tedesco invasore o dal fascismo, quanto per poter installare, finita la guerra, la dittatura comunista.”

 E’ pertanto opportuno che la componente che rimase sconfitta in quel tremendo scontro di uomini e di ideologie possa anch’essa, senza voler rinfocolare odi e vendette, anzi per superare tutti gli steccati, partecipare al dibattito storiografico e in modo particolare nel territorio modenese dove, pur sempre, il fascismo, sia originario, che del regime del consenso, si era fortemente radicato e che poi nel breve volgere di tempo si cercò di estirpare radicalmente e i modenesi, dopo essere stati tutti o quasi, fascisti, diventarono tutti o quasi, comunisti.

Vi è stato in questo ribaltamento storico un aspetto che non deve essere trascurato e che andrebbe maggiormente approfondito. Gli abitanti della nostra Provincia aderirono sin dagli anni ‘20, in modo entusiastico, al fascismo e diedero una grandissima partecipazione popolare anche nel periodo della RSI.

Questa partecipazione era veramente sentita poiché vi era stata la convinzione, in modo particolare da parte del popolo e delle classi meno abbienti, che quel movimento potesse portare, come realmente fece seppure non compiutamente, le masse operaie e contadine fuori da quello stato di arretratezza e di miseria nel quale erano rimaste da sempre, attraverso tutte quelle realizzazioni sociali che portarono il fascismo all’avanguardia nel mondo.

Nel dopoguerra, dopo la sconfitta del fascismo, queste classi sociali furono facile preda della falsa ideologia comunista che predicava l’eguaglianza e la lotta di classe. Però le cose non andarono nella direzione programmata dalla classe dirigente comunista che aspirava alla realizzazione di un perfetto regime di tipo sovietico, e pur trincerandosi dietro alle truculenti formule del più rozzo comunismo di quei tempi, si adeguarono alle impostazioni delle formule liberal-capitaliste traendone tutti i vantaggi, in modo particolare nel nostro territorio, impostando una fittissima ragnatela di interessi economici da far invidia al più sfrenato capitalismo; nello stesso tempo restavano legati al comunismo di stampo sovietico che, nel frattempo, portava danni irreparabili nelle nazioni dove imperava con il terrore.

Sono poi, ovviamente, rimasti ancorati al mito della resistenza e della cosiddetta unità antifascista che nella realtà dei fatti è servita a far entrare in Italia e prepotentemente, quel sistema liberal-capitalista agganciato e colluso alla mafia siculo americana che dichiaravano di voler combattere.

E’ stata quella classe politica, forgiatasi con la forzata penetrazione della mafia in Sicilia con lo sbarco americano del 1943, a portare allo sfascio completo la società italiana che, malgrado quel potere disonesto ed irresponsabile, era pur riuscita, con l’operatività dei suoi uomini migliori, a raggiungere ottimi traguardi.

Vogliamo inoltre sottolineare che, con quest’iniziativa, non intendiamo scavare ulteriori fossati, bensì vorremmo portare un contributo a quel dibattito, civile e sereno, che si dovrebbe instaurare per giungere finalmente alla vera pacificazione nazionale.

E’ altresì evidente che, se di rappacificazione si deve parlare, essa debba essere interpretata pariteticamente; la buona volontà ed il coraggio per superare questo steccato deve esserci da parte di tutti. Si tratta solamente di lasciare alla storia gli avvenimenti di quei laceranti anni di guerra civile, abbandonando tutte le strumentalizzazioni politiche.

     

 

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LA REPUBBLICA DI MONTEFIORINO

 Degli avvenimenti del Giugno-Luglio 1944 nella zona di Montefiorino, la propaganda comunista e resistenziale in genere ha creato uno dei punti cardine dell’"epopea", facendolo passare tra gli episodi più espressivi, dal loro punto di vista, di tutta la guerra civile. Esaltandoli in tempi a noi vicini con un continuo proliferare di pubblicazioni e di celebrazioni tendenti a mitizzare quella che fu chiamata, molto pomposamente: "La repubblica di Montefiorino".(1)

E' giunto il momento, sebbene a tanta distanza di tempo, di esaminare con obiettività i fatti che portarono quella zona dell’Appennino modenese, in primo piano delle due parti in lotta in quel drammatico periodo e che furono, per le popolazioni del luogo, fonte di tremendi lutti e di terribili distruzioni.

Abbiamo visto come nel mese di Maggio e nei primi quindici giorni di Giugno, rispetto ai mesi precedenti, la guerriglia fosse aumentata d’intensità con un succedersi sempre più frequente, d’imboscate ed agguati alle truppe tedesche e fasciste. Sia in pianura sia in montagna i partigiani, alimentati in continuazione dai lanci aerei anglo-americani, che sull'onda del successo ottenuto e dallo sbarco in Normandia e dall'avanzata sul suolo italiano con la conquista della capitale, fomentavano sempre più la guerra civile, cercando di creare in questo modo il maggior danno possibile alle retrovie tedesche; di conseguenza i "ribelli", aumentano decisamente le loro azioni:

"Armi automatiche, soprattutto americane come il famoso fucile mitragliatore "Thomson" e l'altrettanto famosa pistola mitragliatrice "sten" (inglese), scendevano veleggiando dal cielo con i grande paracadute di seta bianca o colorata: particolarmente nell'Appennino tosco-emiliano per le formazioni partigiane collegate con le missioni alleate, ed ebbero un particolare impiego nella serie dei combattimenti di Montefiorino."(2)

In questo proliferare d’agguati, imboscate ed uccisioni e per il maggior concentramento in quelle zone di partigiani comunisti che raggiungevano qualche migliaio d’uomini, appunto ben forniti d’armi dai lanci paracadutati, oltre ad un battaglione sovietico composto da ex prigionieri fuggiti dai campi di concentramento dopo l'8 Settembre, i piccoli presidi fascisti della Valle del Dragone, per meglio organizzarsi attraverso una tattica che li avrebbe dovuti riportare a presidiare con maggiore sicurezza quei territori, furono costretti ad abbandonare i loro capisaldi.

I capi comunisti avevano deciso di concentrare in queste contrade, a potenziamento della brigata "Roveda", tutte le nuove leve partigiane, assieme a quelle comandate da "Armando" in modo da costituire un grosso reparto che doveva prendere il nome di "Prima Divisione Garibaldi".

Il Comando Provinciale della GNR, costatando le notevoli difficoltà a mantenere i collegamenti con i piccoli presidi di quelle zone della montagna modenese, già dal 15 Giugno aveva ordinato il ripiegamento da Montefiorino a Piandelagotti.

In quel giorno, tutta la zona che va’ da Prignano Secchia sino a Nord di Piandelagotti, escluso il paese di Montefiorino, era praticamente sguarnita dalle forze italo-tedesche e per diretta conseguenza, sotto controllo partigiano; i comandi di questi erano entrati in un vero e proprio clima d’euforia, avendo avuto in mano senza eccessivi sforzi e praticamente senza colpo ferire, un vasto territorio di oltre 700 Km. quadrati.

I fronti tedeschi in Italia e nelle altre zone europee, intanto cedevano sotto la pressione angloamericana; i presidi militari della Valle del Dolo e del Dragone si erano allontanati e anche quello di Montefiorino, composto da circa sessanta uomini, stava per abbandonare la Rocca; migliore occasione non poteva capitare alle bande partigiane. Nacque così l'idea, a conferma delle tesi della non programmazione di tali avvenimenti, di costituire, (com’era già avvenuto in altre parti d'Italia dove zone "franche" venivano chiamate repubbliche partigiane) un territorio libero che, solo a posteriori, sarà chiamato "Repubblica di Montefiorino".

Il giorno 17 Giugno si prepara da parte delle forze "ribelli", la "liberazione" di quel centro:

 "la situazione era piuttosto favorevole, i vari presidi circostanti erano fuggiti e le forze partigiane avevano circondato l'ultimo drappello nemico rimasto in montagna".(3)

Ma non tutti i partigiani erano d'accordo se attaccarlo oppure attendere la partenza del presidio che aspettava il momento buono per ripiegare, come gli era stato ordinato. Prevalse la tesi dell'azione, anche perché la sproporzione delle forze era enorme: migliaia di "ribelli" concentrati in quella zona e solamente sessanta fascisti asserragliati nella Rocca di Montefiorino.

All'alba del giorno 18 Giugno i partigiani "sferrano" l'attacco; il gruppetto di militi fascisti oppose una debole resistenza cercando di sfuggire all'accerchiamento e in quella piccola schermaglia vi fu un solo caduto di parte fascista, mentre tutti gli altri vennero catturati per essere poi, nella maggior parte, trucidati dagli occupanti.

Così i partigiani entrarono in Montefiorino:

"....io Balin, ed alcuni altri partigiani arrivammo davanti al portone d'ingresso della Rocca. A quel punto Balin mi fermò "mi hanno detto che la Rocca è minata: lasciamo andare avanti Levoni ( un prigioniero fascista poi fucilato ). " No dico io, entriamo prima noi e Balin mi saltò davanti "lascia che vada avanti io ecc"..; con una mano lo spinsi indietro, " No sono io il più elevato in grado ed ho il diritto di entrare per primo nella Rocca." Entrai sventagliando una raffica di mitra. La Rocca era ormai abbandonata e vuota."(4)

Hanno inizio così i quarantacinque giorni della "repubblica rossa" con a capo il partigiano Teofilo Fontana, in qualità di Sindaco.

"La popolazione, che pure veniva accusata di simpatia verso i fascisti, ci accolse con entusiasmo ed in realtà si sentiva liberata dallo stato d'incertezza tra fascisti e partigiani."(5)

Va’ detto però, che per il paese giravano centinaia di partigiani armati e pronti a tutto, e le popolazioni della zona erano bene al corrente di come questi non andassero tanto per il sottile, dato che bastava un nonnulla o un piccolo sospetto per essere passati direttamente per le armi.

Alla notizia che dietro le linee tedesche si era costituita una "zona partigiana", il Comando angloamericano provvide ad inviare una numerosa missione con il compito di stabilire dei collegamenti.

Assieme al massiccio invio di materiale aviolanciato, si cercò di elaborare un piano che avrebbe dovuto fare di quella "zona libera" un elemento strategicamente decisivo nel quadro dell'offensiva verso la valle del Po’.

Lo stesso partigiano "Armando", definì questo piano, "effettivamente ambizioso", sottolineando inoltre di quanto i tedeschi fossero allarmati per questa situazione.

Nelle numerosissime opere sulla resistenza, il mito della Repubblica di Montefiorino viene raccontato in tutti i risvolti, anche i più banali; si va’ a sottolineare l'opera attiva e feconda degli uomini che si erano venuti a trovare in questo territorio, vengono raccontati i vari problemi quotidiani, quali l’approvvigionamento viveri, il funzionamento dell'Ospedale di Fontanaluccia, il problema dei mezzi di trasporto e delle officine, oltre a come vennero portate avanti le operazioni per effettuare sbrigative elezioni.

Ma ben poco spazio viene dato all'argomento giustizia e di come funzionarono i cosiddetti "tribunali del popolo", oltre a nascondere il trattamento riservato ai prigionieri, tedeschi, fascisti o presunti tali. Si avrà modo di vedere dettagliatamente nella parte cronologica quanti furono, e in quale modo, gli uccisi in quei giorni di "pieno rispetto delle libertà democratiche".

Bisogna, tra l'altro, mettere in evidenza che, contrariamente a quanto era avvenuto sino a quel momento, in tutta la Provincia modenese, dove i fascisti o presunti tali venivano uccisi solo da mano comunista, quanto invece accadde a Montefiorino, dove tutti i partiti politici che componevano il CLN, si trovarono concordi nelle condanne a morte dei prigionieri. Certa storiografia resistenziale rileva come i comandi militari partigiani procedessero molto spesso a delle vere e proprie "purghe" di tipo staliniano, fucilando oltre a nemici dichiarati e "spie", anche partigiani "indegni"; e con questa definizione potevano essere "giustiziati", sia delinquenti comuni, ma anche personaggi scomodi politicamente. La storiografia resistenziale, pur precisando che, in fondo, certe decisioni di giustizia sommaria erano isolate e prese da pochi, si compiace che a Montefiorino la decisione di uccidere i fascisti, fosse presa all'unanimità.(6)

"Ora invece queste gravi deliberazioni erano assunte con la piena responsabilità di tutti, perché nel Tribunale Militare di Montefiorino tutte le correnti politiche del CLN erano rappresentate."(7)

Molti religiosi hanno rilasciato testimonianze, agli storiografi resistenziali, alquanto significative circa il modo di amministrare la giustizia in quella "repubblica"; ne citiamo alcune:

"Un giorno seppi che a Montefiorino il Tribunale partigiano aveva condannato a morte degli uomini. Venne con mè Don Benedetto Richeldi e ci recammo subito al Comando. Rammento che c'era colui che diventò poi Sindaco a San Felice. Domandai di poter vedere questi condannati e fui io che dovetti avvertirli che sarebbero stati fucilati. Li esortai a prepararsi alla morte. Dopo scene di disperazione e di pianto si confessarono e mi consegnarono dei biglietti da fare avere ai loro parenti cosa che feci naturalmente subito."(8)

Don Giuseppe Guicciardi, Cappellano a Gombola, nel raccontare dell'episodio di un fascista "torturato" dai partigiani, rimproverò "coraggiosamente" il comandante partigiano "Tom", con queste parole:

"Non dovete imitare i nemici nelle cose peggiori che fanno, anche se sono i vostri compagni di lotta che sopportano delle crudeltà. Se dovete fucilare qualcuno, fatelo, ma non torturate nessuno. E questo quì, che ha avuto la sua parte, lasciatelo ora in pace."(9)

 In un altra storia, delle tante, che raccontano i "fasti" della resistenza, così si parla dell'esecuzione di altri fascisti:

"Il 26 Giugno 1944 "Don Luigi" (Don Elio Monari) confortò con i sacramenti quattro sergenti repubblicani che vennero giustiziati a Pianellino. Il 29 Giugno altri tredici tra repubblichini, borghesi e tedeschi furono giustiziati ma non fu avvisato e lo seppe a esecuzione avvenuta con suo grave dispiacere. Nella predica del 29, festa di San Pietro e Paolo disse parole un pò forti alludendo ai fatti del mattino."(10)

Non può sfuggire, a coloro che si sono cimentati nella lettura della storiografia resistenziale in genere, siano essi stati attenti lettori o superficiali, quanta importanza abbia in quelle storie il lessico usato, in particolare quando si tratta di prendere in esame l'uccisione di fascisti militari o borghesi che fossero. Il fascista viene sempre "giustiziato", mentre il caduto partigiano viene sempre, "barbaramente trucidato" dai nazi-fascisti; di conseguenza viene evidenziata l'equazione, giustizia partigiana, giusta ed infallibile, al contrario i vinti erano solamente dei barbari.

In merito alle fucilazioni dei fascisti di Montefiorino è molto interessante la versione che viene data da uno dei principali responsabili di queste, in un’intervista pubblicata su di un testo resistenziale:

"Domanda: a Montefiorino si pose realmente anche il problema dei prigionieri. Se prima era neccessario fucilarli, perché troppo pericoloso sarebbe stato trascinarseli dietro, ora esisteva una prigione, la possibilità di giudicarli con calma, magari di inviarli oltre le linee, dagli alleati.

Risposta: Il problema dei prigionieri era prima di tutto militare. La guerra di repressione da parte dei nazisti e dei fascisti si era sviluppata sulla base del terrore che mirava togliere alle masse popolari ogni spirito di ribellione ed ogni iniziativa di lotta. Con la conquista di Montefiorino e la cattura dei prigionieri noi dovevamo rispondere a quella azione di repressione, dovevamo prendere delle misure che significassero la radicalizzazione della lotta con l'esclusione di qualsiasi connivenza o accordo con la repressione nazifascista. Non dimentichiamo che i fascisti, attraverso intermediari, avevano cercato con noi un accordo sulla base di un reciproco rispetto delle zone d'influenza. In altre parole i tedeschi e i fascisti offrivano una tregua se i partigiani si impegnavano a rimanere nelle loro zone senza attaccare i fascisti ed i tedeschi delle zone che premevano a loro, cioè le vie di comunicazione. La liberazione di tutti i prigionieri di Montefiorino avrebbe significato una debolezza da parte delle forze combattenti partigiane che avrebbero dimostrato di cercare così un modus vivendi con le forze della reazione; sarebbe stato come un primo passo di avvicinamento. E noi questo non lo volevamo. Dei prigionieri fatti a Montefiorino ne abbiamo fucilato la metà e precisamente quelli che erano volontari e quelli che si erano compromessi nelle reazioni precedenti; mentre invece liberammo quei militi che risultavano giovani e di leva questo come incoraggiamento a fuggire per gli altri giovani costretti con la violenza ad entrare nelle forze repubblichine. D'altro canto l'esecuzione dei vecchi significava la radicalizzazione della lotta, significava il rifiuto di qualsiasi compromesso, di qualsiasi intesa con le forze della reazione."(11)

A proposito dei prigionieri fascisti di Montefiorino, un ulteriore testimonianza, sempre tratta dai testi resistenziali, riferisce di incredibili torture inflitte a tedeschi, italiani, militari e civili: racconta di giovani legati ai polsi e appesi in punta di piedi, lasciati in quella posizione sino a quando la circolazione del sangue ne veniva bloccata, poi slegati e selvaggiamente percossi per giorni e giorni ininterrottamente prima della loro esecuzione.(12)

Il Parroco di Gusciola di Montefiorino, Don Angelo Santi, in una sua testimonianza, cita la tragica fine di alcuni fascisti di Montefiorino compresa quella di certo Martini Ercole e della di lui moglie bruciata viva nella casa cui avevano dato fuoco, in quanto non aveva voluto aprire ai partigiani rossi.(13) Arriviamo così alla metà di Luglio; secondo alcune tesi, anche di parte fascista, il Comando tedesco, forse sopravalutando il grado di efficienza della brigata partigiana che teneva in mano Montefiorino e per non togliere dal fronte e dai punti "caldi" un certo numero di soldati da impiegare in un’azione nelle retrovie, inviò al Comando partigiano un Ufficiale incaricato di trattare una tregua.

Le proposte tedesche offrivano al Comando del CLN la sospensione di ogni operazione offensiva nel territorio da loro controllato ed inoltre si sarebbero impegnati a rilasciare tutti gli ostaggi, sia civili che militari, già nelle mani dei "reparti di sicurezza".(14)

In cambio i tedeschi chiedevano: a) il rilascio di tutti gli appartenenti alle forze armate tedesche (venti tra Ufficiali e soldati ) in mano ai partigiani; b) i partigiani si dovevano impegnare a non disturbare il traffico militare tedesco sulle arterie di grande comunicazione; c) porre termine alle azioni repressive contro tutti quelli che, fascisti e non, collaboravano con il Reich.

La risposta del CLN fu negativa. I comandi partigiani ritennero che quell'offerta fosse una debolezza tedesca e che questi non avrebbero più avuto la forza di far cadere il libero territorio che si era venuto a trovare nelle loro mani in modo del tutto imprevisto. Lo stesso partigiano "Armando" scrisse testualmente, in risposta alle domande tedesche: "Noi saremo pronti a trattare con voi quando dimostrerete la volontà di abbandonare il nostro paese. Non prima."

Quali conseguenze portò la decisione del CLN e l'enfatica risposta del comandante partigiano, alle popolazioni del luogo e allo stesso schieramento antifascista, avremo modo di costatarlo in seguito, successivamente a quella che fu definita, "la battaglia di Montefiorino".(15)

Di un altra tesi, alla quale però è difficile poter dare le necessarie conferme storiografiche per l'impossibilità di avvicinarsi agli archivi che detengono ancora molto materiale tedesco e fascista ed anche perché molto di questo è andato perduto, si parla, da parte di coloro che facevano parte dell'esercito repubblicano.

Si tratterebbe di un vero e proprio piano preordinato per creare i presupposti, vista la situazione contingente, da parte dei Comandi militari tedeschi e fascisti, affinché la maggior parte delle bande partigiane, che operavano sulla montagna modenese e reggiana, si raggruppasse in un unica zona per poter poi sferrare l'attacco decisivo per sconfiggerli e catturali. E difatti un concentrato di truppe irregolari, come in realtà accadde, ben poco avrebbe potuto fare contro truppe ben preparate ad affrontare la vera battaglia, anziché la guerriglia.

Anche se questa tesi sembra assurda, pensando a quanto fecero pervenire ai comandi partigiani, i tedeschi, e sulla base delle loro proposte che non vennero accettate, bisogna pur tener presente che queste avvennero alla metà del mese di Luglio, cioè oltre un mese dopo che tutti i presidi fascisti della zona avevano abbandonato le località della Valle del Dragone e che probabilmente vi furono dissensi e contrasti sul modo di condurre l'operazione tra i Comandi tedeschi e fascisti.

Sarebbe questo un argomento da approfondire con maggior chiarezza, poiché i presupposti per dar corpo a questa tesi non sono del tutto ipotetici. Nei paesi attorno a Montefiorino si era concentrato il maggior numero di formazioni partigiane della montagna modenese e reggiana e per questi due motivi fondamentali: in primo luogo i depositi di armi, in particolare tutto l'armamento dei cadetti dell'Accademia Militare di Modena, abbandonato in quelle zone dopo l'8 Settembre e diventato facile preda da parte dei primi gruppuscoli e che aveva creato nei mesi precedenti gravissimi scontri tra pattuglie tedesche e fasciste e bande di ribelli che portarono poi all'eccidio di Monchio, Susano e Costrignano del mese di Marzo 1944, in secondo luogo perché la zona, fuori dalle grandi linee di comunicazione non aveva valore strategico per i Comandi militari tedeschi e difatti era sguarnita di consistenti concentramenti di truppe tedesche, tanto che gli aerei americani, anche nei mesi precedenti, ebbero la possibilità di rifornire i partigiani con abbondanti lanci di armi e di altro materiale. Aggiungasi che le piccole tenenze della GNR erano composte da pochissimi uomini che, in condizioni normali avrebbero potuto essere più che sufficienti, ma che, a fronte di una così massiccia presenza di uomini armati, le fonti partigiane parlano di circa 5.000 uomini, ben poco potevano fare.

E difatti a scorrere le note della cronaca dei primi mesi del 1944, possiamo costatare a quale continuo stillicidio di attacchi e di perdite di vite umane furono sottoposti i piccoli centri come, Frassinoro, Palagano, Toano, Cerredolo, Prignano ecc., oltre alle numerosissime incursioni, da parte dell'esercito ribelle, cui furono sottoposte decine e decine di abitazioni private. A fronte di quella situazione, il Comando Provinciale della GNR, dalla seconda settimana di Giugno cominciò a provvedere affinché i presidi fascisti si allontanassero da quelle zone. Era collegata questa operazione con il programma che scattò poi, forse mal preparato o del tutto improvvisato, alla fine di Luglio?

E' certo che, dal momento in cui i Comandi fascisti e tedeschi decisero di passare all'attacco e malgrado che l'operazione non sia stata completata secondo i piani prestabiliti, in tre giorni, reparti ben addestrati ed armati, anche se non numerosi, riuscirono a debellare ogni resistenza mettendo in fuga quel grosso concentramento di forze partigiane che avrebbero dovuto essere, "un baluardo imprendibile". Dopo brevi combattimenti, queste formazioni si sparpagliarono in mille rivoli per sfuggire all'accerchiamento e moltissimi passarono le linee del fronte per andarsi a rifugiare presso le truppe anglo-americane.(16)

 NOTE

 1    cfr. E. Gorrieri: "La Repubblica di Montefiorino", pag. 361.

2    cfr. I. Vaccari: "Il tempo di decidere" pag. 252.

3    cfr. L. Casali: "La resistenza a Modena".

4    cfr. O. Poppi: "Il commissario", pag. 79.

5    ibidem

6    cfr. I. Vaccari, op. cit. pag. 256.

7    ibidem

8    ibidem

9    ibidem

10   cfr. E. Gorrieri op. cit. pag. 285

11   cfr. O. Poppi, op. cit. pag. 95.

12   cfr. E. Gorrieri, op. cit. pag. 385

13   cfr. lettera del Parroco Don Angelo Santi, alla Ass. cad. della RSI in data 5 Luglio 1957. In Arch. Ass. Cad.

14   cfr. G. Pisanò: "Storia della Guerra civile".

15   cfr. E. Gorrieri, op. cit. ed altre opere sulla resistenza.

16   ibidem

 

 

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CAP. 11  - MARZO 1944

MERCOLEDI 1 MARZO 1944

 Alla riunione del Direttorio del Partito Fascista Repubblicano, il Segretario Alessandro Pavolini, illustra la relazione sull'attività svolta dal Partito dalla sua costituzione sino a questo giorno; sono iscritti al PFR, 487.000 persone.

 GIOVEDI 2 MARZO 1944

 Si fanno sempre più numerose le azioni delle formazioni partigiane nei riguardi dei civili nelle zone dell’Appennino modenese; a Rocchetta Sandri, frazione di Sestola, una banda armata composta da parecchie persone, fa irruzione nell'abitazione di certa Mariangela Capra che è obbligata a versare oggetti preziosi, indumenti, generi alimentari e utensili da cucina per un valore complessivo di circa centomila lire; si fecero consegnare anche tremila lire in contanti. Imponevano poi alla derubata il silenzio sull'avvenuto furto.(1)

A Montese, rimaneva vittima della violenza il ventunenne: CASOLARI BRUNO.(2)

 VENERDI 3 MARZO 1944

 A Carpi, in un agguato tesogli da un ciclista, era ucciso a colpi di rivoltella, mentre rientrava alla sua abitazione, il brigadiere della GNR di trentasette anni: TERNELLI ALDO.(3)

Così il quotidiano locale dava la notizia di questa imboscata partigiana:

"Venerdì sera, circa le 21,30 a Carpi, il brigadiere dei Carabinieri di quella sezione della GNR, Aldo Ternelli di Clelio di anni 37 nel recarsi in bicicletta dal suo domicilio in caserma veniva ucciso con tre colpi di pistola sparatigli da uno sconosciuto.

Nei pressi del cadavere si rinveniva un ordigno inesploso. Si ritiene, con ragione che il sottufficiale incontrato l'individuo avente seco l'ordigno abbia a lui intimato il fermo, ma mentre frenava la bicicletta veniva ucciso nel momento in cui stava per estrarre la rivoltella. Il sottufficiale lascia la moglie ed un figlio di 4 anni."(4)

Con decreto del Capo della Provincia, si pongono le premesse per l'attuazione della socializzazione anche nel mondo dell'agricoltura; viene pertanto posto fine alla terzeria, che rimaneva una forma antiquata nella conduzione del lavoro agricolo.

In montagna le formazioni partigiane comandate da G. Barbolini, attaccano la Casa del Fascio di Piandelagotti,(5) ma ne vengono respinti dai pochi uomini in borghese che vi si erano asserragliati.

 SABATO 4 MARZO 1944

 All'Ospedale Militare di Modena muore, in seguito alle ferite riportate in un attentato partigiano dei giorni scorsi, l'allievo ufficiale della GNR: BUREI RICCARDO(6)

A Fiumalbo viene nominato il nuovo Commissario Prefettizio nella persona di Valentino Giambi che sostituiva il Podestà Mario Morelli.

 DOMENICA 5 MARZO 1944

 Un ordigno esplosivo viene fatto esplodere alla base dell’arcata destra della porta d'ingresso della cabina elettrica delle Aziende Municipalizzate in Via Cesare Costa. Non si dovettero lamentare nè vittime nè feriti, tantomeno interruzioni di energia elettrica.(7)

LUNEDI 6 MARZO 1944

 Elementi partigiani effettuano un attentato contro il Colonnello Raffaele Gasperi nella sua abitazione di San Donnino della Nizzola; un potente ordigno esplosivo venne posto sul davanzale della finestra della camera da letto, il Colonnello e la moglie rimasero seriamente feriti.(8)

 MARTEDI 7 MARZO 1944

 Gli interventi innovativi della RSI cominciano a diventare operativi nei vari settori del mondo del lavoro. In questa data, con un comunicato dell'Ufficio stampa della Prefettura Repubblicana, veniva comunicata la notizia del passaggio all’organizzazione dei lavoratori dell'Industria, delle aziende industriali dello Stato. Questo il comunicato:

"Il Capo della Provincia, in attesa dell'entrata in vigore del nuovo ordinamento sindacale ha disposto che la rappresentanza delle maestranze dipendenti dalle aziende industriali di stato sia senz'altro assunta dall' Unione Provinciale dei lavoratori dell'industria."(9)

 MERCOLEDI 8 MARZO I944

 La situazione nella Valle del Secchia, che da ormai troppo tempo era diventata insostenibile a causa delle continue aggressioni a militari e civili, i continui furti ad abitazioni private ed ammassi del grano, gli innumerevoli attacchi ai piccoli presidi fascisti e della GNR, da parte dei partigiani che si erano raggruppati in queste zone (causa principale le armi abbandonate dai cadetti dell'Accademia Militare allo sbando dell'8 Settembre), destava serie preoccupazioni nei Comandi fascisti locali e in quello Provinciale.

La prima mossa, per cercare di attenuare e di rintuzzare questa continua pressione partigiana fu quella di rinforzare i presidi locali, per poi indirizzare, le forze colà dislocate, in una vasta azione di rastrellamento per cercare di eliminare il fenomeno del ribellismo concentratosi in quella vallata.

Vennero inoltre istituiti nuovi presidi a Gombola e a Palagano.

In quest'ultima località, arrivò un reparto della GNR di circa un centinaio di uomini al Comando del Capitano Mori e del S. Ten. Antonio Izzo. In un primo rastrellamento di quel centro vi fu uno scambio di fucileria con i partigiani nascosti nelle montagne circostanti e due di questi, scoperti mentre tentavano di fuggire, vennero immediatamente passati per le armi.(10)

"I due risultavano renitenti e per di più furono trovati in possesso di alcune bombe a mano. Vennero perciò immediatamente condannati alla fucilazione, sulla base dell' art. 1 del decreto mussoliniano del 18 Febbraio."(11)

 GIOVEDI 9 MARZO 1944

 Un piccolo reparto di militi della GNR, comandato dal S. Ten. Izzo, mentre si stava spostando da Lama a Palagano, viene attaccato da reparti partigiani che, bloccato l'autocarro ed incendiatolo, eliminarono i militi fascisti dandosi immediatamente alla macchia.

Vennero uccisi: il sergente della GNR di ventuno anni: ABBORRETTI MASSIMILIANO;(12) i militi della GNR: GAIBA MARIO,(13) PONZONI PAOLO,(14)  BARBIERI FEDERICO,(15) TOSATTI FEDERICO(16), CORONA EMANUELE(17, e l'allievo Ufficiale dei Bersaglieri: GERLI GIAN BATTISTA(18).

In un successivo attacco portato dai partigiani ad un autocarro dove assieme ai militi fascisti erano dei civili e dei prigionieri partigiani, tra i quali Don Sante Bartolai, venne ucciso l'ufficiale postale di Palagano, padre di quattro figli: RIOLI GIUSEPPE.(18bis)

Sempre nella zona, a Polinago resta ucciso il soldato del 47° DMP:  SECCHI CORRADO(18tris)

Molte pubblicazioni della storiografia resistenziale descrivono questo fatto e portano parecchie testimonianze(19); da parte fascista resta questo documento, che riportiamo integralmente, a firma del S. Tenente, Izzo:

"Relazione sul fatto d'arme in cui trovarono la morte il Serg. Abborretti e i suoi compagni.

Il mattino del 9 Marzo 1944, verso le ore 8, giungeva a Palagano il Centurione Penso con una sessantina di legionari, montati su due corriere, per proseguire poi, alle 8,30 per Boccasuolo, dove dovevano compiere un azione contro un forte nucleo di sbandati.

Alle ore 14, provenienti da Boccasuolo, arrivarono le due corriere suddette che, con la scorta di un solo legionario armato di moschetto e montato sulla prima corriera, recavano a Montefiorino gli zaini dei legionari impegnati nell'azione.

Verso le 14,45 una telefonata dal Comando del Presidio di Montefiorino, mi avvertiva che, a 4Km circa da Palagano, sulla strada che porta a Savoniero, si vedevano due macchine in fiamme.

Dato che il telefonare al mio Comandante diretto, Ten. Soriani, distaccato a Lama Mocogno, avrebbe richiesto troppo tempo e non ero sicuro che il fonogramma arrivasse a destinazione, chiesi ordini in proposito a Montefiorino.

Alle ore 15, Montefiorino mi ripetè che sulla strada di Savoniero si vedevano due automezzi bruciare e mi disse di inviare, al più presto, qualcuno sul posto per constatare l'accaduto.

Non avevo alcun mezzo a disposizione per arrivare al più presto possibile sul luogo indicato.

Per cui, quando alle 15,08, giunse da Lama Mocogno l'autocarro della GNR che recava gli zaini dei mitraglieri aggregati al mio plotone, autocarro scortato dal serg. Abborretti con 9 suoi mitraglieri. armati di una mitragliatrice Breda 37, un mitra, moschetti e bombe a mano, ordinai di scaricare in fretta gli zaini e di proseguire sulla strada per Savoniero, per accertarsi dei motivi che potevano aver provocato l'incendio dei due automezzi. Raccomandai inoltre al Serg. Abborretti di usare molta attenzione perché a mio giudizio, si trattava certamente delle due corriere incendiate da qualche gruppo di ribelli che probabilmente si trovavano ancora sul posto. Il Serg. Abborretti ed i suoi uomini dimostrarono di aver compreso il compito loro assegnato.

Dopo dieci minuti circa dalla partenza dell'autocarro da Palagano, echeggiarono delle raffiche di mitragliatrice provenienti da Savoniero.

Ero all'oscuro di quello che effettivamente poteva essere accaduto, quando alle ore 15,35, mi telefonarono che si vedeva in fiamme un terzo automezzo. Pensai subito che fosse quello che trasportava Abborretti ed i suoi uomini. Provvidi ad inviare altri 7 uomini, con un fucile mitragliatore servendomi di un camioncino, requisito nel frattempo in paese, ma detto camioncino, a due chilometri circa da Palagano, si fermò per mancanza di benzina. Gli uomini, al comando del Sergente Silingardi, rientrarono a piedi. Decisi di partire io personalmente con detti uomini, ma a due chilometri circa da Palagano, incontrai il granatiere Longari, che ritornava da Montefiorino dove si era recato al mattino, autorizzato da mè per prendere i suoi indumenti civili. Costui mi disse che le forze dei ribelli erano preponderanti, per cui ritenni opportuno ritornare indietro e chiedere rinforzi. Intanto mi accorsi che il bersagliere Gerli e gli alpini Grosoli e Ferrari, a mia insaputa, avevano raggiunto il luogo dell'imboscata sull'autocarro del Sergente Abborretti.

I rinforzi arrivarono alle ore 20,30, cinque minuti dopo che i ribelli avevano iniziato il loro attacco contro il Presidio di Palagano, attacco che fu in breve respinto.

I rinforzi costituiti da una parte del Plotone Armi di accompagnamento con due mortai e da quindici agenti della questura col Cap. Mori e il S.Ten. Corradini, non poterono recarsi sul posto, sia per l'attacco in corso sia per le tenebre sopraggiunte da un pezzo e per l'ignoranza circa la conformazione del terreno. Al mattino seguente 10 Marzo, il mio plotone rinforzato dal plotone del S.Ten. Finucci, arrivato alle ore 10 e dai quindici agenti della questura con il Cap. Mori, si recò sul posto. Rinvenimmo colà le salme del Serg. Abboretti, del Bersagliere Gerli, del granatiere Gaiba e del legionario Ponzoni Paolo autista dell'autocarro. I particolari sullo svolgimento dell'imboscata possono fornirli il granatiere Murino, il granatiere Raimondi, o il cap. magg. Simonini, scampati all'eccidio o qualcuno dei feriti degenti all'ospedale.

                     F.to s.Ten. Antonio Izzo(20)

 VENERDI 10 MARZO 1944

 Per un incidente stradale, non meglio precisato, muore il milite della GNR di San Prospero: MONTANARI MANFREDO.(21)

Sulla mancata manifestazione di forza e di preparazione all'insurrezione antifascista, organizzata dal CLN clandestino attraverso una serie di scioperi nell'Italia del Nord, così scrisse Mussolini nella "Corrispondenza Repubblicana " n.41, pubblicata in questo giorno sul quotidiano locale, dal titolo: "Un metodo uno stile":

“I Biografi attribuiscono al Principe  Ottone di Bismark una frase di questo genere: -" Non si dicono mai tante bugie come prima di un elezione, come durante la guerra, come dopo la caccia." - Non vi è uomo che, nel cerchio stesso delle sue personali esperienze, non possa confermare l'opinione del grande prussiano il quale dimostrava di possedere, fra le molte altre virtù anche una precisa conoscenza dei suoi contemporanei. Il candidato che nell'epoca malfamata dei ludi cartacei si presentava al "colto e all'inclita" era costretto a mentire poichè doveva promettere mari e monti onde carpire i suffragi dell'ingenuo armento elettorale. Dopo una caccia, il fedele di S. Uberto, racconta strabilianti avventure, specie se torna col carniere vuoto.

Durante una guerra poi, le bugie anche sotto la forma attenuata della reticenza sono un fatto che accompagna le operazioni belliche, come le "impedimenta". Deve essere stato sempre così. Un proverbio milanese dice infatti: - Tempo di guerra più balle che terra. - Nella conflagrazione attuale, l'esercizio della bugia ha raggiunto vette sino ad oggi impensabili, giovandosi per la propagazione, degli strumenti che la scienza moderna ha messo a disposizione dei mentitori, i quali per coprire il loro inverecondo rossore, chiamano tutto ciò propaganda e guerra dei nervi. Nessun uomo raziocinante può sollevare dubbi quando si afferma che in fatto di bugia gli anglosassoni hanno perduto anche quell'ultimo residuo di pudore che autentici criminali di razza conservano ancora.

Londra ha battuto qualsiasi primato passato e, forse futuro. Parafrasando Giordano Bruno con una leggera modificazione si può dire che quello di Londra è "lo spaccio della menzogna trionfante". Cioè è la menzogna che trionfa, apertamente, su tutte le altre considerazioni, ma non sulla verità perchè, la verità è invincibile e finisce, alla lunga, per illuminare gli uomini e il mondo.

Qualcuno potrebbe a questo punto domandarsi senza ironia: che gli angloamericani siano dei mentitori ammettiamo; ma - posti in riga gli uni e gli altri - chi è in grado di scagliare la prima pietra?

Rispondono i fatti. E' cronaca di ieri. I gruppi e gruppetti clandestini italiani al soldo delle centrali nemiche e manovrati dai bolscevichi hanno nei giorni scorsi cercato di provocare uno sciopero generale, che da "bianco" doveva diventare "rosso", da "pacifico" "insurrezzionale" e doveva impegnare tutto il cosidetto proletariato italiano.

Le cose sono andate in modo completamente diverso. Le radio nemiche hanno diffuso bugie su bugie, invenzioni su invenzioni, ma stà di fatto che lo sciopero stesso è stato un fiasco solennissimo e, potrebbe dirsi decisivo. Un comunicato del Ministero dell'Interno ha ristabilito la realtà della situazione, con una precisione di dati che non può non avere favorevolmente impressionato il pubblico italiano, mentre ha sgonfiato le vesciche della propaganda nemica. Si poteva tacere. No. Si doveva edulcorare la verità? Nemmeno. Questo è il nostro stile. Ne consegue che non sei milioni di operai hanno scioperato, ma appena 208.000 il chè prova che le masse se ne sono infischiate degli ordini ricevuti, ed hanno dimostrato di possedere la coscienza dei doveri dell'ora: che lo sciopero, soltanto a Milano, è durato quattro giorni e solo in alcuni stabilimenti mentre in altre località è durato poche ore o addirittura pochi minuti: che dove i cosidetti scioperanti furono 500, tale cifra fù data, e del pari non fù nascosto dove furono 100mila.

Le radio nemiche hanno parlato di battaglie, di scontri con carri armati, di sabotaggio, mentre il comunicato ha detto la verità affermando che nulla di tutto ciò è avvenuto.

Milioni di cittadini delle diverse città italiane, gli stessi scioperanti ed i loro capi nel loro intimo, hanno dovuto riconoscere che il comunicato ministeriale non inventava, ma fotografava gli eventi. No. L'esercizio della bugia sembra, ma non è redditizio anche se si vuole - e ci ripugna - spostare un problema nel terreno puramente morale a quello della semplice utilità. Se gli uomini della Repubblica Sociale Italiana vogliono realizzare una profonda e duratura riforma del costume e del carattere, devono dire la verità; farne la formula orientatrice a tutta la vita sindacale e collettiva.

Se voi dite la verità quando è penosa voi sarete creduti quando la verità sarà lieta. Se voi avete il coraggio di annunciare una disfatta, nessuno solleverà dubbi quando annunciate una vittoria. La menzogna è uno strumento di corruzione, la verità un arma per l'educazione dei popoli alla virilità dei pensieri e delle opere.

Qualcuno potrà infine obbiettare che la "verità" detta in ogni caso può fornire argomenti alla speculazione nemica. Non lo si esclude. Ma di gran lunga superiore sarà la speculazione del nemico sulla menzogna. Da qualunque lato si esamini la questione, anche in rapporto alla contingenza, la nostra tesi è inevitabile. E' in conseguenza di queste premesse che il Ministero dell' Interno ha diramato il suo comunicato contenente notizie esatte sul recente tentativo, con cui i bolscevichi si ripromettevano di porgere un aiuto sostanziale al nemico. Il quale, ora, sà attraverso inconfutabili dati che tale aiuto è completamente mancato.

Si può aggiungere che un eventuale ripetizione condurrebbe immancabilmente allo stesso risultato."(22)

 SABATO 11 MARZO 1944

 A Gaiato di Pavullo, i partigiani, pare componenti delle "bande" di Armando(23), uccidono il bracciante di ventiquattro anni: LUCCHI FRANCESCO(24), la sua salma venne ritrovata sulla strada comunale, in località Borra Niviano. Con molte probabilità, questo fatto, potrebbe essere collocato al 26 Marzo, relativamente all'imboscata dove vennero uccisi sei militi fascisti ed un civile.(vedi)

Presso l'Istituto di Cultura fascista di Modena, viene ricordata, nell'anniversario della morte del grande pensatore del Risorgimento, la figura di Giuseppe Mazzini.

 DOMENICA 12 MARZO 1944

 Nella zona di Guiglia e precisamente in località Pieve di Trebbio, reparti tedeschi e fascisti si scontrano con formazioni partigiane guidate da Leonida Patrignani(25) il quale aveva l'incarico di organizzare i gruppi ribelli in quelle contrade.

Al termine della messa domenicale, il gruppo di partigiani bloccò il paese impedendo alla gente di rientrare alle proprie case.(26) Dopo poco, pattuglie di militi della GNR e di tedeschi provenienti da Guiglia, vennero a contatto con i "ribelli" nei pressi di Casa Fontanazzi, all'inizio del paese ed ebbe inizio una fitta sparatoria. Due militi: IGNOTI (27),  della GNR di Bologna, rimasero sul terreno, altri due vennero feriti gravemente e cinque lievemente. I partigiani, in quello scontro, dovettero lamentare otto caduti.(28) 

Sull'altro versante dell’Appennino modenese altre bande di "ribelli" commettono una serie di "prelievi" ( o furti ? ): a Gubellino di Polinago venivano asportati generi alimentari dall'abitazione di tale Egidio Turrini, mentre a Ranocchio di Montese veniva svuotata la privativa di Ada Andreoli.(29)

Nella vicina frazione reggiana di Villa Minozzo, Morsiano, un gruppo di circa trenta partigiani asporta, dall'ammasso granario di quel piccolo centro, 11 q.li di grano e 80 Kg. di scandella, caricando il tutto su 7 muli.(30)

Nel centro Italia, la battaglia tra gli schieramenti anglo-americani e italo-tedeschi infuria sulla testa di ponte di Anzio, mentre perdura una relativa calma sul fronte di Cassino.

 LUNEDI 13 MARZO 1944

 In seguito a ferite riportate in un incidente mentre era in servizio di perlustrazione, colpo partito accidentalmente dal fucile del capo pattuglia, muore l'agente di PS, dipendente della Scuola di Polizia di Sassuolo: GIULIANI RODOLFO(31).

Sempre all'Ospedale di Sassuolo, muore il milite della GNR di Correggio, che era rimasto gravemente ferito la notte dell'11 Marzo in uno scontro con i partigiani all'altezza di Ponte Dolo: VEZZALINI ALBERTO.(32)

Nel capoluogo si sono svolte, in questa giornata, all'interno della Cattedrale e con grande partecipazione di folla, con la presenza di tutte le autorità cittadine, le esequie solenni delle vittime fasciste cadute nell'imboscata di Palagano; ha celebrato la funzione l'Arcivescovo di Modena, Mons. Cesare Boccoleri.

 MARTEDI 14 MARZO 1944

 I gruppi partigiani delle formazioni "Barbolini", sono in movimento nella zona della valle del Secchiello e mentre reparti tedeschi e fascisti sono in perlustrazione sulla strada che porta da Villa Minozzo in Val d'Asta, una pattuglia si scontra con i primi; non si dovettero lamentare grosse perdite da entrambe le parti.(33)

Nella zona di Palagano, nel frattempo, formazioni partigiane attaccano una corriera che si recava a Savoniero, con a bordo alcuni operai, per tentare di recuperare gli automezzi incendiati il giorno 9 e dove rimasero uccisi i militi della GNR del Sergente Abborretti, nell'imboscata partigiana. Mentre gli operai stavano lavorando per il recupero dei mezzi, furono investiti da un lancio di bombe a mano, che li costrinse a fuggire e a mettersi in salvo, mentre anche il loro mezzo di trasporto, una corriera, veniva incendiata.(34)

 MERCOLEDI 15 MARZO 1944

 I partigiani delle formazioni comandate da Barbolini, dopo le scorribande nelle valli del Dragone e del Secchiello, si trasferiscono nella zona di Ligonchio, nel vicino reggiano. In seguito alla serie di attacchi e di imboscate a pattuglie repubblicane, intervengono anche reparti tedeschi per cercare di porre un freno alle continue incursioni partigiane.

In una piccola frazione, Cerrè Sologno, a metà strada tra Ligonchio e la Valle del Secchiello, si scontrano, all'improvviso, i ribelli di Barbolini, con un reparto misto italo-tedesco, composto da militi della 79° Legione della GNR di Reggio Emilia e soldati tedeschi del Comando militare di Rubiera. Otto soldati tedeschi e due militi fascisti di Reggio Emilia, caddero in quello scontro. Anche i partigiani ebbero a subire sette morti.(35)

 GIOVEDI 16 MARZO 1944

Sul fronte di Nettuno, dove si coprono di gloria i battaglioni della RSI, Nembo e Barbarigo, muore l'Allievo Ufficiale della GNR, volontario del Battaglione Barbarigo della X° Flottiglia MAS, nativo di Pievepelego, di ventitré anni: CORTESI ENZO(36).

I suoi conterranei, negli stessi giorni, si combattevano tra fratelli sul fronte interno. I partigiani della formazione di Nello, che tanti lutti ha provocato nella zona di Montefiorino, attaccano una corriera che trasportava una decina di militi che dalla Santona andavano in soccorso del presidio repubblicano di Palagano, all'altezza di Molino del Grillo.

Di fronte all'improvvisa imboscata partigiana, i militi, anche in rapporto alle preponderanti forze avversarie, dovettero arrendersi. Vennero immediatamente uccisi, con un colpo alla nuca(37), il Tenente: FINUCCI GIUSEPPE(38), e il caporal maggiore: MASI GIUSEPPE(39).

Uguale sorte toccò al soldato: MUZZARELLI GEREMIA(40), la corriera, e fu la terza nel giro di pochi giorni, venne data alle fiamme.

Tutta la zona è sotto pressione per le continue imboscate partigiane. Un ulteriore attacco contro un reparto di soldati tedeschi e di militi della GNR venne portato sulla strada di Monchio alle 11.

"Verso le ore 11 del 16 Marzo si spinsero sulla strada di Monchio alcuni autocarri militari, che giunti a circa un chilometro dall'abitato di Lama di Monchio, in località chiamata Croce di Cappello, dovettero fermarsi.......Dagli automezzi furono scaricate armi e munizioni e una lunga fila di soldati germanici e italiani, preceduti da un sidecar che avanzava a fatica, si avviò in direzione di Monchio. A Lama gli ufficiali che comandavano i soldati dell'esercito repubblicano, giunti forse da Palagano, ebbero brevi colloqui con gli abitanti. Davano l'impressione di affrontare molto a malincuore i rischi e le fatiche di quel rastrellamento e sui loro volti erano evidenti i segni di una grande inquietudine. Dissero di dover salire al Santuario di S. Giulia per recuperare armi e munizioni e che speravano, per il bene di tutti ( e calcarono su queste ultime parole ), che i partigiani che sapevano presenti nella zona, non li avrebbero disturbati.(41)"

Ma dopo poco tempo i partigiani delle formazioni di "Minghin", cominciarono a sparare sui tedeschi con un fuoco rabbioso di mitragliatrice ; questi risposero con una mitragliatrice da 20mm., mentre reparti fascisti sparavano con un mortaio da Lama. Altre formazioni partigiane, guidate da Leo Dignatici, intervennero in aiuto dei primi; vennero uccisi in quello scontro, un Ufficiale e quattro militari tedeschi.(42)

 VENERDI 17 MARZO 1944

 La situazione nella zona di Montefiorino si fa sempre più drammatica. I tedeschi, in seguito alle imboscate ed agli agguati dove persero una ventina di uomini(43), richiamano in quella zona dell’Appennino modenese, altre forze per cercare di contrastare la pressante guerriglia delle bande partigiane che di giorno in giorno assumevano sempre più virulenza. Anche esponenti del Partito Comunista arrivano nella zona, da Modena, per cercare di fomentare ancor più la guerriglia.(44)

Intanto nella zona di Savoniero i tedeschi iniziano un rastrellamento, arrestando tre uomini; ma improvvisamente i partigiani aprono il fuoco da una posizione situata attorno alle case della borgata Fontana, uccidendo un Ufficiale tedesco e ferendo altri tre soldati,(45)

Dopo un ripiegamento i tedeschi passano al controattacco, ma verso sera, i "ribelli",

 "riuscirono a sganciarsi, riguadagnando le alture che sovrastano la borgata di Susano.(46)"

Iniziano così le drammatiche ore dei martoriati paesi, Monchio, Susano e Costrignano, che verranno brutalmente rasi al suolo dalle formazioni della Divisione SS, Herman Goering, reduci dal fronte di Cassino, e che si trovavano in quel periodo, nei dintorni di Bologna, per un periodo di riposo.

 SABATO 18 MARZO 1944

 Ulteriori truppe tedesche affluiscono nella zona della Valle del Dragone. Si ha subito la sensazione che vogliano fare un’operazione a vasto raggio e che siano pronti ad usare la mano pesante.

Subito all'alba, da tre cannoni posti nel Piazzale della Rocca di Montefiorino, inizia il cannoneggiamento sulle frazioni di Monchio, Susano e Costrignano.(47)

"Nessuna reazione da parte dei partigiani, allontanatisi nella notte o nascosti lontano nei boschi. Del resto, anche se fossero rimasti in zona, sarebbe stata impossibile qualsiasi resistenza."(48)

La popolazione era estremamente preoccupata per quello che era successo nei giorni precedenti e per il grosso movimento di truppe tedesche che si andava verificando in quelle ore:

"In fondo, si pensava, i tedeschi si sarebbero comportati più o meno come i fascisti che, nelle numerose e già ricordate puntate nelle borgate della valle, si erano limitati a ricercare i veri ribelli o, tutt'al più, a far man bassa delle provviste alimentari e a rastrellare degli uomini che poi venivano messi regolarmente in libertà."(49)

Molte case furono colpite dal bombardamento e parecchie furono le vittime civili che rimasero sotto le macerie. Ma la parte più tragica ed il più alto numero di morti lo si ebbe dopo che le truppe tedesche, comandate dal Capitano Hartwig della Terza Divisione paracadutisti, iniziarono il rastrellamento, uccidendo e saccheggiando con estrema ferocia. Le varie frazioni della zona vennero messe sistematicamente a ferro e fuoco e numerosi episodi di un’efferatezza incredibile si verificarono nel giro di poche ore.(50)

La furia tedesca si abbatté su tutto e tutti compresi fascisti del luogo(51); uomini, donne e bambini vennero falciati in modo disumano. Le vittime di quella tremenda rappresaglia ammontarono a 130.(52) Fu quello il più feroce massacro effettuato dai tedeschi in Italia, sino a quel giorno, e che anticipava di pochi giorni quello delle Fosse Ardeatine a Roma.

 DOMENICA 19 MARZO 1944

 In tutta la Valle, dopo lo spaventoso eccidio, regna lo sbigottimento e il terrore. I superstiti, inebetiti dal dolore e sconvolti per quanto era loro accaduto si aggiravano tra le macerie delle case alla ricerca dei parenti e delle povere cose distrutte. Il recupero delle vittime fu particolarmente penoso e difficile e le salme dopo due giorni vennero inumate in fosse comuni.(53)

 LUNEDI 20 MARZO 1944

 Anche le autorità fasciste , che si sono recate sul posto, rimangono sconvolte per l'inutile massacro compiuto dalle truppe tedesche; in una sua relazione, al Capo della Provincia, Pier Luigi Pansera, così scriveva il Segretario fascista di Montefiorino, Francesco Bocchi:

"Nella visita effettuata il 20 corrente ho potuto personalmente accertare che le popolazioni colpite si presentano in un quadro della più completa impressionante desolazione. Le case distrutte sono ridotte nella più grande maggioranza in un cumulo di macerie sotto le quali è rimasto bruciato tutto il mobilio, scorte di viveri, masserizie, risparmi in contanti, attrezzi agricoli, bestiame bovino ecc. Molte altre famiglie, poi, pur non avendo avuta la casa distrutta, hanno avuto invece asportati tutti i viveri dai reparti operanti o transitanti. L'accertamento di queste ultime è ancora in corso. (Molto probabilmente questa frase è riferita alle vittime N.d.R.) Alcune persone sono impazzite e molte altre fuggite da casa senza più dar notizie. Un numero imprecisato di persone è stato condotto via dai tedeschi con autocarri. Quasi tutte le mamme, per lo spavento provato, sono rimaste senza latte per i loro bimbi poppanti.

Tutti i cadaveri fino ad ora accertati ed identificati risultano del posto ad eccezione di due maestri elementari di Modena che insegnavano a Costrignano, e sono stati trasportati nei cimiteri delle singole frazioni in attesa degli adempimenti di competenza dell'autorità giudiziaria. Essi verranno sepolti in fosse comuni per insufficienza di area disponibile nei cimiteri. La popolazione è rimasta inebetita dalla terrificante distruzione. I danni ammontano a parecchie decine di milioni. L'ordine pubblico è completo e  nessuna traccia si è avuta di residui di ribelli. Il grosso di essi risulta fuggito dal Monte S. Giulia la sera precedente le operazioni."(54)"

 MARTEDI 21 MARZO 1944

 Nei giorni successivi all'orrendo massacro, le parti in lotta si scagliano invettive reciproche; mentre da parte fascista si sosteneva che l'azione era stata portata contro i ribelli e si addossava loro la responsabilità della spietata ritorsione tedesca, il CLN diffondeva un volantino, che era stato stilato dal Presidente Alessandro Coppi, del seguente tenore:

"Operai, contadini, intellettuali di Modena e Provincia! I fascisti cercano di far credere che la montagna modenese è infestata da banditi prezzolati. Menzogna! In montagna agiscono i Patrioti che si comportano da Patrioti. Gente valorosa che si batte con indomito coraggio per liberare la Patria dalla schiavitù del fascismo che si illude di rivivere grazie alle baionette tedesche. Gente che dimostra coi fatti che il popolo italiano non vuole saperne nè di fascisti nè di tedeschi. Gente disciplinata che, pur professando diverse idee politiche, si trova unita e concorde per combattere per la libertà. Gente che chiede e paga ciò che occorre per vivere, comportandosi correttamente con la popolazione con la quale vive ed opera. Le ricevute che essi rilasciano, quando non è loro possibile pagare in contanti, sono pienamente garantite dal Comitato di Liberazione Nazionale. I patrioti dunque nulla hanno a che vedere con gli atti di banditismo compiuti da malviventi durante questi ultimi mesi; anzi il noto bandito Fini è stato da essi passato per le armi. Nessuno quindi si lasci impressionare dalla mendace propaganda fascista che svisa i fatti e si guarda bene dal rendere note le sconfitte che i Patrioti hanno fin qui inflitto alle cosiddette forze repubblicane. Popolo modenese! i Patrioti che si battono con ammirevole valore, hanno diritto di contare sull'appoggio affettivo, positivo, concreto di tutti gli italiani amanti della libertà. Non sono essi, non siamo noi i responsabili della guerra civile. Sono i fascisti che l'hanno voluta scatenare nel tentativo pazzo, criminale e disperato di evitare la fine che meritano. Ed essi sono tanto vili da mandare spesso a combattere contro i patrioti dei giovani che sono anima della nostra anima, sangue del nostro sangue. Sono tanto impotenti da sollecitare l'aiuto dei tedeschi, i quali, non essendo riusciti ad aver ragione dei patrioti, col cannone e col fuoco hanno distrutto alcuni villaggi nella zona di Montefiorino, seminando freddamente la strage fra quelle inermi popolazioni che contano decine e decine gli assassinati, compresi fra questi donne e bambini trucidati con spietata ferocia. Ecco chi sono i "300 ribelli caduti in combattimento" secondo l'impudente propaganda fascista! chi sono dunque i banditi? Chi i terroristi? Chi i senza legge? Chi i nemici della Patria? Modenesi! Stringiamo le file, aiutiamo chi combatte, chi sanguina, chi soffre.

Questo è il dovere di tutti gli italiani. I patrioti combattono oggi per abbreviare la durata della guerra, che ormai i tedeschi hanno perduta; e saranno coloro che libereranno la popolazione dalle angherie e dalle violenze tedesche. Il Comitato di Liberazione Nazionale."(55)

La Federazione Fascista modenese, rispondeva con un altro manifesto intitolato "Risposta ai Patrioti", dove, tra l'altro, si diceva:

"I villaggi della zona di Montefiorino che i "patrioti" nel loro manifestino affermano siano stati distrutti a cannonate e con i lanciafiamme, si limitano invece a quei gruppi di case nelle quali i ribelli si erano asserragliati e fortificati. Precisiamo che le donne e i bambini che dicono "trucidati con spietata ferocia" ammontano a 4 donne e a due bimbi trovati sotto le macerie di una casa diroccata dal bombardamento nella quale un gruppo di ribelli si era fortificato sparando con le mitragliatrici dalle finestre. Gli altri morti sono realmente i ribelli caduti in combattimento o passati per le armi perché sorpresi in possesso di fucili o mitragliatrici, e questi elementi maschili delle popolazioni  locali che con essi avevano fatto causa comune. Questi, nella pur dolorosa verità i fatti; al di fuori di essi non vi è speculazione faziosa e menzogna senza nome."(56)

 MERCOLEDI 22 MARZO 1944

 Continuano, intanto, nella zona della valle del Panaro, gli "approvvigionamenti" delle formazioni partigiane ai danni delle popolazioni di quelle contrade. A Castagneto di Pavullo viene "visitato" tale Alfredo Casini; a Selva di Serramazzoni è la volta di Umberto Zanoli; a Roncoscaglia di Sestola provvede agli "aiuti", l'agricoltore Pietro Bernardini; a Monzone di Pavullo venne prelevata merce di proprietà del Dott. Luigi Emiliani; a Olina di Pavullo le bande partigiane andarono a cercare "collaborazione", presso l'agricoltore Carlo Grandi, nella rivendita di tabacchi di Bruno Barattini e dal Parroco, Don Agostino Giannelli.(57)

 GIOVEDI 23 MARZO 1944

 Sulla Via Giardini, all'altezza del Mulino della Rosta, ove attualmente sorge il complesso Direzionale Zeta, una pattuglia partigiana compie un attentato contro il Colonnello Costantino Rossi, Comandante Militare  Provinciale della GNR, che transitava in auto diretto verso la sua abitazione. L'attentato fallisce e nello scontro che seguì rimase ucciso il partigiano Walter Tabacchi al quale venne poi intitolata una brigata dei Gap.(58)

In questa storia della guerra civile in Provincia di Modena potrebbe sembrare fuori posto parlare di un avvenimento accaduto a Roma: Ma il fatto ha assunto tale forza emblematica, per tutta la storia della resistenza in Italia, che un riferimento seppur breve e limitato è doveroso, se non essenziale, e per il collegamento con i fatti del modenese di Monchio, Susano e Costrignano e anche perché, di tale episodio si conosce solamente la parte conclusiva e più tragica, cioè la fucilazione, da parte dei tedeschi, di 335 ostaggi italiani, alle Fosse Ardeatine.(59) Di rado si parla dell'antefatto e di quello che attorno ad esso si è verificato.

Nella zona di Roma, già dai primi di Gennaio, si erano verificati parecchi attentati gappisti a truppe tedesche e ad isolati militari fascisti, molti furono gli uccisi. Da parte della polizia tedesca e fascista vi fu un’immediata risposta con l'arresto di esponenti antifascisti, in maggioranza del partito d'azione, Da queste retate riuscirono a sfuggire molti marxisti ed altri antifascisti di varia estrazione politica che, subito dopo l'8 Settembre, riuscirono a rifugiarsi nella città del Vaticano. Lo stillicidio di attentati continuò, per culminare in quello di Via Rasella. Questo era stato particolarmente studiato e venne eseguito, se così si può dire, alla perfezione, da dieci partigiani tra i quali, Carlo Salinari, Alfio Marchini, Franco Calamandrei e dai due decorati, in seguito, al valor militare, Carla Capponi e Rosario Bentivegna. L'ordine venne dato da Giorgio Amendola, eletto, per varie legislature al Parlamento, per il Partito Comunista Italiano.(60)

Obbiettivo dell'attentato fu una colonna di anziani soldati altoatesini (già appartenenti all'esercito italiano e incorporati nell'esercito tedesco all'8 Settembre ) che facevano parte della "Sudtiroler polizei" ed erano normalmente disposti alla guardia dei Comandi germanici e in altri uffici pubblici. Non avevano mai svolto azioni di guerra e tantomeno di controguerriglia e passavano abitudinariamente per quella strada, nel centro di Roma, tutti i giorni.

I gappisti, appostati in attesa del loro transito, spinsero un carretto della spazzatura, carico di esplosivo, giù per la discesa di Via Rasella, indirizzandolo contro la colonna che risaliva la strada; vi fu un tremendo boato e trentatre di quei militi altoatesini vi lasciarono la vita assieme a due civili italiani, uno era un bambino, che transitavano per la via.

I tedeschi, inferociti, pretendevano che si presentassero gli autori di quel massacro; ma nessuno cercò di evitare la terribile rappresaglia che i nazisti promettevano e che, in breve tempo attuarono, svuotando le carceri di Regina Coeli, in una località vicina a Roma chiamata Fosse Ardeatine. Trecento trentacinque furono gli italiani massacrati dalla rabbiosa reazione tedesca(61). Molto è stato scritto su questa spietata rappresaglia, ma di questa immensa tragedia, come per altre analoghe, si dovrebbero delimitare meglio i contorni (e non per cercare di dare una giustificazione a quelle che sono state certamente rappresaglie feroci e addirittura controproducenti per i fascisti e per l'Italia tutta e di cui i tedeschi ne porteranno la tragica responsabilità per sempre) cercando di evidenziare le gravissime responsabilità dei comunisti, autori dell'attentato, che ben sapevano di scatenare una tremenda rappresaglia, anzi, ricercavano in realtà proprio questa, onde scavare il fossato di odio tra italiani e tedeschi.

Nel 1981, per iniziativa della Sudtirolen Wolkspartei, in una commemorazione delle vittime dell'attentato partigiano, l'ex senatore di quel partito, Fried Volger, così si espresse:

 "Per i folli fanatici che nella città eterna, senza alcuna necessità, hanno provocato un bagno di sangue in una compagnia di innocui poliziotti ci sono state medaglie d'oro e posti in parlamento";

il senatore così proseguiva in un’intervista apparsa su di un quotidiano italiano:

"Dopo via Rasella i partigiani, almeno uno degli autori dell'attentato, dovevano consegnarsi per evitare una strage certa.....In altre analoghe circostanze, anche in Italia, è quanto hanno fatto carabinieri e sacerdoti per evitare stragi... l'attentato di Via Rasella è stato fatto senza necessità strategica perchè non cambiava nulla in quella situazione. E' stato un attentato folle."

Ma la strategia comunista era appunto quella di scatenare la rappresaglia, ben sapendo che questa, oltre a sollevare l'indignazione degli italiani e ad aumentare di conseguenza l'odio nei confronti del tedesco e del suo alleato fascista, avrebbe anche colpito molti antifascisti detenuti che erano in netto contrasto con le formazioni comuniste sul modo di condurre la lotta, sulla collocazione ideologica e sulle alleanze da privilegiare.(62) Questa tattica, attuata durante tutto il periodo della guerra civile, ma che era già stata sperimentata e collaudata durante la rivoluzione bolscevica in Russia, nella guerra civile spagnola e in tante altre parti del mondo dove la penetrazione dell'internazionale rossa ha creato sanguinose guerriglie, in conclusione non ha portato a quei risultati programmati di conquista del potere, ma è servita solamente a creare una sequela interminabile di lutti e di rovine morali e materiali ed una spirale di odio dalla quale, anche a distanza di sessanta anni, non ne siamo ancora usciti.

Va inoltre sottolineata, in questa circostanza, l'ipocrisia di chi condanna la ferocia e la violenza quando vengono usate dagli altri, mentre la predicava o la predica ancor oggi, la esalta, la esercita e la giustifica quando la usa per se.

Altro elemento da non tralasciare, nell'analisi di quella tremenda rappresaglia, è la valutazione data dagli ambienti Vaticani(63): l'iniziativa dei gap romani è sempre stata criticata e quell'attentato venne definito un "colpo serio" alla strategia di Pio XII° per tenere Roma lontana dalle atrocità del conflitto, avendo dichiarato la capitale "città aperta".(64) L'attentato, tra l'altro, venne effettuato all'insaputa del comando del Comitato di Liberazione Nazionale, il quale conveniva, come Pio XII°, che non serviva a nulla gettare Roma nella mischia.

A Modena, in questa giornata, a Palazzo Littorio in Corso E. Muti, in occasione della cerimonia per il XXVle della fondazione dei Fasci di combattimento, vi fu una grande manifestazione a cui presero parte tutte le autorità fasciste modenesi; l'ex Direttore della Gazzetta dell'Emilia, Cacciari, tenne un applaudito discorso.

 VENERDI 24 MARZO 1944

 Siamo ancora nei primi mesi della guerra civile, ma i partigiani comunisti delle formazioni Garibaldi sono ben determinati nel condurre una lotta spietata, inesorabile e senza esclusione di colpi contro l'odiato nemico fascista, tanto da formulare un progetto di decreto che sarebbe dovuto essere presentato al "Governo di Liberazione Nazionale" e che venne stampato in un manifesto, di cui riportiamo per intero il testo:

"Contro i traditori fascisti, contro chi collabora con i tedeschi e con i fascisti.

I Distaccamenti e le brigate d'assalto Garibaldi, che conducono una lotta a morte contro gli occupanti tedeschi e i suoi alleati fascisti, per assicurare all'Italia la libertà e l'indipendenza nazionale, che si costituirà tra breve, come segno della volontà del popolo di scacciare dall'Italia ogni residuo nazista e fascista, il seguente progetto di

DECRETO

Articolo 1 - tutti gli appartenenti al Partito Fascista Repubblicano, alla Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale del cosidetto Governo fascista repubblicano o a qualsiasi altra organizzazione fascista, per il semplice fatto di questa appartenenza, come anche tutti quelli che, dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia alla Germania, abbiano collaborato nel campo militare, economico, amministrativo col nemico nazista e fascista, SONO DICHIARATI TRADITORI E NEMICI DELLA PATRIA. Essi sono perciò privi di diritti civili, dichiarati decaduti da ogni diritto a pensioni e sussidi licenziati da ogni impiego nelle amministrazioni pubbliche e statali ed esclusi per sempre dalla possibilità di concorrere a detti impieghi.

Articolo 2 - tutti gli indicati nell'art. precedente che nelle organizzazioni del Partito Fascista Repubblicano o nell'opera di collaborazione con i tedeschi abbiano dimostrato particolare iniziativa, o comunque abbiano svolto opera di direzione, sono condannati a morte e tutti i loro beni mobili ed immobili sono confiscati a favore dei caduti e dei combattenti per la liberazione e l'indipendenza nazionale.

Articolo 3 - Una deroga all'applicazione degli articoli precedenti è ammessa solo a favore di chi, trovandosi per cause di forza maggiore in enti costretti alla collaborazione col nemico (forze armate, polizia, amministrazioni pubbliche e private, imprese ecc.) possa provare, con dati concreti, non solo di non essersi macchiato mai di atti di tradimento a danno di patrioti e della causa di liberazione nazionale, ma di aver condotto dal posto occupato, un attiva opera di sabotaggio dei piani e delle forze del nemico nazista e fascista e aiutato, secondo le possibilità, la lotta partigiana in seno allo stesso esercito fascista e, in particolare, provvedendo alla soppressione di dirigenti e di ufficiali fascisti; avvertendo, se poliziotto, i patrioti minacciati d'arresto, aiutando a fuggire gli arrestati e sopprimendo commissari e agenti fascisti; sabotando la produzione bellica tedesca, le requisizioni, la riscossione delle tasse, delle imposte ecc.

Articolo 4 - Tutti i criminali contemplati in questo decreto sono di competenza dei tribunali del popolo da nominarsi nei territori liberati dall'occupazione tedesca. Nei territori ancora sotto il tallone nazista e fascista, le forze armate patriottiche e i partigiani, in primo luogo, sono incaricati dell'applicazione, senza nessuna formalità, dell'art.2 del seguente decreto, provvedendo alla soppressione del nemico della patria, alla distruzione dei loro beni che non si possono sequestrare e mettere a disposizione della lotta partigiana.

E' evidente che fin d'oggi i distaccamenti e le brigate d'assalto Garibaldi prendono a base della lotta contro i tedeschi e contro i fascisti le disposizioni contenute nel proposto decreto."(65)

A prescindere dalla forma e dal contenuto di questo scomposto invito alla delazione, all'omicidio, al sequestro indiscriminato di beni, resta da sottolineare come le formazioni comuniste abbiano eseguito perfettamente gli ordini, sia durante  la fase della guerra, sia al termine della stessa, andando anche oltre, attraverso le esecuzioni sommarie, con le farse dei processi dei cosiddetti tribunali del popolo, con le epurazioni indiscriminate, in conclusione con una persecuzione programmata sino alla eliminazione completa dell'avversario e delle sue famiglie.

A Albareto vicino a Modena veniva ucciso l'agricoltore MALAGOLI UMBERTO (65bis)

 SABATO 25 MARZO 1944

 L'avvio della guerra civile nella bassa modenese, malgrado buona parte della storiografia partigiana cerchi di datarlo in periodi antecedenti, viene collocato realisticamente con l'assassinio del vice reggente del Fascio Repubblicano di Carpi, al giorno 26 Marzo. Difatti:

"E' da escludere, che nell'inverno 1943-44 si siano verificati degli atti di sabotaggio nella "Bassa" modenese: prima di tutto perché nessuna notizia di essi troviamo nella stampa fascista, che pure, proprio in quel periodo, si diffondeva ampiamente nel riferire le più semplici operazioni di approvvigionamento compiute dai partigiani in montagna; in secondo luogo, perché i tedeschi, che sarebbero stati gravemente danneggiati dagli atti di sabotaggio, avrebbero certamente reagito con rappresaglie."(66)

DOMENICA 26 MARZO 1944

 Le nuove formule del Fascismo Repubblicano stanno facendo presa su larghi strati della popolazione anche nel modenese; i comunisti malsopportano che la RSI abbia una impostazione così avanzata verso la classe lavoratrice, pertanto si scagliano con rabbia contro gli uomini che si sono messi in evidenza, incrementando gli attentati terroristici contro fascisti isolati e facili bersaglio per gli agguati, spostando così la lotta su di un piano fatto di assassinii e di rappresaglie che, in breve tempo, porterà il confronto tra le due fazioni, anche nella pianura modenese a limiti incredibili di uccisioni, da entrambe le parti.

A Carpi, dopo l'assassinio del brigadiere della GNR, Ternelli, avvenuto il 3 Marzo, viene messo a segno dai partigiani un altro attentato. Mentre stava vendendo dei biglietti all'ingresso del Cinema Lux, viene ucciso, da una serie di centrati colpi di pistola, il vice reggente del Fascio carpigiano, padre di tre figli: LEONARDI VINCENZO.(67)

In questo modo la storiografia partigiana inquadra l' omicidio:

"Questo nuovo fascismo ha qualche pretesa demagogica "sociale" e, quà e là i nuovi dirigenti vorrebbero distinguersi (più che altro per non condividere con loro il potere) dai vecchi gerarchi, ma la sostanziale continuità (se e quando un cambiamento c'è, è in peggio) è data dagli interessi che servono, dalle caste di cui sono esponenti.... A Carpi quelle caste hanno affidato la reggenza del fascio al vice direttore della Marelli, Carlo Alberto Ferraris, vice reggente l'ex carabiniere (augusto) Leonardi....Diventa perciò uno dei doveri del movimento di liberazione, quello di giustiziare questi oppressori e persecutori in quanto tali e in quanto sono i più fanatici collaboratori dell'occupazione, colonne del sistema terroristico e depredatorio di occupazione. La serie sarà lunga. A Carpi comincia nel Marzo 1944."(68)

Se nella pianura modenese la guerra civile sta avviandosi con attentati del tipo che abbiamo preso in esame, in montagna ha già raggiunto l'apice con la lunga serie di attentati a tedeschi, fascisti e civili. Le formazioni partigiane riprendono i loro agguati in altre zone, spostandosi dalle valli del Secchia a quelle del Panaro. In questa prima Domenica di primavera, una pattuglia di militi fascisti viene attirata in una imboscata, da una formazione di "ribelli" guidata dal capo partigiano "Armando". Vengono uccisi: il Tenente della GNR nativo di Sestola: BOLDRINI OTELLO,(70) il medico di Pavullo di trentadue anni: ROMANI ANTONIO,(71) e CINQUE IGNOTI MILITI(72), giovanissimi volontari dai sedici ai diciotto anni, nativi di Tripoli. Rimase seriamente ferito anche il maresciallo della GNR, Bonanno, ed un altro milite perdette un occhio.

Sulla stampa dell'epoca venne data questa versione dei fatti:

"La mattina del 26 corrente numerosi delinquenti si portavano in vicinanza di Sassoguidano, frazione del Comune di Pavullo e armati di fucili, moschetti, mitragliatrici e bombe a mano, aggredivano un autocarro militare nel quale si trovavano un sottotenente e cinque militi, tutti distaccati per servizio a Pavullo. Erano pure con essi un maresciallo maggiore dei carabinieri e un carabiniere, appartenenti al distaccamento della GNR di Pavullo e il Dott. Antonio Romani fu Sante di anni 32 da Pavullo. L'autocarro era diretto in località Gaianello per accertamenti giudiziari inerenti ad un cadavere rinvenuto nel mattino sulla strada comunale identificato poi per un milite appartenente al Centro di addestramento distaccato a Montecenere di Lama Mocogno. Fatti segno ad improvviso tiro di mitraglia e lancio di bombe a mano rimanevano uccisi il sottotenente e quattro militi. Il maresciallo, il carabiniere e il Dott. Romani venivano trasportati all'Ospedale Civile di Pavullo. Un altro milite rimaneva leggermente ferito."(73)

L'imboscata era stata ben preordinata da "Armando", il quale, la notte precedente, aveva inviato un gruppo di suoi partigiani in una cascina dove abitavano due belle ragazze, amiche di due ragazzi fascisti che di solito si recavano a trovarle. Il gruppo di partigiani catturò i due, uno venne ucciso, l'altro lasciato libero dopo una notte d'interrogatorio. Il suo cadavere venne poi abbandonato sul ciglio della strada, per preparare l'imboscata a chi doveva andare a fare il sopralluogo.(74)

"Era giorno di fiera a Pavullo ed eravamo certi che di lì a poco qualcuno avrebbe dato l'allarme e i brigatisti neri sarebbero venuti sul posto. Avvenne appunto così ; ci appostammo nelle vicinanze del bosco, nascosti dietro un cumulo di pietre e quando scorgemmo il polverone sollevato dal camion che soppragiungeva, ci preparammo ad accoglierlo."(75)

Seguirono il lancio di bombe a mano che bloccarono l'autocarro ed un nutrito fuoco di mitragliatori che fecero scempio dei militi a bordo del mezzo.

In un altra testimonianza partigiana si racconta che i fascisti, per vendicarsi, arrestarono i genitori di Armando:

"Ma anche in questa circostanza i rapporti stabiliti precedentemente tra i partigiani e i carabinieri si rivelarono assai proficui e, dopo un pò di tempo la cosa si risolse nel migliore dei modi."(76)

 LUNEDI 27 MARZO 1944

 Gli Ufficiali ed i graduati dei reparti dell'Esercito Repubblicano di stanza nel modenese avevano grosse responsabilità in momenti così delicati; difficile era il compito di trattenere la rabbia dei militari in divisa che erano sempre più, facile bersaglio degli agguati partigiani. Spesso si verificarono ribellioni non facili da domarsi, anche perché, molti giovani vedevano massacrare amici e parenti nelle imboscate tese dai ribelli e non negli scontri diretti o in aperte battaglie campali che raramente si verificarono nel nostro territorio.

 MARTEDI 28 MARZO 1944

 Si svolgono a Carpi i funerali del vice reggente del PFR, Leonardi, ucciso il giorno 26; vennero tenuti chiusi tutti i locali pubblici e venne promessa una grossa somma a chi avesse fornito indicazioni sugli autori dell'omicidio.(71)

 MERCOLEDI 29 MARZO 1944

 L'Arcivescovo di Modena si reca in Prefettura per una visita ufficiale al Capo della Provincia; il giorno successivo verrà diramato un comunicato che così si esprimeva:

"S.E. l'Arcivescovo di Modena e Abate di Nonantola si è recato ieri mattina al Palazzo del Governo accompagnato dal Vicario generale della Curia in visita ufficiale al Capo della Provincia. Mons. Boccoleri si è a lungo e molto cordialmente intrattenuto con il Console Pier Luigi Pansera, al quale ha portato l'espressione dei nobili sentimenti di italianità che animano il clero della nostra Diocesi. Durante il corso del colloquio il Capo della Provincia e l'alto Prelato hanno serenamente esaminato con largo spirito di mutua comprensione i vari problemi che interessano le gerarchie politiche e religiose della provincia, auspicando infine quella vittoria delle nostre armi che è la sola garanzia di salvezza anche per la religione, insostituibile nutrimento spirituale del nostro popolo profondamente patriottico e cattolico."(78)

 GIOVEDI 30 MARZO 1944

 A Castelfranco Emilia, per rappresaglia agli agguati ed alle imboscate contro le truppe tedesche e fasciste, vengono fucilati dieci giovanissimi partigiani di Renno di Pavullo che erano trattenuti in quelle carceri.(79)

 VENERDI 31 MARZO 1944

 Nelle zone dell’Appennino modenese della Valle del Secchia, si concludono le operazioni di rastrellamento contro le formazioni ribelli ed il grosso delle forze che vi avevano partecipato rientra alle proprie basi, lasciando nei piccoli paesi solamente piccoli nuclei a presidiare quelle zone che, di lì a breve tempo si torneranno a popolare dei vecchi e nuovi partigiani che verso la fine della primavera aumenteranno di numero sull'onda dei successi ottenuti dalle truppe anglo-americane sul territorio italiano.

  

NOTE

 1    cfr. Gazzetta dell'Emilia del 4.3.44

2    cfr. ESGC.Mo

3    cfr. E. Gorrieri: "La Repubblica di Montefiorino" pag. 139;

4    cfr. Gazzetta dell'Emilia del 5 Marzo 44

5    cfr. P. Alberghi: "Attila sull'appennino" pag. 96

6    cfr. G. Pisanò: "Gli ultimi in grigioverde" Vol. 3° pag. 1815, elenco caduti della GNR.

7    cfr. Gazzetta dell'Emilia del 7.3.44.

8    cfr. F. Borghi: "L'an n'era menga giosta" pag. 263 e Gazzetta dell'Emilia del 7.3.44

9    ibidem

10   si trattava dei due partigiani, Amelio Aravecchia e Dante Schiavoni; cfr. anche testimonianza di Don Sante Bartolai in ISR n. 5 pag. 79.

11   cfr. P. Alberghi op. cit. pag. 101.

12   cfr. Lettera del Comune di Medolla del 16.1.1956, alla Ass. Cad.Rsi.

13   cfr. Gazzetta dell'Emilia del 14 Marzo 1944

14   ibidem e in elenco caduti RSI, inumati nell'ossario di San Cataldo.

15   ibidem

16   ibidem

17   ibidem

18   ibidem.

18bis Questo nominativo trovasi inserito in un elenco dei caduti della resistenza modenese in rassegna ISR n. 3 pag. 7.

18tris cfr. "Martirologio" pag. 89

19   cfr. E. Gorrieri, P. Alberghi, op.cit

20   dattiloscritto in Archivio Caduti RSI.

21   cfr. Elenco caduti RSI n. 507.

22   cfr. Gazzetta dell'Emilia del 11 Marzo 1944.

23   cfr. E. Gorrieri, op. cit. pag. 151.

24   cfr. lettera del Comune di Pavullo in data 16.2.1956 prot. 1261; elenco caduti RSI n. 431.

25   Comandante partigiano, azionista.

26   cfr. E. Gorrieri, op. cit. pag. 153.

27   cfr. Gazzetta dell'Emilia del 14 Marzo 1944.

28   I caduti partigiani in quel combattimento furono: Bruno Belloi, Alcide Borsari, Enrico Brandoli, Ottavio Ferrari, Carlo Fiandri, Dino Lugli, Bruno Parmeggiani e Sovente Sabbatini. In E. Gorrieri, op. cit. pag. 153.

29   cfr. Gazzetta dell'Emilia del 14 Marzo

30   cfr. P. Alberghi, op. cit. pag. 98.

31   cfr. lettera del Dott. Comini, accertante le cause della morte, in Arch. Ass. Cad. RSI.

32   cfr. P. Alberghi, op. cit. pag. 98.

33   ibidem

34   cfr. Gazzetta dell'Emilia del 14 Marzo 1944.

35   cfr. P. Alberghi, op. cit. pag. 111.

36   cfr. elenco caduti RSI n. 243.

37   cfr. P. Alberghi, op. cit. pag. 112.

38   ibidem

39   ibidem

40   ibidem; per questi caduti anche in elenco caduti RSI.

41   cfr. P. Alberghi, op. cit. pag. 113.

42   ibidem

43   ibidem pag.120

44   ibidem pag. 118; dichiarazione di Leo Dignatici.

45   ibidem pag. 119

46   ibidem

47   cfr. G. Silingardi: "I giorni del fascismo e dell'antifascismo" pag. 168.

48   cfr. E. Gorrieri, op. cit. pag. 170

49   cfr. P. Alberghi, op. cit. pag. 129.

50   ibidem

51   ibidem pag. 184.

52   I caduti nelle frazioni colpite dalla furia tedesca:

Frazione di Susano:

Gualmini Celso, Aschieri Clerice, Aschieri Massimiliano, Gualmini Raffaele, Baschieri Maria, Gualmini Lavinia, Gualmini Celso di Raffaele, Gualmini Viterbo, Gualmini Aurelio, Albicini Delia, Marastoni Ursilia, Marastoni Orfeo, Carlo di NN, Gherardo Filippo, Garzoni Francesca, Baldelli Camillo, Casacci Dovindo, Casini Battista, Casolari Florigi, Pagliai Domenico, Pagliai Tonino, Peli Giuseppe, Peli Andrea, Zenchi Dante.

Frazione di Costrignano:

Barbati Ersidio, Barbati Ignazio, Barbati Luigi, Barbati Pasquino, Baschieri Mario, Beneventi Pellegrino, Beneventi Giacomo, Beneventi Giuseppe, Caminati Adelmo, Casinieri Luigi, Ceccherelli GianBattista, Chiesi Sante, Compagni Tolmino, Ferrari Secondo, Ferrari Nino, Ghiddi Lorenzo, Lami Alcide, Lami Silvio, Lami Ennio, Lami Mario, Lorenzini Marcellina, Maestri Massimo, Pancani Giuseppe, Pigoni Luigi, Pigoni Lino, Rioli Ernesto, Rioli Claudio, Rioli Pellegrino, Rosi Dante, Sassatelli Lodovico, Severi Enrico.

Frazione di Monchio:

Abbati Callisto, Abbati Cristoforo, Abbati Giuseppe, Abbati Milziade, Abbati Raffaele, Abbati Remo, Abbati Tommaso, Albicini Ermenegildo, Barozzi Augusto, Barozzi Adelmo, Barozzi Mario, Bedostri Giuseppe, Bedostri Luigi, Bucciarelli Livio, Braglia Ambrogio, Cornetti Adele, Corenetti Luigi, Caminati Giovanni, Caselli Alberto, Carani Ernesto, Carani Geminiano, Compagni Ernesto, Debbia Enrico, Debbia Franco, Debbia Valerio, Debbia Roberto, Facchini Sisto, Ferrari Egidio, Ferrari Remo, Ferrari Teobaldo, Fiorentini Giuseppe, Fontanini Teodoro, Giberti Attilio, Giberti Eleuterio, Giusti Giuseppe, Guglielmi Aurelio, Guglielmi Emilio, Guglielmini Luigi, Guglielmini Renato, Guglielmini Giuseppe, Sajelli Pia, Magnani Amilcare, Marchi Ivo, Martelli Giuseppe, Martelli Alvino, Massari Gino, Mesini Celso, Mesini Alessandro, Mussi Remo, Ori Attilio, Ori Ernesto, Pancani Claudio, Pancani Ernesto, Pancani Marco, Pancani Tonino, Pistoni Leonildo, Pistoni Michele, Pistoni Luigi, Ricchi Ernesto, Ricchi Viterbo, Rioli Antonio, Rioli Pellegrino, Rioli Mauro, Silvestri Agostino, Tincani Ennio, Tincani Geminiano, Venturelli Dante, Silvestri Ines, Venturelli Gioacchino, Venturelli Florindo e Sassatelli Adelmo.

53   cfr. G. Silingardi, op. cit. pag. 169.

53bis Francesco Bocchi, Segretario del PFR di Montefiorino, che venne ucciso il 16 marzo 1945 a Modena dai partigiani, venne accusato dal CLN, come uno dei responsabili dell'eccidio per aver messo sull'avviso i comandi fascisti e germanici ad intervenire nella zona. In una testimonianza, l'Arciprete di Serra, Don Marino Donini a quei tempi capellano a Vitriola, sul Resto del Carlino del 14 marzo 1984, così parlò del Dott. Bocchi:

 "Trovai il Dott. Bocchi, seduto in poltrona, in uno stato di profondo sconforto. Mi disse testualmente: " E' un disastro! Si dice che di là dal fiume ci siano un centinaio di morti. Le SS avevano in programma di distruggere anche Savoniero e Vitriola ma io ho supplicato i comandanti di cessare il rastrellamento e la rappresaglia."

54   cfr. P. Alberghi , op. cit. pag. 214.

55   cfr. E Gorrieri, op. cit. pag. 174.

56   ibidem pag. 175

57   cfr. Gazzetta dell'Emilia del 17 e 22 Marzo 1944.

58   cfr. ISR Rassegna

59   Esiste un ampia letteratura sull'episodio di Via Rasella e del successivo eccidio delle Fosse Ardeatine, che riteniamo non elencare.

60   cfr. G. Pisanò op. cit.

61   ibidem

62   tra i fucilati alle Fosse Ardeatine vi fù anche un modenese: certo Luigi Gavioli ( da ISR rassegna n. 7 pag. 28)

63   cfr. Atti e documenti della Santa Sede, Vol. X°

64   ibidem

65   cfr. ISR Rassegna n. 8 pag. 67.

65bis cfr. "Martirologio" pag. 138

66   cfr. F. Gorrieri : "La resistenza nella bassa modenese", pag. 93.

67   cfr. lettera del Comune di Carpi in data 30.5.1956 prot. 7033.

68   cfr. Pacor-Casali: "Lotte sociali e guerriglia in pianura" pag. 89.

69   Al secolo, Armando Ricci, che fu successivamente, al termine della guerra, Sindaco di Pavullo.

70   In una agenda, dove il Ten. Boldrini, teneva notati pensieri ed appunti venne trovata questa sua affermazione: " Questo mio vivere è proprio un vivere pericolosamente. La morte mi circonda da ogni parte; eppure non mi fa paura. Morire per la Patria! Morire per l'idea in fondo è una fortuna! Speriamo bene! Morire amando è vivere. W il Duce"

72   cfr. E. Gorrieri, op. cit.

73   cfr. Gazzetta dell'Emilia del 29 Marzo 1944

74   ibidem

75   cfr. Ada Tommasi De Micheli: "Armando racconta" pag. 122 e segg.; per il Dott. Romani cfr. anche A. Galli in "Pievepelago durante la seconda guerra mondiale" pag. 29 e in E. Gorrieri, op. cit. ; in questa versione si precisa che il fatto non avvenne a Gaianello, bensì in località Fontanella di Sassoguidano.

76   cfr. S. Prati - G. Rinaldi in: "Quando eravamo i ribelli", pag. 64-65.

77   cfr. F. Gorrieri.: op. cit. pag. 92.

78   cfr. Gazzetta dell' Emilia del 30 Marzo 1944.

79   I giovani partigiani fucilati nelle carceri di Castelfranco Emilia furono: Badiali Bruno, Adani Faustino, Pattarozzi Massimo, Gherardini Ubaldo, Vandelli Romano, Maletti Gervasio, Manfredini Teodorico, Montecchi Egidio, Camatti Renato e Walter Martelli.

 

 

 

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LA TRAGICA ESTATE DEL 1944

L'estate del 1944 è forse il periodo, di tutta la guerra civile, se si escludono le stragi del dopoguerra, più tormentato e nel quale, su tutto il territorio della Provincia modenese, dalla montagna alla pianura, attentati, fucilazioni, rappresaglie si susseguono in una "escalation" incredibile; spaventosi eccidi vengono effettuati dalle truppe tedesche completamente imbestialite dallo stillicidio continuo di agguati ed uccisioni e dalle incursioni delle bande partigiane, che dopo lo smacco subito a Montefiorino cercavano di portare la violenza della guerriglia, quasi debellata in montagna, nelle zone della "bassa" che, sino a quel momento, non era ancora entrata nell'occhio del ciclone e dove si erano verificati solamente alcuni attentati a fascisti per lo più isolati e dove ancora le ritorsioni non avevano raggiunto la ferocia di certi episodi già avvenuti in montagna. L'estate dunque, porta la guerra civile nella forma più spietata anche in pianura: la lunga serie di attentati alle fabbriche, alle ferrovie, alle colonne militari e all'uccisione di decine e decine di fascisti tra i quali il Console della Milizia Filiberto Nannini, del Direttore del settimanale "Valanga Repubblicana", Corrado Rampini oltre ai moltissimi ufficiali e soldati tedeschi, si risponde con le fucilazioni di Cibeno, d’Ospitaletto di Marano, di Ravarino, di Rovereto, di Novi e di Carpi.

E' un vero e proprio massacro generale: i partigiani sentivano l'avvicinarsi delle truppe angloamericane, la conquista di buona parte del centro Italia faceva supporre che la catena appenninica sarebbe stata superata entro l'estate. Ma la resistenza tedesca e fascista era ancora tenace e fortissima e nelle retrovie a far le spese di questo tremendo braccio di ferro tra le due fazioni in lotta, erano le inermi popolazioni sottoposte ad ogni tipo di vessazione sia dai partigiani, sia dai tedeschi e dai fascisti.

Della tremenda sequela di lutti e vendette che hanno costellato questo triste periodo, cerchiamo di darne uno squarcio, attraverso le pagine della stampa comunista per evidenziare con quali sistemi era condotta la guerriglia partigiana e come tante azioni fossero predisposte con il preciso piano organizzativo del PCI, per creare le ritorsioni.

Nell'enfasi del racconto resistenziale, nella limitatezza descrittiva per cercare di fare apparire a tutti i costi l'avversario, solamente uno spietato e brutale aguzzino, (infatti i fascisti sono solamente traditori e spie e le azioni delle bande partigiane si rivelano delle perfette azioni militari e l'onestà e la correttezza dell'azione, la bontà della "giustizia" è ovviamente da una sola parte) non si accorgono, questi "storici" a senso unico, di mettere in luce quel che per tanti anni tenevano nascosto. Dalla lettura di alcune pagine stralciate dalle "loro storie" e che prenderemo in esame, il lettore, che non abbia già subito il lavaggio del cervello della martellante propaganda comunista, durata sessanta anni, potrà rendersi conto che la "brutalità" nazi-fascista non era poi tanto diversa dalla "giustizia" di chi combatteva lo spietato "moloch" che sino ad oggi hanno descritto.

Vediamo dunque una serie di "pregevoli" azioni partigiane:

"Dalla fine di Luglio fu soprattutto un ininterrotto appostarsi notturno di gappisti - spesso in collaborazione con sappisti - sulle strade, con decine e decine di attacchi agli automezzi tedeschi e fascisti. Poiché di giorno essi rischiavano il martellamento da parte dell'aviazione alleata, avevano deciso che gli spostamenti si effettuassero di preferenza nella notte ma incapparono, appunto nella vigilanza partigiana....si registrarono per Luglio, tutto Agosto e per i mesi successivi, decine e decine di attacchi ad autovetture ed autocarri, che molte volte portarono a vivaci scontri a fuoco, con talora qualche ferito da parte partigiana per lo più senza perdite dei patrioti, mentre assai spesso sono gli automezzi nemici a rovesciarsi nei fossati ai lati della strada. E' constatato subito dopo l'attacco o il giorno successivo, un certo numero di morti e di feriti tedeschi e fascisti."(1)

E a commento di queste "perfette azioni militari", basate sulla tecnica del "colpire e fuggire" che noi, forse con maggiore obiettività, chiamiamo agguati ed imboscate, nella storiografia partigiana, viene anche descritta la tecnica usata:

“L’attacco ai convogli veniva effettuato con 5 persone. Una staffetta veniva sistemata a circa 150 metri. Quando arrivava un camion o una macchina di notte(..) ce lo segnalava. Gli altri quattro uomini erano appostati (dietro a una siepe o dentro un fosso); due affiancati a 150 metri dalla staffetta un altro dopo dieci metri, il quarto dopo altri 10-15 metri. Come il camion si avvicinava, i primi due, se si trattava di automobile rafficavano nella cabina, se di camion rafficavano uno nella cabina, uno nel cassone. Indiscutibilmente l'automezzo sbandava e (anche se il conducente era morto) andava avanti almeno una decina di metri, finendo presso il partigiano armato di bombe a mano che se ne serviva abbondantemente. L'ultimo era di riserva in caso fosse necessario un ulteriore intervento a mitra o bombe a mano."(2)

Il testo prosegue con un altra serie di "eroiche azioni" che riteniamo opportuno proporre ai lettori per dimostrare che quanto poi andiamo a raccontare nella parte cronachistica non è frutto di nostre invenzioni o di sole testimonianze di parte fascista, anche perché la quasi totalità dei documenti, delle testimonianze e delle pubblicazioni è, purtroppo, quasi esclusivamente di parte resistenziale.

"Tra i tanti episodi, ricorderemo gli attacchi del 12 Agosto a Sozzigalli e Quartirolo a due automezzi tedeschi che vengono messi fuori strada, con un tedesco ucciso, un ufficiale ed un soldato feriti; del 14 Agosto ancora presso Sozzigalli, con morti e feriti nemici; dello stesso 14 agosto presso Campogalliano; del 15 a Ponte Nuovo di Santa Croce, con un colonnello ed un capitano uccisi e due soldati feriti; del 17 a un autocarro presso Novi; del 18 da parte dei Gap 27 a Fossoli contro una vettura ed un autocarro, con un intenso scontro a fuoco durante il quale veniva ferito un partigiano; dello stesso 18 da parte dei gap 34 sulla strada Modena-Carpi con un violento scontro durante il quale rimaneva ucciso un partigiano e venivano uccisi due tedeschi ed uno restava ferito; del 20 presso San Prospero ad una colonna di tre macchine, con un ufficiale tedesco ucciso e sette soldati feriti; del 22 presso Quartirolo da parte dei gap 28, con quattro nemici feriti; del 25 presso Fossoli da parte dei gap 40 e del 29 nella stessa località da parte dei gap 21.

Proseguirono pure, come era di dovere, i colpi contro i caporioni ed aguzzini, i traditori, le spie. Il 5 Luglio i gap 2 e 23 attaccavano presso Gargallo una vettura su cui transitavano i tristemente noti gerarchi repubblicani Foroni, Nellusco Gasparini e Rapieri, che risposero al fuoco e riuscirono a fuggire. Più di una volta appostamenti ed incursioni nelle case di scherani fascisti non portarono all'esecuzione decretata perchè costoro riuscivano a fuggire o non si trovavano in casa, ma spesso in tal caso, i gappisti tornavano però con un certo bottino di armi. Ma la giustizia popolare finiva comunque, presto o tardi, per colpire. Così Alvise Foroni, sfuggito al primo attentato, fu fatto fuori il 12 Luglio insieme con la sua amante e complice Olga Corradini. Il 10 Luglio un altro squadrista aguzzino era stato giustiziato ad Albone di Campogalliano. il 15 Agosto è invece la volta di un altro truce individuo, il colonnello (console) della milizia Nannini."(3) 

In questo brano si compendia tutta la cattiveria e l'arroganza di certa partigianeria: i fascisti, secondo il loro copione, vengono sempre gratificati di appellativi quali, traditori, spie, aguzzini, truci individui, e la "giustizia popolare" trionfa sempre, tacendo, nel contempo, che il Console Nannini venne assassinato in modo vigliacco in uno stradello di campagna alla periferia di Carpi mentre in bicicletta, assieme alla moglie ed al figlioletto in tenerissima età, che teneva in braccio e che venne ferito, stava ritornando dalla scampagnata ferragostana. Vedremo in seguito quali tristi conseguenze abbia portato quella sorta di "giustizia" partigiana.

Ma nello stesso modo vogliamo sottolineare come  questi "ribelli" trattassero i loro prigionieri, sempre attraverso le "storie" da loro stessi raccontate e messe in bella mostra come avessero compiuto gesta eroiche:

"Bruschi Ermanno..gli ultimi due mesi, prima della liberazione, li passò a Paganine. Solo e temerario, egli condusse fino alla fine la sua lotta personale contro tedeschi e fascisti. Aveva preso l'abitudine di andare a caccia di uomini. Un giorno durante una di queste cacce, s'imbattè in un tedesco, un graduato; lo sopraffece e lo consegnò da custodire ad un mezzadro. Alla sera un gruppo di noi andò a prelevarlo per fucilarlo. Eravamo tutti di Paganine: Nascimbeni Rolando, Torri Athos, Gibellini Onorio, Gibellini Zorro, Benedetti Luigi ed io. (Prandini Vittorio)

Senza nemmeno legargli le mani lo portammo in un podere a circa 2 Km, dove il mezzadro aveva già scavato la fossa. Ricordo che c'era l'erba, era quindi primavera e che l'erba era bagnata. Quando arrivammo sul posto  lo mettemmo vicino ad un albero per sparargli. A questo punto accadde qualcosa che non dimenticherò mai: l'episodio è rimasto in mè come il senso stesso della guerra, degli orrori che porta con se e della degradazione che opera nelle coscienze di coloro che ne sono coinvolti. Quando fummo per sparare al prigioniero, cominciammo a litigare tra noi, a darci spintoni, c'incattivimmo, perché ognuno voleva essere lui a sparare. Il tedesco non capiva l'italiano, ma sapeva che sarebbe stato ammazzato, che per lui non c'era scampo e vedeva anche lo squallido spettacolo che offrivamo; allora gridò "Heil Hitler" e tentò la fuga: Nel buio lo perdemmo di vista, ma qualcuno di noi sparò una raffica di mitra e lo colpì a caso. Un altra raffica lo finì."(4)

Non c'è alcun bisogno di commento: ma dallo stesso autore stralciamo un altro brano significativo:

"L'esercito tedesco era in ritirata. (erano stati catturati dei prigionieri N.d.R.): A questo punto ci chiedemmo che fare dei due tedeschi. Uno propose di pugnalarli, per non segnalare la nostra presenza a quella colonna in marcia, che in linea d'aria era abbastanza vicina; ma tutti gli altri dissero di no. Decidemmo per un colpo alla nuca e così facemmo. Li seppellimmo in fretta e ci avviammo verso Paganine.”(5)

Era una lotta micidiale, senza esclusione di colpi, da entrambe le parti. I rastrellamenti tedeschi e fascisti, in realtà, più che rendere un contributo sostanziale all’eliminazione del "fenomeno" banditismo, servivano più a terrorizzare le popolazioni e a portare acqua al mulino della campagna dell'odio che i partigiani comunisti alimentavano a più non posso e che loro stessi cercavano di provocare artatamente con un cinismo programmatico attraverso attentati ed uccisioni indiscriminate, onde ottenere questi effetti.

Conferma questo il partigiano, giornalista e storiografo della Resistenza, Giorgio Bocca che, in un suo articolo, parlando dell’aspetto del terrorismo degli anni settanta-ottanta, così scriveva:

"Il secondo argomento su cui invito a riflettere è quello riassunto da una parola che per noi conserva un significato di angoscia e di paura: rastrellamento. Voglio dire il criterio a cui starebbero approdando alcuni organi di polizia e di indagine giudiziaria: pescare a mucchio negli ambienti sospetti, sia a sinistra che a destra, così come il rastrellamento arrestava in massa quando incontrava nelle zone perlustrate, e poi vedere se nel mucchio è capitato qualche terrorista vero.

Come ex partigiano e storico della guerra partigiana vorrei ricordare a chi riscopre oggi questa tecnica, che l'unico risultato dei rastrellamenti è stato di aumentare il numero dei partigiani e dei loro simpatizzanti ( ci fu anzi un terrorismo partigiano e rivoluzionario che aveva per compito precipuo o complementare, proprio quello di provocare rastrellamenti, di coinvolgere il maggior numero di persone).

Il che non significa che io intendo equiparare i partigiani di allora ai terroristi di oggi; intendo solo sottolineare dei rapporti di causa ed effetto."(6)

Ma di questa realtà, che traspare appena tra le righe di ben pochi storiografi partigiani o di ex partigiani veri se ne è ben poco parlato e l'opinione pubblica non ne è per nulla a conoscenza. E' stato molto più facile a tutti i "pennivendoli di regime" di questi sessanta anni, servire la verità del padrone, descrivendo episodi gonfiati, facendo apparire ciò che non è stato, nascondendo le verità e pertanto facendo credere alle nuove generazioni che la partecipazione alla lotta partigiana ebbe un adesione pressoché totale della popolazione e che, quei pochi, pochissimi che si erano legati al nazifascismo non erano altro che dei venduti, dei violenti o dei corrotti e alcuni altri, rarissimi, erano solamente accecati da "ingenua fede".(7)

Tutto questo è stato volutamente falsato poiché la realtà di quel periodo è stata ben diversa. Furono centinaia di migliaia, come abbiamo visto, i giovani "accecati" che aderirono al fascismo repubblicano e tra essi la maggioranza era composta da volontari, che portarono, in quella terribile lotta, che a molti poteva sembrare illusoria ed impossibile, la loro disperata ed adamantina fede in quanto non si può essere ciechi, o corrotti, o ignavi, quando si combatte e si va’ a morire per un ideale che altro non era che ideale di Patria e di libertà dai vari eserciti stranieri che calpestavano il suolo italiano.

Ed erano di gran lunga superiori, come numero, a quelli che avevano scelto la strada della montagna.

E' giunto il tempo di sfatare certi luoghi comuni e vedere la storia di quegli anni, senza acredine e senza desideri di vendette, nelle giuste proporzioni, per una migliore conoscenza del proprio passato e delle proprie origini; per una vera opera educativa in termini storici.

Ma tutta la storia della partigianeria ha molti vuoti e molte lacune, volute e ricercate.

Nella recensione di un libro di uno storiografo della resistenza del modenese, l'autore dell'articolo commenta, in modo corretto quelle valutazioni, con un giudizio che riportiamo, e che vorremmo far nostro:

"Il punto più delicato, quello facilmente destinato ad incontrare la curiosità di chi legge e, talora, il dissenso di chi ha vissuto negli anni '30 e'40, è ovviamente la sezione sulla Resistenza (specialità nella quale l'Alberghi è, per suo conto, versatissimo, avendo già pubblicato un migliaio di pagine in materia).

Si tratterebbe in primo luogo, di sapere quale fu la reale incidenza del fenomeno resistenziale sulla durata della guerra: dopo l'effimera parentesi, seppur d'alto valore morale, della Repubblica di Montefiorino, l'autore scrive che gli attacchi partigiani alla Via Giardini del 10 Aprile 1945 furono una manovra diversiva (P.157) ed agli insorti rimase il solo compito di ripulire i territori della residua presenza di nazifascisti in fuga.(159) Fu vera gloria insomma? In secondo luogo occorrerebbe conoscere come stavano le cose, e dalla parte dei montanari c'era effettiva adesione di popolo alla "gravosa necessità delle requisizioni"(151) o alle azioni partigiane con successivo "sganciamento" ( quante volte ricorre questo eufemismo! ) che lasciavano i residenti inermi in balia di rappresaglie, costate addirittura 80 morti per una fucilata (pag.148)? Perché tanti, in Frignano se si tenta oggi di farli parlare dei partigiani, se non ti confidano cose irriferibili commentano epigrammaticamente : "curag, ca scapuma!".

A queste grosse domande (che si riducono ad una sola: la presa effettiva del fascismo tra i montanari) l'Alberghi non risponde: anzi non se lo pone nemmeno: ci sa dire quanti si arruolarono per la Spagna dalla parte "giusta", ma non dall'altra: parla di un certo interesse per le vicende etiopiche ma senza scendere nei particolari.(8)

Lo stesso articolista concorda poi che i tempi non sono ancora maturi per una storia obiettiva; ma quando si è instaurato per tantissimo tempo, un clima di omertà e di paura, che ancora oggi permane tra quelle popolazioni che difficilmente, se vengono interpellate, parlano apertamente delle "gesta" dei partigiani e tanto meno sono disposti a rilasciare testimonianze firmate, in clima di tal genere è estremamente difficile poter fare della storia sulla base di testimonianze credibili e serene; e purtroppo sarà molto difficile per gli storici futuri affrontare questo periodo, poiché tutte le argomentazioni della parte sconfitta o sono andate distrutte o rimangono nei piccoli ricordi personali. Se il clima di paura e di persecuzione rimarrà ancora per un certo tempo, gli ultimi testimoni di quelle tragiche giornate si porteranno i loro ricordi nella tomba e resteranno così solamente quelli di una sola parte, per di più manipolati e forzati; la storia verrà così ricostruita in modo parziale e non obbiettivo.

 NOTE

 1    cfr. Pacor-Casali: "Lotte sociali e guerriglia in pianura" pag. 99.

2    ibidem pag. 127

3    ibidem pag. 100

4    V. Prandini: "Tra paesani e compagni" pag.,. 241

5    ibidem pag. 250

6    cfr. articolo di Giorgio Bocca sul settimanale L' Espresso di Ottobre 1980, dal titolo: " Calunniate, calunniate, qualcosa resterà"

7    cfr. Pacor-Casali, op. cit. pag. 111

8    cfr. articolo sul quotidiano, "Giornale Nuovo" del 18 Gennaio 1981, in cronaca modenese, a firma; F.M. e dal titolo: "Tra le righe si intravedono anche i "compagni assassini". Recensione del libro di P. Alberghi: "Quaranta anni di storia montanara."

 

 

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RSI E CLASSE OPERAIA

 Nell'ambito della ricerca storiografica sul periodo dei 600 giorni della Repubblica Sociale Italiana in provincia di Modena è necessario dedicare un po’ di spazio, e di conseguenza tentare un’analisi, del rapporto intercorso tra la nuova concezione del fascismo repubblicano, scaturita, o meglio tornata alle origini dopo il tradimento monarchico e badogliano, e la classe operaia e, in contrapposizione, vedere come si sono effettivamente svolte le "lotte operaie".

Non è facile interpretare al meglio, e per di più in modo succinto, quel groviglio d’innovazioni e situazioni ambientali, particolarmente quando le tensioni ideologiche erano portate all’esasperazione in un tutt'uno con la guerra all'interno dei nostri confini che andava configurandosi sempre più crudele e distruttiva, lasciando poco spazio alle tensioni sociali ed alle conquiste che si prefiggeva la costituzione del Partito Fascista Repubblicano depuratosi da tutte le scorie del ventennio.

A tutt'oggi, nell'ambito della ricerca storiografica di quel periodo, abbiamo notato una limitatezza d’opere relative a quest’argomento e nello stesso tempo sono estremamente carenti i dati che si possono raccogliere da ambedue le fazioni, circa le tensioni sociali e le proposte di realizzazione di miglioramenti socio-economici voluti ma non realizzati dal nuovo governo fascista.

Da un versante s’incensano i grandi rinnovamenti portati sul piano sociale dalle leggi emanate dalla Repubblica mussoliniana a partire dai 18 punti di Verona, e vedremo in quale misura, mentre nell'altro campo le vicende della classe operaia sono mescolate e non sufficientemente sviluppate in quella che sino ad oggi è stata una ricerca finalizzata particolarmente alle vicissitudini politiche e militari della lotta partigiana.

E' evidente che non può essere possibile, anche per gli storici legati al più vieto conformismo antifascista, ritenere che gli operai, in quel periodo, si siano totalmente schierati con la resistenza.

Da parte fascista si dà per scontata la partecipazione alla "resistenza" di una combattiva minoranza che ha creato, senza alcun dubbio, difficoltà all'apparato industriale, ma nello stesso tempo si può affermare che, almeno per un lungo periodo dei 600 giorni, buona parte della classe operaia, in particolare nelle industrie modenesi, se non la maggioranza della stessa, era favorevole e compartecipe alle nuove tematiche operaistiche della socializzazione.

Avremo modo di costatare quanto queste affermazioni, siano anche avvalorate da quella piccola parte della storiografia resistenziale che ha dedicato qualche studio, sebbene marginalmente, al problema proposto.

Brevi premesse vanno fatte prima di entrare nell’analisi di quel periodo di storia modenese ed italiana, e prendere in esame quali sono state le tendenze dello sviluppo industriale, prima, e poi durante il periodo fascista, sino al 25 Luglio 1943, nella nostra Provincia.

Agli albori del Fascismo le produzioni prevalenti, in Provincia di Modena, erano quelle foraggiere e dell'uva; rappresentavano il 65% del reddito agricolo provinciale con una produzione di foraggi per un importo globale di 143 milioni di lire annue, di 113 per l'uva, mentre, a distanza, seguiva il frumento con soli 53 milioni.(1)

Vi era pertanto una ricchissima presenza, sul nostro territorio, di capi di bestiame, tanto da essere, già a quei tempi Modena, uno dei maggiori centri d'Europa, con numerosissimi capi di, bovini, cavalli e suini; mentre in montagna, ovini e caprini davano alla nostra Provincia uno dei primi posti nelle graduatorie nazionali. Notevoli erano anche le produzioni di granoturco e fagioli, mentre era relativamente scarsa la produzione delle barbabietole da zucchero.

La popolazione della Provincia raggiungeva le 395.513 unità(2) e tra queste, la popolazione attiva si contava su 199.572 persone, delle quali ben 128.985 erano dedite all'agricoltura, con una percentuale del 65%, mentre il 20% era dedito all'attività industriale e il 15% ad altre attività.

La proprietà agricola era distribuita in buona parte tra i grandi e medi proprietari terrieri, dei quali faceva parte la Chiesa che, con ben 210 parrocchie sparse sul territorio Provinciale e che mediamente possedevano uno o due poderi condotti a mezzadria, aveva una gran fetta della proprietà agricola nella nostra Provincia.(3)

La vita nelle campagne era di conseguenza poverissima; braccianti, mezzadri, fittavoli, salariati fissi ed avventizi tra i quali i bifolchi, i cavallanti, gli acquaioli ecc. erano malpagati e sfruttati dalla classe dominante che, anche per merito dell'influenza dei parroci su questi inculturati, riusciva a mantenere i lavoratori delle campagne, attraverso i numerosi pregiudizi d’ordine religioso quali superstizioni e carenza d’educazione, in uno stato d’arretratezza endemica.(4)

Provincia dunque particolarmente agricola quella modenese agli albori del fascismo, con scarsi insediamenti industriali particolarmente localizzati nel capoluogo e nei centri maggiori; in realtà l'attività industriale esistente in quegli anni, era sparsa in una miriade di piccole officine e laboratori a prevalenza artigianale. In città spiccavano: la Fabbrica Italiana serrature Corni, la Manifattura Tabacchi, le officine Rizzi e Benassi e in Provincia, la SIPE di Spilamberto mentre nel carpigiano era fiorente l'attività del truciolo.

La crisi economica, nella quale si venne a trovare la nostra Provincia in quegli anni, acuì maggiormente le tensioni sociali e la lotta politica assunse toni, in certi momenti, drammatici.(5)

In breve tempo il movimento fascista seppe coagulare attorno a sé l’attenzione di grossa parte della classe operaia e della borghesia, entrambe insoddisfatte della politica del Partito Socialista e del Partito Popolare, tanto da ottenere un buon successo alle elezioni del 1921, sino a quello clamoroso del 1924.(6)

Il Fascismo trova di conseguenza nella Provincia modenese una situazione quantomeno delicata; disoccupazione, immigrazioni dalla montagna alla pianura, aumento della popolazione, piccole e medie industrie in crisi con il ritorno della mano d'opera alle campagne già sature di braccia, l'emigrazione delle donne modenesi nelle risaie del novarese e del vercellese per lavori stagionali,(7) diminuzione dei salari; si andava dunque incontro, e a grandi passi, alla crisi che sfociò alla fine degli anni venti e che sconvolse l'economia del mondo occidentale ma che in Italia venne in parte controllata e ridimensionata in breve volgere di tempo.

Gli anni trenta furono quelli dell'assestamento sociale, politico ed economico; furono fatti enormi progressi in tutte le direzioni. Aumentò la produzione agricola, si aprirono nuove industrie e la disoccupazione calò sensibilmente; si curò in modo particolare l'edilizia popolare e le strutture sociali ebbero un notevole impulso, quali, ad esempio, l'Opera Nazionale Maternità ed Infanzia; moltissime scuole nuove, dalle elementari alle superiori, con un sensibile aumento della popolazione scolastica, iniziando così ad eliminare la piaga dell'analfabetismo ancora assai consistente nelle nostre zone; si avviò il concetto di turismo popolare, anche attraverso il potenziamento della rete ferroviaria e delle strutture alberghiere, sia alpine sia marine; molto fu fatto per le organizzazioni aziendali e per la costruzione d’impianti sportivi, data l'enorme arretratezza in questo settore e per quei tempi, rispetto a molte altre nazioni europee, si ebbe, negli anni del consenso, un vero progresso sociale ed economico nelle classi meno abbienti, riconosciuto ormai anche dai maggiori storici siano essi pure dichiaratamente antifascisti.(8)

All’inizio della seconda guerra mondiale la situazione economica e sociale in Provincia di Modena la possiamo così brevemente riassumere: il settore più rilevante per l'occupazione e per il reddito era ancora quello dell'industria agricola ed alimentare, oltre ad un forte impiego nell'attività salumiera e molitoria e numerosi erano gli stabilimenti dell'industria vinicola e dell'alcol, delle acque gassate, dell'industria dolciaria e d’altre minori.(9)

Notevole in quegli anni era stato lo sviluppo dell'industria meccanica e metallurgica, sia legata al mondo dell'agricoltura sia ad altri settori come acciaierie e fonderie, industrie per carrozzerie d’autobus ed automobili, officine specializzate per la costruzione dei motori diesel, bilance, impianti di riscaldamento ecc.; a Sassuolo si stava realizzando l'inizio dell'era della piastrella e della ceramica, mentre nella bassa, a Mirandola, era stato creato un grosso polo per la lavorazione della barbabietola da zucchero.(10)

L'impulso industriale dell'economia modenese in questi anni è stato senz'altro rilevante e in modo particolare :

"si definiscono alcune linee di tendenza molto importanti, e cioè l'affermazione all'interno di una economia basata prevalentemente sull'agricoltura, di un primo consistente nucleo industriale che subirà un ulteriore accelerazione nel periodo bellico registrando, tra l'altro, un notevole aumento del numero degli addetti."(11)

Gli anni della guerra, ovviamente in rapporto anche alla produzione bellica, intensificarono l'aumento della mano d'opera nell'industria e, nel modenese, nell'anno 1941 vi erano impiegati più di trentamila lavoratori che raggiunsero i quarantamila nel 1944.

Fonti antifasciste, citando anche testimonianze orali, parlano di scioperi ed agitazioni operaie negli anni di guerra ed in particolare di quello che sarebbe avvenuto nel marzo del 1943, ma:

"dopo un attento esame di queste ed altre testimonianze, dei documenti coevi di parte fascista ed antifascista, dopo aver inquadrato complessivamente le vicende e valutato i tempi di maturazione della coscienza di classe dei lavoratori modenesi, riteniamo confermato il nostro convincimento che a Modena nel Marzo del 1943 non si sia scioperato, anche se è sempre possibile che in qualche azienda in modo spontaneo, vi sia stata qualche fermata."(12)

Agitazioni, invece, ci furono dopo la caduta del fascismo, durante i 45 giorni badogliani, anche se non di grossa entità e vanno inquadrati in quel breve periodo pieno di grosse incognite, poiché non era ben chiara, anche per la popolazione, quale sarebbe stata, a breve termine, la posizione dell'Italia nei confronti degli alleati. Di conseguenza, nelle fabbriche la situazione era, complessivamente, abbastanza tranquilla, non si notavano i prodromi di particolari lotte antifasciste e non vi era alcun segno di quei "presupposti resistenziali" di cui è infarcita la storiografia partigiana; e gli stessi capi del sindacalismo comunista stentavano:

"a mobilitare i lavoratori soprattutto in modo coordinato."(13)

Ci avviciniamo così al periodo della RSI, la quale, con l'impostazione della socializzazione delle imprese, ha dato un esempio, valido ancora oggi, di com’è possibile il superamento dell'antitesi marxista, classe operaia-capitalismo, in una interpretazione che sceglie la collaborazione tra le classi e di conseguenza quelle motivazioni, non solo materiali, ma anche morali, etiche e spirituali che fanno parte inscindibile dell'uomo.

Attualmente si stanno riscoprendo questi valori seppur ipocritamente mascherati, sia all'est, dove il crollo del comunismo li ha prepotentemente portati alla ribalta, sia all'ovest dove la concezione del puro capitalismo, grettamente materiale e creatore di scompensi incredibili, pone all'uomo di oggi la rivisitazione di quei concetti d’economia corporativa e di socializzazione portati avanti dalla lungimiranza politica di un Mussolini, che condensiamo in una sua dichiarazione del periodo repubblicano:

"L'unico socialismo attuabile socialisticamente è il corporativismo punto di confluenza, di equilibrio e di giustizia degli interessi privati rispetto all'interesse collettivo."(14)

Nelle varie ricerche effettuate in tutti questi anni sul fascismo, sia del ventennio sia della RSI, si è, grosso modo, sempre sostenuta la tesi che quel movimento rivoluzionario conservò in sé, e se ne fece garante, le strutture capitaliste in genere.

La propaganda antifascista tutta, ma in particolare quella comunista, ha sempre sostenuto questa tesi falsa e demagogica, scagliandosi con violenza contro le avanzatissime teorie sociali postulate in modo particolare nei 18 punti di Verona, poiché, evidentemente queste portavano ad un vero e proprio scavalcamento a sinistra.

La Socializzazione, voluta dal nuovo Fascismo Repubblicano, fu approvata dal Consiglio dei Ministri della RSI il 12 Febbraio 1944 e cominciò ad entrare nella sua attuazione in varie parti d'Italia, ma ovviamente, tra moltissime difficoltà comprensibili per la delicata situazione interna italiana e per le vicende belliche, ma anche per l'ostruzionismo da parte dei tedeschi che non vedevano di buon occhio, in quel particolare momento, rivoluzionamenti così profondi della società italiana.

Con queste riforme di grandissima importanza sociale, viste anche alla luce delle attuali lotte sindacali, pur mantenendo integro il principio della proprietà privata, anche andando contro a molte tendenze collettivistiche della stessa sinistra fascista, si dava sostanzialmente una nuova regolamentazione alla struttura delle aziende, sia private sia statali.

Nelle amministrazioni delle aziende, attraverso i "consigli di gestione", erano inseriti i rappresentanti degli operai e degli impiegati con poteri ben definiti ed importanti, quali la ripartizione degli utili e la possibilità di partecipare, attraverso le assemblee, alla nomina del capo dell'azienda. Mussolini, libero dalle imposizioni monarchiche, clericali e borghesi che lo avevano imbrigliato per venti anni, porta avanti quelle rivendicazioni sociali che erano parte integrante dei suoi programmi degli inizi.

Quest’aspetto del nuovo Fascismo Repubblicano non può passare solamente come un desiderio di rivincita o come una espressione puramente demagogica del momento. Negli anni precedenti, cioè in quelli del "ventennio", certe forze economiche hanno, in parte, condizionato una progressione più rapida delle motivazioni di fondo del fascismo, e di questo è bene prenderne atto; il capitalismo ha cercato con tutte le collusioni e con tutte le formule possibili, anche le più subdole, di piegare attraverso un calcolo che si doveva poi dimostrare errato, il fascismo; in parte vi è riuscito, ma non completamente e se anch'esso ha voluto vincere la battaglia con le forze vitali della nazione si è dovuto accodare ed asservire al capitalismo internazionale in combutta con il marxismo comunista. E nello stesso tempo è opportuno sottolineare che il movimento rivoluzionario fascista degli anni venti è andato al potere, contrariamente a quello che ha fatto l'altro grosso movimento rivoluzionario del ventesimo secolo , il comunismo, senza le brutalità e gli eccidi che hanno caratterizzato quest'ultimo.

E' anche vero che, durante il periodo della RSI, la classe industriale e borghese conservatrice, che in parte o forzatamente aveva dato i suoi appoggi durante il ventennio, abbandonò completamente il fascismo e conseguentemente le ipoteche scomparvero: Mussolini poté così reimpostare la sua rivoluzione non completata agli albori, ma purtroppo era troppo tardi.

In effetti la RSI, e su questo punto molti storici anche antifascisti concordano, non fu solo l'ultima trincea dei "fanatici del manganello", ed al suo interno non ebbero spazio esclusivamente i cosiddetti "mercenari dell'invasore tedesco".

La RSI fu una sincera aspirazione al rinnovamento sociale, fu slancio verso le masse popolari, fu istanza anticapitalismo che cercava di darsi forma, seppure in un periodo difficilissimo; attrasse e galvanizzò uomini dalle esperienze e dalle provenienze più disparate, quali, ad esempio, l'ex segretario del Partito Comunista, Nicola Bombacci, morto con Mussolini e con il gruppo di gerarchi fascisti fucilati dai partigiani comunisti; il socialista Carlo Silvestri, accusatore di Mussolini ai tempi del delitto Matteotti e uno degli uomini più vicini al Capo del fascismo durante il periodo di Salò con il quale ebbe numerosissimi colloqui, condensati nel dopoguerra in un volume di gran successo: "Mussolini, Graziani e l'antifascismo"; l'ex sindacalista rivoluzionario Nicola Vecchi, del quale riportiamo stralci di una sua lettera, scritta da Mirandola, dove risiedeva, al Prefetto della RSI Piero Parini, lettera emblematica di chi aveva conosciuto per diverso tempo e nella realtà, il "paradiso dei lavoratori" della Russia sovietica e che anche oggi risulta di grand’attualità: (15)

"All'Ecc. Piero Parini - Milano -   Mirandola 17.4.44

Solamente ora ho potuto rendermi libero dagli impegni che avevo assunto con uno stabilimento meccanico di Roma, di cui ero da cinque anni direttore. E solo ora mi è stato possibile allontanarmi da Roma, la cui ammorbante atmosfera di viltà non potevo oltre sopportare.

Ritengo di avere qualche cosa da dire ai lavoratori italiani, ubriacatisi nella messianica attesa di un comunismo staliniano, che sotto l'orpello di un barbaro autocrate nasconde la più feroce repressione di un super capitalismo di stato messo al servizio di un nazionalismo slavo, elevato all'ennesima potenza, dalla bieca anima di Giuda, e inverniciato per l'occasione di falsa democrazia operaia.

Subito dopo il 25 Luglio scrissi, non ai giornali per rimettere a lustro il mio passato di combattente antifascista, ma ad un vecchio sindacalista milanese, per dirgli che era d'uopo unirci per impedire la rivalorizzazione di uomini come Buozzi, fuggiti vigliaccamente all'estero con le ben fornite casse delle federazioni riformiste e di comunisti calati in Italia, d'ordine di Stalin per ordire la consegna dei lavoratori italiani, mani e piedi legati, al Budda russo. I successivi avvenimenti mi hanno maggiormente convinto della necessità di agire in questo senso.

Amici miei, vecchi organizzatori dell'Unione Sindacale Italiana, di cui fui Segretario Generale, si sono dichiarati pronti a seguirmi.

Ho la presunzione di ritenere che gli aderenti dell'Unione Sindacale Italiana, di cui fece parte Corridoni ed i lavoratori aderenti al movimento socialista, non abbiano dimenticato la lotta da mè combattuta contro il fascismo negli anni 1919\1923; il mio passato di sindacalista rivoluzionario; l'opera da me svolta quale organizzatore dei sindacati fascisti milanesi dal 1926 al 1928; l'assistenza da me prestata sempre a chi fra loro a me si volse, dopo - per dedurne che l'odierno mio atteggiamento vuol significare che solo difendendo l'Italia e la Repubblica Sociale, si difendono, oggi, gli interessi e le aspirazioni dei lavoratori.

Conosco uomini e cose della Russia, ove fui negli anni 1921 e 1922 per partecipare ai Congressi dell'Internazionale sindacale di cui ero uno dei Dirigenti - nè mi è nuova l'attuale turpe commedia che la Russia gioca al Governo Badoglio e l'arlecchinesca ibrida combutta dei partiti dell'Italia cosidetta liberata; perchè uguale inganno fu contro di me ordito, allorchè, dopo la Marcia su Roma, il riconoscimento dell'Italia Mussoliniana, costituiva tale vantaggio da non fare esitare gli uomini del Cremlino ad abbandonare e tradire i rivoluzionari italiani e ad irretirne l'azione.

Di ciò parlerò meglio e più ampiamente a suo tempo, per far comprendere ai lavoratori italiani che la Russia d'oggi non è che la copia riveduta e scorretta della precedente monarchia, che come questa non persegue altro scopo che non sia l'attuazione della conquista dell'Europa, per instaurarvi l'egemonia dello slavismo semibarbaro, semiasiatico, ed antieuropeo.

Le classi abbienti attendono l'Inghilterra perchè paventano le attuazioni rivoluzionarie della Repubblica Sociale Italiana. e non hanno torto. Le classi non abbienti invece, in maggioranza anticomunista, pur diffidando del comunismo russo, attendono la Russia per la ventennale loro avversione al fascismo, sperando in realizzazioni rivoluzionarie che dovrebbero essere loro apportate dalle baionette dello straniero: e hanno torto.

Sono queste ultime che bisogna conquistare: esse solo potranno dare alla Patria la forza sufficiente a riscattarsi dall'attuale abbiezione. Conquista ardua, ma non impossibile. E' duopo però dare ai lavoratori italiani la sensazione che la rivoluzione è in marcia e che nulla e nessuno potrà arrestarla. Chiamarli a partecipare alla lotta per le conquiste rivoluzionarie, che senza il loro apporto non potrebbero essere conservate ed alla direzione dei Sindacati e delle istituzioni di previdenza.

Sui muri di Roma, la città più antifascista d'Italia, non vi è una scritta che dica abbasso Mussolini.....(omissis).....Eccellenza dite a Mussolini, che io ed i miei amici ci mettiamo a Sua disposizione per vincere o morire - bruciando i ponti alle nostre spalle per non mai indietreggiare - che svolgendo, con intensa propaganda i concetti suesposti, riteniamo possibile conseguire l'unità dei lavoratori e ricondurli sulla via dell'onore, alla lotta per la difesa della Patria repubblicana. - F.to (Nicola Vecchi) - Mirandola"(16)

 A conferma della validità delle spinte sociali decisamente innovative della RSI, e proprio in funzione di queste, oltre agli uomini del fascismo meno legati agli schemi del ventennio e a moltissimi giovani entusiasti, aderirono alla socializzazione numerosi ex dirigenti sindacali di estrazione antifascista quali, ad esempio, nel modenese: l'ex segretario della Camera del Lavoro, Vittorio Messerotti, Anselmo Forghieri e Carlo Verratti, entrambi questi ultimi ex dirigenti della Camera del lavoro, oltre all'ex sindacalista anarchico, Vincenzo Chiossi.(17)

La classe operaia era dunque ben poco favorevole alla lotta armata dei "partigiani", anche se, nella storiografia antifascista si cercano dei sottili distinguo quando si affronta questo tema:

"Si trattava di una classe operaia politicizzata, ma ristretta in piccole e medie aziende dove vigeva naturalmente un rapporto paternalistico che, nel periodo di formazione della Rsi, era diventato ancor più pericoloso a causa della nascita di quello strano raggruppamento sindacale facente capo a "Giustizia Sociale" che interveniva demagogicamente anche in contrasto con la linea locale della federazione repubblichina, e agitava rivendicazioni operaie anche sotto la spinta di alcuni ex sindacalisti anarchici, come Chiossi, che avevano abboccato all'amo della socializzazione. L'intervento del Pci era stato quindi su un terreno particolarmente difficile e la richiesta di passare immediatamente sul terreno della lotta armata, nonostante la preparazione e la presenza costante degli anni precedenti, era troppo alta per ottenere risposta adeguata ed immediata, anche perchè il "sindacato" fascista non peritava di ricorrere agli specchietti o ai ricatti sul terreno economico per tentare di ottenere, se non una egemonia o un consenso, perlomeno la neutralità e la pace sociale."(18)

Le lotte sindacali furono, di conseguenza limitate a poche fabbriche(19), e nonostante la ristrettezza di quei tempi duri, della guerra, della presenza tedesca sul nostro territorio che ostacolava la messa in atto delle avanzatissime teorie sociali della RSI, furono moltissime le industrie ad aumentare i propri organici tanto da raggiungere la cifra di quarantamila addetti nel settore.(20)

E tutto questo nonostante i micidiali bombardamenti aerei, come quello del 14 Febbraio 1944 che colpì duramente le Acciaierie, la Corni, la Fiat-Oci, la Magneti Marelli, e del Maggio dello stesso anno quando altre fabbriche furono danneggiate, come la Giusti e la Rizzi, oltre alle officine Maserati, la Ferrari, le Fonderie Riunite, la Fiat Grandi Motori e le officine Valdevit.

Gli studi che hanno affrontato il contributo dato dagli operai alla resistenza, seppure come sempre in una visione manicheista e demagogica, rilevano quanto meno, le difficoltà oggettive nello scorporare in quel "fenomeno"(della resistenza) il vario ruolo esercitato dalle componenti sociali che hanno contribuito alla sua realizzazione(21), in quanto:

"...vi sono stati degli appiattimenti che hanno ricordato ad esempio le lotte operaie all'interno della politica del CLN, senza cioè analizzare e quasi negando l'autonomia collettiva della classe operaia.(22)

A prescindere pertanto dalla ristretta minoranza combattiva, che, come abbiamo già accennato ha partecipato alla resistenza nelle fabbriche con azioni di sabotaggio, mettendo, in alcuni casi in difficoltà la produzione e creando non pochi fastidi, ha pure e nello stesso tempo, creato danni e difficoltà agli altri operai, la maggioranza, che doveva subire impotente queste azioni, dato che la partecipazione politica di questi alla resistenza è tutta da riconsiderare:

" non è sempre possibile ricondurre i tempi della lotta operaia alle scadenze politiche più generali. Lo provano le mancate risposte ad alcune scadenze politiche, come quelle del Marzo 1943 ed in parte del Marzo 1944, i ritardi ad accogliere l'invito a dare inizio alla lotta armata, abbandonando la fabbrica, avanzata nel 1943..ecc".(23)

La storiografia antifascista racconta di occultamenti di macchinari delle industrie modenesi effettuati da operai con la partecipazione degli stessi industriali per preservarli dalle razzie tedesche, e questi episodi si sono effettivamente verificati in molte fabbriche, ma, bisogna precisarlo, solamente negli ultimissimi giorni quando la guerra stava concludendosi, e non si è mai fatto cenno, invece, all'intensa attività svolta in questo senso da tante forze del sindacalismo repubblicano che operavano attivamente e tra mille difficoltà, affinché quello che restava di materiali ed attrezzature italiane risparmiate dalle tremende ferite dei bombardamenti anglo-americani, non fosse disperso nelle mani fameliche di tedeschi o filo-inglesi che fossero; tra gli uomini che maggiormente s’interpretarono in questa forma di protezione delle nostre industrie, ne vogliamo citare uno per tutti: il noto sindacalista, Nino Saverio Basaglia.(24)

Da questo breve "excursus" sui rapporti tra RSI e classe operaia si evidenzia quanto sarebbe utile e necessario, per la ricostruzione storica di quel periodo, uno studio ben più approfondito, che non è possibile portare avanti nel complesso di questa storia, e che necessiterebbe di approfondimenti e di reperti d'archivio, e non esaminati con le formule unilateralistiche con cui si è proceduto sino ad oggi.

Riteniamo peraltro utile proporre ai lettori e per intero, i 18 Punti di Verona, che sono alla base di tutta la politica sociale intrapresa, ma appena abbozzata, dalla RSI nel breve periodo di quei drammatici 600 giorni.

       I 18 PUNTI DI VERONA

  Testo integrale dei "18 Punti" del Manifesto del Congresso del Partito Fascista Repubblicano.

In materia costituzionale e interna.

 1. - Sia convocata la Costituente, potere sovrano di origine popolare, che dichiari la decadenza della monarchia, condanni solennemente l'ultimo re traditore e fuggiasco, proclami la repubblica sociale e ne nomini il Capo.

 2. - La Costituente sia composta dai rappresentanti di tutte le associazioni sindacali e di tutte le circoscrizioni amministrative, comprendendo i rappresentanti delle provincie invase attraverso le delegazioni degli sfollati e dei rifugiati sul suolo libero.

Comprenda altresì le rappresentanze dei combattenti; quelle dei prigionieri di guerra, attraverso i rimpatriati per minorazione; quelle degli italiani all'estero; quelle della Magistratura, delle Università e di ogni altro Corpo o Istituto la cui partecipazione contribuisca a fare della Costituente la sintesi di tutti i valori della Nazione.

 3. - La costituzione repubblicana dovrà assicurare al cittadino - soldato, lavoratore e contribuente - il diritto di controllo e di responsabile critica sugli atti della pubblica amministrazione.

Ogni cinque anni il cittadino sarà chiamato a pronunziarsi sulla nomina del Capo della Repubblica.

Nessun cittadino, arrestato in flagrante o fermato per misure preventive, potrà essere trattenuto oltre i sette giorni senza un ordine dell'autorità giudiziaria. Tranne il caso di flagranza, anche per le perquisizioni domiciliari occorrerà un ordine dell'autorità giudiziaria.

Nell’esercizio delle sue funzioni la magistratura agirà con piena indipendenza.

 4. - La negativa esperienza elettorale già fatta dall'Italia e l'esperienza parzialmente negativa di un metodo di nomina troppo rigidamente gerarchico contribuiscono entrambe ad una soluzione che concili le opposte esigenze. Un sistema misto (ad esempio, elezione popolare dei rappresentanti alla Camera e nomina dei Ministri per parte del Capo della Repubblica e del Governo e, nel Partito, elezione di Fascio salvo ratifica e nomina del Direttorio nazionale per parte del Duce) sembra il più consigliabile.

 5. - L'organizzazione a cui compete l'educazione del popolo ai problemi politici è unica.

Nel Partito, ordine di combattenti e di credenti, deve realizzarsi un organismo di assoluta purezza politica, degno di essere il custode dell'idea rivoluzionaria.

La sua tessera non è richiesta per alcun impiego o incarico.

 6. - La religione della Repubblica è la cattolica apostolica romana. Ogni altro culto che non contrasti alle leggi è rispettato.

 7. - Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica.

 IN POLITICA ESTERA.

 8. - Fine essenziale della politica estera della Repubblica dovrà essere l'unità, l'indipendenza, l'integrità territoriale della Patria nei termini marittimi ed alpini segnati dalla Natura, dal sacrificio di sangue e dalla storia, termini minacciati dal nemico con l'invasione e con le promesse ai Governi rifugiati a Londra. Altro fine essenziale consisterà nel far riconoscere la necessità degli spazi vitali indispensabili ad un popolo di 45 milioni di abitanti sopra a un area insufficiente a nutrirli.

Tale politica si adopererà inoltre per la realizzazione di una comunità europea, con la federazione di tutte le Nazioni che accettino i seguenti principi fondamentali:

a) eliminazione dei secolari intrighi britannici dal nostro continente;

b) abolizione del sistema capitalistico interno e lotta contro le plutocrazie mondiali;

c) valorizzazione, a beneficio dei popoli europei e di quelli autoctoni, delle risorse naturali dell'Africa, nel rispetto assoluto di quei popoli, in ispecie mussulmani, come l'Egitto, che, sono già civilmente e nazionalmente organizzati.

 IN MATERIA SOCIALE

 9. - Base della Repubblica Sociale e suo oggetto primario è il lavoro, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione.

 10. - La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa non deve però diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini attraverso lo sfruttamento del loro lavoro.

 11. - Nell'economia nazionale tutto ciò che per dimensioni o funzioni esce dall'interesse singolo per entrare nell'interesse collettivo, appartiene alla sfera d'azione che è propria dello Stato.

I pubblici servizi e, di regola, le fabbricazioni belliche debbono venire gestiti dallo Stato a mezzo di enti parastatali.

 12. - In ogni azienda ( industriale, privata, parastatale, statale ) le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente - attraverso una conoscenza diretta della gestione - all'equa fissazione dei salari, nonché all'equa ripartizione degli utili tra il fondo di riserva, il frutto al capitale azionario e la partecipazione agli utili stessi per parte dei lavoratori.

In alcune imprese ciò potrà avvenire con una estensione delle prerogative delle attuali Commissioni di fabbrica. In altre, sostituendo i Consigli di amministrazione con Consigli di gestione composti da tecnici e operai con un rappresentante dello Stato. In altre ancora, in forma di cooperativa parasindacale.

 13. - Nell'agricoltura, l'iniziativa privata del proprietario trova il suo limite là dove l'iniziativa stessa viene a mancare. L'espropriazione delle terre incolte e delle aziende mal gestite può portare alla lottizzazione fra braccianti da trasformare in coltivatori diretti, o alla costituzione di aziende cooperative, parasindacali o parastatali, a seconda delle varie esigenze dell'economia agricola.

Ciò è del resto previsto dalle leggi vigenti, alla cui applicazione il Partito e le organizzazioni sindacali stanno imprimendo l'impulso necessario.

 14. - E' pienamente riconosciuto ai coltivatori diretti, agli artigiani, ai professionisti, agli artisti il diritto di esplicare le proprie attività produttive individualmente, per famiglie o per nuclei, salvi gli obblighi di consegnare agli ammassi la quantità di prodotti stabilita dalla legge o di sottoporre a controllo le tariffe delle prestazioni.

 15. - Quello della casa non è soltanto un diritto di proprietà, è un diritto alla proprietà. Il Partito iscrive nel suo programma la creazione di un Ente nazionale per la casa del popolo, il quale, assorbendo l'Istituto esistente e ampliandone al massimo l'azione, provveda a fornire in proprietà la casa alle famiglie dei lavoratori di ogni categoria, mediante diretta costruzione di nuove abitazioni o graduale riscatto delle esistenti. In proposito è da affermare il principio generale che l'affitto una volta rimborsato il capitale e pagatone il giusto frutto, costituisce titolo di acquisto.

Come primo compito, l'Ente risolverà i problemi derivanti dalle distruzioni di guerra, con requisizione e distribuzione di locali inutilizzati e con costruzioni provvisorie.

 16. - Il lavoratore è iscritto d'autorità nel sindacato di categoria, senza che ciò impedisca di trasferirsi in altro sindacato quando ne abbia i requisiti. I sindacati convergono in una unica Confederazione che comprende tutti i lavoratori, i tecnici, i professionisti, con esclusione dei proprietari che non siano dirigenti o tecnici. Essa si denomina Confederazione Generale del Lavoro, della Tecnica e delle Arti.

I dipendenti delle imprese industriali dello Stato e dei servizi pubblici formano sindacati di categoria, come ogni altro lavoratore.

Tutte le imponenti provvidenze sociali realizzate dal Regime fascista in un ventennio restano integre. La carta del Lavoro ne costituisce nella sua lettera la consacrazione, così come costituisce nel suo spirito il punto di partenza per l'ulteriore cammino.

 17. - In linea di attualità il Partito stima indilazionabile un adeguamento salariale per i lavoratori attraverso l'adozione di minimi nazionali e pronte revisioni locali, e più ancora per i piccoli e medi impiegati tanto statali che privati. Ma perché il provvedimento non riesca inefficace e alla fine dannoso per tutti occorre che con spacci cooperativi, spacci d'azienda estensione dei compiti della "Provvida", requisizioni dei negozi colpevoli di infrazioni e loro gestione parastatale o cooperativa, si ottenga il risultato di pagare in viveri ai prezzi ufficiali una parte del salario. Solo così si contribuirà alla stabilità dei prezzi e della moneta e al risanamento del mercato. Quanto al mercato nero, si chiede che gli speculatori - al pari dei traditori e dei disfattisti - rientrino nella competenza dei Tribunali straordinari e siano passibili di pena di morte.

 18. - Con questo preambolo alla Costituente il Partito dimostra non soltanto di andare verso il popolo, ma di stare col popolo.

Da parte sua il popolo italiano deve rendersi conto che vi è per esso un solo modo di difendere le sue conquiste di ieri, oggi domani: ributtare l'invasione schiavistica delle plutocrazie angloamericane, la quale, per mille precisi segni, vuole rendere ancora più angusta e misera la vita degli Italiani. V'è un solo modo di raggiungere tutte le mete sociali: combattere, lavorare, vincere.

 

 NOTE

 1    cfr. G. Muzzioli : "L'economia e la società modenese fra le due guerre." pag. 18

2    cfr. Censimento della popolazione italiana del 1921

3    cfr. G. Muzzioli, op. cit. pag. 29.

4    cfr. in G. Muzzioli op. di Paolo Riccardi: "Pregiudizi e superstizioni del popolo modenese" - Firenze 1891

5    A Modena in quegli anni operavano parecchie bande di banditi che vessavano le popolazioni con, furti, rapine, taglieggiamenti ecc., si facevano i nomi delle bande di: Adani, Caprari, Cerchiari, Cipolli, dei fratelli Mazzetti e numerosissimi erano i piccoli ladruncoli. Alto anche il numero di omicidi e suicidi, la cronaca nera, in quegli anni, viveva decisamente una stagione intensissima.

Nell'Ottobre del 1920, in occasione delle elezioni amministrative, fortissime erano le tensioni tra socialisti e popolari e vi furono parecchi casi di oratori aggrediti e bastonati; a Mortizzuolo, un giovane cattolico venne accoltellato, così come a Polinago e anche a Lama Mocogno tre popolari vennero feriti. Anche molti propagandisti socialisti vennero bastonati dai cattolici, specie nelle zone di montagna; due socialisti vennero uccisi dai carabinieri ad Ospitale di Fanano; l'anno seguente, il 1921, fù ancora più pesante; a Campogalliano venne ucciso un sindacalista rosso; la sera del 21 Gennaio venne ucciso il fascista, Mario Ruini e ai suoi funerali, tre giorni dopo, si sparò sulla folla e vennero uccisi altri due fascisti: Amilcare Baccolini e Orlando Antonini; a Novi il 16 Marzo venne mortalmente ferito il socialista, Celso Piccinini; a Vignola venne gravemente ferito, da parte dei fascisti bolognesi, il socialista Vermiglio Bonesi che morirà dopo 30 mesi; il 4 Giugno venne aggredito e leggermente ferito il Prefetto Carlo Bodo ad opera di alcuni fascisti; l'8 Agosto, a Stuffione di Ravarino, venne aggredito e pugnalato il fascista Eliseo Zucchi; il 17 venne ucciso a Mortizzuolo, un popolare, il 26 Settembre le guardie regie, a Modena, sparano su di un corteo di fascisti uccidendone otto, ai funerali di questi partecipò lo stesso Mussolini; il 12 Novembre ancora aggressione ad un fascista, venne ucciso a rivoltellate, Gino Tabaroni.

Anche nel 1922 vi furono aggressioni e violenze di ogni tipo; a San Venanzio di Maranello, due giovani cattolici, Adelmo Beneventi e Giovanni Romani, furono uccisi dai fascisti; si può dire che la lunga catena di violenze si esaurì dopo la Marcia su Roma del 28 Ottobre.

6   cfr. i dati di queste elezioni riportati nel capitolo: Il Clero e la rsi.

7   Nel 1925, ben 7.000 donne si recarono in quelle provincie a lavorare come mondariso.

8   cfr. l'opera di Renzo De Felice su Mussolini.

9   cfr. G. Muzzioli, op. cit. pag. 254

10  ibidem

11   cfr. ISR, nuova serie n.5, anno 1985, in:Ennio Resca e Claudio Silingardi: "Lotte operaie e riorganizzazione sindacale a Modena (1943-45 )" pag. 63-64.

12  ibidem pag. 77.

13  ibidem pag. 81.

14  dichiarazione di B. Mussolini del 20 Marzo 1945.

15  cfr. : "Storia Contemporanea" ed. Il Mulino n. 2/1977, pag. 260.

16  ibidem

17  cfr. E Resca ecc. op. cit. pag. 82.

18  cfr. L. Casali: "Storia della resistenza a Modena", pag. 319-320.

19  cfr. E. Resca ecc. op. cit.

20  ibidem pag. 74

21  ibidem pag. 89.

22  ibidem

23  ibidem

24  Dott. Nino Saverio Basaglia, giornalista, sindacalista; scrisse, tra l'altro, il Diario di guerra delle Camicie Nere modenesi che combatterono sul fronte greco-albanese, titolato: "Gradinate di fango e mandorli in fiore" - Edito dalla Soc. Tip. Modenese, nel 1944. Si raccontano, le epiche gesta delle camicie nere che caddero sul Monte Kosica. Và sottolineato che, probabilmente per una dimenticanza o per semplice ignoranza, il viale modenese che fiancheggia l'ex ippodromo e lo Stadio Braglia, non venne mai epurato dalla toponomastica cittadina dai reggitori del potere comunisti, come invece successe a tutte le altre strade dedicate ai nomi più famosi del fascismo.

     

 

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Maggio 1945

 MARTEDI 1 MAGGIO 1945

 A Erba, in Provincia di Como, perde la vita il Maggiore della Guardia Nazionale Repubblicana, di Sassuolo: MORI ARTURO,(1) aveva quarantasei anni; rimase gravemente ferito in uno scontro con i partigiani alcuni giorni prima.

A Modena viene assassinato il civile: BERTELLI PIETRO (1bis)

 MERCOLEDI 2 MAGGIO 1945

 A Castelfranco Emilia i partigiani prelevano, dal carcere di quel centro, dove era stato rinchiuso da pochi giorni per la sua militanza nei reparti della RSI, il milite della GNR: CATTANI GIUSEPPE,(2) per poi "eliminarlo" a poca distanza, nelle campagne circostanti.

A Modena viene ucciso il Capitano della GNR: CIOFFI ANTONIO.(3)

 GIOVEDI 3 MAGGIO 1945

 A Mirandola viene ucciso il milite della Brigata Nera "M. Pistoni": MOLINARI GIACOMO.(4)

A Tolmino, in Venezia Giulia, viene ucciso dai partigiani titini, il modenese, caporal maggiore del Battaglione bersaglieri "Mussolini": BAROZZI ALFREDO.(5)

 VENERDI 4 MAGGIO 1945

 A Castelfranco Emilia viene ucciso il paracadutista, appartenente ai corpi alle dipendenze dei tedeschi: POLIDORI MARIO.(6)

A Montefiorino resta ucciso un milite della GNR: LANDI ALFREDO.(7)

A San Pietro in Casale viene ucciso il modenese: BARALDI GUELFO.(8)

 SABATO 5 MAGGIO 1945

 A Carpi viene trucidato il milite della GNR: BARBIERI OTELLO.(9)

Nella zona di Mirandola, precisamente a Vallalta, vengono uccisi altri due militi della GNR:  SGARBI UGO,(10) che si presume sia stato sepolto ancora vivo, essendo stato trovato il suo cadavere con i pugni pieni di terra: l’altro era il milite: RAZZANI TEOBALDO.(11)

A Collegara in Comune di Modena, viene ucciso, dopo essere stato prelevato dai partigiani dalla sua abitazione, il milite della GNR: MARCHETTI GIAN PIETRO,(12) di diciannove anni: il padre, Giuseppe, era stato ucciso alcuni mesi prima dai partigiani titini.

Sempre in queste zone viene soppressa la giovane ausiliaria della RSI, di soli diciassette anni: MALAGOLI TIZIANA(13) venne trucidata in località Villa Filanda-Spiaggetta del Panaro, assieme ad altri fascisti, tra i quali, sicuramente, il sopracitato Marchetti:

A Nonantola viene "eliminato" il ventiquattrenne: MALAGUTI LUCIANO.(14)

 DOMENICA 6 MAGGIO 1945

 In Comune di Modena, località San Damaso, viene barbaramente assassinato il milite della GNR, di quarantotto anni:  RUINI FEDERICO.(15)

A Rosasco, in Provincia di Parma, assieme ad altre ragazze, viene fucilata dai partigiani, l'ausiliaria di Castelfranco Emilia: FORLANI BARBARA,(16) aveva venticinque anni. Barbara era una giovane maestra; frequentò il corso per le ausiliarie volontarie della RSI anche contro il volere dei genitori, per essere fedele ai suoi ideali di Patria e per assistere i combattenti; dalle sue parole s’intuisce tutto il travaglio di questa giovane donna che, consapevole della sorte che l'aspettava, non ha avuto tentennamenti della scelta compiuta.

Questa fu l'ultima lettera che scrisse a casa:

"mamma carissima, ieri ho avuto due vostre lettere. Sono stata veramente contenta di avere vostre notizie così recenti e dubito quando potrò averne ancora, perchè i nostri cari "ribellucci" da alcuni giorni fanno saltare il trenino che arriva a metà strada, da noi  e compiono scorribande. Anche questa volta, mamma,  hai voluto essere pungente nelle tue parole, ma io ora ti faccio una domanda: cosa devo fare per meritare il tuo perdono? io credo che riuscirei ad ottenerlo solo a questa condizione: venire a casa! E' così? Sappi mamma, che prima di intraprendere questo cammino ho molto, dico molto pensato e discusso da sola nelle notti insonni nella mia camera. Quanti quesiti mi sono posta. Risolvendoli sempre per la grande fede e l'amore che porto per tè e per la mia cara Patria, con una sola soluzione: partire! La morte non mi spaventa, come mai mi ha spaventata. Non la temo. Le vado incontro giorno per giorno, ora per ora. L'unico mio rammarico sarebbe il trapasso senza il tuo perdono. Sia fatta, mamma, la tua volontà. Non ti chiederò più nulla. Me ne starò sola con le mie montagne. Confiderò loro, che sono più vicine al Giudice Supremo, le mie angosce, i miei dolori i miei crucci. Rina.(17)

 LUNEDI 7 MAGGIO 1945

 Nella zona di Carpi viene dato per disperso il marò della "Decima Mas": RIPARINI FULVIO.(18)

Nella zona di Collegara, nei pressi della Filanda-Ponte di Sant'Ambrogio, viene scoperto il cadavere di un giovane di circa 20 anni: IGNOTO,(19) sicuramente appartenente a reparti della RSI; risulta essere stato ucciso da colpi di arma da fuoco; portava pantaloni grigi alla zuava, cinghia di cuoio nero e scarpe alte.

Un altro cadavere, viene trovato nel fondo Paduli, in Via Panni a Saliceto San Giuliano: IGNOTO,(20) sicuramente appartenente a reparti della RSI. Il rapporto dei Carabinieri così diceva:

"nella prima fossa trovato cadavere di m. 1,70, di circa 35 anni. Vestito con panno militare e scarpe militari nere. Ferite da taglio multiple al collo e al torace".

Un altro: IGNOTO,(21) viene scoperto dai Carabinieri a San Damaso: nel rapporto questi, così scrivevano:

" nella seconda fossa, cadavere di un uomo sui 40-45 anni, alto m. 1,75, nudo, capelli castani, viso ovale: morto circa 20gg. prima del 25 Aprile, con colpo di arma da fuoco alla tempia destra e al collo; avanzata decomposizione."

A Castelfranco Emilia , sulla strada, viene ucciso con una raffica di mitra, il quarantenne: ROGGIO ANTONIO.(22) 

 MARTEDI 8 MAGGIO 1945

 A Modena viene ucciso il Colonnello dell'Esercito Repubblicano: MARANO VINCENZO.(23)

A Castelfranco Emilia resta ucciso, dopo essere stato prelevato dai partigiani, il paracadutista della RSI: INNOCENTI BRUNO.(24)

A Castelvetro vengono soppressi due fratelli di sentimenti fascisti: si trattava della Signora:  VANDINI ERNESTA,(25) di cinquantadue anni e del fratello di quarantacinque anni: VANDINI DIOMIRO.(26)

 MERCOLEDI 9 MAGGIO 1945

 A Maranello viene ucciso da elementi partigiani, il giovane milite della Guardia Nazionale Repubblicana: LORINI ROBERTO.(27)

A Modena perdono la vita, uccisi in imboscate o prelevati dalle loro abitazioni i fascisti: MORANDI EMILIO,(28) CATELLANI GIULIO,(29) e LODI LUCIANO,(30) quest'ultimo era Tenente dell'esercito repubblicano, venne prelevato dalla propria abitazione in città e portato a Villa Ganaceto dove veniva ucciso; la sua salma verrà recuperata dopo diverso tempo.

Dalla ex caserma di Mirandola della GNR, partiva, in questo giorno, un camion con a bordo sette prigionieri fascisti che dovevano essere portati a Modena, per ordine del CLN, dovendosi indagare sulla loro posizione politica. I sette erano accompagnati da cinque partigiani. Il camion non giunse a destinazione: all'altezza di Bomporto, sulla statale n.12, l'automezzo deviò per una via secondaria; i sette furono fatti scendere e uccisi a raffiche di mitra.  Si trattava dei seguenti fascisti.

Il Maggiore della GNR, di sessantadue anni: TABACCHI ETTORE ENRICO,(31) del figlio, anche lui milite della GNR: TABACCHI FERNANDO,(32) del Colonnello della GNR di cinquanta anni:CECCHI MARIO,(33) del Tenente della GNR di trentacinque anni: PALTRINIERI DOMENICO,(34) del Tenente della GNR di ventidue anni: SPEZZANI CLAUDIO,(35) e delle due ausiliarie: CASTELLINI GIULIA,(36) di anni quaranta e della ventitreenne: MALAGOLI GINA.(37)

Sempre a Bomporto veniva ucciso da partigiani comunisti il Dott. Carlo Testi, che era membro del CLN, ma iscritto alla DC.(38)

A Bologna viene ucciso lo squadrista della B.N. "Pappalardo": GRADARA RUGGERO (39)

 GIOVEDI 10 MAGGIO 1945

 Vengono prelevati da un gruppo di partigiani, dalla loro abitazione in Modena, due giovani fratelli, militi della GNR; in quella casa, mesi prima, si era già pianto per la morte di un altro giovanissimo fratello di 16 anni, ucciso anch'esso dai partigiani in un’imboscata tra Carpi e Correggio il 14 Novembre 1944. I due fratelli uccisi in questo giorno sono: il ventenne maestro: BELTRAMI ALFREDO,(39a) ed il giovane studente di diciannove anni: BELTRAMI ARNALDO.(40)

Sempre a Modena, viene prelevato e ucciso il ventunenne milite delle SS Italiane: RISTORI SERGIO.(41)

Nella zona di Mirandola vengono brutalmente "eliminati" i militi della GNR: FACCHINI GRAZIANO,(42) e SIMONETTO GIUSEPPE.(43)

A San Prospero veniva ucciso il Maggiore della GNR: VELLANI ALBERTO.(44)

 VENERDI 11 MAGGIO 1945

 A Modena viene ucciso il giovane milite della GNR e bersagliere del Duce di venti anni: GIOVANARDI ALESSANDRO.(45)  Alla periferia della città, nel fondo Panini in stradello Orsi, veniva rinvenuto il cadavere di un: IGNOTO.(46) Un altro veniva rinvenuto nel fondo Berselli, in Via Iacopo da Porto: si trattava del cadavere di un: IGNOTO,(47) era di età giovanile, portava un abito color chiaro, pantaloni alla cavallerizza e nelle tasche aveva un giornale in data 1° Maggio. I carabinieri ritennero che si trattasse di persone sicuramente appartenenti a reparti della RSI.

A Mirandola veniva ucciso tale: BERTOLI UMBERTO.(48)

 SABATO 12 MAGGIO 1944

 A Fiorano Modenese, viene ucciso il milite della GNR:CIONI GIOVANNI,(49) venne prima torturato e poi trucidato dai partigiani: la moglie, attraverso mille difficoltà e pericoli, fece affannose ricerche e dopo parecchio tempo, precisamente il 26 Settembre 1945, le spoglie di questo sventurato milite fascista vennero ritrovate presso le Salse di Nirano.

A Carpi veniva ucciso lo squadrista: BENATI GAETANO.(49BIS)

A Modena, veniva ucciso, in Via Bianchi Ferrari dove risiedeva, il graduato della GNR: PISTONI FRANCESCO;(50) la salma di questo fascista verrà recuperata a Cognento circa un anno dopo, il 12 Aprile 1946.

A Medolla viene ucciso il Sottotenente della GNR: BIANCHINI GIUSEPPE.(51)

A Castelfranco viene ucciso a colpi di rivoltella l'ex milite della Brigata Nera di trentasei anni: GAROFANI ALBERTO.(52)

In zone periferiche alla città di Modena restano vittime di esecuzioni partigiane: BIANCONI GAETANO;(53) era ispettore tecnico del consorzio carni ed aveva quarantasette anni; e il Dott. ZUCCONI ALBERTO;(54) che aveva trentuno anni; la salma di quest'ultimo venne rinvenuta a Freto il 12 Novembre 1945.

A Vercelli viene barbaramente ucciso assieme a moltissimi suoi commilitoni, il giovane sottotenente della GNR, di venti anni: REBUCCI PAOLO.(55)

Questo giovane modenese si arruolò giovanissimo nella GNR precisamente il 1° Novembre 1943; partì per Ravenna al Corso Allievi Ufficiali. Nell'Agosto 1944 divenne sottotenente. Fu orgoglioso di essere destinato a Vercelli poiché in quella città occorrevano uomini sicuri, data la zona difficile e turbolenta. Pur essendo ligio al dovere, quando al Comando vi era da trattare uno scambio di prigionieri, gli emissari partigiani preferivano rivolgersi a lui, perché sapeva comprendere e capire certe situazioni. Il 25 Aprile a Vercelli si forma una colonna detta poi dei "duemila" per andare a Como per l'ultima battaglia: era una trappola, tesa dai partigiani con una telefonata anonima.(56)

La colonna giunta a Cortellazzo è in dubbio atroce, poi la certezza del tradimento diventa realtà; non sapevano più cosa fare: ritornare indietro? Combattere?. Sopraggiunse il Vescovo di Novara; espone la situazione disperata e consiglia di deporre le armi per evitare uno scontro con i partigiani che avrebbe potuto essere la rovina del paese. Promette salva la vita! Furono disarmati, privati del loro denaro, internati nel campo sportivo di Novara, in mano alle "Fiamme verdi" partigiani democristiani.

Subito cominciarono le sevizie e gli eccidi: a gruppi i disgraziati venivano torturati, trascinati fuori e scannati. Ai primi di Maggio il campo fu assalito da una folla di contadini armati di forche, badili, vanghe, che fecero scempio di tanti infelici. Poi arrivarono i partigiani di Vercelli, con due automezzi, per prelevare parte di coloro che erano sopravvissuti. Vennero caricati 75 prigionieri, tra i quali il sottotenente Rebucci e portati all'Ospedale Psichiatrico di Vercelli. Arrivarono già massacrati di botte. Il Cappellano dell'Ospedale diede l'assoluzione in massa, perché i partigiani avevano fretta di "lavorarli"; l'orgia di sevizie durò delle ore, perché i carnefici si davano il cambio. Fra questi "eroi" vi era un medico che sapeva torturare bene, senza far morire il "paziente". Alle due di notte cominciarono a condurli a morte. Parte nel canale Cavour, altri nelle campagne. Fu un vero e proprio massacro. La salma del sottotenente Rebucci non venne mai più ritrovata, nonostante le pazienti ed accurate ricerche portate avanti per anni dai genitori.(57)

 DOMENICA 13 MAGGIO 1945

 Eccidio partigiano a Sassuolo; dalle loro abitazioni vengono prelevate ed uccise le seguenti persone, fasciste o sospette di esserlo state: il quarantenne MATTEOTTI UMBERTO,(58) il quarantaquattrenne: MONTI MARIO,(59) un altra persona della stessa età: MUCCHI CARLO,(60) l'impiegato al Municipio di Sassuolo di cinquantotto anni: PRANDINI BATTISTA,(61) e il quarantacinquenne: BONILAURI GIUSEPPE.(62)

 LUNEDI 14 MAGGIO 1945

 Continuano in tutte le zone del modenese, nessuna esclusa, anche se la maggior parte avvengono in città e nella bassa, le spietate esecuzioni dei fascisti o dei presunti tali. Andarono a bersaglio, in questo clima di anarchia e di giustizia arbitraria, tutta una serie di vendette, di rancori personali di ruberie, che sono poi passate come rappresaglie politiche e di guerra.

A Castelfranco vengono prelevati e portati in una casa colonica dove vengono torturati, derubati ed uccisi: GARAGNANI LUIGI,(63) di quarantasette anni e tale: VIGNALI ALDO.(64)

A Formigine viene "eliminato" un uomo di cinquantatré anni: MONTORSI  EZECHIELLO.(65)

"Alle ore 17 del 14 Maggio 1945, a Casinalbo, venne prelevato l'industriale Ezechiello Montorsi. La sera stessa venne ucciso con quattro colpi di mitra. Dopo due giorni, la salma venne recuperata, già sotterrata nel podere del mezzadro Fernando Stefani. Lo stesso giorno, venne arrestato il capo partigiano.... autore materiale del delitto. Condotto alla Questura di Modena, riuscì ad evadere (c'era ancora la polizia partigiana) ed a riparare in Iugoslavia. Un altro dei partecipanti all'assassinio fuggì mentre stava per essere arrestato all'interno del salumificio di Casinalbo. L'industriale era stato derubato del portafoglio, dell'orologio d'oro, e di un anello d'oro con brillanti.(65bis)

Mentre nella zona di Mirandola rimane vittima di rappresaglia: RAZZOLI ALBERIGIO.(66)

A Pavullo i partigiani prelevano dalla loro abitazione due coniugi che verranno barbaramente assassinati: sono il sessantacinquenne: GAETTI GIUSEPPE,(67) e la moglie di cinquantotto anni: CIONI GAETTI VIRGINIA.(68)

A Modena vengono assassinati: il Brigadiere della GNR: SALA UBER,(69) venne ucciso con otto pugnalate, come dichiareranno i suoi assassini che verranno poi assolti al processo e tale: BARBIERI GINO.(70)

In Via Guicciardini veniva colpito mortalmente da colpi di arma da fuoco un adulto: IGNOTO,(71) sicuramente appartenente a corpi militari della RSI.

A Nonantola vengono uccise madre e figlia, la prima di sessantadue anni, la seconda di ventuno anni: TANGERINI ERMINIA  e TANGERINI MARIA.(71BIS)

 MARTEDI 15 MAGGIO 1945

 A Zocca vengono prelevati ed uccisi, da elementi partigiani: il custode del campo d'aviazione di Modena, di cinquantadue anni: REAMI GILIO,(72) e il trentaseienne: BERTUZZI FILIPPO.(73)

A Castelnuovo Rangone viene ucciso tale: BACCHI OLIVIERO.(74)

Nell’ormai famigerato "triangolo della morte", che era situato tra Castelfranco-Piumazzo-Manzolino, vengono uccisi: il Capitano della GNR: TEAGNO ODOARDO,(75) l'ex Federale di Cuneo: RONZA SECONDO,(76) e altre due persone: DE STEFANI FERDINANDO,(77) e ZORGNOTTI CARLO.(78)

Nella zona di Mirandola, a San Martino Spino, viene ucciso: MALAGUTI ANTONIO,(79)

A Modena, due partigiani prelevano dalla sua abitazione il quarantunenne: PAGANI GIACOMO,(80) che verrà mantenuto prigioniero in una porcilaia e successivamente fucilato.

E' in questi tragici giorni di maggio che parte dal Nord, precisamente da Brescia, diretto verso la Capitale, un camion del Vaticano con a bordo 40-50 persone che, tramite le autorità ecclesiastiche, avevano ottenuto dal CLN il lasciapassare per raggiungere le famiglie, sparse in ogni parte d'Italia e in particolare nelle zone del Centro e del Sud.

Erano, nella maggioranza, allievi ufficiali della Scuola della GNR di Oderzo che, dopo aver ricevuto l'onore della armi alla loro resa, da questa località avevano raggiunto Brescia, poiché da quel centro attraverso particolari canali avrebbero avuto la possibilità di raggiungere con mezzi messi a disposizione dal CLN e dalla curia, le località d'origine.

"Dal vescovado il camion sul quale - come su tutti gli altri mezzi in servizio per la P.O.A - era stata issata una grande bandiera bianca e gialla, quella del Vaticano, raggiunse Porta Venezia (nella zona orientale della città) per caricare altri passeggeri; poi lasciò Brescia diretto a Mantova e attraverso il Po a San Benedetto. A bordo di questo mezzo viaggiavano molto pigiate, 40-50 persone.... omissis... A Bondanello l'automezzo venne fermato da un gruppo di partigiani della polizia locale....poi l'autocarro fu lasciato proseguire per Concordia....ma fu fermato da un gruppo di sette otto partigiani con il fazzoletto rosso armati di mitra bombe e pugnali. L'autocarro fu scortato da costoro fin davanti alla Villa Medici di Concordia..."(80bis)

Alcuni dei presenti sull'autocarro vennero rilasciati gli altri vennero rinchiusi nel solaio di Villa Medici dove erano già trattenuti altri prigionieri politici.

Con esattezza non si poté mai sapere come andarono le cose malgrado vari interventi, negli anni successivi, della magistratura che indagò a lungo, e in svariate circostanze in seguito alle continue ricerche fatte da molti dei familiari di coloro che si trovarono su quel camion che poi venne definito come, "la corriera fantasma" o "la corriera della morte". Molti particolari di quel tragico viaggio si poterono conoscere in una prima occasione al processo che si tenne presso la corte di Assise di Viterbo dal 15 Dicembre 1950 al 15 Gennaio 1951. Le imputazioni degli imputati consistevano nei seguenti reati:1) concorso nel reato di sequestro continuato ed aggravato di persona; 2) di concorso nel reato di omicidio aggravato continuato; 3) di concorso nel reato di malversazione continuata.

La sentenza condannava poi, il comandante e vice comandante della polizia partigiana di Concordia, colpevoli di omicidio volontario continuato a 25 anni di reclusione, dei quali 16 anni e 7 mesi condonati, e l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Ma la possibilità di trovare i resti degli sventurati ed avere la possibilità di un loro riconoscimento sfumava sempre più.

Negli anni successivi nelle campagne di quelle zone si continueranno a scoprire ossa   e resti umani che i carabinieri assicureranno , in molti casi, appartenere agli scomparsi della "corriera fantasma"

Di alcune di queste vittime  si è riusciti ad accertare l'identità, dopo lunghissime e laboriosissime ricerche, ma purtroppo in molti casi si è potuto risalire alla probabile identità degli scomparsi attraverso ipotesi e valutazioni che non hanno potuto avere un’esatta e precisa conferma. Anche le analisi fatte dall'Istituto di Medicina legale di Modena su centinaia di frammenti di ossa raccolti, non portarono a risultati definitivi. Tuttavia, i fatti accertati, nella loro sostanza, non lasciavano più adito a dubbi: la polizia partigiana aveva derubato i passeggeri, e ne aveva ucciso un buon numero.

Si ha la quasi assoluta certezza che tra i trucidati a San Possidonio fossero presenti le seguenti persone:

gli allievi Ufficiali della GNR della Scuola di Oderzo: CALVANI MARCELLO,(81)  COZZI MARCELLO,(82) DELLA GERVA NICCODEMO,(83) GOTTARDI FRANCO,(84) IANNONI SEBASTIANI CESARE,(85) LOMBARDI ROBERTO,(86) PICCININI SERGIO,(87) dei fratelli bolognesi , il primo di trentotto anni e capitano della GNR, il secondo di non ancora diciassette anni: QUADRI GIOVANNI(88) e QUADRI SILVANO.(89) Del sottocapo di marina: GIUFFRE' VINCENZO(90) dell'ex aviere di quarantacinque anni: CAGNO ALFONSO,(91) del vice brigadiere della GNR, di venti anni: ENRICO SERRELI(92) di certi: NOTTI ALFREDO,(93) FALLAI ALFIO,(94) GROSSI GINO,(95) dell'ausiliaria della RSI di diciannove anni: TIRABASSI MARIA TERESA,(96) dell'Ufficiale toscano: PIA IACOPO RENZO,(97) del Capitano delle B.N.: BARTOLOZZI WALTER,(98) di certi: BARIANI WALTER(99) STABELLINI,(100) di cui non si conosce il nome. e ancora di certo  MELLI ALFREDO.

Molto probabilmente nelle fosse di San Possidonio sono stati sepolti altri prigionieri politici che erano stati trasportati in quelle zone dalla sede della "polizia partigiana di Carpi", pertanto si può ritenere che altri VENTI IGNOTI (101) si siano trovati accomunati al tragico destino di coloro che ebbero la possibilità di essere quasi sicuramente identificati.

In seguito alla scoperta delle fosse del 1968 e degli scavi successivi, venne stilato un rapporto dei carabinieri che così concludeva:

"Per opportuna notizia inoltre, si comunica che, nel corso delle indagini relativo al presente rapporto, sono stati svolti numerosi contatti, a seguito dei quali è stato possibile localizzare:

- nel fondo così detto Pacchioni, al confine dei comuni di Cavezzo e San Possidonio il punto in cui giacerebbero i resti appartenenti ad una quarantina di persone, soppresse durante il periodo clandestino;

- nel fondo Sbardellati Triante, in Comune di San Possidonio, lungo l'argine del canale, il punto in cui si troverebbero i resti di altre 15 persone, fucilate nel periodo clandestino ad opera dei partigiani;

- nel fondo del Dottor Pollastri Bruno, di San Possidonio un ex rifugio antiaereo ove giacerebbero i resti delle rimanenti persone fucilate a San Possidonio nella notte tra il 18  e 19 Maggio 1945 e di cui tratta il presente rapporto."

In conclusione. le indagini dei Carabinieri avrebbero stabilito che le persone soppresse e sepolte in modo clandestino in quel periodo, nel Comune di San Possidonio, soltanto dentro fosse comuni delle quali poté essere accertata l'esistenza, sarebbero state, nel complesso, quanto meno, un ottantina. Dal novero restano escluse le persone soppresse e sepolte isolatamente quà e là, sempre in modo clandestino."(102)

 MERCOLEDI 16 MAGGIO 1945

 A Castelfranco Emilia un gruppo di "sconosciuti" si presenta ad un droghiere del luogo per la "solita" operazione di giustizia partigiana. Una volta entrati nell'abitazione del predestinato, gli sconosciuti hanno fatto allineare uno fianco all'altro tutti i familiari, nella camera da pranzo. Poi il capo famiglia venne portato via. Di lui non si seppe più nulla.(103) Si trattava di tale: GIOVANNONI BERNARDO.(104)

A Mirandola viene ucciso lo squadrista: OTTANI CORRADO.(104bis)

A Cognento veniva ucciso il sottotenente della GNR di ventuno anni: CANEPONE RANIERO.(104tris)

In località Tre Olmi di Modena, veniva ucciso il sergente maggiore della RSI: RICCHETTI CESARE.(104/4)

 GIOVEDI 17 MAGGIO 1944

 A Finale Emilia viene prelevato ed ucciso, il maggiore della MVSN di quarantasei anni: FALZONI GINO.(105)

A Corlo di Formigine veniva ucciso il Brigadiere della GNR: BOARI ADALGISO.(106)

 VENERDI 18 MAGGIO 1945

 A Formigine viene prelevato ed ucciso il quarantaduenne: GIACOBAZZI CONFUCIO,(107) la sua salma verra’ recuperata, in seguito, a Cognento.

A Collegara viene scoperto il cadavere di un anziano: IGNOTO,(108) sicuramente appartenente a reparti della RSI.

  SABATO 19 MAGGIO 1945

 A Vignola viene impiccato, nelle carceri del Castello, il facchino, di trentanove anni: SANTI GINO  A Castelfranco Emilia viene ucciso certo: CONSOLINI DANTE.(110) A Formigine, il solito gruppo di partigiani, "sconosciuti", preleva dalla sua abitazione per trucidarlo, un noto possidente di Casinalbo, il cinquantenne: CAVAZZUTI ZOELLO.(111) La salma di questo sventurato venne ritrovata nel fondo Rangoni, a Formigine, il 12.2.1946.

A San Damaso viene ucciso il nativo di Bomporto, già iscritto al Partito Nazionale Fascista: BARBIERI MARIO.(112) A Modena viene ucciso, a colpi di arma da fuoco, un uomo di circa 30-35 anni rimasto: IGNOTO.(113)

 DOMENICA 20 MAGGIO 1945

 A Freto, in Comune di Modena, viene ucciso il milite della GNR di quarantasei anni: BADIALI PIETRO.(114)

A Castelfranco Emilia, nello stillicidio delle uccisioni quotidiane che hanno tormentato quelle zone per un lungo periodo del dopo "liberazione", vengono soppresse due donne ritenute fasciste: COCCHI VITTORIA,(115) e DE ANGELIS ITALIA.(116)

 LUNEDI 21 MAGGIO 1945

 A Modena viene prelevato dalla sua abitazione, portato a San Matteo sul fiume Secchia e quì ucciso, il cantoniere di quarantatré anni: FREGNI DUILIO.(117)

A Savignano sul Panaro resta vittima della "giustizia" partigiana, tale: BONI ANGIOLINO.(118)

 MARTEDI 22 MAGGIO 1945

 A Sassuolo, la "giustizia" partigiana si presenta a casa di: RUBBIANI UMBERTO,(119) venne portato a Baggiovara e in questa località, ucciso.

A Zocca i "giustizieri" proletari, si accaniscono contro l'operaio di quarantaquattro anni: CARLINI FIORIGIO.(120)

A San Cesario sul Panaro viene trovato ucciso, con il capo fracassato da colpi di mitra, il quarantaseienne: BONI MARIO(121)

Nei pressi di Carpi, mentre era diretto a Castiglione delle Stiviere, nel mantovano, per raggiungere i fratelli che colà erano sfollati, in bicicletta e con i calzoncini corti, un ragazzo di diciassette anni, PINI GIOVANNI (122) viene fermato da un gruppo di partigiani nella zona di Concordia; dai documenti viene accertato che si trattava del figlio di Giorgio Pini, ex Direttore del "Resto del Carlino" e Sottosegretario agli Interni nel Governo della RSI, riconosciuto, anche dagli avversari, per un uomo corretto e leale. Il giovane non apparteneva a nessun reparto militare, ne aveva preso parte in nessun modo alla guerra civile. La sua condanna a morte fu dovuta solamente al fatto di essere figlio di un esponente della RSI. Malgrado vane ricerche, la sua salma non venne mai recuperata.

 MERCOLEDI 23 MAGGIO 1945

 Nella tormentata zona del triangolo della morte, a Castelfranco Emilia, viene assassinato: MELONI MANFREDO.(123)

 GIOVEDI 24 MAGGIO 1945

 A Montalto di Zocca viene prelevato dalla sua abitazione e brutalmente ucciso il Parroco di quel piccolo centro: PRECI DON GIUSEPPE.(125)

"due individui si presentano alla casa di Don Preci. Quando la domestica Teresa Tamburini va ad aprire, essi invitano il sacerdote a seguirli.....omissis...A poche centinaia di metri dalla canonica... estrae la pistola e ammazza il Prete. Poi gli assassini tornano in canonica e fanno man bassa dei beni di Don Preci. Alla Tamburini viene dato del denaro per comprarne il silenzio. E così par alcuni anni l'uccisione del Parroco di Montalto resta un mistero. Poi, nel 1949, le indagini subiscono una svolta: la Tamburini confessa e i responsabili vengono assicurati alla giustizia. Il movente accertato è quello dell' "odio antireligioso" e della rapina".(126)

A Castelfranco Emilia resta ucciso il civile  CAVALLOTTI ANTONIO(126bis)

 VENERDI 25 MAGGIO 1945

 A Ravarino vengono prelevati dalle loro abitazioni per essere uccisi, due fratelli:  VACCARI VITTORIO:(127) e VACCARI GUERRINO.(128)

A Modena viene prelevato dalla sua abitazione il brigadiere della Milizia Ferroviaria di cinquantatré anni: PAPARELLA ROCCO.(129) Da indagini effettuate dai suoi familiari, sembra sia stato ucciso nella zona di Ganaceto. La sua salma non venne mai ritrovata.

 SABATO 26 MAGGIO 1945

 Feroci esecuzioni a Concordia: padre e figlio vengono bestialmente assassinati: il padre era milite della GNR: ARTIOLI LUIGI,(130) e il figlio, probabilmente, nell'intento di difendere il genitore, subì la stessa sorte: ARTIOLI ALBERIGIO.(131) Assieme a questi venne ucciso il cinquantunenne:GAVIOLI RENATO.(132)

A Castelfranco Emilia, ennesima esecuzione ai danni di un religioso, che come negli altri casi , non viene ricordato dalla storiografia resistenziale, che è sempre andata a senso unico ricordando la partecipazione della Chiesa alla guerra civile ma non i preti massacrati dai partigiani. TAROZZI DON GIUSEPPE.(133)

Era parroco di Riolo di Castelfranco Emilia e venne prelevato e soppresso, da otto partigiani comunisti a scopo di rapina. Gli autori furono anche denunciati all'autorità giudiziaria. La salma di questo sacerdote non venne mai ritrovata e si ritiene sia stata bruciata in una fornace.(134)

 DOMENICA 27 MAGGIO 1945

 A Medolla si verifica una delle più spietate ed efferate rappresaglie del dopoguerra. Il Maresciallo della GNR: GRECO GIORGIO ANGELO,(135) di quarantotto anni, viene barbaramente trucidato assieme ai suoi giovani figli: l'ausiliaria ventitreenne: GRECO EVA,(136) ed il giovanissimo figlio di diciassette anni: GRECO SANTINO.(137) Questo orrendo crimine, emblematico per la volontà comunista di far scomparire intere famiglie accusate di fascismo, dimostra il disegno precostituito per la totale eliminazione fisica dei fascisti: una vera e propria strage etnica. La povera madre e moglie, di questa famiglia così tragicamente decimata chiese ripetute volte, a coloro che ben sapeva essere gli esecutori materiali degli omicidi, dove fossero stati sepolti i suoi familiari, ma venne sempre beffeggiata. Assieme ai tre Greco e sempre a Medolla vennero uccisi i fascisti: GEMMI PASQUALE,(138) e NERI RENATO.(139)

 LUNEDI 28 MAGGIO 1945

 A Mirandola viene ucciso tale: CALEFFI DARIO.(140) A Zocca vennero raggiunti dalla "giustizia partigiana" in una proditoria ed efferata aggressione, due coniugi: l' ex Podestà di Zocca, di sessantacinque anni: CHECCHI LUIGI,(141) e la moglie di cinquantotto anni: CHECCHI BENEDETTI ANTONIA.(142)

 MARTEDI 29 MAGGIO 1945

 Siamo ancora nella zona di Mirandola: viene ucciso tale. MELETTI GIORGIO.(143) A Castelvetro è la volta del venticinquenne: BURSI EGIDIO.(144)

Ancora nella zona del "triangolo della morte", a Castelfranco vengono uccise due persone si trattava di: CAVALLOTTI LUIGI,(145) di sessanta anni e di: BAROZZI UMBERTO(146)

A Villa Freto viene ucciso il fascista: MORANDI LEOPOLDO(146BIS) era stato prelevato presso l'Istituto San Filippo Neri di Modena.

 MERCOLEDI 30 MAGGIO 1945

 In Comune di Modena  nel fondo Panini, sito in stradello Orsi, viene rinvenuto il cadavere di un: IGNOTO,(147) in avanzato stato di decomposizione; era vestito da Ufficiale della GNR con camicia nera, pantaloni grigioverdi e stivali di cuoio.

 GIOVEDI 31 MAGGIO 1945

 In questa data elenchiamo quei fascisti, o presunti tali, uccisi nel mese di Maggio e dei quali non si è mai conosciuta con esattezza la data del decesso.

A Castelfranco Emilia vengono uccisi: ZANASI VITTORINO,(148) POLIDORI MARIO,(149) oltre a   OTTO IGNOTI.(150)

A Codevigo, in Provincia di Padova, restava ucciso il Capitano della GNR di Carpi: FORTI MASSIMO,(151) a Concordia veniva ucciso: CREMA ANTONIO.(152)

Nella zona di Ravarino si dovevano contare altri caduti: SETTE IGNOTI.(153)

Ancora nella zona di Castelfranco Emilia venivano uccisi: LANDINI VITO.(154) GANDOLFI LUIGI (154bis) MANZONI ITALO (154ter)

 NOTE

 1    cfr. Elenco caduti della RSI n. 518.

1bis cfr. "Martirologio" pag. 127

2    ibidem n. 206

3    cfr. elenco caduti inumati nel sacrario di San Cataldo.

4    cfr. lettera del Comune di San Felice sul Panaro del 3.2.1956.

5    cfr. elenco caduti del Battaglione "Mussolini"

6    cfr. G. Fantozzi: "Vittime dell'odio" pag. 91

7  cfr. G. Pisanò: "Gli ultimi in grigioverde", Vol. 4° pag. 2099. - "Martirologio" colloca questa uccisione al 3/5/44

8    cfr. elenco caduti n. 49.

9    ibidem n. 55

10   ibidem n. 717

11   cfr. lettera del Comune di Mirandola del 16.1.1956 prot. 126

12   cfr. elenco caduti n. 462

13   ibidem n. 451

14   cfr. lettera del Comune di Nonantola del 23.1.1956 prot. 186

15   cfr. elenco caduti n. 679

16   ibidem n. 309

17  cfr. lettera agli atti dell'archivio dell'Ass. Naz. Cad. e dispersi della RSI di Modena e inserita anche nel volume di Don A. Scarpellini: "Lettere dei condannati a morte della RSI". pag. 193

18   cfr. elenco caduti

19-20-21   cfr. in elenco caduti ignoti in detto Archivio, tratto dai verbali dei CC della nostra città.

22   cfr. elenco caduti n. 654

23   ibidem n. 460

24   cfr. ESGC.Pi e anche in : F. Fantozzi, op. cit. pag. 153

25   cfr. elenco caduti RSI n. 784

26   ibidem n. 785

27   ibidem n. 423

28   ibidem n. 515

29   ibidem n. 203

30   ibidem n. 421

31   cfr. lettera del Comune di Mirandola del 16.1.56

32 -38  ibidem

39 cfr. "Martirologio" pag. 119

39a   cfr. elenco caduti n. 76

40   ibidem n.77

41   ibidem n. 653; anche in : R. Lazzero; "Le SS italiane", pag. 370

42   ibidem n. 273

43   ibidem n. 725

44   cfr. elenco caduti inumati nel Sacrario di San Cataldo.

45   cfr. elenco caduti n. 349

46   cfr. elenco caduti ignoti in Archivio Ass. Cad. RSI

46 - 47  ibidem

48   cfr. articolo di F. Focherini in: "A1", mensile, luglio 1983

49   cfr. elenco caduti n. 228

49bis cfr. Martirologio pag. 112.

50   cfr. elenco caduti inumati nel sacrario di San Cataldo.

51   cfr. lettera del Comune di Medolla del 16.1.1956 prot. 42.

52   cfr. lettera del Comune di Castelfranco, cit.

53   cfr. elenco caduti n. 112

54   ibidem n.826

55   ibidem n. 638

56 - 57 cfr. testimonianza del Dott. Enzo Rebucci.

58   cfr. elenco caduti n. 483

59   ibidem n. 510

60   cfr. lettera del Comune di Sassuolo del 30.1.1956 prot. 563.

61   cfr. elenco caduti n. 616

62   ibidem n. 137

63 - 64   cfr. lettera del Comune di Castelfranco. cit.

65   cfr. elenco caduti n. 512

65bis cfr. V. Martinelli: "La corriera fantasma", pag. 146

66   cfr. ESGC.Pi

67   cfr. elenco caduti n. 326

68   ibidem n.327

69   ibidem n. 688

70   ibidem n. 52

71   cfr. elenco caduti ignoti

71bis cfr. Fantozzi, op. cit. pag. 168

72   cfr. elenco caduti n. 635

73   cfr. lettera del Comune di Zocca del 28.1.1956 prot. 231

74   ESGC.Mo

75   cfr. elenco caduti RSI n. 700

76   ibidem n. 664

77   cfr. ESGC.Mo e F. Fantozzi, op. cit. pag. 82

78   cfr. elenco caduti n. 825

79   ibidem n. 446

80   ibidem n. 555

81 a 102 cfr. G. Pisanò, in op. cit. Vol. 3° pag. 1836; A. Scarpellini, op. cit. pag. 252-255;V. Martinelli, op.

103  cfr. "La seconda liberazione in Emilia" opuscolo edito nel 1949 a cura della segreteria region. della DC.

104   cfr. elenco caduti n. 352

104bis cfr. Martirologio pag. 117

104tris cfr. Albo d'oro A.U. della GNR

104/4 cfr. F. Fantozzi op. cit. pag. 165

185   cfr. elenco caduti n. 274

106   ibidem n. 117

107   ibidem n. 345

108   cfr. elenco caduti ignoti della RSI, dai verbali dei CC.

109   cfr. lettera del Comune di Vignola del 3.2.1956 prot. 407

110   cfr. lettera del Comune di Castelfranco cit.

111   cfr. elenco caduti n. 216

112   ibidem n. 30

113   cfr. elenco sconosciuti appartenenti alla RSI

114   cfr. elenco caduti n. 38

115   ibidem n. 230

116   ibidem n. 250

117-118   ibidem n. 317

119   ibidem n. 667

120   cfr. lettera del Comune di Zocca del 28.1.1956 prot. 231

121   cfr. lettera del Comune di Castelfranco cit.

122   cfr. V. Martinelli, op. cit.

123   cfr. elenco caduti n. 488

124   cfr. G. Pisanò op. cit.

125   cfr. lettera del Comune di Zocca, cit.

126   cfr. F. Fantozzi, op. cit. pag.59

126bis cfr. "Martirologio" pag. 131

127   cfr. elenco caduti n. 773

128   ibidem n. 771

129   ibidem n. 569

130   ibidem n. 25

131   ibidem n. 21

132   ibidem n. 237

133   cfr. ESGC.Pi

134   cfr. G. Pisano op. cit.

135   cfr. elenco caduti n. 367

136   ibidem n. 368

137   ibidem n. 369

138   ibidem n. 341

139   ibidem n. 541

140   cfr. ESGC.Pi

141   cfr. lettera del Comune di Zocca cit.

142   ibidem

143   cfr. ESGC.Pi

144   cfr. ESGC.Mo

145   cfr. elenco caduti n. 208 e lettera del Comune di Castelfranco, cit.

146   cfr. elenco caduti n. 59

146bis cfr. F. Fantozzi, op. cit. pag. 162

147    cfr. elenco sconosciuti in Arch. Ass. Cad.

148   cfr. ESGC.Pi e F. Fantozzi, op. cit. pag. 82

149   ibidem

150   cfr. elenco sconosciuti

151   cfr. elenco caduti n. 310

152   cfr. ESGC.Pi

153   cfr. elenco sconosciuti

154   cfr. F. Fantozzi, op. cit. pag. 82

154bis cfr. "Martirologio" pag. 139

154ter ibidem

 

 

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